Babycakes on his Austin-Healey

N.B. Sono presenti pain!kink e daddy!kink, sesso M/M esplicito e dettagliato tra Louis Tomlinson di venticinque anni e Harry Styles appena diciottenne. Chi non apprezza il genere è pregato gentilmente di evitare la storia a prescindere. Buona lettura! x

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Alle tre e mezza del pomeriggio, nonostante fossero tutti stanchi e completamente addormentati sopra il proprio banco, Harry non smetteva di battere nervosamente il piede sul pavimento in marmo. Lui non era stanco, non era nemmeno annoiato e, cosa più strana, non aveva fretta di uscire da quell'aula che lo faceva sentire solo un po' soffocato. C'era puzza di sudore, l'aria era viziata e sporca, eppure lui sarebbe rimasto lì per un'altra ora e mezza. Aveva gli occhi aperti, dilatati in modo quasi disumano e inquietante, sbirciava il display del telefono - che come screen aveva un "Fottiti" scritto in Courier New - ogni dieci secondi in attesa dell'ennesimo, criptico e inespressivo messaggio di conferma da parte di Louis per il loro appuntamento.

Sarò puntuale.
Non osare farmi aspettare.

Harry era evidentemente agitato e irrequieto. I ricci dietro la nuca erano umidi per il leggero strato di sudore che gli increspava la cute, la schiena era tesa come una corda di violino per l'agitazione e lo stomaco contratto, gli occhi smeraldini bruciavano dolorosamente. Aveva passato tutta la mattinata a fissarsi ripetutamente allo specchio, a lisciarsi il ciuffo castano sulla fronte e a coprire i brufoli adolescenziali che quella mattina avevano deciso di fiorire come margherite sulle sue tempie. Si guardava e si odiava, come ogni normale adolescente di quasi diciotto anni e mezzo in fase di sviluppo. Con ostinazione, si paragonava a Di Caprio ai tempi di "Titanic", o al meraviglioso Danny Walker di "Pearl Harbor" - Harry era convinto che il personaggio di Ben Affleck fosse assolutamente sopravvalutato e anche un po' stronzo. Si studiava con aria critica e faceva una lista di cose che avrebbe cambiato di lui se avesse potuto, partendo dal naso a patata e troppo grande per il suo viso spigoloso, per poi proseguire con la bocca poco carnosa, il mento, le guance, i denti. Non aveva muscoli, la sua fisionomia era imprecisa e tutt'altro del tipo che ferma il traffico quando passa, nessuno si bloccava mai a osservarlo mentre camminava. La sua pancia era piatta, non aveva fianchi e sentiva di far parte dell'ultimo anello della catena di montaggio dell'High School di Doncaster, un anello che comprendeva gli sfigati senza futuro, la squadra di scacchi, seguiti subito dopo dai secchioni asessuati, maniaci dei videogame e che si masturbano davanti a un manga hentai. Non che a Harry fregasse realmente qualcosa della scuola, principalmente si dedicava alle due ore standard di studio individuale nel pomeriggio e il resto del tempo lo impiegava scrivendo messaggi spinti e allusivi a Louis Tomlinson, erede della Tomlinson Corporation, il quale rispondeva da dietro a una scrivania che nascondeva bene la sua mano stretta nei pantaloni.

A venticinque anni non era lui a capo dell'azienda di famiglia, ma ci sarebbe stato una volta che suo padre avesse deciso di passargli finalmente il testimone. Di certo, era più bravo con il sesso che con le pratiche amministrative, ma cercava di mantenersi abile in entrambi i campi.

Si erano conosciuti a una festa, Harry e lui, ed era stato un fatto puramente casuale. Avevano bevuto un drink in compagnia, avevano ballato in modo equivoco uno addosso all'altro, condividendo ossigeno e sudore, e poi avevano deciso tacitamente che scopare nei bagni del pub, ubriachi fradici e senza un reale pudore, era forse il modo perfetto per concludere la serata. L'attimo dopo, quando il piacere scemò nei loro lombi, si sentirono un po' sporchi, ma soddisfatti di aver trovato un corpo caldo a cui aggrapparsi per un'ora o due. Ad una settimana da quella notte, era diventato un gioco e una sfida per Harry cercare l'uomo che lo aveva posseduto in un sudicio stanzino e insistere per avere un secondo round. Louis lo aveva rifiutato infinite volte - troppo piccolo, troppo strano, troppo sfigato, troppi problemi -, e infinite volte il minore aveva continuato a provarci finché le cose non si erano evolute a suo favore, fino a degenerare.

Ormai erano passati cinque mesi da quando era iniziata. Louis e Harry erano incastrati in qualcosa che non poteva definirsi ufficialmente una relazione, ma ci andava talmente vicino che l'unica cosa che mancava a sigillarla erano le parole, e magari una promessa reciproca di rispetto. C'era un amore e un affetto velato, tra la fisicità e l'irruenza che si imponeva con maestria. Vivevano i loro pomeriggi e le loro sere insieme, l'intimità si era fatta la colonna portante della loro storia e passavano intere giornate sotto le coperte a volersi fino a farsi male. Certe volte sembravano una coppia che gioca con paio di cuscini bianchi imbottiti con piume d'oca, altre erano simili a due perfetti sconosciuti che piangono dentro per dolori diversi che spesso tacevano per non sentirsi vulnerabili, ma che talvolta si concedevano il lusso di raccontare ad alta voce. Spesso, tacitamente, si sfogavano l'uno sul corpo dell'altro e certe volte il piacere andava ben oltre quelle spinte vigorose che determinavano il sesso.

La linea tra piacere e dolore è infinitamente sottile e malleabile.
Ma comunque, nonostante la stranezza, era tutto perfetto, a parte per un sostanziale problema di fondo che li spingeva sempre a reagire in un modo sbagliato e impulsivo: Louis non rispettava Harry e Harry non rispettava Louis, ma questa non era una solamente questione fisica.

Il fatto che la Tomlinson Corporation fosse una delle più grandi aziende diffuse nello UK, imponeva a Louis un rigoroso comportamento e una determinata reputazione. Vita rispettabile, buone amicizie, una fedina penale limpida e una donna diversa ogni sera, come se quella del puttaniere fosse l'etichetta migliore per vendere e vendersi. Una donna bellissima a ogni evento, che puntualmente lui baciava, o toccava, o accarezzava come se fosse preziosa o come se per lui davvero importasse qualcosa.
Per Louis, quelle ragazze erano irrilevanti, ma ogni volta per il più piccolo era un dolore acuto.

Inizialmente lo aveva accettato. Guardava le foto, si mordeva le labbra, si arrabbiava e stringeva i denti, ma poi finiva sempre sulle coperte di seta pallida del maggiore, che talvolta lo puniva per la prepotenza e la maleducazione con cui il riccio si imponeva - che comunque traeva un forte piacere in quelle situazioni. Era geloso, perché innamorato, anche se non lo ammetteva a se stesso o a Louis per non sembrare stupido e vulnerabile. Agiva principalmente a parole, si sfogava con cattiveria prima di sottomettersi; credeva scioccamente che davvero le parole ferissero più di un coltello, ma in un impeto di rabbia, la sera prima di quel giorno di metà aprile, stanco delle foto e delle conversazioni andate a vuoto, aveva scattato una foto di lui che baciava una sua compagna di classe come se fosse naturale per lui toccare le labbra di una donna. Gliel'aveva inviata subito a Louis, ricevendo un criptico "Domani alle quattro ti vengo a prendere" come risposta che lo aveva fatto eccitare e agitare allo stesso tempo. Forse era molto peggio di quanto si aspettasse.

