NOVE
HAILEY
Provo a digitare un numero sul cellulare ma la vista offuscata dalle lacrime me lo impedisce. Mi sento frantumata in mille pezzi, come un mucchietto di cenere accantonato in un angolo.
Sono inerme di fronte alla colossale ondata di emozioni che mi ha travolta senza preavviso. Non so dove andare ma una cosa è certa: non tornerò a casa. Mia madre sarà già sveglia pronta per andare a lavoro e l'idea di farmi vedere in questo stato mi terrorizza. Che cosa potrebbe pensare vedendomi con abiti sgualciti, un aspetto pietoso, il trucco sbavato sulle guance, sporca di terriccio e scalza? Probabilmente mi spedirebbe dritta in una clinica e per una volta le darei ragione, seguendola senza opporre resistenza. Ormai la mia salute mentale è compromessa soprattutto dopo l'ultimo incontro con Dorian, quattro anni fa. Il numero che sto componendo è quello di Laetitia ma esito prima di chiamarla. Sarà sicuramente occupata, sveglia ogni mattina all'alba per andare a lavoro e non voglio disturbarla. Raccontarle tutto quello che è appena successo significherebbe farla uscire dal lavoro per correre da me e mi farebbe sentire ancora più in colpa. Decido di chiamare Vera. Attendo ma risponde la segreteria telefonica. Mi mordo il labbro per trattenere le lacrime mentre provo un'ultima volta. Se anche questo tentativo fallisce, non so davvero dove andare. La città comincia a svegliarsi e vagare per strada in queste condizioni non è certo un'idea brillante. Come dimostra l'auto che ha appena rallentato accanto a me.
-Ehi, quanto per un pompino?- Grida una voce dal finestrino abbassato. Lo ignoro e continuo a camminare verso il quartiere più esclusivo della città. Il telefono squilla e una voce maschile risponde subito.
-Sì? Hailey?-
-Jilbert, posso parlarti? Posso venire da te?- La mia voce trema ed è sul punto di spezzarsi e cerco disperatamente di non piangere. Invano. Il petto brucia implorando sollievo e le lacrime cominciano a scorrere di nuovo. Vorrei che insieme a loro sparissero anche i problemi che mi soffocano ogni giorno.
-Dove sei?- Chiede con tono deciso. Gli rispondo in fretta. -Non muoverti, vengo a prenderti- dice prima di chiudere la chiamata.
Avrei voluto chiamare Amiylah ma disturbare una donna incinta alle sei del mattino non mi sembrava affatto una buona idea. Mi complimento con me stessa per la razionalità nonostante la situazione in cui mi trovo.
E tutto, ancora una volta, per colpa di quello stronzo. È tutta la vita che si impegna a distruggermi e alla fine ce l'ha fatta. Con pazienza e determinazione mi ha buttata giù piegandomi come un fragile stelo di fiore. Siamo il lupo e l'agnello in una di quelle storie per bambini e lui ha fatto di tutto per portarmi via la vitalità. Ancora oggi non capisco il perché. Mi stringo su me stessa cercando conforto contro l'aria gelida del mattino. Lo odio per avermi ridotta così, senza motivo. Perché togliere a qualcuno la propria felicità? Non gli ho mai fatto nulla. Ho sempre cercato di capirlo, di essergli vicina, di supportarlo. Sono stata buona con lui anche quando riversava il suo dolore su di me. Ma perché proprio io? Avrebbe potuto farlo con chiunque. Perché prendersela con una ragazza che come lui, aveva già sofferto tanto? Tiro su col naso osservando il cielo schiarirsi col passare dei minuti. Il sole sta sorgendo dietro le montagne portando con sé la luce. Un tempo anche io cercavo di portare la luce nei luoghi oscuri. Ero l'alba e lui era il tramonto. Così vicini ma mai capaci di incontrarci, di comprenderci davvero. Col tempo ho smesso di provare consumando ciò che restava della mia luce. Mi ha prosciugata lasciandomi come un fantoccio svuotato. Chiudo gli occhi e lascio scorrere le lacrime. È patetico. Si può piangere per tutta la vita per la stessa persona? Inspiro profondamente provando a calmare l'ansia che minaccia di travolgermi, come al solito. Dorian aveva bisogno di amore ma anche di qualcuno su cui scaricare il suo dolore. E lo ha fatto: mi ha schiacciata con i suoi demoni credendo di alleggerirsi. Invece non ha fatto altro che spezzarsi ancora di più, trascinandomi con sé. Poiché per una persona manipolatrice, calcolatrice, malvagia e piena di rabbia repressa... l'amore non basta.
