8 | Panico

CAPITOLO 8 | CIGARETTES OUT OF THE WINDOW

Poor little Liddy
used to always quit.
But she never really quit
She'd just say she did
-TV Girl

POV ISAAC

Chiudevamo la fila, io, Thomas Wagner
e il suo amico, di nome Icarus. Era strano che avessero deciso di rimanere indietro con me, ma io non osai obiettate. Anzi.

Rimasi sempre un paio di passi dietro a loro, così da riuscire a completare i miei 10 senza problemi. I due non mi fecero molte domande a riguardo. Ma io mi inventai che era una cosa che faceva sempre mia madre e che facevo io per nostalgia. Non ero sicuro che ci avessero creduto. Ma non mi importava un granché. Tanto prima o poi avrei dovuto dirgli del mio doc, e posticipare era quasi inutile.

«Credi davvero che abbia ucciso qualcuno?» domandò Thomas all'altro ragazzo ammiccando con la testa alla fila di ragazzi davanti a noi.

Lui gli regalò un sorriso un po' sghembo «Quello è principessa quanto te» rispose «l'unica differenza è che tu vieni dal palazzo reale e lui dal palazzo diroccato accanto a casa mia»

Thomas gli diede un colpetto scherzoso sul braccio «Guarda che mio padre mi aveva accennato qualcosa su un "brutto ratto che voleva rubargli i soldi"» disse, mimando con le dita le virgolette.

«Ma lo hai visto? Se solo volessi potrei spezzarlo in due» annunciò Icarus ricambiando il colpetto.

«Tu dici così di tutti, ma lo sappiamo che non è così» lo stuzzicò Thomas «Vero Isaac?»

Gli rivolsi uno sguardo ma prima che potessi dire qualcosa delle parole, pronunciate con un tono forte, modificarono il mio equilibrio, facendomi soffocare le parole in gola.

«Non sto facendo la vittima! Solo, non voglio essere guardato dall'alto al basso. Perché non ti fai gli affari tuoi?»

Riconobbi subito il proprietario di quella voce. Era la prima che avevo sentito nella stanza dell'estrazione. La prima che aveva rivolto la parola direttamente a me. Quella che all'inizio mi era sembrata provenire da una persona gentile ma che ora mi diede tutt'altra impressione.

Era Phoenix.

Icarus guardò Thomas con uno sguardo che io non riuscii a decifrare. O meglio, che non volevo decifrare
«Sento puzza di rissa» disse precipitandosi subito a vedere cosa stesse succedendo. Il ragazzo biondo sospirò e avanzò di qualche passo alzandosi leggermente sulle punte per vedere meglio

«Sta' zitta, perché non ti nascondi dietro al tuo fratellone?»

Sentii la voce di Phoenix come un eco nel mio cervello. Che rimbombava su ogni parete ogni volta con una forza maggiore.

«È facile per te dirlo, vero? Sei sempre quello che ha tutto sotto controllo, quello che sa sempre cosa fare.»

«Uno» contai ad alta voce chiudendo gli occhi
«Due, tre, quattro» continuai. Cercando di non ingigantire la cosa.

Eravamo nel mondo esterno, era ovvio che ci sarebbe stata della violenza. Ed era anche ovvio che non sarebbe stata rivolta a me. Io adottavo un certo tipo di comportamenti proprio per evitarlo.

Sin da quando ero bambino le situazioni di violenza mi avevano dato fastidio, regalandomi quasi ogni volta una tremenda sensazione di panico. Anche se quasi mai io ero coinvolto attivamente in quel genere di momenti.

«Sai cosa, Zayden? Mi sono stancato di sentirti sempre parlare come se fossi il migliore di tutti noi. Pensi di sapere tutto, di essere superiore a me!»

«Cinque, sei»
Non ero io quello ad urlare, né quello a cui si stava urlando contro...allora perché mi sentivo come se stessi vivendo tutto in prima persona?

«Cazzo, Phoenix!»

