VENTITRÉ

DORIAN

Il silenzio nella stanza è assordante. Denso, carico di tempesta. Rimango immobile al centro del mio studio con le mani serrate in pugni, il petto si solleva e si abbassa in respiri irregolari.

Lo stomaco è una morsa di rabbia pura, acida e velenosa. Le immagini scorrono nella mia mente senza controllo, alimentando la furia che mi divora dall'interno. Lei è salita su quella fottuta auto. Ha scelto di andarsene. Ha scelto di allontanarsi da me. Da me? Il pensiero mi esplode nel cervello come una bomba. Afferro il primo oggetto a portata di mano, una pesante lampada di vetro e la scaglio contro la parete con tutta la forza che ho. L'impatto squarcia l'aria, le schegge luminose si disperdono sul pavimento come frammenti di un'esplosione. Con un gesto violento spazzo via tutto ciò che ingombra la scrivania. Computer, documenti, bicchieri di cristallo e lo mando a schiantarsi sul pavimento con un tonfo sordo, seguito dal tintinnio dei vetri infranti. Il respiro mi si spezza in gola, avverto il battito martellante nelle tempie. Non mi fermo. Afferro la sedia di pelle e la ribalto con un calcio, il legno si incrina contro il tappeto. Poi con un gesto brusco afferro il bordo della libreria e la rovescio con uno strappo secco, facendo precipitare i libri in una cascata caotica. Il caos intorno a me è totale. Macchie d'inchiostro si mescolano al vetro rotto, le pagine strappate si sollevano leggere nell'aria, simili a cenere dopo un incendio. Il respiro mi brucia i polmoni. La mandibola mi duole per quanto la sto serrando.

La odio. Odio il fatto che mi sfugga. Odio il modo in cui mi consuma, come un veleno che non riesco a smaltire. Il mio sguardo si posa sullo specchio accanto alla porta. L'immagine riflessa è quella di un uomo in frantumi: occhi scuri iniettati di sangue, mascella contratta in un'espressione feroce.
Mi avvicino lentamente. Il cuore martella contro le costole, impazzito. E poi lo colpisco. Il pugno sfonda il vetro con un suono stridulo, le schegge mi tagliano la pelle ma il dolore è insignificante rispetto a quello che mi dilania dentro. Il riflesso si spezza. Resto lì con il respiro affannoso e con le mani coperte di graffi e sangue. Il disordine attorno a me è la perfetta rappresentazione del caos che ho dentro. Non basterà mai. Perché finché Hailey mi sfugge, questa rabbia non avrà fine. Devo calmarmi. Sto perdendo il controllo e questo non è mai un bene. Potrei davvero creare danni irreparabili e non posso permettermelo. Non posso permettermelo, cazzo. Una doccia fredda. È l'unica soluzione.

Mi volto per uscire dalla stanza e sulla soglia incrocio lo sguardo di mio padre. Mi osserva impassibile mentre alle sue spalle la domestica si copre la bocca con una mano, l'altra stretta attorno a uno straccio premuto al petto. Gli occhi di mio padre sono freddi, gelidi. Mi fissano in attesa che dica qualcosa. Probabilmente sono accorsi sentendo il fracasso degli oggetti infranti. Non ho pensato che ci fossero altre persone e che il mio sfogo potesse attirare l'attenzione.
Merda. Ci tengo che la mia reputazione di uomo impassibile, sarcastico e glaciale resti immutata.
Mantengo il contatto visivo con lui, il mio volto è privo della solita maschera di sarcasmo e lo supero urtandogli la spalla senza una parola. Il suo atteggiarsi a padre responsabile e autoritario mi fa quasi ridere. Sembra perfino convincente. Mi libero dei vestiti in pochi gesti e mi infilo sotto il getto gelido della doccia. Lascio che l'acqua scorra su di me lasciandomi avvolgere dalla sensazione pungente. La mia mente torna a lei. A quando Hailey aveva il privilegio di osservarmi attraverso la finestra che lasciavo appositamente aperta per lei. A quando eravamo ancora vicini prima che partissi per lavoro, prima che innalzassi muri tra noi per poi rendermi conto che la mia potenza era solo un'illusione senza di lei al mio fianco. Ed è questa consapevolezza che mi ha riportato qui. In questa città. Da Hailey.