Per quel semplice motivo, seduto sul suo banco, con le mani sudate strette a una matita appuntita, non smetteva un secondo di fissare il telefono o l'orologio appeso vicino alla lavagna. In tutti i messaggi che Louis gli aveva mandato quella mattina non c'era nemmeno l'accenno di ironia, non lasciava trapelare niente sul suo stato d'animo e Harry trovava quel niente peggio della rabbia perché non poteva decifrarlo, non ci riusciva, e non poteva nemmeno prepararsi un discorso per chiarire quell'assurda situazione.

«Becks, come sono i miei capelli?»

La sua vicina di banco, con il capo appoggiato sulle braccia incrociate, aprì i suoi grandi occhi grigi e arrosati per la stanchezza. Si spostò un ciuffo di capelli biondissimi e lisci, portandoseli dietro all'orecchio con le unghie smaltate di rosso ciliegia. Lo scrutò distrattamente prima di mostrargli il pollice, senza però nessun entusiasmo. «Sono okay, Haz. Al tuo tipo piaceranno sicuro.» sussurrò piano, per poi abbassare nuovamente le palpebre.

Un'ultima volta Harry si passò una mano tra i capelli castani e ricci, ravvivandoli dietro la nuca. Sospirò, cercando di rilasciare, insieme all'aria, un po' della sua agitazione. Il professor McConnor stava scrivendo pigramente sulla lavagna formule di matematica che nessuno, eccetto il secchione in prima fila, sembrava interessato a trascrivere. Il pomeriggio era un genocidio di gruppo, gli studenti vivevano le ultime ore come un'agonia e preferivano di gran lunga scarabocchiare delle parolacce sui propri quaderni, o dormire con la testa sul libro, piuttosto che ascoltare una nenia indistinta da parte di un uomo incapace di dire "trigonometria" senza sputare.

«Si vede che ho i brufoli?»

Becks sbuffò, le labbra arricciate e la fronte corrucciata. «Te li ho sistemati prima, Styles. Ho il fondotinta migliore del mondo, certo che non si vede.» ma Harry parve non accontentarsi e ricominciò con una serie di domande che impedirono alla ragazza di appisolarsi. Non aprì gli occhi, non gli rispose. «Niall.» chiamò flebilmente nel silenzio della classe, facendo girare verso di sé due o tre visi annoiati seduti nella fila di fianco alla loro. L'irlandese dai capelli tinti di biondo e coperti da un berretto con il frontino si voltò e rispose al richiamo con un grugnito che probabilmente avrebbe dovuto farlo sembrare un macho. Aveva gli occhi chiarissimi che guizzavano frettolosamente da Harry alla ragazza che sembrava immobile. In realtà, più che macho, sembrava un lepricano. «Niall, dì ad Haz che non si deve complessare e che sta bene così.»

Il biondo aprì le labbra pallide mostrandogli un sorriso sghembo e, gesticolando, disse «Non preoccuparti, amico. Stai messo bene.»

Si sarebbe fidato di più se Niall fosse stato più gay, come si sarebbe fidato di più di Becks se fosse stata più etero. Frequentava la gente sbagliata, non c'era altra risposta, e nessuno sembrava soddisfarlo con le loro risposte stupide e pressapochiste.

La campanella suonò pochi minuti dopo, creando lo scompiglio generale. Fanculo, pensò Harry, mente si alzava pigramente dalla sedia e raccoglieva le ultime cose che erano rimaste sul banco. Salutò i suoi amici, calciò il piede di Liam - lo sfigato in primo banco con quello stupido ciuffo da emo che si ostinava a non tagliare - che fece cadere le sue cose per terra dallo spavento, e uscì dall'aula con un finto sorriso strafottente. Non aveva voglia di uscire, non aveva voglia di incontrare Louis, di litigare con lui, di vederlo arrabbiato, ma non voleva essere vulnerabile. Si era divertito a inviargli quella foto, era stata una piccola vendetta per lui, ma la bruttissima sensazione di insicurezza che lo aveva colpito subito dopo - la consapevolezza di aver fatto una grandissima stronzata - gli fece perdere la maschera di spavalderia che aveva indossato per una ventina di minuti. Una parte di lui temeva Louis, e quel timore lo faceva eccitare come un ragazzino; si sentiva una peste che indispettiva il proprio genitore apposta per essere punito, solo che un bambino non lo fa per il piacere personale, ma solamente perché ribellarsi lo fa sentire più forte e indomabile. Harry lo faceva perché sentire la pelle fragile era forse la cosa più strana e sconvolgente che avesse mai provato, e questo gli procurava le vertigini.

Camminò lentamente, temporeggiando e guardando le proprie Converse nere e bianche pestare le impronte lasciate dagli altri. Si sentì spintonare di tanto in tanto, alcuni per la fretta gli diedero delle forti spallate. Un amico gli batté una mano sulla schiena amichevolmente, Zayn Malik - il suo compagno orientale sexy di biologia -gli scompigliò i capelli e poi soltanto la porta lo divideva da Louis, che sicuramente lo stava aspettando spazientito.

Harry sospirò, prima di uscire alla luce del sole.

Era primavera inoltrata, il freddo aveva lasciato il posto a un clima mite ed equilibrato. C'erano foglie secche qua e là, ma prevalevano il verde dell'erba e le tonalità tenui dei fiori che rilasciavano un profumo dolce e buonissimo nell'aria. La brezza era leggera, ma non fastidiosa, e il cinguettio era un suono piacevole nello scompiglio generale che si era creato di fronte all'edificio.

E in quella bellezza, tra i visi conosciuti e sconosciuti dei suoi compagni, tra quelli dei genitori e degli insegnanti, vide Louis sorridergli maliziosamente, le braccia incrociate al petto e un'aria compiaciuta dipinta sul volto. Tutto pareva eclissarsi attorno a lui, persino il paesaggio circostante. La linea del suo corpo era elegante, raffinata, come il completo che indossava. Era appoggiato alla sua Austin-Healey panna e azzurra, d'epoca, in una posa composta che ispirava inequivocabilmente sesso e lasciava trapelare più cose di quanto avrebbe dovuto. Harry non poté fare a meno di chiedersi il motivo di quell'espressione - troppo sicura di sé e un po' vendicativa -, ma indossò la maschera di spavalderia che il giorno prima aveva gettato a terra e sorrise a sua volta, camminando nella direzione della macchina senza più fissarsi i piedi.

I capelli castani di Louis erano ordinatamente pettinati e laccati verso l'alto nel modo che lo faceva impazzire, tanto da mandare a puttane i suoi freni inibitori. Lasciava scoperto il suo bellissimo viso morbido, spigoloso sul mento e sulle mascelle, gli zigomi alti, le guance incavate per la magrezza. Il collo longilineo era ben visibile, esposto fino al pomo d'Adamo dove il bavero ben abbottonato della camicia bianca negava alla vista la possibilità di vedere ciò che stava sotto - ma che Harry conosceva a memoria grazie alle sue labbra, che avevano percorso a occhi chiusi ogni centimetro di quella pelle leggermente più scura della propria e tatuata in più punti. Louis si era rasato, non aveva lasciato traccia della barba incolta di quel fine settimana, e il suo sorriso era bianchissimo, brillante, curato e tirava le sue finissime labbra chiare che quasi si eclissarono per il pallore. Ogni passo che il minore compiva verso Louis, era una doccia fredda che gli permetteva di inquadrare le sue iridi celeste che quasi splendevano sotto la luce del sole; avrebbe voluto fare l'amore con quegli occhi, ogni ora del giorno, per sempre, da quanto erano meravigliosi e mozzafiato. Ti entravano dentro e ti lasciavano tracce di lui attaccate dentro il corpo, sulle pareti molli e sulle ossa, ma soprattutto potevano leggerti nel profondo con una facilità tale da rendere inutile ogni possibilità di fingere e nascondere i propri reali sentimenti. Harry non si poteva mascherarsi davanti a quegli occhi, non poteva dissimulare e si sentiva nudo. Ma lui ci provava comunque, ogni volta. Provava a insabbiare le sue paure e la sua colpevolezza.

