𝒰𝒩𝒟𝐼𝒞𝐼
ARTEM
"Ero ingenuo,
pieno di speranza e perso
adesso ne sono consapevole
e guido i miei pensieri"
-The Neighborhood
𝐻𝒶𝒾𝓁𝑒𝓎 mi seguì nel vagone e si accomodò accanto a me. Mi sentii a disagio e feci del mio meglio per non farlo trasparire. Speravo ardentemente che non avesse udito il nome dell'amica, altrimenti sarei stato nella merda fino al collo. La situazione era imbarazzante e la sua attenzione costante su di me, mi metteva in ansia. Non ero sicuro di cosa avesse sentito e pensavo che il suo comportamento fosse volto a non farmi sentire a disagio.
Che figura di merda.
La settimana non era iniziata nel migliore dei modi. La vidi guardarsi attorno e poi rivolgere lo sguardo verso di me, con un sorriso che si dipingeva sul volto. -Allora? Com'è andata?- Rimasi perplesso e mi ci volle qualche minuto di riflessione per capire che si riferiva alla festa... e al mio nervosismo nel parlarle. Cosa stavo diventando? E per una ragazza che neanche conoscevo. -Beh... è andata- risposi con difficoltà poiché non ero nemmeno sicuro di cosa fosse successo.
-Che intendi? Ti ha ficcato un'unghia nell'occhio?- Deglutii. -Quasi- Hailey rise vivacemente e i suoi occhi si illuminarono; era diversa dalle persone popolari. Era estremamente gentile e le piaceva ascoltare, qualità che mancavano ai suoi simili. Trovai questa sua diversità strana e al contempo affascinante. -Tipico di Laetitia... scusa.-
-Per cosa?-
-Sono stata io a spingerti a parlarle, mi dispiace che abbia reagito così. Volevo solo aiutare.- Mi sentii in colpa e sentii il dovere di risolvere la situazione. La mia risposta era poco chiara e vaga; non volevo farla sentire in quel modo.
-Non ti preoccupare, non mi ha aggredito fisicamente... per fortuna. Ma non riesco a definire con certezza cosa sia successo.- Hailey si girò completamente verso di me sul sedile del treno, incuriosita, e appoggiò la schiena alla finestra. -Racconta- ed io così feci. Durante il racconto, mostrò interesse e sembrava contenta che l'amica non avesse aggredito il ragazzo. A quanto pare, era una situazione abituale e l'idea di chiederle il motivo mi intrigò. Ovviamente parlai senza pensarci, come al solito:-Perché si comporta così?- Hailey fissò i suoi occhi nei miei e io continuai. -Perché è così distante con tutti? Perché non permette a nessuno di avvicinarsi? Perché è così difficile conversare con lei?-
La ragazza di fronte a me abbassò lo sguardo sulle mani che aveva in grembo con aria pensierosa. Dopo qualche istante, le si delineò un sorriso, ma quella volta non raggiunse gli occhi. Era un sorriso amaro, malinconico e scosse la testa come se volesse trattenersi dal dire qualcosa. E per scacciare pensieri e ricordi a cui non ero autorizzato a conoscere, ma desideravo ardentemente, poiché ero certo che riguardassero lei.
-Laetitia ha attraversato un periodo davvero difficile, Artem. Davvero difficile. Penso di non averla mai vista così, ma credimi quando ti dico... che ho persino temuto per la sua vita.- Non distolsi lo sguardo dalle sue labbra mentre spiegava. La voglia di soddisfare le mie domande era intensa, ma quella risposta breve e vaga non mi bastava. -Che intendi, Hailey? Cos'è successo a Laetitia al punto da cambiarla così profondamente?-
La ragazza rimase in silenzio, lasciando lo sguardo vagare ovunque tranne che su di me. Non disse una parola e io bruciavo dalla voglia di saperne di più, ansioso poiché non rispondeva. -Hailey?- La chiamai ma lei continuò a ignorarmi, chiedendomi l'ora e riflettendo ad alta voce sulle previsioni meteorologiche. La mia rabbia cresceva di fronte alla sua indifferenza. Il treno si fermò e Hailey si alzò di fretta, superandomi per raggiungere l'uscita il prima possibile. Si voltò verso di me e io la guardai con espressione seria, deluso dal suo comportamento.
-Non spetta a me dirtelo. Passa una buona giornata, Artem.- Mi guardò per l'ultima volta prima di scomparire tra la folla di studenti che si dirigeva verso la scuola.