E lo sentii, il terribile suono di un pugno. Le nocche su un viso hanno un rumore particolare, che avrei riconosciuto in mezzo a mille. Non era come quando si veniva colpiti allo stomaco, in quel caso il suono si sente a malapena. Un pugno in faccia produce uno schiocco, e poi un rumore profondo, quello dell'osso.
E quando lo sentii subito mi colpì quella sensazione di inessenza che mi era sua familiare sia estranea. Come se qualcuno mi avesse strappato via dal mio corpo.

I miei 10. A che numero ero arrivato?

Mi girai di scatto, dando la schiena a quella situazione. Premetti le mani contro le orecchie cercando di isolarmi da tutto quanto. Ma ovviamente non funzionò. Sentii una nuvola di calore avvolgermi. E la paura percorrere ogni mia cellula ad una velocità straordinaria. Avevo la totale impressione di aver perso il controllo, di star abbandonando tutto ciò che era la mia essenza.

Camminai, feci qualche passo. Non avevo idea di quanti fossero, non li contai. Non sapevo neanche se fossi in grado di farlo ormai. Ogni volta che mi muovevo mi sentivo cadere, non capivo più quale fosse il davanti e quale il dietro, la destra e la sinistra. Non riuscivo più a capire dove fossi posizionato nello spazio, avevo completamente perso l'orientamento e, soprattutto, la consapevolezza di me stesso e del mio corpo.

Non sapevo quanto distante dagli altri fossi. Ma mi tolsi le mani dalle orecchie e mi abbandonai alle perdite di equilibrio cadendo a terra con una velocità infinita e un tonfo sordo che sentii profondamente arrampicarsi sulle mie ossa.
Percepii i sassolini addosso come tante piccole frecce ma li ignorai. Ogni secondo sembrava eterno, ed è inutile specificare che desideravo solo che tutto quell'inferno finisse il più velocemente possibile.

Potevo udire direttamente nel cervello il mio cuore battere contro la gabbia toracica e la sensazione del sangue che riempiva se mie vene divenne quasi palpabile.
I polmoni mi si strinsero in cerca di un'aria che non riuscii mai a fornirgli. Vidi buio per un istante e quando riuscì a rinsavire un poco di più tutto quello che riuscii a scorgere era un ammasso di ombre sfocate. Serrai le palpebre e mi portai una mano al petto. E realizzai di non riuscire a sentire il contatto tra il palmo e il tessuto della maglietta. Il mondo sembrava dissolversi intorno a me. Strinsi con tutta la mia forza la maglietta ma continuai a non sentire nulla. Portai le ginocchia al petto e vi ci nascosi la testa tentando di respirare, ma non ce la feci.
Ogni volta che provavo a inserire dell'aria nel mio corpo quella usciva senza il mio permesso.

«I 10, Isaac, i 10» dissi, senza rendermi conto della mia voce spezzata. Sentivo di star morendo. Che tutto ciò che ero mi stava abbandonando per regalare al mio corpo finalmente tutta la tranquillità di cui necessitava.

«i 10» mi ripetei. Ma quando aprii la bocca per parlare mi si riempì del sapore salato delle mie lacrime. Provai a deglutire ma ciò mi fece solo strozzare. Il mio corpo automaticamente produsse qualcosa di simile ad un colpo di tosse ma che non ero sicuro lo fosse, perché uscì innaturale. Quasi come se fosse stato solo uno spasmo.

Avrei voluto sputare, gridare o chiedere aiuto. Ma invece rimasi lì a terra. Come un fottuto pazzo. Chiusi gli occhi il più forte possibile e nonostante questo sentivo tutto girare attorno a me.

Liberai la maglietta dalla stretta della mia mano e le riportai entrambe alle orecchie. Tappandole. Ma facendo così sentivo solo il mio respiro affannato e spezzato di continuo, come un rumore assordante creato per farmi impazzire.
Avrei voluto annullare quell'ultima azione. Ma il mio corpo decise al posto mio, e le mie mani premettero con più forza contro la mia testa. Provocandomi addirittura dolore.