Cercò di non cedere al desiderio di saltargli al collo, o di chiedere scusa per ciò che aveva fatto il giorno prima. Si avvicinò con un'apparente naturalezza, il passo sicuro, le mani in tasca, le labbra tra i denti e una finta sfrontatezza che lo faceva sentire un po' meno patetico. «Ciao, daddy.» lo salutò con un tono carico di allusioni e un po' canzonatorio. Si avvicinò al suo viso con le labbra protese, posando un bacio leggero sull'angolo del sorriso di Louis. «Andiamo?»

Daddy. Gli era capitato spesso di chiamarlo così, a volte per presa in giro, altre perché semplicemente lo eccitava da impazzire e lo faceva sentire un bambino cattivo nei momenti di intimità. Era l'età, glielo diceva sempre Louis che quello scalino era qualcosa che potevano trarre a loro vantaggio; forse lo pensava davvero, forse lo diceva solo per convincersi che non ci fosse qualcosa di sbagliato in quella storia, o forse perché sentirsi chiamare "daddy" era semplicemente una delle poche cose in grado di appagarlo davvero. Ma comunque, in quel preciso momento, Harry lo stava indiscutibilmente sfidando, e Louis lo capì subito, perché raffreddò il suo sguardo e strinse i pugni nascosti sotto le braccia.

Si sedettero entrambi comodamente sui sedili in pelle della Austin-Healey, un braccio sul finestrino e un'aria assente. Non si parlarono e il maggiore semplicemente accese la radio, dove la BBC stava trasmettendo "Love is a battlefield" di Raining Jane.

Ormai Harry conosceva quella macchina meglio della Clio di sua madre, Anne. La conosceva perché ci era montato spesso negli ultimi tempi. Era la preferita di Louis, la curava in modo quasi maniacale e non usciva quasi mai con altre auto all'infuori di quella; era la sua chicca, il suo gioiello, una figlia o una fidanzata, e amava sfoggiarla proprio come sfoggiava con un finto orgoglio le donne che lo accompagnavano agli eventi, talmente piene di gioielli da sembrare un gioiello loro stesse. Harry le odiava e invidiava tutte, nessuna esclusa, e solamente perché Louis stringeva la loro vita saldamente davanti alle telecamere, esibendole quasi come fossero una coppa vinta dopo una corsa automobilistica; in quei casi, Harry si sentiva lo champagne che veniva aperto e consumato addosso agli altri, bevuto solo al metà, superfluo e per nulla paragonabile a un premio d'oro.

Non parlarono per tutto il viaggio, nonostante il minore cercasse in tutti i modi di attirare l'attenzione di Louis canticchiando - volutamente e in modo udibile, un po' volubile - "We are young, heartache to heartache", accavallando le gambe, toccandosi lascivamente le cosce o semplicemente fissandolo. Tutto fatto inutilmente, perché Louis era testardo, teneva il suo sguardo inchiodato rigidamente di fronte a sé, i denti stretti e il sorriso di prima era diventato un'ombra trasparente.

Il riccio, però, non poteva sapere che il maggiore dentro aveva in corso una lotta. Louis era arrabbiato con Harry per il modo in cui si prendeva gioco di lui. Sapeva esattamente cos'aveva in mente, sapeva che stava ostentando sicurezza per dare l'impressione di avere in mano la situazione; lo conosceva, leggeva i suoi occhi e i suoi movimenti, o i suoi sorrisi impudenti. Quando la sera prima aveva ricevuto la sua foto mentre baciava di proposito una stupida ragazzina di diciassette anni con i capelli rossissimi e le lentiggini sulle guance bianche, si era sentito tradito e lo aveva maledetto dentro di sé fino a stancarsi. Non capiva per quale motivo Harry fosse in grado di influenzare in un modo così imbarazzante il suo umore, non lo comprendeva e non lo voleva nemmeno sapere. Era rimasto zitto, però, perché mostrandosi ferito avrebbe fatto il suo gioco, ma non ci sarebbe passato sopra come se nulla fosse. Lo avrebbe punito, questo era certo, perché Louis era costretto a mostrarsi con delle donne, Harry lo aveva fatto volutamente con il solo scopo di umiliarlo. Non era così che avrebbe ottenuto qualcosa da lui, ormai Louis pensava l'avesse capito. E anche se loro non stavano insieme come una coppia, anche se non si baciavano in pubblico e non si lasciavano mai andare all'amore per non sembrare fragili, Harry era suo e nessun'altro oltre lui poteva baciare le sue labbra.

Arrivato a casa, Louis parcheggiò l'auto dentro al suo garage, il portone si chiuse automaticamente dietro di loro con un tonfo metallico. Era un'enorme stanza buia con soltanto una luce al led sul soffitto; il cofano stava a una distanza di due metri dal muro bianchissimo, c'erano scaffali pieni di cianfrusaglie e vecchi premi calcistici risalenti al 2005 - Doncaster Rovers -, armadietti neri con dentro il necessario per riparare le auto. Poi c'era una porta che conduceva al piano superiore. Non viveva nessuno lì, a parte lo stesso Louis, ed Harry solitamente era l'unico a tenergli compagnia in quella casa vuota perché insieme riuscivano a riempirla in qualche modo, anche se non convenzionalmente.

Il minore scese e camminò lentamente, con le mani allacciate dietro la schiena, fino al muro vuoto e vi si appoggiò con le scapole. Osservò Louis sistemare lo specchietto retrovisore, spegnere la radio e sfilare le chiavi con un'accuratezza quasi ossessiva prima di aprire la portiera della decapottabile e scendere elegantemente. Il completo blu elettrico che indossava sotto lo spolverino ocra gli donava terribilmente e accompagnava i suoi movimenti sottili; era formale, costantemente, e Harry aveva imparato a convivere con la sensazione di essere fuori posto nel suo maglione bianco oversize e i suoi skinny jeans neri.

Con altrettanta eleganza, Louis accarezzò il profilo della sua Austin-Healey sentendola liscia sotto i polpastrelli, per poi sedersi sul cofano, vicino a un fanale spento. Si inumidì il pollice - Harry si eccitò nel vedere il dito bagnato dalla punta della lingua - e cancellò una macchiolina di terra che sporcava la vernice verdazzurra. «Cos'hai raccontato a tua madre per oggi pomeriggio?» chiese al minore, tornando a guardarlo con i suoi occhi chiarissimi e limpidi. Aveva un velato sorriso, tipico di chi ha un'idea in mente che ancora non vuole rivelare.

Avrebbe dovuto capirlo subito quando lo vide sfilarsi la giacca ocra e lanciala nell'abitacolo della macchina, rimanendo in camicia e panciotto blu. Non era qualcosa che faceva spesso, ma Harry non vi diede particolare importanza perché era troppo assuefatto dalla voce del maggiore.

«Le ho detto che dovevo studiare con uno.» gli rispose vago, ma perdendo un po' della sua sicurezza. Di nuovo, aveva gettato la spavalderia per terra e ora la stava calpestando ripetutamente davanti all'uomo che lo faceva sempre vacillare. Aveva la gola secca, sembrava non riuscire a controllare il tono della sua voce e si rese conto che quel silenzio e quella tensione gli stavano facendo sentire un'adrenalina e un bisogno infernale di essere preso e sbattuto contro un muro senza passare per i preliminari. Gli bastava guardare Louis, e tutte le sue certezze tremavano vertiginosamente e venivano seppellite dall'odore del sesso che sembrava perseguitarli.

Una risata leggera spezzò il silenzio.

