11 | Invidia

CAPITOLO 11 | JEALOUSY, JEALOUSY

   I can't stand it, oh, God,
I sound crazy
Their win is not my loss
I know it's true
But I can't help getting
caught up in it all
-Olivia Rodrigo

POV HAYDEN

Tutti stavano lodando Icarus e il suo gruppetto per il bottino che avevano portato, per quel cinghiale che aveva riempito i nostri stomaci. Le risate, i sorrisi, gli occhi affamati. Ma io no.
Io non riuscivo a unirvi a quel coro di approvazione. Ogni parola di lode sembrava come una spina che mi perforava il petto, un richiamo doloroso di ciò che non ero riuscito a fare. Avevamo mangiato, sì, ma la carne masticata mi pesava come pietre nello stomaco, un peso che sapevo non fosse proveniente dal cibo ma dal senso di fallimento.

Perché non ero stato io?

Io ero coraggioso, più di quanto gli altri sospettassero. Ero veloce, più veloce di Icarus nei tratti aperti del bosco. Ero intelligente, capace di pianificare mosse e strategie prima che la maggior parte degli altri riuscisse anche solo a capire la situazione. Ero intrepido, mai domo, mai piegato dalla paura. Eppure, quel cinghiale... lo aveva portato lui. Non io.

I miei occhi vagavano tra le ombre degli alberi. Tra pochi minuti ci saremmo rimessi in cammino, riprendendo la nostra marcia tra le spire della foresta, verso la Città Sicura.
La prossima volta non sarebbe stato Icarus a tornare con il prossimo pasto, sarebbe toccato a me. Doveva. Non potevo permettere che fosse ancora lui a ricevere tutte le lodi, tutta l'attenzione. Doveva essere il mio momento.

Il gruppo si mosse e quasi senza volerlo, mi ritrovai tra i primi della fila. Forse cercavo di nascondermi da quello sguardo di Icarus, e da quell'aria sicura. Oppure volevo solo sentire il brivido del vento sulla faccia.

«Secondo te dovrei cercare di rendermi più utile nel gruppo?» Sentii una voce dietro di me. Uno dei gemelli, Rick, parlava in un tono incerto.

Poi ricordai il volto vuoto del ragazzo che aveva accompagnato Icarus nella caccia, quel vuoto che raccontava più di quanto avesse mai potuto dire a parole. Sembrava che portare il cinghiale non fosse stata per lui un'impresa epica, ma piuttosto una fatica vuota, priva di trionfo; mi chiesi se Icarus avesse notato quella stessa espressione.

«Lascia stare, Rick.» Rispose Lindsey al fratello.

Avanzammo nella foresta, e la fitta d'oscurità si addensava attorno a noi. Il sole calava lentamente, e i raggi filtravano tra le foglie. Sarei stato pronto la prossima volta. Dovevo esserlo. La foresta osservava, giudicava, e io non potevo permettere che fosse ancora Icarus a uscirne vincitore.

Non avrei mai dovuto farlo, lo sapevo benissimo. Ma ogni volta che vedevo Icarus, con quel sorrisetto stampato in faccia, sentivo crescere un senso di rabbia dentro di me. Era sempre lui, sempre dannatamente lui a prendersi gli elogi, l'ammirazione, gli sguardi che dicevano "ecco un vero cacciatore". Mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Non sono tipo da stare dietro, a guardare. Io devo essere al centro, io devo essere quello che conta.

Ormai erano passate un paio d'ore, e avevamo deciso di fermarci per la notte, Rick ed Erick erano lì, seduti accanto al fuoco.

Erick, uno dei miei primi amici che mi ero fatto, come al solito, sarebbe stato capace di seguirmi anche all'inferno, bastava che glielo chiedessi. E Rick... beh, Rick era diverso. Non parlava molto, o forse non parlava affatto, anche se a volte sembrava un tipo intelligente, o anche... troppo stupido.

Mi alzai, e decisi di avvicinarmi a loro, «Forza, andiamo a caccia?» Chiesi con tono ovvio, non era veramente una domanda, era più un ordine.

Erik annuì quasi subito, alzandosi dalla pietra su cui era seduto, Rick mi guardò con quei suoi occhi persi. «A caccia? E perché?»

«Vuoi mangiare, no?» Erik fece spallucce, guardando verso gli alberi, «muoviamoci.»

Finalmente Rick si alzò, e decise di seguirci, io sorrisi soddisfatto, era stato facile, in fondo.

