CAPITOLO SECONDO - parte 2
Il padre di Allyson si precipitò a casa non appena uscì dal lavoro, guidando la sua auto con gli occhi fissi sulla strada e lo sguardo colmo di sgomento. Non appena fu arrivato, aprì la porta d'ingresso con un gesto nervoso e chiese immediatamente alla figlia di sedersi al tavolo con lui, per discutere faccia a faccia della situazione. Lei avrebbe voluto protestare, dirgli che non aveva affatto voglia di parlare di quello che era successo quella mattina e che era certa di avere la situazione sotto controllo; ma non ebbe il coraggio di dire una sola parola, e si limitò a seguire l'uomo a testa bassa. Tutto ciò che poteva fare era appellarsi a tutta quanta la sua forza d'animo ed affrontare la situazione.
Si sistemò comoda sulla sedia, ed osservò suo padre che davanti a lei aveva i gomiti poggiati sul tavolo e lo sguardo severo. Sua madre, invece, era seduta accanto a lui.
-Allora Ally, mi dici che è successo?- iniziò lui freddamente, emettendo un flebile sospiro.
Dal canto suo la ragazza abbassò lo sguardo, resasi conto di non riuscire neanche a ricambiare quello che suo padre le aveva posato addosso. -Non è successo niente, ho avuto solo...-.
-Niente, dici?- la interruppe violentemente il padre, con molto meno tatto di quanto ne avrebbe dovuto usare,. -Hai mangiato stamattina?-. Il tono della sua voce era distaccato e severo, il suo volto deformato da un ghigno di preoccupazione e rabbia.
Allyson strinse le spalle, senza fornire alcuna risposta a quella domanda.
-E ieri sera? Quanta cotoletta hai mangiato?- continuò ad inveire l'uomo, mentre lo sguardo di sua moglie si posava sul suo volto, rammaricato e pentito.
Ally intrecciò nervosamente le dita. Avrebbe voluto rispondere: "ero davanti a te, dovresti saperlo", ma non una singola parola uscì fuori dalla sua bocca. Era arrabbiata con i suoi genitori per la situazione in cui l'avevano messa, ma anche con se stessa perché in cuor suo sapeva che tutto ciò che stava accadendo era principalmente colpa sua; la sua famiglia si stava sfasciando lentamente da tanti anni ormai, troppo dolore aveva causato in nome di quella malattia dalla quale aveva deciso di lasciarsi divorare.
Il padre sbuffò rumorosamente. -Da quanti giorni non fai un pasto completo? Vuoi dirmelo?- continuò.
Ma la ragazza, a quel punto, non riusciva a far altro che balbettare. -Non... Non lo so...-.
In quella cucina, che mai era sembrata così fredda come in quel momento, calò per una lunga manciata di secondi un silenzio devastante.
-Così non va bene, Ally- intervenne finalmente la madre, che solo adesso aveva trovato la forza di parlare. -Tu lo sai qual' è il progresso della malattia, sai a cosa andrai incontro se continuerai a non mangiare-. Sospirò abbassando lo sguardo. -Dobbiamo intervenire prima che sia troppo tardi-.
Allyson volse lo sguardo alla finestra chiusa, pregando di poter svanire tra l'azzurro di quel cielo che le pareva così lontano. -Intervenire come?- borbottò, fingendo di non capire. Ma sapeva bene che cosa quella frase volesse dire, ed aveva capito perfettamente ormai quale fosse la decisione che i suoi genitori avevano preso.
-Tesoro...- farfugliò la donna, che venne tuttavia interrotta subito dalla voce del marito: -Dovrai andare al centro d'igiene mentale-.
Quella frase echeggiò nella mente della giovane più volte, ed in tutta la sua spietatezza confermò in via definitiva ciò che aveva supposto fino a pochi secondi prima. Proprio quella frase, proprio quelle parole che non avrebbe mai voluto sentire.
-Nemmeno noi lo vorremmo, Ally- farfugliò sua madre, nel vago tentativo di rincuorare la figlia. -Ma te lo abbiamo detto tante volte, questa cosa va avanti da troppo tempo-.
-Lo facciamo per il tuo bene- la supportò il marito, seppur più freddamente -Questo lo sai, vero?-.
La ragazza tacque. Strinse le mandibole e piegò leggermente la schiena, incurvandosi come avesse voluto implodere in se stessa. Non c'era niente da fare, dunque. Non la avevano chiamata per discutere assieme della questione, ma per comunicarle la loro decisione irrevocabile. Era un dibattito a senso unico, e non avrebbero ascoltato nulla di ciò che lei aveva da dire.
Ebbe l'impulso di piangere, ma cercò con ogni sua forza di trattenersi; non voleva dimostrarsi così debole e insulsa. Deglutì a vuoto e tornò a rizzare la schiena, simulando un'espressione impassibile; non riusciva a tollerare che una decisione così drastica riguardante la sua vita venisse intrapresa da altri, senza il suo consenso.
-Hanno detto che la struttura è molto grande, munita di personale qualificato, e che hanno già guarito in passato casi come il tuo. È situata in campagna, in un bel posto- continuò sua madre con voce dolce, seppur sembrasse voler convincere se stessa di ciò che stava dicendo, e non la ragazza. -Sono sicura che ti troverai benissimo-.
-E come fai a dirlo?- intervenne Allyson, con voce vibrante.
-E' un centro specializzato che tratta molti tipi di malattie mentali e disagi psicologici- rispose ancora la donna, intrecciando le braccia sul petto. -I medici al telefono sembravano molto gentili e preparati-.
La giovane balzò in piedi di colpo, allontanando la sedia con un gesto violento. -Al telefono?- ripetè, guardando sua madre dritta negli occhi. -Hai già telefonato alla clinica?!-.
La donna tentò di evitare lo scontro, forzando un sorriso e poggiandole una mano sulla spalla. -Sì tesoro, per avere informazioni e...-.
-Dunque avevate già deciso, senza neanche interpellarmi!- gridò Ally, annaspando. -Da quanto avevate in piano di liberarvi di me?!-. In quel momento ebbe l'impressione che il suo cuore si fosse rotto in mille pezzi, così tanti che non sarebbe più stato possibile rimetterli assieme.
Mamma e Papà non la volevano più tra i piedi.
Si erano stancati di lei, alla fine.
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Capitolo dedicato a Akane_iNSaNiTY.
Una delle lettrici che mi segue da più tempo. Approfitto per ringraziarla per tutti i commenti e le stelle che lascia sempre ad ogni mio libro. Avrai sempre un posto tra i miei lettori preferiti, cara :)
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