Restai perplesso ma compresi il significato delle sue parole. Si rifiutava di condividere informazioni senza il consenso dell'amica e da un lato lo comprendevo, poiché probabilmente avrei fatto lo stesso con Max. Tuttavia, dall'altro lato, sentivo la frustrazione mordere il mio petto e l'impazienza invadere tutto il mio essere. Quelle parole, anziché migliorare la situazione, l'avevano resa ancora più difficile e la determinazione nel svelare il mistero dietro quella maschera di ghiaccio era cresciuta. Ero consapevole che Hailey voleva che chiedessi direttamente a Laetitia, ma era quasi un evento raro riuscire a rivolgerle la parola. Era costantemente circondata da persone e quando finalmente riuscivo a trovarla sola, le conversazioni non andavano avanti. Sospirai e lasciai cadere la testa contro il sedile del treno, sconfitto dai pensieri e dalla situazione frustrante.
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Max mi strappò la sigaretta dalle dita per fumarla e io gli permisi di farlo. Era evidente dal mio atteggiamento passivo che qualcosa non andava. -Artem? C'è qualcosa che devi dirmi?- Eravamo sulle scale antincendio della scuola, la giornata stava volgendo al termine e la voglia di tornare a casa era pari a zero. Preferivo rimanere lì piuttosto che affrontare i litigi dei miei genitori, specialmente in un periodo di tensione come quello. Avevo già assistito a troppe liti fuori controllo e ne ero stanco. Inoltre, la mia mente vagava alla ricerca di risposte introvabili.
-No, Max.-
-Sì invece, dai racconta. Cosa succede? Problemi in famiglia?-
Sì, ma non solo... e purtroppo lo capì dal mio sguardo perso nel vuoto. Ero sopraffatto dall'ansia e sbuffai cercando di calmarmi. -Parlami, Artem... stavolta non nascondere o tralasciare dettagli, come fai di solito.- Era insolito veder Max così preoccupato e di conseguenza al suo calore e alla sua apprensione, mi aprì e gli raccontai tutto. Senza omettere nulla, dall'inizio alla fine. Più parlavo, più mi sentivo sollevato e compreso. Max mi ascoltò attentamente e mi sentii subito meglio. Ma solo all'inizio, poiché con una sola frase, il ragazzo distrusse tutto ciò che provavo o pensavo.
-Devi dimenticartela.- Lo fissai colto alla sprovvista e confuso. -Eh?-
Inspirò profondamente dalla sigaretta e la gettò nella siepe sotto le scale antincendio, poi fissò avanti, lasciando che una nuvola di fumo si disperdesse nell'aria, immerso nei suoi pensieri.
-Laetitia Martin? Devi avere un istinto masochista, amico mio, per fartela piacere.-
-Non ho mai detto che mi piace.-
-Non c'è bisogno, è evidente, Artem.-
-Ma la conosco appena.-
-Non è necessario conoscere a fondo una persona per sviluppare l'interesse, hai mai sentito parlare del "colpo di fulmine"?- Scossi la testa vigorosamente. -Ti sbagli, non mi piace. Forse sono solo attratto fisicamente o forse è solo un capriccio del momento.-
-Ma hai espressamente detto che vuoi conoscerla meglio e chi farebbe questo senza provare qualcosa?-
-Beh, forse... forse è solo curiosità? Soddisfazione personale nel saperne di più? O nel trovare risposte alle domande?-
-E tu hai questo stato d'animo Artem?- Non risposi e lui si avvicinò al mio viso, parlando con calma e serietà, facendo attenzione a pronunciare ogni parola chiaramente, per farmi recepire chiaramente il messaggio.
-Dici che non ti interessa, ma dalle tue parole dimostri il contrario. Non parli dei tuoi sentimenti ma posso leggerteli negli occhi. Tremi al solo pensiero di incontrarla. Sei interessato a lei e cerchi di conoscerla.-
-Lo farei con chiunque, sono solo curioso.-
-Non dirmi cazzate Artem, non a me, perché sai che non funziona.-
Restai in silenzio di fronte alle sue parole, confuso... non capivo perché vedesse qualcosa in me quando parlavo di lei, tanto da pensare quella stronzata. Non mi piaceva, non sapevo nulla di Laetitia, ed era praticamente impossibile prendersi una cotta per una persona così casualmente.
-Non sono d'accordo.- Gli si dipinse un ghigno sul volto mentre si appoggiava alla ringhiera. Inspirò profondamente e riprese il filo del discorso interrotto. -Il punto è che devi dimenticarla al più presto, perché forse non hai ben chiaro il quadro completo della situazione.- -E com'è il quadro, Max?-
Il suo ghigno si allargò e mi rimpicciolii sul posto, sapendo già quale sarebbe stata la sua risposta. Che nonostante ciò continuavo a negare.