Amarlo non è mai stato abbastanza.
Si avvicinò premendomi contro il muro, le dita erano strette attorno al mio collo. Non lo avevo mai visto in quello stato e osservandolo da vicino, i suoi occhi sembravano ancora più cupi. C'era qualcosa di nascosto dietro quelle pupille dilatate; l'espressione folle che mi lanciava era agghiacciante.
-Tu sei mia- gridò a un soffio dal mio viso. Dorian non perdeva mai il controllo e quella scena mi fece gelare il sangue: significava che lo aveva davvero perso. Chiuse improvvisamente gli occhi, inspirando a fondo, come se tentasse di ritrovare la calma e ricomporsi. Ma lo vedevo chiaramente: quel fragile equilibrio tra la lucidità e la follia si stava spezzando. Il mio cuore batteva così forte che ero certa lo sentisse anche lui. Infatti, riaprì gli occhi con un ghigno.
-Ripeti con me: io sono tua.-
Provai a parlare ma ero paralizzata. Il suo tono era cambiato drasticamente, sussurrava con malizia divertendosi a umiliarmi.
Come aveva sempre fatto. Tremava e le sue dita si strinsero ancora di più attorno al mio collo, impaziente di ricevere una risposta. Poi mi staccò dal muro tenendomi ancora per la gola, solo per sbattermi contro la parete con violenza. E questo dovrebbe farmi parlare? Pensai mentre un gemito di dolore sfuggiva dalle mie labbra per il colpo alla testa. Oggi morirò e sarà per mano dell'uomo che amo. Ma non sarà certo la prima volta che una storia del genere si diffonde.
Non sarò né la prima, né l'ultima.
-Ripetilo con me Hailey o giuro che ti ammazzo.-
Chiusi gli occhi terrorizzata, senza cercare di reprimere i singhiozzi. Ero spaventata da Dorian ma non per le parole che avrebbe potuto dire o per i modi meschini con cui mi avrebbe umiliata. Avevo paura che mi facesse davvero del male e senza alcun motivo.
-Io sono tua, io sono tua, io sono tua.- Sorrise ridendo piano.
-Ora sì che va meglio- sospirò compiaciuto con un tono quasi sadico. -Dillo ancora.- La situazione lo soddisfaceva, alimentava il suo ego malato, quello stesso ego che lo aveva spinto a comportarsi così. In un modo del tutto nuovo, imprevisto e ripugnante.
-Io sono tua.-
-Ancora.-
-Io sono tua.-
Si avvicinò sfiorandomi le labbra con le sue. Nonostante la situazione assurda in cui mi trovavo, fu inevitabile sentire quel calore familiare propagarsi nello stomaco. In quel momento l'odio che provavo per me stessa superava di gran lunga quello che sentivo verso di lui.
-Voglio sentirtelo dire più forte- sussurrò ridendo come un folle, ormai completamente fuori di sé.
Colpì il muro accanto al mio viso con un pugno e sussultai. Tremavo come una foglia, le guance erano bagnate di lacrime. Dorian riprese a gridare:-voglio che lo urli come hai fatto prima, quando mi dicevi che mi odiavi.- Scossi la testa e in risposta lui strinse ancor di più le dita attorno al mio collo. Respirai con difficoltà e la vista si annebbiò per la mancanza d'aria. Cominciai a colpire il muro con i pugni e a graffiargli il polso con le unghie, scavando così profondamente nella sua pelle che iniziai a vedere il sangue colare dai segni lasciati. Ma lui non sembrava neanche accorgersene. Continuò a fissarmi con uno sguardo vuoto e impassibile.
