4 | Fuori

CAPITOLO 4 | AGAIN & AGAIN

Oh oh, again, again, again...
Again and again and again
Do it again, do it again
-the Bird and the Bee

POV LYRA

Non era stato poi così male per me vedere il mio nome su quello schermo. Sapevo di potercela fare fuori, avevo tutta la determinazione necessaria per farlo. E poi, dopotutto non avevo molte persone per cui valesse la pena rimanere nel bunker.

Ero piena di amici ma nessuno di loro lo era abbastanza da essere ritenuti "una ragione per restare". A scuola ero piuttosto popolare, perché facevo molto ridere, credo. Quindi mi conoscevano un sacco di persone. Ovviamente non ero ritenuta "famosa" come i figli delle famiglie più importanti. Ma potevo ritenermi un viso conosciuto.

E inaspettatamente in quella situazione mi sentivo più che completamente a disagio, non conoscevo nemmeno una di quelle persone. Di nome solo quel cretino di Thomas Wagner con cui però non avevo mai scambiato neanche una parola.

Lui era il figlio di una delle famiglie più importanti, probabilmente erano la più ricca di tutto il Bunker. Mia mamma li ammirava profondamente; ogni volta che si arrabbiava con me tirava fuori il nome di Thomas, dicendomi che dovevo comportarmi come lui. E io lo odiavo per questo. Non ero gelosa dei suoi soldi, della sua reputazione o della sua famiglia né di cose simili. Volevo solo che scomparisse per sempre, che qualcuno tornasse indietro nel tempo impedendo la sua nascita. Così magari mia madre avrebbe smesso di sputarmi addosso il suo nome

Ma oltre a Wagner non ricordavo neanche di aver mai visto quei ragazzi in giro per il bunker. E il che era più che strano perché io conoscevo un sacco di gente.

Eravamo tutti ammucchiati sotto la lunga scala di metallo. Nessuno abbastanza coraggioso da alzare il naso verso la botola. Io ovviamente non ero da meno.
Una volta attraversata quella botola sarebbe stato tutto finito, addio amici, famiglia, scuola, lavoro, tutto. Non che mi importasse davvero, però il significato nominale di quella roba era comunque pesante da buttare giù. Al solo pensiero gli occhi mi pizzicarono e velocemente asciugai quelle fastidiose lacrime salate con il dorso della mia mano.

Cercai di liberare la mente, dopotutto ero stata scelta per andare in un posto migliore. Dovevo essere un minimo felice.

Occupai il mio tempo osservando le persone attorno a me. Eravamo tutti vestiti uguali. L'unica cosa che ci differenziava gli uni dagli altri era il colore della giacca. La mia era di uno strano turchese, più tendente al verde che al blu.
Due ragazzi biondi, poco lontano da me si parlavano sottovoce: lei piangeva e lui cercava di consolarla apparentemente invano.
Le loro giacche erano entrambe di un bianco sporco, probabilmente erano fratelli.

Poco più lontano c'era una ragazza dai capelli corvini e dai lineamenti gentili. La sua giacca era posata ai suoi piedi quindi non scorsi il colore. Era occupata a fissarsi i palmi delle mani con occhi attenti. Forse cercava di capire se stesse sognando oppure no, chi poteva dirlo.

Non feci in tempo ad analizzare qualcun altro che una voce attirò la mia attenzione e quella di tutti gli altri.

«Si sta aprendo!» urlò un ragazzo, che non riuscii a identificare.
Alzai velocemente gli occhi verso l'alto e vidi la botola spalancarsi lentamente, lasciando che la luce si infiltrasse nella stanza facendomi socchiudere gli occhi.

Vidi poi il cielo azzurro, ed era più bello di quanto mi aspettassi. Mi fece sentire un po' insignificante, ma mi diede anche la sensazione di aver vissuto anni chiusa sotto terra solo per questo momento. Continuai a fissarlo, nonostante sentissi la luce irritarmi gli occhi. Era stupefacente.

Poi improvvisamente mi sentii spintonare. Le voci degli altri ragazzi si sovrapposero. C'era chi urlava che dovevamo sbrigarci ad uscire, chi diceva di non avere il coraggio per andare per primo e chi diceva di voler andare per primo. Mi sentivo come se fossi l'unica a star tenendo la bocca chiusa.