Le mani di Louis strisciarono appena sulla vernice con un rumore acuto, fecero leva sul cofano e lo aiutarono con una spinta ad alzarsi in piedi. Era alto tanto quanto Harry, i loro occhi alla medesima altezza attenti a osservare le loro mosse, a studiarsi e a scopare oscenamente con soltanto la fantasia. Due passi, pochi centimetri a dividerli e il maggiore appoggiò i palmi sul muro ai lati del capo del minore, che lo fissava socchiudendo un po' le palpebre senza mai spezzare quella peccaminosa sintonia che si creava ogni volta. I loro respiri si scontrarono con la pelle dell'altro, mozzati e incerti, mentre i loro fiati si mischiarono per la vicinanza. «Sei proprio un bambino cattivo, Harry.» sussurrò impercettibilmente, ma abbastanza forte da far tremare le spalle del riccio. Il maggiore amava quella magrezza, l'infantilità di quelle curve che dovevano ancora formarsi completamente; le adorava, adorava studiarle, toccarle, guardarle e morderle per lasciarvi dei segni scuri, o stringerle per lasciarvi impressi i lividi. Era giovane, splendido, sovvertibile e facile da sottomettere, e poi era incredibilmente testardo, Harry, talmente tanto da far impazzire il corpo e la mente di Louis che reagiva come una calamita alla carne calda ed eccitata del suo piccolo. Sentiva le vibrazioni, percepiva il suo piacere crescere dentro la sua pancia fino a fargli quasi male. «Davvero, davvero cattivo.» aggiunse, togliendo una mano dal muro per accarezzare con il palmo una guancia del minore, sentendola bollente. Quella piccola traccia di innocenza, il rossore sulle gote, gli diede alla testa. Diciotto anni e così... Louis non riusciva a trovare una parola adatta per definirlo. Avvicinò il viso all'incavo di quel collo candido e pallido, vi tracciò una linea invisibile con la punta del naso, annusando l'odore fresco della pelle. «Racconti bugie, baci altre ragazze...scommetto che quando non ci sono fai entrare qualche maschietto dalla finestra. Non sei affatto bravo, Harry. Dovrei farti rigare dritto una buona volta.»

Ovviamente, Louis non lo pensava veramente, ma la gelosia è un mostro dagli occhi verdi che si specchiava in quelli smeraldini di Harry, in quel momento dilatati oltre ogni logica. Preso da una scarica di piacere, mosse il bacino impercettibilmente. Era stata una scossa, una ricerca spasmodica di una frizione prima di portare una mano alla patta dei jeans.

Louis era certo dell'erezione stretta nei pantaloni che implorava di essere soddisfatta.

«Forse dovresti punirmi.»

Il tono strozzato di Harry lo fece gemere perché avvertì quella parola come una richiesta, non come un dovere. Era un Dovresti punirmi ansimato, ma sembrava di più un Puniscimi per favore carico di una voglia senza tempo. «Non toccarti, o cambierò idea.» Louis lo capiva perfettamente, capiva la necessità, il bisogno, l'urgenza, tanto da avvicinarsi un altro po' al corpo del minore, quando lo vide togliere la mano dal cavallo, per infilare inavvertitamente un ginocchio tra le sue cosce magre e sfregando la stoffa rigida dei jeans. Lo vide portare indietro il capo, battendo la nuca contro la parete, e gli morse la carne sotto il mento per poterlo sentire distintamente fremere sotto di lui, sensibile e vulnerabile. «Comunque hai ragione, dovrei punirti...» lo assecondò, sorridendo nel vedere il segno rosso dei denti sulla pelle chiara. Era così fragile e giovane. «ma al momento qualcuno vuole le tue attenzioni e non ho intenzione di negargliele.» alzò il volto per guardare Harry abbassare gli occhi e mordersi le labbra alla vista del rigonfiamento nei pantaloni del maggiore, che si strusciava appena sul fianco dell'altro per fargli capire quanto voleva un po' di sollievo. «Potrei farti pagare pegno. Poi ti punirò in modo esemplare. Ti scoperò talmente forte che non riuscirai quasi a camminare.» sussurrò, e l'idea a Harry parve piacere perché le sue iridi brillarono e si allontanò leggermente da Louis per camminare verso la porta della casa. Questo, però, lo prese per il polso e rimase fermo, immobile. Aveva altro in mente per loro. «No, piccolo. Facciamo tutto qui.»

Harry strabuzzò gli occhi, convinto di non aver sentito bene. Non capiva le sue intenzioni, non ci trovava il senso. «In garage?» chiese, stizzito e contrariato. Non era per nulla convinto e forse era inorridito, quella stanza non era nulla in confronto alla camera da letto di Louis, enorme e spaziosa, con un letto a baldacchino che sarebbe potuto essere il teatro di un gang bang.

Louis lo ammonì alzando l'indice con fare intimidatorio e autoritario. Inutile dire che Harry si zittì. «Più educato, piccolo, o mi costringerai a punirti più a lungo.»

Deglutì, ma non per paura. «In garage, daddy?» ripeté il minore, lasciandosi trascinare per un braccio sempre più vicino alla macchina con la sua vernice opalescente e lucida. Louis si sedette di nuovo sul cofano, le gambe aperte abbastanza da lasciare spazio a Harry per inginocchiarsi nel mezzo. Aveva la sua solita aria strafottente a renderlo incredibilmente irresistibile, si poteva sentire il suo profumo sin dentro le ossa e le farfalle parvero invadergli lo stomaco con furia.

Ormai, al minore le idee stavano diventando più chiare e nitide. Aveva un leggero dolore alle rotule da tre giorni per l'allenamento di calcio con la scuola - voleva essere bravo per il suo daddy, voleva fosse orgoglioso quando presenziava alle sue partite -, ma per Louis avrebbe potuto sopportare anche quello pur di succhiarglielo.

«Ho sempre sognato di prenderti sulla mia Austin-Healey, baby.» ammise il castano, con un sorriso furbo mentre lasciava le dita di Harry per slacciarsi i pantaloni morbidi color blu elettrico. Il rumore della cinta era qualcosa che fece sentire il riccio ancora più smanioso di abbassarsi e annusare l'odore mascolino della pelle sensibile di Louis, il quale gli ordinò, con tono caldo e suadente, «E ora...giù, piccolo. Fai vedere al tuo daddy cosa sei in grado di fare.»

Harry si morse le labbra, ma attese. Lasciò che il tempo trascorresse con lentezza, sentendolo rintoccare nelle ossa, perchè aveva bisogno di qualche minuto per guardare Louis e perdersi nella bellezza di quel fisico longilineo quasi disteso su un cofano, e questo, nonostante fosse impaziente, nonostante non aspettasse altro che quel momento dalla sera prima, non gli mise fretta e si lasciò osservare.

Senza pudore o discrezione, Harry guardava il suo uomo che si toccava languidamente l'erezione coperta dai boxer, un braccio dietro di lui a fare leva sull'auto. Se non fosse stato già completamente assuefatto, lo sarebbe di certo diventato in pochissimi secondi soltanto davanti a quella visione che oscurava tutto il resto per splendere con prepotenza ed egocentrismo, come un faro in una notte buia. Era un'immagine onirica che ogni volta, prima del sesso, Harry si imprimeva bene nella mente: la pelle delle guance di un colore più acceso per l'odore che si diffondeva lentamente nell'aria, gli occhi quasi blu e profondi come un mare in tempesta, la bocca schiusa arrossata per gli ansiti. L'unica cosa che voleva vedere di più, però, rimaneva sotto quel bavero bianco, strettissimo, ricamato leggermente con delle piccole passamanerie nel bordo. Aveva fissato bene, quel colletto e la prima cosa che fece, ancor prima di abbassarsi con i suoi soliti modi da sgualdrina tra le cosce divaricate di Louis che, smaniose di accoglierlo, si aprivano sempre un millimetro in più quando avanzava di un altro passo, fu sbottonare con le sue dita laboriose il panciotto blu. E in fine, sempre con lentezza, si dedicò alla camicia bianca di lino.