«Ei, ei, ei. Dove state andando?» Non appena ci iniziammo ad allontanare dal gruppo, sentii dei passi, e una voce maschile. Era Icarus.

«Andiamo a divertirci, vuoi per caso unirti?» Rispose Erik al posto mio, lo guardai male per un attimo, e mi rigirai verso Icarus, che restava ad osservarci.
«Facciamo solo una passeggiata, non c'è da preoccuparsi.»

Il castano fece spallucce, ed indietreggiò,  «Ricordati dei lupi, Hayden.» Disse ironico.

Sbuffai, e tornammo a camminare, li guardai brevemente, Rick non sembrava minimamente spaventato, come se non stessimo rischiando la pelle. Invece Erik sembrava più titubante, ma per lui andava bene finché ci fossi io.

I rami scricchiolavano sotto i nostri piedi, e un'aria pesante, densa di umidità e morte, ci avvolgeva. Saremmo tornati con qualcosa di grosso, e tutti avrebbero visto di cosa ero capace.

Più ci addentravamo, con le lance strette al petto,  più il mondo attorno a noi cambiava. Gli alberi sembravano contorcersi sotto una luce malata, come se la terra stessa fosse contaminata. E poi c'era quell'odore... pungente, tossico, come ferro arrugginito e carne bruciata. Doveva essere una conseguenza della radioattività, lo sapevamo tutti che il mondo là fuori era avvelenato, ma non mi interessava. Avrei potuto ignorare tutto pur di non tornare a mani vuote. Erik, però, sembrava agitato, e Rick si muoveva con meno sicurezza.

«Tenete gli occhi aperti.» Sibilai, cercando di far scattare qualcosa.

«Rick... tua sorella cosa penserà che non sei lì?» Chiese il mio amico, con tono di strafottenza.

«Potrà restare un po' senza di me.» Rispose, con tono fermo.

«È carina però, ha un bel...»

«Cosa?» Urlò Rick d'un tratto, senza preavviso.

«Zitti, cazzo!»

Mi girai verso il buio, e li vidi, tanti e piccoli occhi rossi. All'inizio sembravano cinghiali, ma c'era qualcosa di sbagliato in loro, qualcosa di marcio. Le loro pelli erano crepate, sollevate da piaghe nere che pulsavano, e il loro respiro era un rantolo bestiale, come se si stesse avvicinando di un passo alla morte. Ma non stavano morendo. Stavano vivendo, se di vita si può parlare.

Bestie deformate, creature che avrebbero dovuto essere morte da tempo ma che invece strisciavano verso di noi come una piaga vivente. Le loro zampe erano piegate in angoli innaturali, e i loro occhi... lucidi e affamati, come se fossero in preda a una fame infinita. Dalla paura, lasciai la mia lancia cadere a terra, senza riuscire più e tenerla.

«Ma che diavolo...» sussurrò Erik, indietreggiando. «Ragazzi...»

Rick restò fermò, come se non riuscisse a capire che cosa stesse succedendo. Anche io indietreggiai, spaventato, voltai lo sguardo verso Erik, che sembrava in preda ad un attacco di panico.

Infatti, fu il primo a farsi prendere dal panico. Cercò di urlare, ma non fece in tempo. Una di quelle cose gli saltò addosso così velocemente che sembrò quasi sfocata, una macchia di carne e sangue che gli si gettò alla gola. Il suo grido si tramutò in un gorgoglio soffocato mentre i denti affilati della creatura si affondavano nella sua carne, strappando via pezzi di lui come se fossero briciole di pane.

Il sangue schizzò ovunque, era caldo e appiccicoso, bagnando la terra e il mio viso. Mi ricordai ogni dettaglio di quel momento, come il sapore del sangue che mi arrivava alle labbra, il suono delle ossa che si spezzavano, e la paura negli occhi di Erik che si spegneva lentamente mentre il suo corpo veniva fatto a pezzi davanti ai miei occhi. Merda.
Il mio migliore amico stava vendendo divorato. E io, non avevo fatto nulla per salvarlo, non ci avevo neanche pensato.

Mi sentii paralizzato solo per un attimo, ma fu abbastanza per rendermi conto che dovevamo scappare, e in fretta.

«Corri!» Prima di andare, però, notai l'espressione vuota di Rick, di nuovo, come se non sapesse come reagire.