Allentò la presa, quel tanto che
bastava per farmi sopravvivere ma non abbastanza per permettermi di respirare a pieno. Lo faceva di proposito, mi teneva sospesa in questa maledetta tortura. Inspirai l'aria con avidità ma la pressione della sua mano sul mio collo rendeva ogni respiro doloroso. -Che c'è, Hailey?- Domandò con tono sarcastico. -Dov'è finito il coraggio con cui giuravi di odiarmi? Dov'è l'audacia con cui correvi verso il cazzo di quel bastardo di Ryan?- Fece una pausa, poi si chinò per baciarmi l'angolo delle labbra. La sua lingua scivolò con una dolcezza inquietante e un gemito di dolore mi sfuggì quando mi morse il labbro inferiore. -Dillo, Hailey. Dì come stanno davvero le cose.-
Tentai di divincolarmi cercando di colpirlo all'inguine con un calcio ma lui fu più rapido, spingendomi di nuovo contro il muro con forza.
-Mi costringerai a usare le maniere forti- sibilò con voce carica di rabbia ed estrasse un coltello dalla tasca posteriore dei jeans.
Un clacson mi riporta alla realtà e un'ondata di sollievo mi attraversa quando realizzo che non stavo rivivendo il trauma peggiore della mia vita. O meglio, uno dei tanti.
Jilbert mi fa cenno di avvicinarmi alla sua auto sportiva, mi trascino fino alla portiera. Sono quasi svestita e lui fa del suo meglio per non fissare le mie cosce scoperte o il seno che rischia di sfuggire dalla scollatura. Lo ringrazio mentalmente.
————
Jil è come un fratello maggiore per me, sia per la grande differenza d'età sia perché sono cresciuta insieme a lui e ai fratelli di Laetitia. Anche se con lui ho sempre avuto meno contatto rispetto agli altri, sono comunque riuscita a entrare nelle sue grazie. Cosa insolita dato che Jil non sopporta nessuno. È noto per il suo carattere difficile e il sarcasmo pungente... ma ora mi sta ascoltando mentre, tra le lacrime, gli racconto dell'incontro con Dorian. Sono passati quattro anni dall'ultima volta che mi ha rivolto la parola. Pur abitando nella stessa città ed essendo una figura molto popolare era impossibile evitarlo del tutto. Ma quando era qui, per lui semplicemente non esistevo. Organizzava feste, era sempre accanto a Laetitia comportandosi da star tra la folla che lo idolatrava. E mai, neanche una volta, i suoi occhi si sono posati su di me. Mi aveva cancellata dalla sua vita come se non avessimo condiviso gran parte della nostra esistenza insieme. Come se io non fossi mai stata una parte importante della sua. Osservarlo da lontano ed essere ignorata è stato straziante. Vedevo come viveva la sua vita in tranquillità, fidanzandosi persino con una delle modelle più influenti del paese vicino al nostro. Quando la notizia si diffuse scoppiai a piangere. Non pensavo fosse possibile subire un trauma così grande e, nel giro di una settimana, essere completamente cancellata dalla sua memoria. Quel rapporto durò un anno... forse due, non ricordo. Facevo del mio meglio per non dargli attenzione.
