CAPITOLO SECONDO - parte 1
Il giorno seguente, attorno alle nove del mattino, Allyson uscì di casa assieme a sua madre, che aveva tanto insistito per portarla con se al mercato. Si teneva una volta alla settimana tra le vie del centro storico della piccola città in cui vivevano; e nonostante il ridotto numero di bancarelle che vi esponevano i propri prodotti, vi si poteva trovare un po' di tutto.
-Dai, andiamo Ally!- esclamò ancora la donna, impaziente e nervosa, mentre attendeva la figlia sulla porta di casa. La ragazza si affrettò ad uscire, mentre legava i capelli in una coda da cavallo. Aveva indossato come di consueto una felpa esageratamente larga, che rendeva molto meno percettibili i lineamenti esili del suo corpo; detestava essere osservata dalle persone, specialmente se si trattava di completi sconosciuti.
Quella mattina il cielo era annuvolato, anche se per il momento non minacciava pioggia; nonostante ciò, a causa del temporale che si era sfogato sulla cittadina quella stessa notte, l'aria era fredda e satura di umidità.
Il mercato distava solo un paio di incroci, quindi decisero all'unisono di raggiungerlo a piedi.
E non appena furono giunte sul posto, proseguendo lentamente tra le bancarelle che affiancavano la strada da ambi i lati, la madre di Allyson addocchiò quasi subito un banco in particolare, che stava esponendo abbigliamento intimo, canotte e pigiami.
-Quanto costano?- chiese sorridendo, mentre con la mano indicava una pila di pigiami dei più disparati colori.
Proseguendo la camminata, poi, fece la stessa domanda molte altre volte a molti altri venditori ambulanti: le piaceva osservare tutto, ma raramente comprava davvero qualcosa. E mentre si fermava quà e là ad osservare la merce esposta, sua figlia la seguiva in silenzio, completamente disinteressata a ciò che la circondava.
Nella sua testa, in quel momento, vi era solo il calcolo matematico dei passi e dei metri percorsi da quando erano partire, ed il corrispondente consumo di calorie. Mentre proseguiva abbassava spesso lo sguardo a terra, osservano con disprezzo e vergogna le sue gambe che si muovevano avanzando sull'asfalto: nonostante fossero spaventosamente esili, le pareva di vedere del grasso traballare sopra alle ginocchia.
Passò circa mezz'ora dal loro arrivo al mercato, ed oramai avevano quasi completato il giro del centro storico nel quale erano disseminate le varie bancarelle; Ally non aveva mai smesso di seguire in silenzio sua madre, e continuava a farlo anche adesso. Eppure, iniziava a percepire una strana sensazione: debolezza forse, o magari soltanto una lieve crisi d'ansia. Non seppe, dapprima, definire con certezza il suo malessere.
-Ti piace quel cuscino per il nostro divano?- le chiese sua madre, strappandola violentemente dai suoi pensieri ed indicandone uno quadrato e rosso.
La ragazza annuì debolmente ma senza neanche alzare lo sguardo sull'oggetto, e compì un giro su se stessa alla ricerca di uno spazio vuoto in cui prendere aria; aveva la netta sensazione di star affogando, e più inspirava aria nei polmoni più quel fastidioso sentore si faceva più forte ed inesistente. Tentò di rucavarsi una via di fuga ma la calca di persone invadeva completamente la strada, come volesse intrappolarla. Sentì una goccia fredda di sudore scendere lungo la sua schiena, e capì che qualcosa di brutto stava per accadere.
Provò a parlare, e realizzò di avere la gola secca e la bocca impastata. -Mamma non mi sento mol...- borbottò, ma non riuscì a completare la frase perché pochi attimi dopo si ritrovò con la faccia sull'asfalto.
-Allyson!- gridò la donna, affrettandosi a soccorrerla con il volto dominato da un'espressione di puro terrore. -Ally, rispondimi!- gridò ancora.
La ragazza riprese i sensi quasi subito, scossa dalle braccia della madre che l'aveva afferrata per le spalle; la sua voce giungeva alle sue orecchie debole ed ovattata, seppur la donna stesse chiaramente gridando il suo nome. Tutt'intorno poi, un gran numero di curiosi si erano accerchiati attorno a loro.
-Sto bene- riuscì a borbottare, ripulendosi i pantaloni con i palmi delle mani.
Il volto stanco e preoccupato di sua madre assunse un 'espressione decisa e mentre aiutava la ragazza ad alzarsi in piedi le parlò freddamente.
-Sarà stato un calo di zuccheri. Andiamo a casa-.
.........
-Pronto? Tesoro?-.
Allyson era seduta sul divano, e reggeva tra le mani un bicchiere di acqua zuccherata. Osservava i movimenti nervosi di sua madre, che reggeva la cornetta del telefono nella mano destra e continuava a camminare a avanti e indietro lungo la stanza, per quanto la lunghezza del filo glielo permettesse.
-Allyson è svenuta, stamattina- rivelò subito, con una voce debole e spaventata alla quale non riuscì ad impedire di tremare.
-Cosa? Dove?-. La voce di suo padre esprimeva altrettanta agitazione: Allyson riusciva a sentirla attraverso la cornetta, seppur questa fosse piuttosto lontana.
-Al mercato. Penso sia stato un calo di zuccheri...- continuò a balbettare la donna, con lo sguardo perso nel vuoto.
-Ascolta...- rispose lui, dall'altro capo del telefono. -Esco tra mezz'ora, e vengo diretto a casa... Ok?-.
-Ok, va bene... Ti aspetto-.
-Dobbiamo prendere quella decisione, tesoro. È l'unico modo-.
Un tremendo silenzio, pesante come un masso, soffocò per qualche secondo la conversazione.
-Lo so, lo so...- mormorò infine la donna, chiudendo bruscamente la telefonata.
Nonostante avesse potuto udire ben pochi dettagli di quanto era stato detto dell'interlocutore, Allyson aveva ben capito a cosa i suoi genitori avevano alluso durante gli ultimi secondi di comunicazione; era una cosa di cui avevano già parlato altre volte, anche in sua presenza.
Ed era forse la prospettiva che più di ogni altra la terrorizzava.
Il ricovero ospedaliero.
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