Combattei contro la nausea e il panico, mentre le bestie si ammassavano sul cadavere di Erik, divorandolo. Non potevo fare altro per lui. Non c'era niente da salvare. Il suo corpo era solo un mucchio di carne strappata e sangue. E allora, corsi anch'io. Corsi come non avevo mai corso prima, con il cuore che mi martellava nel petto e il fiato che bruciava nei polmoni.

Alla fine, io e Rick ci nascondemmo in una cavità tra le rocce, ansimando, i nostri corpi erano tremanti, ricoperti di sudore e sangue. Sapevo che non ci avrebbero trovati lì, non subito almeno. Rimanemmo in silenzio, con il respiro che si faceva sempre più calmo, ma le immagini di quello che era successo continuavano a martellarmi la mente.

Non mi sentivo più intrepido, non mi sentivo più invincibile. Ma una parte di me, quella parte più oscura, rideva. Forse perché, nonostante tutto, ce l'avevo fatta. Io e Rick eravamo sopravvissuti. Erik no, ma era stato solo un sacrificio. Ora, però, sapevo che il vero pericolo non era solo lì fuori, tra quegli animali deformati.

Mentre eravamo nascosti tra le rocce, il respiro ancora affannato, e la mente mi martellava. Ero vivo. Eppure, l'adrenalina che mi scorreva nelle vene non era solo per la paura. Iniziai a ridacchiare a bassa voce, senza saperne il motivo, c'era una parte di me che aveva provato un'insana soddisfazione nel vedere Erik ridotto a brandelli. Sì, mi faceva schifo, mi disgustava, ma non potevo ignorarlo. Quella sensazione mi aveva colpito come una fiamma nascosta.

Rick era ancora lì, accovacciato accanto a me, silenzioso come sempre. Il suo volto era pallido, la sua bocca leggermente aperta come se stesse cercando di capire cosa fosse appena successo. Non aveva pianto, non aveva urlato, non aveva fatto nulla. Forse la sua mente funzionava in modo diverso, ma lui non sembrava sopraffatto dalla paura, non come me. Non so perché, ma lo trovai rassicurante. Lui era la costante, io l'uragano.

Non appena mi sentii ridere mi guardò confuso, e mi guardò negli occhi per un attimo. La notte intorno a noi era morta. Nemmeno un suono, nemmeno il sussurro del vento, a parte la mia risata. Quelle bestie erano ancora là fuori, da qualche parte, nascoste nell'oscurità.  Continuai a ridacchiare, socchiudendo gli occhi e abbassando lo sguardo, come se non riuscissi a credere a quello che avevo visto.

«Siamo ancora vivi... siamo sopravvissuti.» Iniziai a dire, con le mie risate che disturbavano la quiete, e dopo poco, anche Rick mi seguì, iniziando a rilasciare delle risatine anche lui, più basse delle mie.

«Non ha senso...» Aggiunsi, portandomi una mano sudata al viso.

Mi chiedevo se stessero cercando noi, se sentissero l'odore della nostra carne e del sangue di Erik che ancora ci copriva. Mi immaginavo i loro occhi fosforescenti scrutare tra i tronchi, i loro corpi mutati e mostruosi che si muovevano tra le ombre, pronti a finirci.

«Siamo vivi.»

Ma la verità? Non mi sentivo sopravvissuto.

Mi sentivo come se fossi stato trascinato nell'abisso e fossi tornato con un pezzo di me che non era più umano. Forse mi ero spinto troppo oltre. Forse la mia gelosia verso Icarus mi aveva portato sull'orlo della follia.

Rick continuava a ridere, «Rick,» sussurrai. Lui non rispose, ma sapevo che mi stava ascoltando.

«Ce l'abbiamo fatta, capisci? Noi siamo sopravvissuti.» Avevo bisogno di dire quelle parole ad alta voce, come se pronunciarle le rendesse reali. Non so se lo dicevo per rassicurarlo o per convincermi che fosse vero.

Passarono un paio d'ore, sicuramente le bestie ormai avevano finito il loro posto, e se ne erano andate. Mi alzai da terra, sentendo le mie ossa scricchiolare, «andiamo?» Mi domandò Rick, seguendo i miei movimenti.

Io annuii, e con passi lenti, riprendemmo il cammino, per tornare verso gli altri, dovevo dirgli tutto, raccontargli di Erik, delle bestie, del sangue e della follia che avevamo affrontato. Però, volevo vedere il terrore negli occhi di Icarus, fargli capire che lui non era il solo ad affrontare l'orrore là fuori.

