CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO - parte 2
-Tranquilla, ci sono io-.
Totalmente abbandonata tra le braccia dell'amica, Allyson si era lasciata cullare dal tepore del suo corpo, e dalla rassicurazione che una presenza amica le poteva conferire. Un susseguirsi di fitte di dolore aggredivano il suo corpo, ed una tremenda debolezza faceva si che riuscisse a malapena a reggersi sulle sue stesse gambe.
-Voglio andare via, Clock- balbettò, con un filo di voce. -Voglio uscire da questo posto-.
-Non devi dire così- tentò di rassicurarla l'amica, senza mai smettere di accarezzarle la testa con delicatezza -Usciremo tutti, vedrai. Ma non è possibile farlo adesso-.
Ally riprese a piangere, nascondendo la faccia tra le ciocche arricciate dei capelli di Natalie. -Volevo solo... Parlare con la mia famiglia- farfugliò, annaspando. Aveva la netta sensazione che, per quanta aria inserisse nei polmoni, continuasse a mancarle il fiato.
-Ci siamo passati tutti...- mormorò la castana, stringendola più forte.
-Siamo in trappola... Non è così?-.
Natalie tacque per diversi secondi, poi indietreggiò di un passo in modo da poter guardare l'amica in faccia. -No. Nessuna trappola!- le rispose, con il tono di voce più comvinto che riuscì a fare. -Dopotutto questo è pur sempre una specie di ospedale! Non possono tenerci chiusi qui per sempre, senza permetterci di vedere le nostre famiglie!-.
Ally si asciugò le lacrime con la mano, e puntò i suoi occhi rossi e lucidi in quelli dell'amica. Aveva una tremenda paura di conoscere la risposta alla domanda che stava per porle, ma oramai era l'unica cosa sensata che avrebbe potuto dirle. -Da quanto tempo sei qui, Clock?-.
La castana sollevò le spalle. -Beh.. Poco più di un anno, credo-.
-E quante volte... Quante volte hai visto la tua famiglia?- chiese ancora Allyson, con la voce che tremava sensibilmente; il suo corpo era scosso da continui tremori che tormentavano le sue gambe, e non le fu possibile capire se fossero causati dalla debolezza o dalla paura.
La castana tacque per un paio di secondi, prima di abbassare lo sguardo e fornire una risposta quanto più sincera anche a quella domanda. -Beh... Una sola, dopo i primi due mesi...- farfugliò. -Poi sono stati i medici a parlare direttamente con i miei genitori, per informarli dei miei progressi-.
L'altra non trovò il coraggio di aggiungere altro; restò il silenzio, soffocando a stento le parole che le stavano salendo dalla gola. I tentativi dell'amica di rincuorarla, seppur genuini, erano stati del tutto inutili perché infondati; e questo, probabilmente, lo sapeva bene anche l'altra.
-Ok, ok...- farfugliò, schiarendosi la gola. -Devo darmi una calmata... Penso di stare per svenire-. Emise un lungo sospiro, imponendosi di tornare calma, e guardò Natalie sorridendo in modo palesemente forzato. -Hai ragione tu, prima o poi usciremo tutti quanti-.
Clock afferrò un lembo della sua camicia e senza lasciarle il tempo per protestare la sollevò, per poi scrutare con aria dispiaciuta i segni rossi che l'amica adesso portava sulla pancia; presto sarebbero diventati grossi lividi scuri, e lo sapeva bene perché quella non era certo la prima volta che assisteva al decorso di un'aggressione. Con un'estrema lentezza ed una ritrovata delicatezza fece scorrere l'indice su quella pelle martoriata dalla botte, poi si allontanò di qualche passo e premette la maniglia della porta. La aprì, rivelando la figura di Toby che, in piedi nel corridoio, aveva atteso impaziente di vedere che cosa stava accadendo all'interno.
-Come stai? Tutto bene?- disse con voce nervosa, guardando dritto in direzione di Ally. Sembrava molto preoccupato, e certamente doveva aver già capito che cosa fosse accaduto alla ragazza.
