CAPITOLO PRIMO - parte 2

-Allyson, per l'amor del cielo- esclamò infastidita la madre roteando gli occhi, ed indicando con la mano il piatto della ragazza, ancora pieno di cibo.
Lei continuava a fissare la cotoletta che aveva tagliato con il coltello più e più volte, fino a ridurla in tanti piccoli pezzettini con i quali adesso, distrattamente, stava giocando con la forchetta.
Il solo pensiero di mettere in bocca qualcosa la faceva star male.
-Vuoi dirle qualcosa anche tu, oppure devo sempre passare io da stronza?- continuò la donna, questa volta rivolgendosi al marito. Lui alzò la testa dal piatto e si voltò scocciato verso Allyson, assumendo un'espressione fredda ed autoritaria; non era mai stato bravo con le parole.
-Dai, mangia- si limitò a dire.
La ragazza inforchettò un pezzettino di cotoletta e lo avvicinò lentamente alla bocca; lo posò sulla lingua e fece finta di masticare, solo con il fine di attendere il momento buono per sputarlo abilmente nel tovagliolo. A fine pasto si alzò e ripose il piatto nel lavandino, a testa bassa.
Come era arrivata fino a quel punto? Come poteva permettere che la sua mente continuasse a distruggere il suo corpo senza reagire in alcun modo?
Non aveva alcuna risposta a queste domande, ma non poteva fare a meno di lasciarsi trascinare dalle acque di quel fiume malato ed ossessivo che era la sua malattia.
Restringere.
Digiunare.
Restringere ancora.

........

Flashback.
-Non lo dirai alla mamma, vero?-.
Al tempo Allyson aveva soltanto dieci anni; era una bambina allegra, attiva, desiderosa di vivere appieno la vita che le era stata donata. Come tutti i bambini era piena di sogni e possibilità, amava guardare al futuro e vedersi realizzata in qualcosa di grande.
Le piaceva andare in bicicletta, vestire le sue bambole in modo buffo e giocare a pallone assieme agli altri bambini del quartiere, nonostante tutti le continuassero a ripetere che a volte sembrava un "maschiaccio".
Era una bambina come tante altre, Allyson.
Finché un giorno, qualcosa nella sua mente si ruppe per sempre.
E quella rottura aveva un corpo fisico, un volto e un nome.

-Non lo dirai a nessuno-.

..........

Allyson si portò le mani al petto, emettendo un lieve lamento. Ogni volta che quel ricordo tornava alla sua mente era come riviverlo in prima persona, e riusciva a percepire sulla pelle ogni sensazione, odore e percezione che in quel momento aveva provato.
Nonostante fossero passati diversi anni, quella memoria non era mai sbiadita nel suo inconscio.
 
"Non lo dirai a nessuno, vero?".

La soffocante stretta di quelle braccia sulle sue spalle e sul suo collo, l'odore nauseante della fragranza al pino silvestre che lo Zio utilizzava sempre, il bruciante dolore delle unghie che conficcava nella sua schiena.
-Sarà il nostro piccolo segreto- aveva detto. E quella non fu che la prima, di una lunga serie di violenze sessuali che Allyson dovette subire da quell'uomo; il fratello di suo padre, uno di famiglia nel quale entrambi i suoi genitori avevano riposto così tanta fiducia da spedire la loro figlia ad abitare da lui, durante i loro viaggi di coppia.
La terribile verità venne a galla soltanto due anni dopo, quando lo Zio venne indagato e poi arrestato con l'accusa di pedofilia.
Quell'evento avrebbe dovuto rappresentare per Allyson, ormai dodicenne, un punto di svolta: con l'uomo in prigione avrebbe potuto riprendere in mano la sua vita, sistemare i pezzi che aveva perso per strada e ripartire; ma niente di tutto questo le fu possibile. Oramai la sua mente era corrotta, ammalata, segnata in modo profondo da ciò che aveva vissuto e sopportato in una così giovane età; e certi strappi, sono difficili da ricucire.
Non avendo mai avuto il coraggio di dire a nessuno la verità di ciò che era successo, iniziò a maturare sensi di colpa immotivati, ansia cronica che la soffocava in ogni suo giorno, ed una continua sensazione di inadeguatezza che aveva ormai trasformato la sua vita in un'inferno. Quando tutto questo divenne per lei letteramente incontrollabile, iniziò a mangiare sempre meno, e dimagrire sempre più; la restrizione calorica e l'esercizio finico strenuante le donavano la sensazione di avere ancora la propria vita sotto controllo, la facevano sentire più forte.
Non avrebbe mai rivelato ai suoi genitori di essere stata una delle vittime dello zio; se ne vergognava profondamente, era terrorizzata dal loro giudizio.
Allyson vide il primo psicologo all'età di dodici anni; ma lei, non riuscì mai a rivelargli quali soprusi aveva subito, nonostante ci avesse provato. E dopo un'attenta indagine il professionista disse che si trattava emplicemente una fase della crescita e che il disturbo alimentare si sarebbe risolto da solo, ma così non fù. Già, perché nessuno conosceva la vera origine del problema, dunque tutti la sottuvalutarono.
La ragazza crebbe oppressa dal suo problema, e fu presa in cura, senza risultati degni di nota, da ben undici psicologi diversi.
-Vado a fare la spesa- annunciò sua madre, battendo due volte il pugno contro al muro per attirare la sua attenzione -C'è qualcosa che vorresti mangiare? Nel caso dimmelo, così te lo compro!-.
La ragazza scosse la testa come se l'altra potesse vederla. -No, grazie-.
Udì sua madre borbottate qualcosa a bassa voce, prima di uscire e sbattere la porta; era evidente che la donna non riuscisse più a tollerare quella situazione, e si sentisse impotente nei confronti di quel malessere psicologico che ormai da anni stava letteralmente divorando sua figlia.
Ally si diresse in bagno con aria triste, e si fermò davanti allo specchio. Lo faceva spesso; fissava la sua immagine e cercava di convincersi di essere bella, di essere come voleva lei. 
Sfilò la felpa facendola passare dalla testa ed osservò il profilo snello del suo tronco; la forma delle costole e della pancia, le spalle strette, i seni piccoli, e le braccia esili.
Amava far scorrere l'indice sulle ossa che decoravano il suo busto, come fossero grottesche corde di un triste violino.
"Sono magrissima. Eppure, perchè sembro così grassa?" pensò, piegando il volto in un'espressione sconsolata.

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