«Appena gli diremo tutto... ci ammazzeranno.» Annunciò il ragazzo, con un sussurro, senza però fermarsi.

«Allora vorrà dire che scapperemo di nuovo.» Affermai guardandolo, porgendogli un pugno.

Lui sorrise e lo fece scontrare con il suo, creando uno schiocco.

Dopo un po', tornammo dagli altri. L'aria era pesante. Notai subito alcune delle loro espressioni. Alcuni vagavano nervosamente, come se stessero cercando qualcosa, o forse qualcuno.

La prima a notarci fu Echo, che stava parlando con Keith a qualche metro di distanza. Le due ragazze stavano chiaccherando animatamente, ma quando ci videro avvicinarci, il loro tono cambiò istantaneamente. Le parole si strozzarono nelle loro gole e i loro sguardi si bloccarono su di noi, su me e Rick, sui nostri vestiti intrisi di sangue. L'orrore si dipinse sui loro volti.

«Che diavolo è successo? Dov'è Erik?» Chiese Echo, con la voce incrinata dal panico.

I suoi occhi si muovevano rapidamente tra me e Rick, cercando una spiegazione, una qualche indicazione che tutto questo non fosse reale.

Il castano non disse una parola. Il suo volto era una maschera impassibile, come se avesse spento tutte le emozioni. Sapevo che toccava a me dare la notizia, spiegare ciò che avevamo appena affrontato.

«È morto.» Le parole uscirono fredde, quasi metalliche, e rimasero sospese nell'aria. Non cercai di spiegare, non aggiunsi dettagli. Continuai a camminare, cercando di sfuggire allo sguardo penetrante di Echo.

La bionda si piazzò davanti a me, costringendomi a fermarmi bruscamente. Mi fissava dritto negli occhi, incredula, e per un momento ci fu solo silenzio. «Cosa? Ma quanto vi siete allontanati? Come può essere successo?»

La sua voce tremava, come se cercasse disperatamente una spiegazione che potesse giustificare ciò che avevo appena detto.

Rimasi in silenzio per un attimo, cercando le parole giuste. Ma cosa potevo dirle? Che ero solamente invidioso di Icarus? Che volevo fare colpo sugli altri? Che i cinghiali avevano deciso di strapparci via Erik in un battito di ciglia?

«Troppo.» Dissi infine, sentendo il sapore amaro della verità sulla lingua. «È successo tutto troppo in fretta... Non abbiamo avuto il tempo di reagire. Non potevamo fare nulla.»

Echo vacillò, come se il terreno sotto di lei si fosse improvvisamente aperto in un baratro. Keith le afferrò il braccio, cercando di darle sostegno. I suoi occhi, però, erano pieni di paura.

Il gruppo attorno a noi cominciò a mormorare, sentendo frammenti della nostra conversazione. Vedevo le loro espressioni cambiare mentre la notizia della morte di Erik si diffondeva con velocità. Qualcuno cominciò a piangere sommessamente, altri rimasero immobili, sconcertati, incapaci di accettare ciò che era accaduto.

Keith, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, serrò i pugni. I suoi occhi brillarono di rabbia. «Non può essere... Deve esserci qualcos'altro! Erik era forte! Dovevate proteggerlo!»

Quelle parole, erano piene di dolore e accusa, mi colpirono come un pugno allo stomaco.
Ma come avrei potuto rispondere? Non avevamo protetto Erik, questo era un fatto. Avevamo fallito, e quel fallimento ci stava divorando vivi dall'interno.

D'un tratto dalla folla comparvero altre due ragazze, erano Aria e Lindsey. Mi voltai verso Rick, la sorella lo avrebbe potuto letteralmente uccidere dopo quello che aveva fatto.

«Echo, cos'è successo?» Chiese la più grande alla bionda. Lei aspettò qualche secondo a rispondere, forse per riflettere su come avrebbe potuto formulare la risposta. «Erik è morto.»

Sul volto delle due ragazze comparve subito un'espressione sorpresa, «questi due se ne sono andati in giro per i fatti loro, e questo è stato il risultato.» Aggiunse.

Lindsey fece un passo in avanti, sistemandosi una ciocca dietro i capelli. «Come ti è venuto in mente di fare una cosa simile?» Chiese in un tono preoccupato, più per il fratello che per il ragazzo morto.