Poi sentii qualcosa di estraneo al mio corpo. Una scarica di calore sulla mia spalla destra, poi velocemente anche sul mio ginocchio sinistro.

«Va tutto bene, okay?»

POV THOMAS

Si stavano menando di brutto, e nonostante io non fossi un tipo abituato a vedere scene di questo tipo ero certo che quando succedono questo genere di cose uno ne esce eroe e l'altro tutto pieno di lividi.

E quando vidi Phoenix a terra istintivamente mi girai verso Isaac per vedere se anche la sua di espressione era di puro shock quanto la mia. Ma quando mi voltai ciò che mi si parò davanti fu solo un Isaac sopraffatto, smentendo ogni mia aspettativa. Lo vidi per terra poco un paio di metri distante da me. E cazzo, non sembrava stare bene.

Era tutto rannicchiato su se stesso.
Cavolo se era strano quel ragazzo.

Che non fosse normale lo avevamo notato tutti, uno che praticamente viene sparato e mantiene la calma in quel modo e, soprattutto, uno che ogni azione la ripete più volte non è considerabile normale. Ma vederlo lì a terra a fare movimenti da pazzo...era più anormale di quanto avessi immaginato.

Feci qualche passo nella sua direzione e quando gli fui più vicino la situazione mi fu istantaneamente più chiara. Era nel bel mezzo di un attacco di panico.

Avevo letto un libro a riguardo un paio di anni prima, ma lo avevo letto per modo di dire. Non pensavo mi sarebbe mai servito sapere quella roba.

Istintivamente pensai di ignorare il problema, come ero solito fare.
Se ne sarebbe occupato qualcun altro.

Non sarei stato in grado di gestire la situazione, quindi, normalmente, avrei girato i tacchi. Ma qui non ero con i figli dei ricchi. Qui ero con persone normali, persone che avevano spesso sofferto per l'indifferenza mia e della mia fottuta famiglia.

Ma il fatto che avessi scelto di aiutarlo non cambiava, invece, che non avevo idea di cosa fare.

Girai lo sguardo verso gli altri. Nessuno lo aveva notato oltre me. Erano tutti troppo occupati a stare in cerchio a guardare quei due che si martoriavano.

Poi, come se il faro avesse deciso di stare dalla mia parte, vidi una ragazza che stava leggermente distaccata dal gruppo. Anche lei era intenta ad osservare Phoenix e Zayden ma si teneva a debita distanza. Forse neanche lei era abituata a quei teatrini.

Mi avvicinai, esitando leggermente, e attirai la sua attenzione dandole un colpetto sulla spalla. Lei si girò verso di me, e mi squadrò confusa.

«Hey, ehm» la salutai sentendomi parecchio a disagio «Laggiù» dissi facendo un cenno con la testa alla posizione di quel poveraccio.
Lei continuò a guardarmi, in attesa che io le spiegassi, con un'espressione confusa. Presi un respiro più profondo e indicai Isaac. «Sta avendo un attacco di panico...credo. E non ho idea di come si faccia...non è che potresti...sai..»

Lei si sporse leggermente, guardando dietro le mie spalle, in direzione di Isaac poi annuì
«Ho capito» rispose con un tono di voce basso.

Io annuii a mia volta e le abbozzai un sorriso riconoscente, poi con passo svelto ci avvicinammo al ragazzo.
«Sono Thomas, comunque» mi presentai frettolosamente.
«Beverly» mi rispose lei.

Una volta vicini lei si accovacciò davanti ad Isaac, posandogli una mano sulla spalla. Lui sobbalzò istantaneamente e subito dopo alzò lo sguardo. Aveva il viso completamente rigato di lacrime, che ancora sgorgavano copiose. Le mani erano posizionate sulle sue orecchie, intente a isolarlo da qualsiasi rumore. Il suo sguardo era vitreo, assente. Come se ci stesse guardando da lontano. Grondava di sudore, come se avesse corso una maratona. E nel guardarlo un brivido mi percorse la schiena. Faceva quasi paura.