Perché la mia esistenza ha senso solo nella sua presenza.

La osservai dormire. Avevamo avuto il nostro ultimo litigio solo qualche ora prima e lei ancora non sapeva che di lì a poco, sarei partito per l'estero per lavoro. Già... per lavoro. Avevo ricevuto quella proposta mesi prima ma l'avevo lasciata in sospeso. Per quanto il guadagno fosse tre volte superiore non volevo lasciare Hailey da sola per così tanto tempo. Sarebbe andata avanti con la sua vita, si sarebbe innamorata di qualcun altro e alla fine mi avrebbe dimenticato. E poi, sarei stato dall'altra parte del mondo: tornare sarebbe stato complicato se non raro. Quella distanza avrebbe reso tutto ancora più difficile. Così con il passare dei mesi avevo accantonato l'idea. Fino a quella sera. L'ultima discussione aveva spezzato qualcosa tra noi portandoci a un punto di rottura. Io e Hailey non esistevamo più. Non aveva senso restare in città quando l'unica ragione che mi tratteneva si era sgretolata. Forse era un gesto codardo. Forse stavo semplicemente scappando da ciò che avrei dovuto proteggere con ogni mezzo. Ma ormai niente aveva più senso. Nel sonno stringeva il cuscino ancora umido per le lacrime versate. Non sapeva che, all'alba, io sarei scomparso senza dirle nulla. Mi inginocchiai accanto a lei scivolando alla sua altezza e le sfiorai i capelli con un gesto istintivo, delicato. Avrei dovuto essere forte, alzarmi e andarmene in quell'istante. Ma qualcosa nel petto mi gridava di restare ancora per un'ultima notte. Mi passai una mano sul viso, poi tra i capelli. Dovevo farlo. Dovevo?

Mi rialzai lentamente inclinando il corpo e la osservai respirare nel silenzio della stanza. Merda. Feci il giro del letto, lasciai che le scarpe scivolassero sul pavimento e mi distesi sul materasso accanto a lei. Quasi ogni notte finivamo così, avvolti l'uno nell'altro, a prescindere da ciò che fosse successo durante il giorno. Che ci fossimo odiati, desiderati o ignorati, alla fine tornavamo sempre lì. La nostra era, ed è tuttora, una relazione sbagliata, una miscela tossica di repulsione e brama. Mi avvicinai con cautela e le cinsi la vita tra le braccia. Fu allora che lo capii.

Non avevo mai saputo cosa significasse sentirsi a casa fino a quell'istante.

Chiusi gli occhi e affondai il viso nel suo collo stringendola più forte. Strizzai gli occhi in una smorfia insofferente cercando di soffocare il nodo che mi serrava la gola. Io, Dorian Hunderson, avvertivo per la prima volta nella mia vita l'urgenza di piangere. Neppure quando mio padre mi picchiava fino a lasciarmi sanguinante sul pavimento mi ero concesso quel lusso. Piangere era debolezza. Ma Hailey... risvegliava ogni emozione sepolta. Si mosse appena e io la strinsi ancora temendo che potesse scivolarmi via. Sapevo che mi avrebbe odiato per tutto quello che le avevo fatto. Le sfuggì un lieve lamento, poi si girò lentamente tra le mie braccia. I suoi occhi si aprirono piano, confusi, illuminati solo dal bagliore lunare che filtrava attraverso la finestra. Sbatté le palpebre un paio di volte cercando di mettere a fuoco il mio volto. Il suo respiro era ancora pesante per il sonno ma nei suoi occhi lessi sorpresa. E dolore. Sperai per un attimo che fosse troppo assonnata per capire. Che si sarebbe semplicemente riaddormentata tra le mie braccia, senza domande, senza sospetti. Ma non fu così. -Dorian?- La sua voce era roca, spezzata. -Cosa fai?-
Deglutii incapace di formulare una risposta che non fosse una menzogna. Non potevo dirle che ero lì perché non avevo il coraggio di andarmene. Perché nonostante tutto lei era la mia unica certezza.
-Volevo solo...- mi interruppi cercando di controllare il groppo che mi serrava la gola. -Solo dormire con te, per l'ultima volta.-
Vidi la sua fronte aggrottarsi nel buio, poi lo sguardo le si accese di una consapevolezza improvvisa.
-Per l'ultima volta?- Ripeté con un filo di voce. Non risposi. La sentii irrigidirsi e scostarsi di qualche centimetro. Istintivamente la trattenni, il mio corpo era teso nel disperato tentativo di impedirle di allontanarsi. Sapevo che se lo avesse fatto tutto sarebbe diventato irreversibilmente reale.
-Te ne vai- sussurrò. Non era una domanda, era una sentenza.