-Laetitia Martin è la ragazza più bella e desiderata della città, Artem. Ha migliaia di persone che vorrebbero avvicinarsi a lei e tu pensi che possa degnarti di uno sguardo? Ti sto avvertendo prima che sia troppo tardi perché tengo a te e non voglio che ti faccia del male da solo. Inutile dire che l'abito non fa il monaco, perché è proprio così: il suo status sociale, la situazione economica, la scuola che frequenta e la cerchia di amici parlano chiaro. È solo una ragazzina viziata abituata ad avere tutto nella vita e a pretendere ancora di più. Ecco svelato il segreto del perché a nessuno è permesso avvicinarsi e del perché ignora tutti... superiorità, Artem. Credi che se un ragazzo del suo stesso livello o forse migliore si avvicinasse lo lascerebbe andare? Assolutamente no, fa la preziosa solo perché non vi reputa all'altezza. Quindi smettila di pensare che ci sia un significato profondo o una storia dietro ai suoi atteggiamenti, perché è solo fottutamente superba.-
Restai senza parole, completamente attonito. C'era una parte di me, una grande parte, che voleva dargli ragione e concordare con lui, appoggiare la sua opinione. Sarebbe stata la scelta migliore per proteggere i miei sentimenti e forse preservare la mia salute mentale. Poi c'era, anche se piccola, l'altra parte che prevaleva. Mi sussurrava di non prestargli ascolto e di andare oltre a quelle opinioni superficiali, fatte di dicerie e giudizi affrettati. Nel frattempo, continuavo a sperare che si sbagliasse.
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Salii i gradini che portavano all'interno dell'abitazione, stordito. Un po' per i pensieri, un po' per gli effetti collaterali dell'erba che avevo fumato in compagnia di Max. Il cervello non voleva smettere di riflettere e io non ne potevo più. Così, mi ero abbandonato molto volentieri all'influenza del mio migliore amico che mi aveva spinto a fumarne una. Avevo bisogno di svuotare la mente per qualche ora, di staccare totalmente e la canna era il miglior antidoto contro quel problema. Afferrai il pomello della porta e mi fermai prima ancora di aprirla al rumore di un piatto che si infrangeva contro il muro. Il battito cardiaco accelerò mentre entravo in casa e le voci si facevano sempre più chiare.
-Vai fuori di casa, non ti voglio vedere- gridò mia madre, lanciando un altro piatto contro papà, che a sua volta aveva iniziato a scagliare qualsiasi cosa trovava sopra il tavolo, sul pavimento. Iniziarono a insultarsi reciprocamente in ucraino e nonostante gridassi contro di loro, incitandoli a smettere, non mi ascoltavano.
Non l'avevano mai fatto, del resto.
La cucina era un disastro: sedie rovesciate, fogli e bollette sparsi sul tavolo, cocci di ceramica e vetro ovunque. Cassetti sfilati dai cardini, porte spalancate... sembrava una scena di battaglia presa da un film. Ma in quel momento non mi sentii un protagonista, bensì un estraneo a tutto ciò che stava accadendo intorno a me. Mio padre lanciò una sedia in aria e per poco non colpì mia madre in pieno; la strattonò e lei urtò il muro con la schiena, mugolando dal dolore. Notai le numerose bottiglie vuote di alcolici sotto al tavolo e mi venne un sorriso amaro. Erano entrambi ubriachi fradici e in quel contesto tutti i loro problemi venivano a galla, scatenando un litigio furioso. Ogni volta che bevono diventano aggressivi e purtroppo, bevono spesso. Quindi i litigi erano frequenti e violenti... e io non ne potevo più. Non era ancora chiaro il motivo per cui fosse scoppiata la lite, ma lo immaginai visto le bollette sparse qua e là. Come sempre, quando l'alcol scorreva nelle loro vene, i problemi venivano fuori e quelli finanziari erano in cima alla fottuta lista.
Papà mi fissò con gli occhi iniettati di sangue, uno sguardo che avevo visto fin troppe volte. Ed ogni volta mi provocava lo stesso brivido lungo la schiena, un brivido in cerca di fuga dalla situazione e avrei voluto essere al suo posto. Attraversò la cucina e uscì dalla stanza, spingendomi bruscamente con la spalla. Dopo qualche istante, il silenzio venne interrotto dal rumore della porta che si chiudeva con violenza.
Ancora sulla soglia della cucina, vidi mamma continuare a rompere piatti furiosamente e il mio cervello decise di tornare alla realtà e di riattivare il controllo sugli arti. Mi diressi in camera e chiusi la porta dietro di me. Ysabel era nascosta sotto le coperte e sospirai frustrato. Odiavo vederla in quel modo e odiavo quella situazione. Mi sedetti sul bordo del letto e le accarezzai la schiena, poi le diedi un bacio sulla testa attraverso le lenzuola.
-Tranquilla Ysabel, è andato via.-
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