«Va tutto bene, okay?» gli disse Beverly, con tono consolatorio.
In seguito si girò verso di me e pronunciò un sussurro che mi fu quasi impossibile udire
«Cosa gli è successo?»

Io scossi le spalle «Non ne ho idea, prima era vicino a me e il momento dopo era qui a fare il matto» le spiegai.

«Okay» disse lei tornando a guardare Isaac.
E gli occhi di lui la guardavano, velati da puro terrore.
Con una delicatezza esemplare poggiò le sue mani su quelle di Isaac e lo aiutò a spostarle dalle orecchie. Lui la assecondò, probabilmente neanche volendo sarebbe stato in grado di ribellarsi. Tra le dita stringeva un paio di ciocche bionde, che probabilmente si era strappato inconsapevolmente, le quali caddero a terra come piccole piume.

«Dai, ehm, vedrai che andrà tutto bene...» gli disse sforzando un sorriso.
Si girò poi verso di me con sguardo interrogativo, come se volesse aiuto a completare la frase.

«Non sai il suo nome?» le domandai.
Lei strabuzzò gli occhi facendomi segno di abbassare la voce come se temesse che Isaac si offendesse.
Non credo sia una sua priorità in questo momento, pensai.
«Come è possibile che non sai il suo nome? È quello a cui è saltata l'unghia» la informai alzando un sopracciglio.

«Lo so che è lui! È che lo chiamavano smilzo e non posso chiamarlo smilzo» mi rispose Beverly a denti stretti.

«È stato Icarus vero?» le chiesi, ma poi scossi la testa «Lascia perdere...ma cosa significa smilzo?»

«Credo sia un modo volgare per dire magrolino, non lo so. Ma non ha importanza ora, dimmi solo come cazzo si chiama!»

«Isaac, il cognome non lo conosco»

Lei attirò di nuovo l'attenzione del ragazzo biondo, che nel frattempo aveva riportato la testa tra le ginocchia e tremava come una foglia durante una bufera.
«Okay Isaac, io sono Beverly. Devi respirare, va bene? Grandi respiri» lo guidò lei. Ma lui non rispose, anzi non reagì neanche. Non parve nemmeno averla sentita.

Mi accovacciai accanto a Beverly e posai una mano sulla spalla di Isaac cercando di essere il più delicato possibile. Ero fortemente convinto che fosse qualcosa di fragile come un bicchiere di cristallo, in quel momento più del solito. E temevo di poterlo rompere permanentemente toccandolo nel modo sbagliato, di frantumarlo in un oceano di piccoli pezzetti «Prova a inspirate, sette secondi. Va bene?» ricordavo quella tecnica, bisognava far inspirare per sette secondi e poi espirare per undici.

Lui parve rinsavire tutt'insieme.

«Sette?» ripeté i suoi occhi si strabuzzarono e mi fissò come se gli avessi appena rovesciato addosso un secchio di acido. La sua voce era rotta e sembrava a dir poco preoccupato.

«Non posso» esclamò in modo evasivo ma allo stesso tempo drammatico
«Sette secondi. Non posso. I 10. Sette secondi. Non posso. I 10» iniziò a ripetere ossessivamente chiudendo gli occhi.

Mi scambiai uno sguardo con Beverly, ma non trovai conforto nei suoi occhi; sembrava essere confusa quanto me.
«Okay non è stata una buona idea» dissi io «niente sette okay? Se non puoi farlo non farlo» provai a recuperare così la situazione. Ma probabilmente avevo già fottuto il tutto più di quanto non lo fosse già prima.

«Isaac» lo chiamò Beverly «Dicci cosa è successo. Cosa possiamo fare per aiutarti?» chiese con tono terribilmente calmo. Come faceva a gestire così bene la situazione nonostante sembrasse di non sapere assolutamente cosa stesse facendo?