Prima che lui potesse parlare, mi intromisi nella loro conversazione, «può prendere decisioni da solo, non ha bisogno sempre di te, sai?»

Mi lanciò un'occhiataccia, «eE tu che cazzo ne sai? Sono pronta a scommettere che sei stato tu ad obbligarlo.» Mi incolpò. mi stava letteralmente dando la colpa di qualcosa che avevo fatto. Ma non potevo darle ragione.

«Non è vero!» mentii, incrociando le braccia al petto.

«Un ragazzo è appena morto e voi state litigando per questo?» Chiese Aria, che sembrava non capire il succo del nostro discorso.

«È stata colpa loro, dovrebbero venir puniti e basta.» Dichiarò Keith, decisa.

«E come?» Chiese qualcuno tra la folla.

«Dovrebbero venir banditi dal gruppo.» Parlò ad un certo punto una voce maschile, molto riconoscibile. Vesper.

«No, assolutamente no. Così è esagerato.» Replicò Aria.

Avrebbero davvero fatto un gesto talmente estremo? Ci avrebbero davvero buttati fuori? Sicuramente non sarei durato molto, soprattutto con Rick, che sembrava spesso un morto che cammina.

«Secondo me è giusto.» Rispose Echo, ricevendo uno sguardo confuso da Keith che sembrava davvero non capirla.

«No vaffanculo, io non me ne vado.» Parlai, deciso.

«Preferisci morire?» Mi domandò il biondo.

«Tanto morirebbero comunque, dopo cinque minuti.» Disse qualcuno in lontananza.

«No, non caccerete mio fratello per aver fatto una passeggiata nella foresta.» Si intromise Lindsey, prendendo le difese di Rick.

«Smettila Lindsey, prima o poi dovrà fare qualcosa da solo, non sei la sua badante.» Disse Echo, «e qualcosa da solo lo ha fatto...» Aggiunse.

«Sì, ed è morto un ragazzino, direi che è proprio indipendente.» Parlò Keith, con voce carica di ironia.

«Io ed Hayden volevamo solo andare a caccia! Non è colpa nostra se Erik non sapeva correre, ok?» Finalmente Rick parlò, attirando l'attenzione di tutti noi.

«Almeno ora abbiamo una bocca in meno da sfamare.» Disse Lindsey, «non vedo che problema ci sia, cazzo, non potete cacciarli così!»

Aria si portò una mano al viso, ormai c'era troppo caos, ognuno parlava a vanvera, e io sarei scoppiato ad urlare a breve.
«Ok, basta. Decideremo cosa fare domani mattina, ora meglio se andiamo tutti a riposare.»

Era come se la mora fosse riuscita a leggermi nel pensiero quando pronunciò quella frase, Vesper ed Echo non sembravano d'accordò, Lindsey invece, si avvicinò subito al fratello, tirandolo a sé, sicuramente gli avrebbe fatto una ramanzina.

«Pensi di decidere solo tu qui?» Chiese Vesper, con aria scocciata. 

La ragazza sospirò, «non cacceremo due ragazzini per questo, e non li uccideremo.» Iniziò, per poi voltarsi verso di noi, «domani decideremo che fare, ora andate a dormire.» Aggiunse infine, coprendosi la bocca per uno sbadiglio.

Quando iniziarono ad allontanarsi tutti, decisi di andarmene pure io, Aria aveva cercato di parlarmi ma io la respinsi subito, non volendo discutere più con nessuno. Il freddo della notte penetrava nel mio giubbotto, ma non me ne importava. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo Erik. Il rumore dell'impatto, il suo corpo che volava in aria, e poi... io che iniziavo a correre.

Mi allontanai per un attimo dal resto del gruppo, avevo bisogno di stare un po' da solo, davvero però. Dovevo fuggire un attimo dai loro sguardi, tutti mi incolpavano, e forse avevano ragione. Mi incamminai verso un albero lì vicino, non volevo fare di certo di nuovo lo sbaglio di prima, mi appoggiai al tronco, respirando a fatica, non volevo piangere.

«Non dovresti essere qui da solo.» Sentii d'un tratto, era Alice. Ovviamente era lei. Incrociai le braccia al petto, non voltandomi neanche.

«Perché no? Hai paura che faccia qualcosa di stupido?»

«Non sottovaluterei quella possibilità.» Rispose, avvicinandosi con passo leggero. Sentii il rumore dei suoi stivali calpestare le foglie, io e lei non ci eravamo mai sopportati, o quasi. Prima eravamo amici, poi un giorno si allontanò a causa di un incidente a scuola, e non mi rivolse più la parola, almeno solo per insultarmi.