A poco a poco sempre più pelle uscì allo scoperto. Era liscia, morbida, tenera in alcuni punti e più dura in altri, ma la cosa più spettacolare erano i tatuaggi che la ricoprivano, segni neri che il riccio avrebbe voluto baciare subito e percorrere con la lingua umida. Nel petto c'era una frase che si era fatto imprimere pochi mesi prima - "It is what it is" in onore dei Lifehouse - e il numero 70 di cui non aveva mai rivelato il significato. Nelle braccia era pieno di moltissimi altri disegni, perché Louis era intrappolato nella sua vita, ma il corpo rimaneva l'unica cosa che nessuno poteva toccare e lo usava come una tela su cui imprimere ogni piccolo passaggio della sua vita.

Quando con la bocca Harry lasciò un bacio bagnato nello sterno del maggiore, questo scattò per l'eccitazione pulsante che lo dilaniava e gli faceva perdere i sensi.
Era sempre più impaziente.

Dopo l'ultimo bottone, proprio come aveva promesso con lo sguardo all'inizio, Harry si inginocchiò, la schiena perfettamente dritta e in asse, gli occhi verdi liquidi e fissi su quelli di Louis con una leggera provocazione malcelata dietro un'ombra di infantilità. C'era un magnetismo indistinguibile e che pareva nascere, crescere e morire in quei momenti di silenzio e tensione. I loro respiri erano in sincrono, le loro mani si muovevano senza una meta precisa, smaniose di avere di più e insaziabili anche quando sembrano averlo ottenuto; i palmi di Harry si strusciavano sulle gambe coperte di Louis, arpionando la cintura e spingendo come un bambino capriccioso verso il basso l'indumento per spogliarle definitivamente, mostrando la carne debole. Non voleva accarezzare stoffa, non voleva toccare il tessuto di un indumento inutile, ma la pelle nuda del suo daddy, che si protese verso di lui, prendendogli il viso tra le mani.
Una strana dolcezza, prima del sesso. Era qualcosa di incredibilmente illogico, innaturale, forse sbagliato. Un bacio a fior di labbra, uno strusciamento lascivo di petali rossi e ustionati per i morsi. Le loro bocche collisero, smaniose, e si schiusero per lasciare che le lingue si incrociassero e succhiassero avidamente. Le dita di Louis si intrecciarono ai capelli ricci e folti di Harry, stringendoli con forza e spingendo la sua testa più vicino. Avvertiva la passione, il fuoco ardente crescere dentro di lui e infiammargli la schiena, le braccia, le gambe; la sua testa era appannata, le inibizioni in frantumi mentre gemeva per le lappate di Harry sul suo labbro inferiore. Si sentivano succubi a tutto quello, con le palpebre serrate, i respiri sempre più pesanti, dei sussurri a trapelare dal quell'incastro di pelle e sesso che li teneva vivi e insaziabili.

Quando si allontanarono, Harry gli strinse le rotule e aprì i suoi occhi lucidi, desiderosi e con una minima parvenza di innocenza che non lo abbandonava mai.

«Ora non fare il timido, so che lo vuoi.»

Ed era vero: Harry lo voleva più di ogni altra cosa. Voleva quel lieve sapore di sudore e sapone in bocca, voleva che Louis gli tirasse i ricci per la foga di scoparlo fino in fondo alla gola, e voleva sentirsi elogiare per il suo lavoro, per le sue labbra arricciate, per le sue guance incavate e per gli occhi bagnati dallo sforzo.

Perciò, smise di guardare il maggiore. Fissò i suoi occhi nel membro duro, coperto ancora da quello stupido paio di boxer scuri che gli avvolgevano i fianchi tondi. Non li voleva, erano una presenza indesiderata in un momento dove le nudità erano essenziali. Strinse i bordi con due dita, dove la stoffa era più spessa, e li abbassò lungo le cosce chiare, con meno lentezza e più irruenza di prima, il bisogno insostenibile di dare inizio a quella danza che sembrava struggerli e tenerli prigionieri entrambi. L'erezione svettò con evidenza, la punta rossa e lucida completamente scoperta e sensibile. Harry voleva a tutti i costi essere bravo per Louis, voleva sentirlo gemere soddisfatto, e voleva sentire il sapore del suo seme sul palato.

Voleva essere bravo per il suo daddy.

Si avvicinò, muovendosi sulle ginocchia ancora coperte dai pantaloni, e percorse con la punta del naso l'intera lunghezza dell'asta. L'odore di uomo gli entrò dentro e lo scosse sino ai lombi. Un dolore primitivo sembrò svegliarsi e ruggire d'impazienza nella sua pancia, mentre una bramosia che non sapeva controllare lo colse all'improvviso, sconvolgendolo. Le sue mani accarezzarono le cosce di Louis e le graffiarono leggermente; ricevette un apprezzamento, una carezza ai ricci dal maggiore, che lo guardava con le labbra lucide e gli occhi arrossati, una vista che fece pulsare il bassoventre di Harry, ancora costretto nei duri e rigidi jeans.

Un ansito, qualche altro secondo per godere dell'attesa che li aveva soggiogati e Harry inglobò l'intero membro duro, cogliendo Louis di sorpresa e facendolo sospirare percettibilmente. Non perse il contatto visivo con lui nemmeno per un attimo; occhi negli occhi, facevano sesso con il corpo e forse anche un po' l'amore con il paesaggio delle loro iridi. Non voleva perdersi la sua schiena arcuata, il suo viso contratto per il piacere, le palpebre schiuse, gli ansiti, gli spasmi più forti che diventavano a poco a poco più difficili da tacere. Lo faceva di proposito, Harry lo sapeva, lo capiva perché a ogni parola strozzata, a ogni imprecazione, i pantaloni si stringevano sempre di più sulla sua intimità. Si geme senza contegno per provare più piacere, ci si fa male perché il dolore amplia il desiderio e lo rende meno velato e più vivo; il sesso è un gioco che si fa in due e l'obbiettivo da raggiungere per vincere è perdere e far perdere il controllo. Harry viveva con queste nozioni da quando si fece scopare da Louis in quel sudicio bagno ed era così che aveva scoperto quanto il suo tenere tutto dentro non gli permettesse di godere al massimo delle capacità. Con qualche spinta violenta, con qualche morso, con qualche schiaffo, con qualche urlo tutt'altro che silenzioso, Louis gli aveva fatto scoprire quanto potesse essere meravigliosamente infernale e maledettamente paradisiaco il sesso.

La sua lingua si muoveva languida lungo tutta l'erezione, roteando. Si strusciava, percorreva le vene sensibili che spiccavano dalla pelle chiara e tesa. Louis gli spingeva il capo, dandogli un ritmo preciso che lo faceva sentire talmente vicino da cedere alla necessità, ma poi si fermava e lasciava che Harry si allontanasse per scendere con le labbra alla base, sui testicoli che di tanto in tanto accarezzava morbidamente con le dita, attento a non fargli male. Il vantaggio del sesso tra uomini è la complicità di due persone che conoscono la propria anatomia a memoria; sanno cosa piace, cosa non piace, cosa provoca dolore, fastidio, cosa è insopportabile, cosa invece fa impazzire. Il sesso è fondamentalmente ripetitivo e banale, ma due uomini con il medesimo corpo e una passione bruciante al punto da farli sentire avvolti dalle fiamme trovano sempre qualcosa di nuovo, persino nella routine.

Harry stava percorrendo l'intera asta con la punta della lingua, frizionandola con il palmo della mani, quando una goccia degli umori del maggiore gli bagnò il glande. Con le sue labbra rosse come boccioli, il minore lo avvolse, succhiando quasi affettuosamente e con curiosità e assaggiando quel sapore che in realtà conosceva a memoria. «Sei così buono, daddy.» sussurrò, il fiato si infranse sulla pelle sensibile del maggiore che reagì con un gemito strozzato.

