UNO

HAILEY

Comunque sia, anche se facevo parte del gruppo dei popolari, non significa che lo fossi davvero. Mi spiego meglio. Provengo da una famiglia normale, se così si può definire. Non siamo ricchi né poveri, ma mia madre ama apparire e io purtroppo devo contribuire a questa facciata. Viviamo in una grande villa con un vasto giardino, e abbiamo adottato un bambino in Africa, un gesto che mia madre ama ostentare, costato una somma che una persona con un reddito normale non potrebbe permettersi. Mia madre si vanta di quanto bello stia crescendo suo figlio e approfitta per sfoggiare i gioielli costosi che indossa. La sua vita è invidiata solo per i soldi che possiede. Ma tutta questa apparenza è solo una maschera della triste realtà in cui sono cresciuta.

Quando sono nata, i miei genitori non si sopportavano. Stavano insieme solo perché erano una bella coppia, l'immagine perfetta. In realtà, mia madre amava il denaro di mio padre e lui la bellezza di mia madre, oltre a godere dell'attenzione costante. Il loro matrimonio fu spettacolare, con grandi scenate d'amore. Mia madre ancora racconta di quanto la gente fosse incantata dallo spettacolo e l'ingresso fu libero, partecipò tutta la città, sindaco compreso, con la sua famiglia. All'epoca Dorian, il figlio del sindaco, aveva due anni più di me mentre io ero ancora nell'utero di mia madre, in attesa di nascere. I miei genitori lavoravano nel mondo della moda, in particolare mia madre, una delle modelle più richieste del suo tempo. Se fosse accaduto quattro anni fa, sarebbe stata sicuramente nel gruppo dei popolari. Amavano mostrarsi come la famiglia perfetta, ma la loro facciata di cristallo si è frantumata con la separazione e il successivo divorzio. Mia madre si è distrutta insieme a questa illusione, cercando disperatamente di mantenere uno stile di vita simile a quello precedente, mentre mio padre, per legge, mi inviava una somma ridotta di denaro. Un giorno, una vecchia amica di mia madre mi vide per strada e disse che avrei potuto diventare una modella come i miei genitori. Mia madre colse subito l'opportunità, e a soli cinque anni iniziai a partecipare a numerose gare di moda, portando nuovi introiti nelle sue tasche.

Apro gli occhi a fatica e inizialmente vedo doppio, sorrido al ricordo dei complimenti della sera precedente.
Cazzo ieri ho davvero dato il peggio di me, penso.
Non mi era mai capitato di dare così tanto spettacolo, ma ero particolarmente euforica e desiderosa di spegnere il cervello. Mi giro per afferrare il cellulare sul comodino e ignoro la valanga di notifiche dalle varie app, dai gruppi WhatsApp e dalle mie colleghe di lavoro che mi intimano di presentarmi in agenzia. Ripongo il cellulare e mi volto per sprofondare di nuovo tra le braccia di Morfeo.
Un momento...

-oh cazzo- mi alzo improvvisamente dal letto e controllo l'orario.
-Cazzo, cazzo, cazzo- impreco mentre tento di compormi un outfit almeno decente, prima di uscire di casa. La sbronza mi rallenta e non ho sentito la sveglia. Come è possibile che si sia disattivata da sola? Magari l'ho fatto nel sonno? Ignoro queste domande e mi concentro sull'unico obiettivo: arrivare in agenzia senza essere licenziata. Dopo essermi vestita e resa presentabile, senza sembrare reduce da una sbronza colossale, esco di casa e trovo fortunatamente un taxi pronto. Ci vorranno circa quindici minuti e prego che non ci sia traffico, altrimenti potrei davvero imprecare di brutto stamattina. Poso la testa, rassegnata, sui sedili e stringo la borsa a me.

Ecco, la giornata non è iniziata nel migliore dei modi: in ritardo di un'ora, occhiaie coperte da un mare di correttore e un mal di testa lancinante. E tutto per scoprire se perderò la mia fonte principale di guadagno, che permette a mia madre di sostenere le spese di casa. Cosa vuoi che sia? Merda. Dovresti smetterla di bere così tanto, non è obbligatorio, soprattutto se il giorno dopo ti aspetta il lavoro.
Mi rammenta la voce interiore, l'unica parte di me che è ancora sana.

