CAPITOLO SETTIMO - parte 2

Il Dottor Max esternò un sorriso compiaciuto, e si sistemò più comodo nella sua sedia intrecciando le mani. -Bene, Allyson. Ti ascoltiamo, coraggio-.
La ragazza annuì brevemente, deglutendo a vuoto. -I miei genitori non sono mai riusciti a comprendere fino in fondo il mio problema...-. Emise un sospiro, prima di continuare a parlare. -All'inizio pensavano si trattasse di un semplice capriccio, e mi sgridavano ogni volta che mi rifiutavo di mangiare. Credevano che lo facessi per dispetto, o per attirare la loro attenzione... Poi, quando si sono resi conto che ero "malata" davvero, hanno realizzato di non sapere come gestire la cosa...-. La sua voce traballava, e lei stessa se ne accorse, ma solo dopo aver finito il discorso. Non avrebbe voluto mostrarsi a tutti gli altri così debole e ridicola, ma ogni qual volta cercasse di riportare alla mente i primi momenti in cui la sua mente aveva iniziato ad ammalarsi, veniva aggredita da un'angoscia che la stroncava come un ramoscello secco al vento.
-Ogni problema psichico è sempre difficile da affrontare, per chi ci sta accanto. A maggior ragione per quanto riguarda i rapporti familiari- disse il dottore, rivolgendo un rapido sguardo al resto del gruppo.
-Sì...- mormorò lei. -Ma loro non hanno mai neanche provato a capire...-. La mano di Clock strinse dolcemente la sua, come per incoraggiarla. -Avrei preferito che si fossero impegnati di più, nel provare a capire quale fosse l'origine dei miei disturbi...  A volte ho come l'impressione che non gli importi poi tanto di me, anche se probabilmente mi sbaglio-.
-Sono sicuro che i tuoi genitori siano molto preoccupati per te, e per questo si sono affidati a noi- esclamò ancora il dottor Max allargando le braccia. -E come già saprai, riconoscere di avere un problema è il primo passo per vincerlo. Sappi, Allyson, che il solo fatto di essere qui tra noi oggi è la dimostrazione che tu puoi farcela-.
-Sì, come no- intervenne Brian, con le mani affondate nelle tasche -Ai nostri genitori non importa nulla di noi. Per questo ci hanno sbattuti in questo posto dimenticato da Dio-.
-Parla per i tuoi, di genitori!- ribatté Eren, irritato. -Mia madre ha pianto per ore davanti al cancello, quando mi ha lasciato qui-.
ma l'altro, beffardo, continuò ad inveire. -La verità è che ho ragione. Pensaci: è troppo facile sbattere il proprio figlio in un istituto, eliminando il disagio che crea in famiglia, piuttosto che affrontarlo di petto-.
-I miei non mi hanno fatto ricoverare e basta, ne abbiamo parlato assieme!- esclamò ancora Eren, stringendo le spalle. -Quindi parla per te!-.
-Brian ha solo espresso il suo parere- intervenne in fine Timothy, scuotendo il capo.
La discussione proseguì a botta e risposta ancora per un po', fino a che il dottore non ritenne che fosse giunto il momento di intervenire per porre fine al battibecco. -Siete liberi di scambiarvi le vostre opinioni, ma non possiamo basare la nostra seduta di gruppo su questo-.
-Molto meglio così- borbottò Dina, alzandosi in piedi per tornare nella sua camera. Da lì a poco la seduta fu giunta al termine, come spesso capitava con ben pochi risultati raggiunti; ed Ally, dopo aver atteso che tutti gli altri si fossero alzati ed avessero abbandonato la stanza, fece lo stesso procedendo lentamente al fianco di Clock.

 -Non è sempre così- disse la castana, infilando le mani in tasca.

-Che cosa?- chiese l'altra, senza smettere di camminare.
-Le sedute di gruppo. Non sono sempre così incasinate- ridacchiò. -Per essere stata la tu prima volta è stato un disastro, ma sono sicura che ti abituerai. Ammesso che tu riesca a tollerare Dina!- ironizzò.
-Già, Dina.... Perché fa così?- chiese l'altra, seppur in quel momento volesse in realtà soltanto raggiungere la sua stanza e chiudere il mondo fuori dalla porta.
-Perché è una vera stronza-.
-Magari non è colpa sua, ma del suo problema- mugolò Ally, distogliendo lo sguardo.
Natalie sbuffò rumorosamente. -Non so, nessuno sa che disturbo abbia..... Ma ciò non toglie che sia insopportabile-.
Fermandosi finalmente davanti alla porta laccata che riportava il suo codice paziente, Ally si voltò poi in direzione dell'amica e si sforzò di allargare un timido sorriso. -Alla prossima, allora-.
Natalie ricambiò il sorriso, dandole anche una leggera pacca sulla spalla. -Ricorda di impostare la sveglia alle sette, altrimenti questa volta Much si arrabbia di brutto- le intimò, ridacchiando.
-Certo-.
Dopo essersi seduta sul suo letto, che notò essere stato rimesso in sesto dagli infermieri, Ally emise un lungo sospiro e strinse fortemente i pugni delle mani. Già sapeva che ci avrebbe messo un sacco di tempo ad ambientarsi in quel gruppo di completi sconosciuti, ma l'impresa si stava rivelando molto più ardua di quanto avesse immaginato. Non era mai stata una ragazza particolarmente socievole, aveva sempre preferito stare da sola ogni volta che ne aveva occasione; e di certo l'atteggiamento di alcuni ragazzi che popolavano il gruppo di supporto non l'aiutava per niente.
Si concesse una doccia veloce nel piccolo bagno a lei riservato, sperando che lo scorrere dell'acqua calda sul suo corpo avrebbe spazzato via anche i brutti pensieri che di nuovo iniziavano ad apparire nella sua mente, poi infilò il pigiama che mamma le aveva comprato pochi giorni prima e si buttò goffamente sul letto. Nulla riuscì tuttavia ad impedirle di sollevare il braccio sinistro, e di accerchiarlo con la mano destra per verificare che la circonferenza non fosse aumentata per qualche ragione; con estrema soddisfazione, notò che nulla era cambiato.

Riusciva ancora a racchiudere interamente il polso tra il pollice e l'indice della mano opposta.

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