Poi a spezzare la confusione, o ad aumentarla, fu un ragazzo biondo che senza consultare nessuno si era arrampicato sulla scala. La stanza calò in un silenzio di tomba.

«Scendi giù brutto cretino» urlò una ragazza. La vidi appena. Era di spalle, la sua giacca era di un rosso tendente al bordeaux, i suoi capelli invece di un biondo fragola.

«Taci Bryenne» ribatté il ragazzo senza neanche voltarsi a guardarla.
«Non puoi fare le cose così, di testa tua, Vesper» gli urlò di nuovo lei.
Stavolta il biondo neanche si prese la briga di risponderle. Sembrava quasi si ritenesse superiore.

Intorno a me i ragazzi iniziarono a muoversi verso le scale, seguendo Vesper. Io aspettai. Li fissai salire uno dopo l'altro e poi improvvisamente scomparire fuori.

Quando poi il mio sguardo si abbassò di nuovo notai che eravamo rimasti solo in tre. Io, la ragazza che doveva chiamarsi Bryenne e un ragazzo con i capelli biondi e un volto infantile.

Bryenne ci lanciò uno sguardo, poi posò un piede sullo scalino più basso e cominciò a salire.
Il mio sguardo si puntò sul ragazzo accanto a me, non sapevo se volessi andare per prima o se preferissi lasciar andare lui quindi mi limitai a fissarlo con sguardo interrogativo.

Lui, invece, sembrava aver già deciso per entrambi: «Vai prima tu» disse.
E io non potei fare a meno di annuire.

Portai una mano sul metallo della scala, il freddo e l'umidità mi si attaccarono al palmo. Poi poggiai un piede sullo scalino e mi diedi una spinta. Cominciai a salire e più velocemente del previsto varcai anche io la soglia.

POV ISAAC

Nella vita sono state poche le cose che mi hanno davvero sorpreso. E il mio nome su quello schermo è stata sicuramente una di quelle.

Non pensavo che anche quelli come me potessero essere scelti per il ritorno.

E per "quelli come me" intendo i casi clinici.

Tenevo lo sguardo fisso sulla scala, lo avrebbero capito. Avrebbero capito che qualcosa non andava in me. E questo mi terrorizzava. Non che avessi mai pensato che non lo avrebbero capito. Era piuttosto evidente. Ma una volta trovatomi lì la cosa mi sembrava quasi surreale, surrealmente spaventosa

Mi feci coraggio e salii il primo scalino. Tanto sarebbe dovuto succedere, prima o poi.

1 scalino, "Vedrò per la prima volta il mondo esterno"

2 scalino , "Potrei arrivare davvero alla città sicura"

3 scalino, "Queste persone potrebbero essere simpatiche"

4 scalino, "Nella città sicura potrei riuscire a trovare una soluzione al mio problema"

5 scalino, "Sono solo un idiota"

6 scalino, "Sarò solo un peso per il resto del gruppo"

7 scalino, "Mi lasceranno indietro"

8 scalino, "Nessuno mi aiuterà"

9 scalino, "Nessuno completerà i miei 10 con me"

10 scalino, "Morirò, da solo. Come è giusto che sia"

20 settembre 3205

La mano del bambino era stretta a quella della mamma. Camminavano fianco a fianco per le strade del bunker. Lei con lo sguardo perso nel nulla e una coda di cavallo castana, lui con gli occhi pieni di lacrime e i capelli biondi tenuti completamente in disordine e la fronte sporca di sangue, sangue secco. Ogni pochi passi si fermavano, o meglio, il bambino si fermava e la mamma lo strattonava dicendogli di smetterla con quelle sciocchezze.

La gente gli lanciava delle occhiate curiose e a tratti spaventate. Sicuramente ora avevano qualcosa da raccontare a cena alle proprie famiglie. Probabilmente si erano immaginati episodi di violenza domestica o cose simili. Ma non si trattava di niente del genere

Si fermarono davanti ad un edificio, sembrava nuovo. Come se fosse lì da un paio di anni. Era di un grigio caldo e le porte erano trasparenti. E dopo essere stati per parecchi secondi impalati lì davanti salirono le scale, e il bambino contò ad alta voce ogni scalino.