La strada sembra deserta e non so se sia un bene o un male. Per ora, è un bene: non ci saranno intoppi per arrivare al lavoro. Faccio parte di questo mondo da quando avevo cinque anni e ho garantito una bella vita a mia madre. Arrivo in sette minuti in agenzia, pago il tassista e gli lascio una piccola mancia per avermi sopportata mentre russavo sui sedili posteriori. Entro nella struttura quasi interamente decorata in oro e saluto la receptionist che mi sorride smagliante. Anche lei era una modella e il suo lavoro viene usato come minaccia: "continuate così e finirete come lei". Ho sempre riso di questo, ma col tempo ho iniziato a temere davvero di arrivare a guadagnare il suo stipendio. Mia madre mi rovinerebbe la vita per aver fallito. Salgo le scale che sembrano infinite dopo un lungo corridoio e finalmente spalanco una porta. Tutti mi guardano e ansimo come se avessi corso una maratona. Mi viene da ridere, ma mi trattengo di fronte allo sguardo contrariato del mio superiore. La sua espressione mi invoglia ancora di più. -Sei in ritardo di quarantanove minuti e sedici secondi- annuncia, mentre le altre abbassano la testa come se fossero al mio posto. Nella stanza cala il silenzio.
-E i millisecondi le sono sfuggiti?- Ridacchio alla mia stessa battuta, ma vedendo il suo sguardo irrigidirsi, il mio sorriso si affievolisce. Cazzo.

Mi squadra dalla testa ai piedi con aria di superiorità e, senza parlare, mi ordina di prendere posto vicino alle altre, disposte in semicerchio. Annuisco ed eseguo l'ordine silenzioso, trattenendo l'istinto di sbuffare per la noia. Sì, dovrei temere colei che potrebbe togliermi il lavoro da un momento all'altro, ma sono semplicemente annoiata da tutto questo.
-Sapete cos'è oggi: il primo lunedì del mese e quindi vi tocca pesarvi.- Ogni ragazza presente si dirige come un robot verso le bilance. Avverto una forte tensione, come ogni fottuto lunedì del mese. Se il peso è aumentato, significa non poter partecipare a una o più sfilate fino a quando non si torna alla "normalità". Sento lo sguardo bruciante del mio superiore sulla schiena; fisso il pavimento, riflettendo. Dovrei prendere posto su una delle bilance senza destare sospetti, ma prima di concludere il pensiero, trovo la donna dietro di me. -Hailey- sussulto -non perdere tempo e pesati.- Le lancio uno sguardo al di sopra della spalla e noto qualcosa di strano nel suo. Non ho mai capito se mi odia o se sono la sua preferita, ma una cosa è certa: mi guarda con meno indifferenza rispetto alle altre. Sarà perché sono la figlia di Monica Milligan, o forse perché le ho fatto guadagnare un sacco di soldi da quando faccio parte della sua agenzia.

Mi libero dei vestiti restando in intimo e rabbrividisco. Faccio un respiro profondo e avverto nuovamente la presenza della donna alle mie spalle.
Deve proprio starmi così vicina?
Deglutisco e poso un piede sulla bilancia; dopo aver esalato altra aria, ne poso un altro. Guardo attentamente la lancetta muoversi e sento il mio cuore battere forte. E se non fossi all'altezza della prossima sfilata? E se fossi ingrassata?

Smetto di respirare quando la lancetta si ferma. Dal riflesso della finestra, vedo il sorriso del mio superiore alle mie spalle. Lascio andare tutta l'aria che avevo bloccato nei polmoni.
-Perfetto Hailey, complimenti. Sei del peso giusto, sapevo di poter aumentare le mie aspettative su di te. D'altronde, mi hai delusa davvero poche volte.-
Un pianto isterico interrompe la frase ed entrambe ci voltiamo verso una mia collega, in ginocchio, che grida disperata per il risultato del suo peso. Alcune la consolano, altre guardano la scena impaurite dal superiore e da quel che potrebbe fare. -A differenza delle altre- conclude con tono disgustato mentre guarda Amber correre via dalla sala con le mani sul volto. -Ditele di impegnarsi di più se ci tiene a lavorare per me. Forse dovrebbe smetterla di mangiare così tanto- aggiunge con un ghigno avverto un peso formarsi sul petto, porto una mano dove fa male. Attiro la sua attenzione e torna la solita espressione gelida sul suo viso. La guardo a sottecchi, intimidita dalla sua presenza. -Aumenterò il tuo stipendio e avrai un ruolo di rilievo nella prossima sfilata.- Alzo la testa di scatto. -Cosa?-
-Mi hai sentita, spero di poter contare sempre su di te. Cerca di non farmi fare brutte figure.- Si avvicina di un passo, e me la ritrovo faccia a faccia. Spero che non senta il mio cuore battere alla velocità della luce. -Sei la modella su cui conto di più da sempre, e lo sai.-