Chiusi gli occhi un istante odiando me stesso per averle lasciato intuire la verità in questo modo. Avrei dovuto lasciarle un messaggio dopo essere partito. E invece avevo scelto il modo più crudele di tutti. Lasciarla scoprire la verità nel momento in cui era più vulnerabile. Sentii il suo corpo irrigidirsi tra le mie braccia e quando riaprii gli occhi vidi i suoi pieni di lacrime. Il dolore che lessi nel suo sguardo mi fece sentire ancora peggio, se possibile.
-Bastardo- sibilò con la voce rotta da un singhiozzo. Cercò di allontanarsi ma all'ultimo istante si fermò, esitante. Le sue mani tremarono per un attimo, poi si lasciò andare contro di me affondando il viso nel mio petto.
Sentii il suo respiro spezzarsi in piccoli sussulti mentre il suo corpo si adattava al mio, come se fosse il posto a cui apparteneva da sempre. E forse lo era davvero. La strinsi con forza, la presa era disperata e il mio viso affondò nei suoi capelli. Il profumo di lei si mescolò al dolore di quella notte. Il mio cuore batteva contro il suo in un ritmo che sembrava voler gridare tutto ciò che non ero mai riuscito a dirle. Un brivido mi scosse. Non era solo il calore della sua pelle o il modo in cui il suo corpo combaciava perfettamente con il mio. Era la consapevolezza che nonostante tutto, nonostante le liti, la rabbia, l'orgoglio, lei era sempre stata la mia unica casa. E saperlo in quel momento, quando stavo per perderla per sempre, mi stava distruggendo. Chiusi gli occhi stringendola ancora più forte e provai a fermare il tempo. Ma il tempo non si fermò. Non potevo fare nulla per cambiare il destino che avevo scelto. Il silenzio della stanza era assordante.

L'unico suono era quello lontano della città fuori dalla finestra, un brusio costante che non riusciva a riempire il vuoto dentro di me. Ero seduto sul bordo del letto con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le nocche intrecciate contro le labbra. La camicia era ancora perfettamente stirata, la cravatta leggermente allentata dopo ore di riunioni interminabili. Il completo scuro aderiva al mio corpo con quella rigidità impersonale che ormai mi apparteneva. Erano passati quattro anni eppure certi ricordi non si erano mai sbiaditi. Il suo nome mi attraversò la mente come una scarica elettrica e chiusi gli occhi per un istante cercando di scacciare l'immagine di lei che continuava a tormentarmi. Ci avevo provato, Dio solo sapeva quanto ci avevo provato. Ma non importava quanti voli avessi preso, quante città avessi cambiato, quanti volti avessi sfiorato nella vana illusione di dimenticare. Lei era sempre lì. La sentivo ancora contro il mio petto, sentivo il suo respiro irregolare, la resa silenziosa che mi aveva trafitto più di qualsiasi parola. Era stata l'ultima volta che l'avevo toccata, l'ultima volta che l'avevo tenuta tra le mie braccia.

E io me ne ero andato comunque.