Attraversarono la porta e la prima cosa che videro era una sala d'attesa con più o meno cinque persone sedute ad aspettare il loro turno. Ognuna di queste con gli occhi puntati su di loro, con sguardo stralunato.

Dietro ad un bancone c'era una signora, molto sovrappeso che li guardava con sguardo preoccupato. La donna si avvicinò a lei tirandosi dietro il biondino.

«Dobbiamo vedere uno psichiatra, con una certa urgenza» annunciò, la voce che non cercava di nascondere la fretta.

La signora annuì «Avete una prenotazione?» chiese abbassando lo sguardo su un foglio che teneva sulla scrivania.

«No, è la prima volta che veniamo qui. Ma-» cominciò a dire la donna, venendo fermata dalla segretaria.

«Quelle persone lì sedute hanno pagato e hanno una prenotazione signora» spiegò indicando con un gesto della testa le persone sedute nella sala d'attesa.

«Lo so, ma mio figlio-»

«Può tornare domani pomeriggio, verso le 4 andrebbe bene?»

«Non posso. Senta, lui ha solo sei anni...»

«I problemi del bambino non cambieranno da un giorno all'altro. Questo non è un ospedale, è un ufficio di psicologia, signora» la interruppe la segretaria con un tono totalmente di irritazione.

«I problemi del bambino stanno cambiando da un giorno all'altro, signora» replicò la madre. Alzando il tono di voce «Deve vedere uno psichiatra. Ora»

La donna aprì la bocca per contraddirla nuovamente, ma uno dei pazienti in attesa si alzò dalla sedia lasciandola interdetta.

«Posso venire io domani, verso le 4 del pomeriggio» disse avvicinandosi al bancone «Fate vedere questo bambino al dottore» aggiunse abbassando lo sguardo sul biondino che ricambiò lo sguardo, stropicciandosi un occhio. Più volte.

La madre lo ringraziò più volte, e la segretaria, non avendo altro da aggiungere, si alzò ed andò ad avvisare lo psichiatra.

Nel frattempo l'uomo lasciò l'edificio. La donna con la coda di cavallo castana fece sedere il bambino sulla sedia che si era liberata e pochi minuti dopo la porta dell'ufficio si aprì rivelando sulla soglia un uomo sulla trentina vestito in modo informale.

La segretaria gli sussurrò qualcosa e indicò la mamma del bambino che li fissava piena di tensione. L'uomo sorrise poi gli fece segno di entrare nella stanza.

La donna fece alzare dalla sedia il bambino e lo trascinò con lei nella camera mentre lui mormorava qualcosa con tono preoccupato.

L'interno della stanza era poco illuminato, colorata da colori caldi, tutti tendenti al bordò. Al centro c'era un tavolino su cui erano poggiati un orologio e un taccuino, circondati da quattro poltroncine, una delle quali di fronte alle altre. L'uomo fece accomodare la madre e il bambino su due di esse, sedendosi poi davanti a loro.

Ci furono numerosi secondi di silenzio, spezzati solo dallo schiocco prodotto dalla suola della scarpa del bambino che sbatteva a terra, a gruppi di 10.
Poi lo psichiatra parlò

«Parlami di quello che è successo» disse, prendendo dal tavolo il taccuino e sfogliandolo fino ad arrivare ad una pagina pulita.

La donna aprì la bocca per rispondere ma il medico la interruppe dal principio, scuotendo la testa.

«Ho chiesto al bambino, non a lei» le comunicò.

Il biondino si raddrizzò subito sulla sedia, lanciò uno sguardo a sua madre poi tirò su con il naso

«Mi era caduta la matita» iniziò, con voce tremante. Probabilmente perché pensava di star subendo un rimprovero «E quando mi sono abbassato a prenderla per sbaglio ho colpito con la fronte lo spigolo del banco» spiegò, gli occhi gli si riempirono di lacrime.

La madre scosse la testa, chiudendo gli occhi. Come se cercasse di mantenere la calma «Non è per questo che siamo qui» lo rimproverò.