Non era certo di voler continuare. Sulla bocca del minore stava talmente bene che sarebbe potuto venire da un momento all'altro e senza controllo, ma non era quello ciò che aveva intenzione di fare perché c'era di più di quello e lo sapevano bene entrambi. Stava per dirgli di alzare il capo, dirgli che era stato bravo e che ora toccava al passo successivo, ma nuovamente la lingua di Harry percorse l'intero suo membro, ed era talmente tentatrice da soggiogarlo.

Si sentiva esplodere all'altezza del ventre, l'orgasmo ormai era vicino, lo percepiva talmente forte da fargli male. Gemeva e udiva Harry gemere a sua volta sopra la sua intimità. È qualcosa di incredibilmente trainante e traviante, il sesso; ti rende impossibile ragionare, vuoi tutto e subito contro ogni logica, giochi d'istinto una partita persa in partenza perché nessuno può resistere al desiderio di arrivare al traguardo prima di aver gareggiato con astuzia per accumulare punti. Ogni volta che il riccio scendeva, il respiro di Louis si mozzava in gola e si infrangeva, quando invece risaliva faceva roteare la lingua sul glande e si sentiva morire. Muoveva il bacino dentro a quella bocca senza nemmeno frenarsi, mentre Harry lo accoglieva senza fare storie, gli occhi verdi sempre puntati sul corpo tonico e snello del maggiore.

Nel primo momento di lucidità, però, non esitò e quando Harry si fermò per rilassare i nervi del collo, Louis gli prese il viso tra le mani, si abbassò su di lui e gli baciò le labbra teneramente, sorridendo stanco. Gli occhi del riccio erano liquidi e un po' spossati dall'eccitazione che sembrava corroderlo da dentro; si sentiva un po' in colpa, ma erano entrambi provati e sapeva che non mancava molto all'edonè. Voleva quell'orgasmo, ne sentiva il bisogno, ma sarebbe venuto dentro a un Harry ansimante che lo supplicava di prenderlo con più forza. «Sei stato bravo. Daddy sarà buono con te.» sussurrò sulla sua bocca rossa come una mela matura, mordendola e succhiandola piano. Il minore si aggrappò al suo collo per avvicinarlo ancora di più, le loro lingue si incontrarono, i sapori si unirono in uno solo e Louis poté sentire il gusto del proprio seme tra le labbra del riccio che gemeva vergognosamente il suo nome tra un bacio e l'altro. Era inebriante, meraviglioso. «Dio, piccolo. Ora alzati.» gli ordinò, allontanandosi e guardando il corpo acerbo di Harry sollevarsi sulle proprie gambe incerte, barcollando un po' sui suoi piedi che calzavano delle All-Star quarantatré e mezzo. Era indolenzito, lo leggeva nei suoi occhi verdi. «E pensare che con quel maglione sembri quasi innocente. Ti fotterei con solo quello addosso, il bianco ti dona così tanto, baby.»

Il minore chiuse gli occhi per quel "Ti fotterei" che lo aveva colto alla sprovvista. I pantaloni gli stringevano talmente tanto da fargli male. Non toccò i bottoni, non toccò la zip, non si sfiorò nemmeno nonostante ne sentisse il bisogno; sapeva che se lo avesse fatto Louis lo avrebbe rimproverato per essersi dato piacere da solo, senza il permesso del suo daddy. Teneva le braccia lungo i fianchi, le dita strette a formare due pugni stretti, il respiro affannato, l'erezione premuta sul fianco che pulsava in modo quasi frustrante.

Dal canto suo, Louis si sentiva esplodere. Esattamente come Harry, non era soddisfatto, ma una promessa era una promessa, e si era promesso che lo avrebbe punito per il giorno prima e la sua mano prudeva già dal desiderio di poter finalmente toccare la pelle chiara delle natiche di Harry.

Non era la prima volta, ma nonostante questo era sempre così bello da sembrare tale. Il dolore amplia il piacere, lo dilata e lo rende sensibile tanto quanto è sensibile la pelle arrossata e tumefatta da un colpo di frusta. Questo Louis lo aveva insegnato pazientemente a Harry che, come un bravo studente, aveva assorbito e imparato con la pratica. La prima volta era stata tre mesi prima, quando il minore lo aveva fatto arrabbiare; si era comportato in modo geloso e imbarazzante, aveva fatto una scenata all'una di notte davanti a casa sua minacciandolo di raccontare di lui ai giornali locali. Non stavano insieme, non c'era nulla da dimostrare e non doveva esserci possessività, o divieto, o proibizione - o almeno, così diceva nonostante lui stesso non rispettava il suo stesso pensiero -, e per questo Louis aveva trovato in quella stupida situazione un pretesto valido per punirlo, per fargli conoscere quel lato celato del sesso, quell'angolo buio che contemplava la fisicità sotto un altro aspetto nascosto con pudore perché considerato malsano e irrazionale. E, come si aspettava, Harry ne era rimasto sconvolto.
Al ricordo, il polso di Louis fremette. Si alzò e slacciò lui stesso i pantaloni del minore, chinandosi per sfilarglieli e sfilargli anche le scarpe. Stava facendo la parte del padre che spoglia un bambino innocente, nonostante Harry ne vestisse soltanto i panni: di innocente, lui, non aveva nulla se non l'aspetto. Le gambe nude erano magre e bianchissime, con della peluria castana a creare delle ombre fitte su tutta la superficie. Le accarezzò, a partire dalle caviglie, ai polpacci, fino alle cosce, per poi rifare il tragitto inverso. Posò le labbra sulle ginocchia, le baciò, mordicchiò la pelle secca sopra le rotule e leccò una vecchia cicatrice che si era fatto durante una partita di calcio persa miseramente.

Dei gemiti si fecero più distinguibili in quel silenzio.
Per Harry, vedere Louis sotto di lui era sempre un colpo al cuore. Lo sguardo malizioso era ciò che preferiva nel suo viso, insieme al sorriso sornione sulla bocca fina; era bellissimo in ogni momento e in ogni situazione, tanto da fargli mancare il respiro e rivoltare il cuore. Si morse la lingua per costringersi a non muovere un muscolo. Doveva rimanere fermo, immobile, succube all'uomo che era stato salvatore e rovina nello stesso tempo.

«Sei stato bravo, Harry?» chiese Louis contro la pelle chiara e rosea. Il riccio non rispose, ma perse leggermente l'equilibrio. Il maggiore alzò lo sguardò per vederlo e rimase sconvolto dalle labbra schiuse, aride e crepate al centro. «Sei stato bravo ieri sera?» insistette, alzandosi lentamente, facendo strusciare i palmi aperti lungo tutto il suo profilo, bollente nonostante l'ambiente freddo, e fermandosi a stringere i fianchi stretti e magri.

«No, daddy.» ammise infine, avvolgendo le braccia attorno al collo di Louis e strofinando il viso sull'incavo del collo. «Non sono stato bravo, scusa.»
Louis sorrise, soddisfatto e forse un po' intenerito, ma non voleva farsi toccare dalla dolcezza in quel momento, nonostante - ma non lo avrebbe mai ammesso - gli scaldasse un po' il cuore. Con le dita scese alle natiche e le strinse sopra alla stoffa dei boxer grigi di Harry. «Non sei stato bravo per il tuo daddy

Un sussulto. «No.»

«Eppure» insistette. «ti ho sempre chiesto di essere bravo per me.»

Harry non rispose e tremò un altro po' addosso al petto del castano, che esteriormente rimase impassibile e continuò a stringere sopra l'indumento la carne calda.
«Sai cosa meritano i ragazzi cattivi?» Il minore gemette quando sentì il tessuto della sua biancheria sollevato quasi fino i fianchi per scoprire i glutei. Gli faceva un po' male alla pelle più sensibile, ma non si ribellò. «Lo sai, Harry?»