-Io lo ammazzo- conclude Jil alzandosi dal divano di fretta. Lo osservo mentre si dirige verso il balcone e accende una sigaretta. Capisco la sua rabbia. Jil è una delle poche persone che conosce quell'episodio, l'ultimo che ha messo una distanza definitiva tra me e Dorian. -Giuro, Hailey, se non l'ho fatto quattro anni fa lo farò adesso- sospiro. Jilbert mi ha dato dei vestiti comodi lasciati da Laetitia e l'odore che emanano mi fa quasi piangere. Mi manca. È stato delicato e premuroso permettendomi di fare una doccia calda, ne ho approfittato per sistemarmi un po'. Tra poco saranno le dieci e devo presentarmi in agenzia per l'inizio delle prove. Non posso permettermi di mancare soprattutto ora che ho ottenuto un ruolo di rilievo. Jil cammina avanti e indietro, la tensione è palpabile. Di solito assorbirei il suo stato d'animo come faccio sempre ma sono esausta e mi limito a osservarlo con la coda dell'occhio. Ride amaramente:-pensa di potersi comportare così con te? Dopo tutto quello che ti ha fatto? Si sbaglia. Dovrà tenersi alla larga perché se anche solo prova ad avvicinarsi di nuovo a te, lo mando sottoterra.- Dice stringendo un pugno ed io gli credo. Jilbert sarebbe davvero capace di farlo. Dorian può essere forte ma non possiede un grammo del potere di Jil. Non possiede nemmeno un briciolo della sua forza. -Anzi...- dico pensando e Jil solleva lo sguardo su di me come se avesse già capito dove voglio arrivare. Annuisce. -Da un lato sono d'accordo. Nessuno ha potere quanto lei. Ma dall'altro...-
sapere una cosa del genere potrebbe destabilizzarla, distrarla dal lavoro e aggiungere ulteriore stress. Sospiro e mi lascio andare sul divano. Jil si avvicina e si inginocchia di fronte a me per essere alla mia altezza. Mi guarda dritto negli occhi. -Resta. Approfittane per riposarti, qui sei al sicuro e lontana da tua madre.- Quasi rido a quell'ultima affermazione, sapendo quanto sia consapevole della mia poca voglia di stare a casa proprio a causa sua. Poso una mano sulla sua spalla.
-Grazie, Jil, davvero. Ma tra poco ho delle prove importanti e non posso mancare.-
Mi alzo cercando di non crollare di nuovo sul divano e Jil mi sostiene. Mi stringe a sé, per la prima volta mi ritrovo davvero vicina a lui. Il suo profumo di muschio mi invade le narici, la sua presa ferrea sul mio fianco mi trasmette una sensazione di protezione e virilità. Alzo lo sguardo e i suoi occhi blu incrociano i miei, mi osserva attentamente. Non riesco a staccare gli occhi dal suo volto, così definito e serio, con quella leggera barba curata che gli dona un'aria matura e affidabile. Solleva il braccio e con delicatezza mi scosta una ciocca di capelli, ravviandola dietro l'orecchio. Mi sento al sicuro stretta a lui e per una volta il mio cuore batte senza l'ansia che di solito mi assale in situazioni simili. Jilbert è il primo uomo che mi abbraccia senza farmi del male.
Si schiarisce la voce e lentamente schiude le labbra.
-Ti accompagno in agenzia.-
—————
Esco dal camerino e consegno l'abito ad Odessa che lo liscia e lo ripone con cura. -Sei perfetta per questo vestito- afferma sorridendo. La ringrazio con un cenno del capo, è ora di pranzo e la sala è quasi vuota. Odessa mi congeda finalmente dichiarando la fine delle prove. Sono esausta e privata di ore di sonno, credo che andrò a casa a dormire un po'. Saluto la donna e mi lancia un'occhiata amichevole ma all'improvviso mi sento debole, tanto da dovermi aggrappare al bancone. Odessa si avvicina allarmata. -Ehi Hailey, tutto bene?-
-Sì, sì- farfuglio cercando di tranquillizzarla ma il mondo attorno a me sembra restringersi. Respiro profondamente ignorando il senso di vertigine ma è inutile.
-Ti senti male?- Chiede afferrandomi il viso tra le mani. Il pavimento sembra oscillare sotto di me e una fitta di calore mi attraversa la testa. Passo una mano sulla fronte sudata. -Non hai mangiato nulla, vero?- Chiede delusa. Il rumore intorno si attenua come se lo stessi ascoltando attraverso una barriera di vetro. Le voci diventano ovattate e mi sembra di galleggiare. Cerco di concentrarmi ma anche il punto fisso davanti a me sfugge via. Le gambe mi tremano, il calore mi invade il petto e il cuore batte troppo forte, fuori sincrono con il mondo. -Hailey, mi senti? Rispondimi- le dita mi formicolano e la presa sulle cose si allenta.