«Lo so» gli rispose il bambino, abbassando lo sguardo, mortificato.
«Ma non potevo non farlo, dovevo completare i miei 10» piagnucolò.

«Ha sbattuto la testa altre dieci volte, dottore» lo informò la donna.

L'uomo annuì, e scrisse qualcosa sul taccuino. In modo sbrigativo.

«Com'è che ti chiami?» chiese poi rivolgendo uno sguardo al biondino, con un sorriso dolce.

«Isaac»

Presente

E mi fermai. Avevo completato i miei 10. Mi fermai a contare. Fino a 10. E nel frattempo sperai che il numero degli scalini fosse un multiplo di 10. Sicuramente un attacco di panico non era nei miei programmi di prima ancora di essere arrivato fuori.

E ripresi a salire. Completai i miei 10 altre due volte poi ero arrivato all'uscita. Nessun attacco di panico. Nessuno che mi guardava strano.

Nessuno si era accorto di nulla.

Subito fuori dalla botola c'era un ragazzo dai capelli scuri che mi tese la mano, aiutandomi ad uscire finalmente fuori. Gli sorrisi
«Grazie» mormorai.

Poi improvvisamente un milione di nuove sensazioni mi colpirono tutte insieme. Sentivo il calore della luce sulla pelle, il mio peso che schiacciava la terra sotto i miei piedi e il vento che mi fischiava nelle orecchie e mi scompigliava i capelli.

Mi guardai intorno girando su me stesso. C'erano alberi, pochi, ma c'erano. Erano bassi, alti forse mezzo metro più di me e le foglie erano quasi tutte a terra. Accanto a me la botola si richiuse e quello fu come un gesto scatenante. Gli altri ragazzi iniziarono a parlottare dando idee sul da farsi. Ma si creò solo tantissima confusione.
Una ragazza dai capelli marroni si arrampicò su una pietra attirando l'attenzione di tutti

«Ragazzi» disse a gran voce. Tutti quanti si zittirono «Io sono Aria Murphy e non vorrei rovinare il bel momento... Ma io proporrei di andare tutti in una direzione in modo da trovare un posto sicuro dove dormire. Cercheremo il nord domani» il suo tono era autoritario e già da subito nessuno si permise di ribatterle.
Una ragazza bionda indicò una direzione, dava dentro al piccolo bosco e Aria annuì scendendo con un salto dalla roccia.

Subito cominciò a camminare verso l'ignoto a passo non svelto ma neanche lento, e gli altri la seguirono. Me compreso.

10 passi e mi fermavo, schioccavo le dita 10 volte e poi di nuovo. Mi sentivo a disagio nel farlo, ma allo stesso tempo era come se non potessi evitarlo. Quindi lo facevo e basta, di nuovo e di nuovo e di nuovo. Dovevo completare i miei dieci.

Le prime volte nessuno lo notò, poi qualche sguardo confuso e infastidito mi veniva, ovviamente, lanciato. Stavo rimanendo indietro, ma non potevo evitare di completare i dieci. Non potevo non farlo.

Mi fermai per schioccare le dita e fu allora che un ragazzo si girò verso di me, standomi a guardare più a lungo. Ripresi a camminare, lui invece stava rallentando. Rallentò talmente tanto che già al settimo passo lo avevo vicino. Completai i dieci, e schioccai le dita.
Lui si fermò vicino a me.

«Tutto bene?» mi domandò con tono confuso.

Io annuii, e istintivamente lo feci altre dieci volte. «Si, scusa. Tutto bene. Io ho solo...come dire..» provai a dirgli, ricominciando a camminare

Lui fece un mezzo sorriso «Non preoccuparti» disse.

«Sto rallentando gli altri?» chiesi io. Lui scosse la testa

«Non ci hanno proprio fatto caso» mi rassicurò. Anche se non era esattamente rassicurante come frase «Sono Phoenix, comunque» si presentò, allungandomi una mano.

Mi fermai «Isaac» gli dissi stringendogli la mano. E non riuscii a trattenermi dal farlo altre nove volte. Lui mi guardò, alzando leggermente un sopracciglio, visibilmente confuso

«Scusa» gli dissi, quasi sussurrando «Ho un Disturbo Ossessivo Compulsivo. Non posso evitare di fare queste stronzate» mi scusai. E nel frattempo il mio cervello contava ogni mio passo. Non sapevo neanche perché glielo avessi detto in modo così diretto. Probabilmente volevo solo evitare che lui me lo domandasse, ma altrettanto probabilmente avevo avuto la sensazione di potermi fidare.