-Scusa, non volevo lasciarti fuori- ridacchiò Natalie, avvicinandosi a lui e rivolgendogli un affettuoso sorriso. -Ma era un'emergenza-.
Il ragazzo le passò una mano dietro alle spalle, stringendola sul suo petto per poi ritornare a rivolgere lo sguardo ad Ally. -Quegli stronzi hanno picchiato anche te, non è vero?- chiese, senza cercare vie traverse per porre quella domanda.
La ragazza si limitò semplicemente ad annuire, mettendosi a sedere per scongiurare la possibilità di avere davvero uno svenimento; la sua vista continuava ad appannarsi, motivo per cui era costretta a sbattere ripetutamente le palpebre.
-Capita a tutti, chi prima chi dopo...- disse ancora lui, assumendo un'espressione rammaricata. -Devi essere forte, Ally-.
Lei annuì ancora, sapeva bene che lui aveva ragione: essendo impossibiltata a chiedere un aiuto dall'esterno, tutto ciò che poteva fare era contare sulle sue forze e su quelle dei suoi amici, per affrontare tutto ciò che stava accadendo. Piangere non sarebbe servito a niente, così come le sarevve stato inutile gettare la spugna: avrebbe dovuto lottare.
-Puoi contare su me e gli altri, comunque... Lo sai-. Dicendo questo, il castano infilò le mani nelle tasche dei jeans e si allontanò di qualche passo lungo il corridoio. Clock lo guardò, e poi dedicò nuovamente la sua attenzione all'amica.
-Vai con lui, muoviti!- sussurrò l'altra, sorridendo. Non c'era alcun bisogno che restasse a tenerle compagnia, soprattutto perché era certa di dover vomitare, e non avrebbe di certo gradito la presenza di altre persone mentre sarebbe stata china sul water.
Natalie annuì con decisione e la strinse in un ultimo abbraccio di pochi secondi, prima di raggiungere con una breve corsa quello che era ormai diventato il suo ragazzo.
Allyson li osservò in silenzio mentre si allontanano, poi aprì la porta della sua stanza e si chiuse all'interno, restando completamente ds sola.
Un'angoscia incontrollabile attanagliava il suo stomaco, ed una sensazione di profondo sconforto annebbiava i suoi pensieri. Dolorante e di nuovo sull'orlo del pianto riuscì a spogliarsi ed entrò nella doccia, lasciando che l'acqua calda scivolasse sul suo viso e sulla pelle arrossata del busto, come potesse lavare via anche tutto il dolore. Lasciò che l'acqua consolasse la sua anima fino a che non divenne gelida, poi uscì dalla doccia ed suoi occhi caddero sulla sua stessa figura riflessa nello specchio; il volto magro, incorniciato da una chioma di capelli dal colore tendente al rosso, ed un paio d'occhi profondi che parevano adesso un po' più spenti.
Come poco prima aveva previsto, si ritrovò china sul gabinetto a tentar di vomitare cibo che non aveva mai ingerito: solo una chiazza di bile gialla imbrattò la supercifie bianca del water, lavata via dallo sciacquone.
Si sentiva debole, impotente di fronte alle mostruosità che le persone che avrebbero dovuto aiutarla le stavano facendo subire, e fu allora che la disperazione si tramutò in rabbia.
Una rabbia che fu sufficientemente grande da indurla a rimuovere la fascia adesiva dalla sua guancia, afferrare il sondino con entrambe le mani ed estrarlo dal suo naso.
Il dolore ed il fastidio che percepì nel farlo, furono offuscati dalla sensazione di potere che ebbe nel trovarsi quel tubo di plastica tra le mani, e gettarlo nel lavandino.
Con i gomiti poggiati contro alla parete, riprese fiato lentamente. E nel silenzio profondo che adesso avvolgeva quel piccolo bagno, la sua mente iniziò quasi subito a vagare nei pensieri e nei ricordi, fino a posarsi sul volto di Jeff.
"Lui mi aiuterà, so che lo farà".
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