CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO - parte 1
Buio.
Un buio così profondo da inghiottire tutto quanto. E nel mezzo di quella immensa macchia di petrolio, il rumore di una penna la cui punta veniva fatta scivolare nervosamente su di un foglio.
Allyson aprì gli occhi lentamente, recuperando pian piano coscienza: le immagini di ciò che aveva la circondava, dapprima sfocate, si fecero via via più chiare. Si trovava distesa sul pavimento di quello che pareva essere l'ufficio di un dottore, ma non avrebbe saputo dirlo com certezza perché era certi non aver mai visto prima d'ora quella stanza. Spalancò le palpebre e sollevò a fatica la testa, ancora intontita dal farmaco che le era stato iniettato con la forza, e notificò la presenza di una grossa scrivania dietro alla quale stava seduto un uomo. Vestiva con il classico camice bianco che indossavano tutti i medici prestanti servizio nella clinica, e stava evidentemente scrivendo qualcosa su un blocco di fogli.
La ragazza emise un gemito e si tirò a sedere, massaggiandosi il collo con l'ausilio del palmo della mano; percepiva il suo corpo come rigido ed intorpidito, tanto da avere l'impressione che fosse faticoso anche il solo atto di respirare.
Barcollando si alzò in piedi, e fu allora che il medico sollevò la testa, accorgendosi finalmente che si era svegliata da quel lungo sonno.
-Fai attenzione a non cadere- le disse; ma il tono della sua voce, più che preoccupazione, lasciava in evidenza una preoccupante nota di sadismo.
Ally si voltò in dirrzione della porta senza dire nulla, e tentò di raggiungerla trascinando le gambe in avanti come non facessero neanche parte del suo corpo; desiderava soltanto uscire da quel posto e tornare nella sua stanza, adesso.
-Dove vai?- le disse ancora il dottore, alzandosi con un balzo dalla sedia e raggiungendola in pochi secondi. Con un paio di mani forti afferrò le sue spalle e la spinse violentemente a terra, tanto che la ragazza finì per perdere l'equilibrio e sbattere la schiena contro al muro.
-Forse è giunto il momento che ti venga insegnata l'educazione, ragazza. In questo posto vigono regole precise ed imprescindibili-.
A quel punto l'uomo la afferrò per i capelli, e le fece sbattere più volte la testa contro al muro; e lei, decisamente troppo debole per contrastare il moto di quelle braccia, si limitò a stringere i denti e chiudere gli occhi, emettendo lamenti stonati mentre aspettava con disperazione che dell'aggressione finisse. Poco dopo il medico si allontanò di un passo, e le sferrò un forte calcio nella pancia. -Dunque le regole vanno rispettate!-.
Quel colpo sordo, che causò alla vittima indifesa un conato di vomito, fu seguito da altri cinque. Ally avvolse le braccia scheletriche attorno al torso, cercando disperatamente di placare il dolore che proveniva dalle zone appena colpite; era incapace di ragionare lucidamente, ed allo stesso modo troppo fragile per ribellarsi al suo aggressore. Neanche si rese conto di avere le guance zuppe di lacrime, uscite dai suoi occhi come spontanea reazione al dolore.
-Ed ora torna alla tua stanza- concluse il medico, tornando a sedersi dietro alla scrivania come se nulla fosse mai accaduto.
La ragazza si sollevò sulle gambe tremanti, singhiozzando, e dovette combattere contro ad una serie di giramenti di testa fino a che non riuscì a stabilizzarsi; avrebbe voluto chiamare aiuto, ma quale senso avrebbe avuto? Le sue grida avrebbero soltanto attirato a se altri potenziali aggressori. Reggendosi con una mano contro alla parete riuscì finalmente a raggiungere la porta; a stento fu in grado di aprirla, rischiando di cadere nel momento in cui si aggrappò alla maniglia, e si addentrò zoppicando nel corridoio. A pochi passi da lei, il dottor Max notò la sua presenza. I loro occhi si incrociarono, ma nessuno dei sue disse niente. Ally gli passò accanto, ancora incurvata con il fiato mozzato dal pianto, e le parve di scorgere una lieve preoccupazione negli occhi del dottore; come se stesse provando pena per lei, in qualche modo.
Senza perdersi d'animo proseguì aumentando il passo; asciugò le lacrime che le appannavano la vista e salì le scale fino al primo piano, seppur i muscoli delle sue gambe parevano non voler affatto collaborare.
Poi, giunta sul fondo del lungo corridoio ove erano collocate le stanze, notificò la presenza di Natalie, ed al suo fianco, Toby che la abbracciava teneramente. La testa del ragazzo era posata su quella di lei, e le sue braccia la avvolgevano affettuosamente.
Ma non appena la castana notificò l'arrivo di Allyson impiegò solo un paio di secondi, prima di realizzare che qualcosa nell'amica non andava. Lo comprese facilmente vedendo il suo volto paonazzo, ed il modo in cui sembrava star trascinando il suo stesso corpo mentre avanzava in silenzio.
-Ally..- farfugliò, sciogliendo rapidamente l'abbraccio con Toby e dirigendosi verso di lei. -Che ti prende?-.
L'altra scosse la testa accennando un sorriso, consapevole di non essere affatto convincente, ed aprì in fretta e furia la porta della sua stanza; Natalie, tuttavia, la raggiunse in tempo e si precipitò dentro assieme a lei.
-Ti hanno picchiata, non è vero?- chiese subito, afferrando l'amica per le spalle. E quasi sussultò quando la sentì gemere per il dolore: sotto a quella camicia, il suo corpo dolorante si muoveva a stento.
Allyson strinse i denti ed abbassò il capo, trovandosi del tutto disarmata da ogni pizzico d'orgoglio; senza più freni scoppiò a piangere, lasciando che l'inferno nella sua testa l'avvolgesse come un abito troppo stretto.
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