Aprii gli occhi e lasciai andare un respiro pesante sentendo la stretta nello stomaco farsi più forte. Forse ero davvero il bastardo che mi aveva definito quella notte. Probabilmente ero anche peggio. Avevo sacrificato l'unica cosa che contasse davvero per qualcosa che in quel momento mi sembrava terribilmente vuoto. Portai una mano tra i capelli scostandoli all'indietro con un gesto stanco. Quattro anni. Troppo tempo. Ma allora perché ogni notte prima di chiudere gli occhi, il suo volto era ancora l'ultima cosa che vedevo?
Mi lasciai cadere all'indietro sul materasso senza nemmeno preoccuparmi di allentare del tutto la cravatta. Il soffitto bianco sopra di me sembrava opprimente, vuoto come tutto il resto. Sollevai un braccio e lo poggiai sugli occhi cercando di soffocare i pensieri che mi tormentavano. Ma era inutile. Un lamento mi sfuggì dalle labbra, basso, quasi rabbioso. Era passato troppo tempo. Quattro anni lontano da lei. Quattro anni a convincermi che fosse la scelta giusta, che il distacco l'avrebbe cancellata dalla mia testa, che sarebbe diventata solo un ricordo sbiadito, un volto che non avrebbe più avuto alcun potere su di me. Che illusione. Mi mancava. Ma non nel modo in cui una persona normale sente la mancanza di qualcuno. No, il vuoto che lasciava dentro di me era un'ossessione contorta, un desiderio bruciante che non si placava mai. Mi mancava il modo in cui il suo sguardo si riempiva di paura e odio ogni volta che la provocavo, mi mancava il brivido di osservarla nell'ombra, di guardarla vivere la sua vita piena della mia presenza. Mi mancava terrorizzarla. Un ghigno amaro mi si disegnò sulle labbra mentre voltavo appena il viso sul cuscino.
Era tempo di tornare. No, questa volta avrei agito con astuzia, avrei trovato il modo di rientrare nella sua vita senza che potesse fermarmi. Avrei reclamato il posto che mi spettava come un fottuto re che torna a sedersi sul suo trono. E lei, volente o nolente, avrebbe dovuto accettarlo.

Gemo lasciando che il piacere mi attraversi come un'onda, un brivido dopo l'altro. La mano continua a muoversi con languida lentezza mentre osservo il liquido scivolare lungo la pelle, mescolandosi all'acqua che scorre a valle, dissolvendosi nel nulla. Con un ultimo sussulto chiudo il getto della doccia. La stanza piomba in un silenzio ovattato interrotto solo dal mio respiro irregolare, ancora carico di tensione. Un sorriso soddisfatto mi incurva le labbra mentre lascio ricadere la fronte contro le fredde mattonelle. La ceramica liscia e umida mi restituisce un brivido sottile, un contrasto netto con il calore ancora pulsante nel mio corpo. Mi vesto in fretta con movimenti rapidi e decisi e mi dirigo verso la stanza sotterranea, quel luogo oscuro dove si consumano le torture. Apro la porta con un colpo secco e subito scoppio in una risata quando incrocio i suoi occhi pieni di terrore. -Bene, bene, bene. Che piacere incontrarti- dico con una voce carica di sarcasmo. Lo vedo scuotere la testa, il bastardo è già consapevole del destino che lo attende. Mi conosce troppo bene. Mi avvicino a lui con passo lento fino a restare a un palmo di distanza e mi chino per fissarlo negli occhi, scrutando la sua paura. Il fidanzato di Hailey proprio qui, in carne e ossa. Ma tra poco non avrà più nulla di intatto. -Insomma... divulgare foto e video intimi ha delle conseguenze molto spiacevoli- dico mentre una smorfia di disprezzo mi sfiora il volto. Mi allungo verso di lui, il mio respiro è lento e pesante come una nebbia densa. Ogni sua piccola reazione è un segno, un segreto che si scava nella sua pelle e che non può più nascondere. I suoi occhi sono pieni di paura ma c'è qualcosa di più: un'inquietudine profonda che affiora a ogni battito del suo cuore.
-Sai- mormoro, la mia voce è un sussurro gelido -le cose che fai, non importa quanto cerchi di cancellarle, alla fine ti trovano sempre. E oggi... oggi non hai più scampo. Il passato che hai cercato di nascondere verrà a reclamarti e sarà più doloroso di quanto avresti mai potuto immaginare.- Mi avvicino ulteriormente, il mio volto è così vicino al suo che quasi posso sentirne il battito irregolare. Con una mano lo prendo per il mento costringendolo a guardarmi negli occhi. Sta piangendo e sbavando, che scena pietosa.

-Ma non ti preoccupare- continuo con voce più bassa, tagliente come un coltello -non ti lascerò da solo con questo peso. Ti accompagnerò in questo viaggio... dove ogni grido avrà il sapore di una promessa che non potrai mai dimenticare.-

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