Il ragazzo aprì gli occhi e abbassò il tono di voce con cui stava ripetendo quelle parole. Il suo respiro accelerò tutto d'un tratto mandandolo in una specie di iperventilazione.

«Calmati, non è successo niente di male. Andrà tutto bene» lo rassicurò Beverly.

«Phoenix, lui...» mormorò Isaac, ma la sua voce fu spezzata da un singhiozzo.

«Phoenix, okay. Phoenix lui... lui sta bene» affermò Beverly annuendo più volte. Probabilmente non aveva idea di cosa stesse parlando.

Istintivamente mi alzai in piedi, andando sulle punte per riuscire a vedere se il ragazzo fosse in condizioni di venire ad aiutarci. E con fatica lo scorsi. Era ricoperto di sangue.

Abbassai lo sguardo su Beverly che mi stava già guardando. Forse avrei dovuto dirle che stava davvero bene. Così che una piccola bugia avrebbe fatto star meglio Isaac. Ma se poi lei mi avesse chiesto di andarlo a chiamare sarei annegato nell'imbarazzo. Quindi scossi la testa più volte, spalancando gli occhi in modo da farle capire che Phoenix era totalmente fuori uso.

«Okay forse Phoenix non sta bene. Ma starà bene, ne sono sicura. Hanno smesso di litigare. Nessuno si farà più del male...oggi» affermò Beverly.

«Non so cosa fare, non so come aiutare le persone in questi casi» disse poi, cambiando improvvisamente tono di voce e abbassando lo sguardo per terra, come se si sentisse in colpa. Non capii se si stesse rivolgendo a me oppure a se stessa. Ma mi accovacciai accanto a lei di nuovo.

«Neanche io» ammisi, i nostri sguardi si incrociarono «ma questo già lo sapevi» aggiunsi con un sorriso.
«Però sono sicuro che ad Isaac non succederà nulla di troppo male» la rassicurai, sperando di arrivare a rassicurare anche Isaac stesso.

Beverly annuì e spostò lo sguardo da me al ragazzo e dopo aver preso un respiro profondo ricominciò a parlare «Ora facciamo dei grandi respiri, va bene? Non ha importanza quanti ne fai. L'importante è che li fai» disse. Poi iniziò a ripetere "Inspira ed Espira" in modo regolare. E inizialmente non mi sembrava che Isaac la stesse seguendo ma passate tipo cinque ripetizioni riuscì a, perlomeno, provare a farlo.

Lo vedevo inspirare, ogni volta le sue spalle si drizzavano leggermente. Ma non riusciva a farlo completamente, ogni volta il respiro gli si spezzava provocandogli piccoli colpi di tosse.
Ma, passati infiniti minuti, lo notai muovere la mano fino a toccare terra, distendendo completamente il palmo sui piccoli sassolini grigi. E il suo respiro si regolarizzò, almeno più di prima. I suoi occhi si aprirono e le lacrime lentamente divennero sempre meno.

Mi girai verso Beverly, un sorriso le colorava il viso e rimasi a guardarla. Probabilmente per qualche secondo di troppo perché mi sentii terribilmente a disagio. Abbassai lo sguardo cercando di eliminare il più velocemente possibile quella sensazione di imbarazzo in modo che la situazione non potesse più essere fraintesa, né da me stesso né tantomeno da Beverly.

Senza che neanche me ne accorgessi il tempo era passato e l'attacco di panico di Isaac era finito. Tremava meno e le lacrime si erano completamente fermate.

Era intento a contare fino a 10 ad alta voce, regolarizzando sempre di più il suo respiro, poi improvvisamente smise. Staccò le ginocchia dal petto e incrociò le gambe.

Guardò Beverly negli occhi e senza alcun preavviso le gettò le braccia al collo mormorando qualcosa tipo "Mi dispiace" e "Grazie".

Lei inizialmente corrugò la fronte, per la sorpresa e per, probabilmente, un po' di timidezza. Ma poi si rilassò e strinse Isaac in un abbraccio.

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