Sto per svenire, penso. Ma le parole sembrano lontane come se non appartenessero più a me. Il mio campo visivo si restringe, le luci si spengono una a una. Poi, tutto diventa nero e mi lascio andare.
————-
Sbuffo infastidita dall'ennesimo messaggio di pronta guarigione da parte delle colleghe. Ringrazio Odessa ma non c'era bisogno che spifferasse tutto a chiunque. Mi stringo un cuscino al petto affondando la faccia in esso. Mi sento così debole e inerme.
Odessa mi ha aiutata a rialzarmi e mi ha portata in infermeria, fortunatamente l'agenzia ne ha una. Non è raro che le modelle svengano lì dentro. Mi sono ripresa in circa venti minuti e sono stata costretta a mangiare un dolce pieno di cioccolato e zuccheri. Spero che il capo non venga a sapere dello svenimento o rischierei di essere rimossa dalla sfilata. È successo già una volta e se lo scoprisse prenderebbe le dovute precauzioni. Non posso permetterlo; mia madre mi scuoierebbe viva. Mi giro su un fianco e prendo il cellulare per rispondere agli ultimi messaggi carichi di compassione. Sto per spegnerlo quando una notifica da un numero sconosciuto cattura la mia attenzione.
"Non è carino scappare senza salutare, piccola." Colgo la frustrazione dietro al messaggio. Conoscendolo da anni so perfettamente quale tono userebbe per dirmi una cosa simile. Strano, però. Non lo conosco davvero, eppure...
"lasciami in pace, non è giornata" scrivo chiedendomi perché continua a mandarmi messaggi da numeri sconosciuti ora che ha confermato la sua identità.
"Lo so bene, spero ti riprenda presto... per il nostro prossimo incontro." Rabbrividisco al solo pensiero di rivederlo.
"Il mio intento è evitarti per sempre."
"Sai bene che riuscirei a trovarti ovunque. Non puoi scappare da me, Hailey." Mi mordo il labbro stanca di piangere ancora. L'ultima frase è una cazzo di minaccia vera e propria.
"Perché mi fai questo? Una volta non ti è bastato?"
"Vedi, piccola, io ti ho fatto una promessa."
"Non ricordo nessuna promessa, Dorian. Smettila di inventare scuse per il tuo comportamento da psicopatico." Una lacrima scivola via e non la trattengo.
"Prova a ricordare cosa ho promesso quando avevi sedici anni. Pensaci bene, Hailey."
Non riesco più a fermare le lacrime. Il dolore è fisico, ogni respiro si spezza in un singhiozzo e il cuore sembra voler sfondare la mia cassa toracica.
"Lasciami stare, per favore. Basta." Mi stringo le braccia attorno cercando di proteggermi come se fosse dinanzi a me ma non riesco a calmarmi. La gola brucia. Cerco di respirare ma ogni tentativo è interrotto da un lamento strozzato. Mi rannicchio sul letto, mentre il cuscino sotto di me si inzuppa di lacrime.
"Mi dispiace, ma non posso esaudire il tuo desiderio."
Le lacrime continuano a scorrere finché non riesco a distinguere più nulla. Gli occhi bruciano e anche il corpo sembra cedere. I singhiozzi diventano più rari ma il cuore continua a battere frenetico. Una stanchezza opprimente mi avvolge come una coperta soffocante.
La mente comincia a spegnersi lentamente. Mi sento svuotata e incapace persino di piangere. I respiri diventano lenti e regolari e le palpebre si chiudono pesanti. Il dolore si attenua ma non scompare. Resta lì, un'eco lontana, mentre scivolo nell'oblio del sonno.
"Buonanotte, piccola."
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