Finalmente mi voltai verso di lei. Non amavo ammetterlo, ma era bellissima sotto la luce della luna. I suoi capelli biondi erano raccolti in una coda di cavallo, che le ricadeva delicatamente sulla spalla. «E da quando ti importa quello che faccio?» Dissi brusco, rompendo il breve silenzio che si era creato. «Non eri quella a cui piaceva vedermi soffrire?»

Lei alzò un sopracciglio. «Hayden non fare la vittima. La situazione fa schifo per tutti, non sei l'unico ad essere stato colpito da questa tragedia.»

La guardai, un po' incredulo. «Erik è morto. E la colpa è mia.»

Alice incrociò le braccia, fissandomi. «Erik era amico di molti qui, non hai il monopolio del dolore.»

Quelle parole mi colpirono più forte di quanto potessi immaginare. Sapevo avesse ragione, che non ero l'unico a soffrire, ma comunque, ero stato io quello a portarlo in quella dannata foresta, solo per la mia invidia.

«E allora perché sei qui?» Sbottai. «Perché non sei insieme agli altri, ad evitare di guardarmi in faccia?»

Lei sospirò, «forse perché non voglio vedere un altro idiota autodistruggersi.»

La guardai per un momento, come se stessi cercando di capire se stesse mentendo. Però, il suono tono, mi fece dubitare delle mie convinzioni, Alice sembrava davvero essere lì perché ci teneva, anche se era difficile da ammettere.

Con un'espressione quasi rassegnata si sedette vicino a me, e ci fu per un attimo il silenzio. Il vento soffiava tra i rami, era piacevole stare lì, con quell'aria fresca, e la sua compagnia, anche se sapevo che non glielo avrei mai detto.

«Non hai mai pensato che non fosse davvero colpa tua?» Chiese ad un certo punto, con voce morbida.

«Non cambia nulla. Se solo non gli avessi chiesto di venire con me, ora sarebbe ancora qui. Io dovevo salvarlo, Alice, non ucciderlo.»

Lei rimase in silenzio per un po', poi sospirò. «Queste cose capitano, Hayden, lo odiamo tutti, ma non puoi portarti questo peso sulle spalle, altrimenti ti spezzerai, sul serio.»

Quelle parole scivolarono dentro di me, «e tu come fai a sopportare tutto questo?» Chiesi piano, sottovoce.

Strinse le gambe al petto, aspettando un attimo prima di rispondere. «Non lo sopporto.» Ammise. «Ma vado avanti in qualche modo, anche grazie a Zayden. Sai, senza di lui sarei morta...»

La guardai di nuovo, quella consapevolezza mi fece sentire meno solo, in qualche modo, come se potesse capirmi, nonostante le nostre divergenze passate. Mi sentii anche in colpa, scherzavo sempre su suo fratello, come se lei fosse solo una stupida bambina da proteggere.

Restammo così, seduti fianco a fianco, la distanza tra di noi diminuiva lentamente, come se tutta quella rabbia che nutrivano l'un l'altra stava piano piano diminuendo.

Ad un certo punto, senza pensarci troppo, mi appoggiai a lei. Non sapevo cosa mi avesse spinto a farlo, forse era solo la stanchezza, o forse solo il bisogno di sentirsi qualcuno affianco, chiunque. Ma lei non si mosse, non mi respinse. Anzi, la sentii rilassarsi leggermente accanto a me.

«Sai, non avrei mai pensato di vederti così...» sussurrò, quasi sorridendo. «Dolce.»

«Sì, beh, non è che tu sia in una posizione tanto migliore.» Ribattei, con un mezzo sorriso.

Lei rise piano, un suono che non sentivo provenire da lei da tantissimo tempo, sembrava così strano, così diverso dal solito, che mi fece quasi sorridere davvero. Ma non c'era nessuna battuta tagliente, nessuna frecciatina, solo quel momento tranquillo.

Avevo davvero tanto sonno, sentii il suo respiro regolarizzarsi, e il calore del suo corpo vicino al mio.
Prima di addormentarmi sentii la sua mano sfiorare la mia per un istante, in un'altra situazione molto probabilmente mi sarei staccato in modo brusco, ma invece, quel breve contatto mi fece sentire meno solo, e più rilassato.

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