Phoenix annuì «Capisco, non deve essere facile» affermò, cercando di utilizzare un tono di voce comprensivo

«Rimarrò indietro e qualcosa mi ucciderà» dissi io, più a me stesso che a lui.

«Siamo in tantissimi, qualcuno che rimarrà indietro con te ci sarà sempre» mi rassicurò lui.

Mi strinsi nelle spalle, completai i miei 10 e poi ripartimmo. Nel frattempo il gruppo si era fermato. Li raggiungemmo in pochi passi, ne feci altri due lateralmente. Altrimenti sarebbero stati otto.

«Perché ci fermiamo?» domandò il ragazzo che prima mi aveva aiutato ad uscire dalla botola.

«C'è una piccola valle» rispose Aria, ancora a capo del gruppo.
«Se troviamo abbastanza legna potremmo costruire una piccola struttura per proteggerci da eventuali piogge» disse la ragazza bionda di prima. Di cui io non sapevo neanche il nome.

«Certo, molto sicuro.» disse il biondino che ricordavo si chiamasse Vesper con un tono fortemente sarcastico «Arriva un animale affamato e il più grasso è morto»

«Vedi altre alternative?» sbottò Aria.

«Io ho visto una specie di caverna poco più in là» disse un altro, posizionato pochi passi distante da me che riconobbi subito come Thomas Wagner.

«E se dentro ci fosse qualcosa di pericoloso?» domandò una ragazza.

«Secondo me è una ottima idea» disse Vesper con un sorrisetto.
«E ci mandiamo prima dentro il figlio di sto cazzo, così se ci sta qualcosa muore prima lui»

«Ottima idea mister» disse un ragazzo battendo le mani «Questo è esattamente lo spirito che stiamo cercando di portare» aggiunse. La sua voce per me era indecifrabile, sembrava ironico ma allo stesso tempo no.

«Ryder Waller, vero?» Domandò Vesper, con un tono curioso, mentre si sistemava la giacca.

«Chi lo chiede?»

Il biondo sorrise «Vesper Jacksonville.» Rispose con un sorriso beffardo, «l'unico a comandare qui.» Aggiunse l'ultima frase con tono superiore, spostando lo sguardo sulla ragazza di nome Aria, che incrocio le braccia al petto, alzando gli occhi al cielo, evidentemente scocciata.

«Che carini, già che ci siete fidanzatevi ora, no?» Si intromise la rossa, Bryenne.
«Gelosa, Wood?» Sorrise Vesper.

Lei assunse un'espressione annoiata e si fece spazio tra di loro, iniziando ad avviarsi verso la caverna. Non sapevo che fosse successo tra loro due, ma non mi sembrava andassero molto d'accordo. Molti iniziarono a seguirla, e notai un ragazzo con dei capelli castani, e dei tratti delicati in volto. Indossava una giacca nera, e stava parlottando con Aria.

«Ti sei già fatta degli amici, vedo.» Scherzò lui, con un sorriso.

«Vaffanculo, Lys.» Lui fece spallucce ed iniziò a camminare, venendo seguito dalla ragazza.

Avevo il presentimento che quelle persone avrebbero più litigato che altro. Io non sopportavo i litigi. Non sapevo litigare, anzi, ero una di quelle persone con il pianto facile.

Cominciai a camminare dietro gli altri, 10 passi svelti e 10 secondi fermo. Così riuscivo a stare più al passo. Avrei davvero dovuto cercare una soluzione. Quelli sembravano davvero persone pronte a lasciarmi indietro a morire.

E piano piano arrivammo alla grotta. Era davvero vicina. Thomas non mentiva.




Fancast

Maya Hawke as Lyra Johnson

Chad Michael Murray as Vesper Jacksonville

Lindsay Lohan as Bryenne Wood

Thomas Brodie-Sangster as Isaac Finnigan

Drew Starkey as Ryder Waller

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