Il minore si sentì mancare, ma Louis voleva una risposta e non l'avrebbe toccato come avrebbe voluto senza prima ricevere una risposta da lui. «Una punizione, daddy?» chiese con un tono di sottomissione che fece eccitare persino se stesso. Un fremito e un bisogno di chinarsi si fece largo dentro di lui con la forza di un'onda sismica; voleva ricevere la sua punizione, voleva le dita di Louis scontrarsi con le sue cosce chiare con il solo intento di arrossarle e renderle talmente vulnerabili da sconvolgerlo per un solo sfioramento, anche il più sottile e delicato.

«Allora devo proprio punirti.» sussurrò, e fu un piacere per le orecchie di Harry che si tesero, sempre più attente. «Sarò buono però. Sei il mio piccolo e so che farai il bravo per me.» aggiunse, graffiando la pelle morbida e liscia. Già immaginava il rumore della sua mano su quella porzione di carne bollente e pronta. «Il mio piccolo Harry.»

Il minore ansimò ancora, ma non solamente per i brividi che lo stavano spezzando dentro e fuori, o per la passione che sembrava volerlo divorare da un momento all'altro. Era suo, glielo stava ripetendo, ed era l'unica cosa che Harry voleva veramente nell'ultimo periodo, dove ogni sua emozione cambiava e mutava in funzione di Louis. Si lasciò allontanare, spogliare anche del maglione. Era quasi completamente nudo, i tatuaggi che si era fatto imprimere sul petto - senza il permesso dei suoi genitori - spiccavano sulla pelle bianca, due rondini bellissimi che per lui avevano sempre avuto un significato importante. Si lasciò spingere sul cofano della macchina con una pressione un po' rude tra le scapole. Vi si appoggiò con le mani e rimase in ascolto, la schiena tesa e i nervi pronti a cedere alla necessità di essere toccato. Aveva freddo, ma non lo sentiva veramente, era come se stesse vivendo un'esperienza extracorporea e la pelle d'oca che si creò sulle sue braccia non fosse dovuta agli spifferi che provenivano dal vento fuori, ma dalla percezione del corpo di Louis dietro di lui. E probabilmente era così. Lo sentiva vicino e lo voleva con ogni suo senso iperattivo, non gli importava se dolce o rude.

Sentiva il membro duro, la voglia di masturbarsi, la voglia di gemere oscenamente su quella Austin-Healey che non era niente più che una spettatrice in quel momento.
Ma, ancor prima di tutto quello, voleva Louis, che gli tolse anche i boxer facendoli scivolare lungo le cosce prima di allontanarsi di nuovo per un tempo che a Harry parve interminabile.

Il primo colpo arrivò quando meno se lo aspettava e vibrò fin dentro alle sue viscere come un dolore primitivo, grezzo, indomabile. Uno schiaffo non troppo forte, con l'intera mano aperta come una stella, lo fece trasalire. Non sentì niente più che un fitta sulla natica destra, un pizzicore accennato che aumentava attimo dopo attimo diradandosi lungo la schiena. Le sue gambe cedettero un po', per la sorpresa forse o perché si sentiva instabile in quel momento. Gemette, gli occhi chiusi, l'erezione pulsante, la lingua tra i denti. «Ancora, daddy.» ansimo, muovendo il bacino in una richiesta inequivocabile. «Puniscimi ancora.»

La vista di Louis si appannò. Era dietro Harry, il membro svettante a una breve distanza e desiderava lasciar perdere i convenevoli e prenderlo immediatamente, ma non lo fece perché quella parte punitiva lo faceva sentire bene. Il rossore si stava estendendo a macchie leggere sulla pelle bianca e quello non era abbastanza: un colpo era ovviamente troppo poco. Lo accarezzò lascivamente, osservandolo con i propri occhi azzurri, e poi nuovamente lo schiaffeggiò con più forza, non attendendo più di mezzo minuto tra un colpo e l'altro. Harry gemeva, Louis si sentiva esplodere. Non poteva sentirlo e rimanere indifferente; più gli ansiti del minore diventavano frequenti più avrebbe voluto lasciarsi andare e fotterlo, ma allo stesso tempo più avrebbe voluto sculacciarlo. Era meraviglioso il modo in cui si sentiva in sintonia con lui, in quei momenti dove tutto puzzava di sesso.

Ogni colpo emetteva un rumore che rimbalzava su tutta la stanza. Non c'era mai stata un'acustica simile nelle altre camere della sua casa, e più la sua mano si scontrava con la pelle di Harry più il suono rimbombava sulle pareti.

Il dolore accentua il piacere e lo rende più grezzo e primordiale. Lo assaggi tre volte e non torni indietro; è come la droga, che la provi per caso e poi cominci a prenderci confidenza. Ma la droga fa male al corpo, il sesso ti trafigge lo spirito e ti fa sentire sporco, sta a te decidere se la sensazione ti piace o ti fa sentire vile e orribile.
Alla sesta sculacciata, Louis si avvicinò alle natiche di Harry. Appoggiò il suo membro sulla mezzaluna, ad aderire al punto da sentire le frizioni colpirlo come sferzate intense mentre si chinava sulla schiena nuda e flessuosa del riccio. Gli lasciò un bacio sulle scapole e gli diede un altro colpo, lo sentì arricciarsi e accucciarsi percettibilmente sotto di lui, accartocciarsi su se stesso per poi stendersi nuovamente alla ricerca di qualcos'altro. Succhiò la pelle sopra a una vertebra e colpì un'altra volta. La sua mano iniziava a fargli un po' male.

«Di più.» la voce di Harry raggiunse le orecchie tese di Louis, che mentre scendeva a baciargli il corpo gli morse un fianco prima di rimettersi dritto e vedere il volto sconvolto del minore girarsi nella sua direzione. «Ti prego, daddy. Di più. Ho bisogno di... Cristo! Di più, ti prego!»

Era insaziabile. Dopo cinque mesi immersi in quella storia intrecciata di sesso e quel qualcosa di più che non sapevano - o che temevano - definire, il piccolo Harry rimaneva sempre assolutamente insaziabile. Anche quando Louis era irruento, maledettamente egoista, prepotente e gli faceva male, il minore chiedeva sempre qualcosa di più. Era una sfida, probabilmente, un modo per dimostrargli che nonostante amasse sottomettersi a lui, rimaneva sempre consapevole di quanto il dolore lo facesse sentire vivo sotto al corpo di Louis.

Con l'erezione ancora tra le natiche del minore, ricominciò con un altro schiaffo. Il bacino di Harry si muoveva e strusciava di tanto in tanto sull'asta che sentiva dietro di lui, per incitare Louis a proseguire forse, o perché lo eccitava sentirlo così addosso a lui, pronto per prenderlo da un momento all'altro.

Sentiva l'aria farsi più pesante e la voglia del passo seguente farsi largo nella pancia di Louis, che si portò tre dita sulle labbra e le succhiò avidamente, mentre l'altra mano a stella scendeva a lasciare un altro segno sulla carne disponibile e già in fiamme di Harry. Lui si muoveva, si strusciava, muoveva i suoi fianchi con sempre più fretta, fino a quando non si sentì stringere con forza fino a fargli quasi male.

Due dita affusolate si fecero largo dentro di lui senza avvisarlo, sforbiciando e penetrandolo ripetutamente. Il minore non si lamentò, ma cacciò un sospiro più profondo e roco degli altri per la sensazione di improvvisa pienezza e completezza che lo stava mandando in estasi. Amava quella parte, quando Louis entrava a fare parte di lui in un'unica totalità, e la riteneva la migliore tra tutte quante le altre. Louis entrava in lui con le falangi, cercava il punto erogeno arricciandole e scavando più in profondità nell'intimità fisica del suo corpo, si curava di lui e allo stesso tempo lo schiaffeggiava con la mano libera per fargli toccare il vertice. Sarebbe venuto lì, sul cofano, se soltanto si fosse toccato il membro duro che sbatteva con frequenza tra le sue cosce; cercava con tutte le sue forze di non sfiorarsi, stringendo le dita in due pugni e spingendo il bacino verso la mano di Louis dietro le sue natiche.

Al terzo dito, Harry parve arrancare in cerca di aria come un pesce fuori dall'acqua. Ormai i suoi occhi erano serrati, nel buio poteva percepire ogni singola cosa con tutto il corpo. Percepiva l'odore di Louis che in parte sapeva di un profumo costoso che Harry non si sarebbe mai potuto permettere - anche se avrebbe voluto averne una boccetta da spruzzare sui propri vestiti qualche volta, percepiva i suoi respiri affannati e i propri quasi sincronizzati sulla stessa frequenza, percepiva anche il calore dei corpi vicinissimi.
E poi, percepì con chiarezza la voce.

«Sto per scoparti forte, piccolo.» gemette il maggiore, togliendo le dita lentamente e posizionando il glande sull'orifizio di Harry. «E tu urlerai da quanto ti piacerà.»
Harry avrebbe urlato anche in quel momento, come in qualunque altro. Avrebbe volentieri imprecato, mandato al diavolo qualunque altra cosa e si sarebbe spinto lui stesso sul membro di Louis, scopandosi da solo se solo ne avesse avuto la forza, ma era stanco e sensibile, un po' fragile. Lo voleva, ne aveva bisogno, la necessità di sentire le anche sbattere sulla sua pelle tumefatta e dolorante era vivida e si distingueva tra le mille altre emozioni e gli altri mille desideri, perché era qualcosa che lo faceva impazzire completamente. Era qualcosa a cui non riusciva a rinunciare: quando scopri ciò che ti piace fino a farti perdere il senno, questo diventa una dipendenza a cui non puoi semplicemente dire "No". Non poteva spiegarlo, Harry; non poteva spiegare perché traesse così tanto godimento nel suo male fisico, ma aveva capito che c'era una linea di confine incredibilmente sottile tra piacere e dolore e lui l'aveva distrutta, viaggiando esattamente nel mezzo.

Si sentì riempire di nuovo, ma completamente. Il dolore lo accecò per un attimo in cui urlò per la sorpresa con parte del fiato che gli era rimasto. Louis lo spaccò in due, una parte che supplicava di smetterla, l'altra che gemeva al solo pensiero di continuare. Gli ilei sbatterono sui suoi glutei con irruenza, e poi ancora, e un'altra volta ancora, ogni volta che Louis si muoveva facendosi largo nella sua apertura. Era continuamente e costantemente senza fiato. E poi uno schiaffo, e un altro ancora ad accompagnare le spinte, gli schiocchi delle loro pelli che si scontravano. Era un insieme di più elementi che parevano combaciare tra loro, perfettamente, incastrandosi, creando un puzzle di sensazioni con le medesime tonalità di uno splendido tramonto. C'era intimità, nonostante un piccolo distacco dovuto a quel gioco di ruolo che ogni tanto si divertivano a fare. Daddyspingeva con l'intento di punirlo, Harry si lasciava scopare con quell'irruenza meravigliosamente incredibile e ne traeva le parti più belle.
La profondità di tutto quello sfuggiva a loro come per prenderli in giro. Era davvero solo sesso? Se solo si fossero soffermati un attimo, lo avrebbero capito loro stessi. Il modo rude con cui si possedevano era una finestra serrata e sprangata che si affacciava alla realtà dei fatti. Se fosse stato solo sesso, perché i loro cuori impazzivano quando si guardavano negli occhi durante i loro incontri?

Gli schiaffi si facevano più forti, la mano di Louis prese a bruciargli notevolmente. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla schiena meravigliosa e tesa del riccio, che sembrava curvarsi a ogni penetrazione. Era qualcosa di impressionante quel corpo, armonioso, bello da fare invidia a chiunque, perfino a Louis che per quanto riguardava la fisicità era di gusti difficili. Non smetteva mai di stupirsi, c'era sempre qualcosa che gli faceva mancare il respiro, che lo costringeva a fermarsi e pensare "Dio, Harry è mio e si sta donando a me ancora una volta".

Si bloccò all'improvviso, la voglia di quegli occhi verdi a fendere nel suo petto. Se fosse stato solo sesso, perché Louis sentiva bisogno del viso di Harry per sentirsi bene veramente?

«Voltati, piccolo. Voglio guardarti.»

Harry si lamentò, stanco e allo stremo, ma si voltò per vedere le iridi attente e azzurre di Louis osservarlo in tutta la sua nudità. Non si vergognava, ma in alcuni momenti quegli occhi profondi lo facevano sentire più spoglio di quanto già non fosse e lo dilaniavano nel profondo, lasciando che mille e altre emozioni riaffiorassero dalla sua pancia per raggiungere ogni parte di lui.

Le mani del maggiore non lo schiaffeggiarono più, ma accarezzarono il suo busto con dolcezza. Non smisero più di guardarsi, si baciarono lievemente e Harry si sentì morire per quella premura che non si rivelava spesso in quei momenti. Era qualcosa che gli mancava terribilmente; amava quando Louis era rude e autoritario, quando si imponeva su di lui sottomettendolo, ma forse amava anche quella dolcezza che talvolta sembrava ancora più sconosciuta dell'intimo affetto stesso. Si lasciò cullare per un po' e in fine le dita di Louis strinsero la sua erezione con protezione, mentre rientrava dentro di lui con meno forza, senza l'intento di fargli ancora del male ma, anzi, curarlo. E se il sesso è privo di sentimento, Harry non avrebbe potuto descrivere quel momento come del fottutissimo e sporco sesso. Le loro iridi erano legate, incatenate in un nuovo paesaggio costellato di vegetazione meravigliosa, e c'era quella variabile sfuggente in più che loro non avevano mai considerato, ma che sembrava maledirli e benedirli allo stesso tempo.
Il fatto che Harry venne pochi minuti dopo sulla sua pancia, scosso dai brividi e senza fiato, era soltanto un'altra conferma a quella teoria che non osavano pronunciare: è forse amore questo?. Non voleva rispondersi per paura della risposta che comunque era evidente, ma che lui evitava. E se fosse amore e lui non ricambia?.

Louis riversò i suoi umori dentro al minore, per poi stendersi su quel corpo bollente, steso sulla schiena sopra alla sua Austin-Healey. Non lo disse ad alta voce, ma la sua mente iniziò a rimuginare sul fatto che in quel momento aveva tutto ciò che voleva in quella stanzetta angusta. Si sentiva stupidamente romantico.

Rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri che - loro non potevano saperlo - erano gli stessi. Amore e sesso, un'altra linea sottile, come il piacere e il dolore e le altre mille sfaccettature.

Era ancora affannato, Harry, quando parlò. Aveva il viso rosso, gli occhi stanchi e socchiusi, le labbra rosse e screpolate. «Ammetti che avevi paura sporcassi la tua macchina.»

In realtà, però, quell'idea non aveva sfiorato la mente di Louis nemmeno per un secondo, che inizialmente non poté che strabuzzare gli occhi prima di capire ciò che intendeva dire.

Sorrise, enigmatico, decidendo che mentire era la cosa migliore da fare per loro. «Si, è proprio così.» rispose, quindi, baciando la bocca del minore con la propria, mischiando un'ultima volta i loro sapori prima di abbandonare quel luogo, teatro di un'intimità nuova nel suo genere. La realtà era che l'unica cosa che voleva veramente era poter vedere Harry godere delle sue attenzioni, delle sue carezze amorevoli che nascondevano pensieri più profondi e onesti, seppelliti da menzogne che lo avvelenavano.

E forse sotto sotto, il loro, era amore davvero.

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