Sparisce nel corridoio dopo aver ordinato alle ragazze "idonee" di provare vari vestiti, su cui c'è un'etichetta con i rispettivi nomi. Mi avvicino cercando il mio, ma non lo trovo. -Cosa cerchi?- Chiede Odessa, il braccio destro del mio superiore. Ha circa trent'anni ed era una modella pazzesca, ma una gravidanza indesiderata ha rovinato la sua carriera. Ha così deciso di coordinare ed organizzare eventi con il mio capo. È molto dolce; non capisco come faccia a lavorare con quell'arpia. Se le rivolgo uno sguardo per più di sette secondi, ho gli incubi per un mese.
Pensa lavorarci ogni giorno.

-Il mio vestito non c'è.-
-Oh- dice, controllando varie etichette. -Evidentemente ancora non ti è stato assegnato.-
-Okay, e cosa ci faccio io qui, allora?-
Mi rivolge un sorriso. -Il tuo lavoro è finito per oggi. Puoi tornare a casa. Grazie per aver presenziato.-
Beh, o così o niente lavoro, suppongo.

Indosso nuovamente i vestiti e mi affretto ad abbandonare la sala. Ho la testa tra le nuvole nel corridoio, in cerca dell'uscita, e penso alla serata che mi aspetta.
-Ho fatto di tutto, lo giuro.-
-Non è stato abbastanza, devi fare di più se vuoi partecipare.-
Lancio uno sguardo alla mia destra e vedo Amber con la schiena al muro, accovacciata sul pavimento. Ha il volto rigato dalle lacrime e singhiozza disperata, mentre alcune delle nostre colleghe, le sue migliori amiche, le stanno intorno cercando di consolarla. Il nostro capo, invece, è in piedi davanti a lei, a braccia conserte, con occhi severi. -Ma non posso fare di più, ho bisogno di mangiare per sopravvivere.-
-Allora cambia dieta o cambia agenzia. Sai come vanno le cose qui: non faccio sfilare chiunque. Le mie modelle devono essere perfette.-
Distolgo lo sguardo nel sentire il pianto disperato di Amber dopo che il superiore ha abbandonato il corridoio, sbattendo la porta. Mi gira la testa e quella situazione non fa altro che peggiorare le cose. Vorrei consolarla, dirle che siamo tutte sulla stessa barca.
Ma perché rischiare il lavoro?
Stringo i pugni e mi costringo ad abbandonare l'edificio.

Una volta fuori, scrivo un messaggio a Laetitia, dandole la buona notizia ma omettendo alcuni particolari. Se venisse a sapere cosa accade qui, mi vieterebbe categoricamente di lavorarci ancora. Non voglio farla preoccupare; ha già molte cose per la testa tra il lavoro e lo studio. Credo sia l'unica persona che, una volta laureata, continua a studiare per non so cosa.

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Grido entusiasta e volteggio
sull'asta di metallo, scatenando il delirio del mio piccolo pubblico.
Amo questo tipo di attenzioni e ancora di più la quantità di soldi ai piedi del mio palchetto. Con una mano reggo l'asta, con l'altra una bottiglia di vodka. Sono ubriaca fradicia e ho il corpo in fiamme. Mi avvicino al ragazzo della sera precedente, seduto di fronte al palco. Non ricordo il suo nome.
Cristian? Marcos? Raul? Non ne ho idea.
Mi guarda ammaliato mentre inizio a ballargli attorno, esibendo i movimenti più sensuali di cui sono capace. -Allora...- inizia, cercando di concentrarsi sulla realtà invece che sul sedere che gli sto sventolando in faccia. -Non ho proprio possibilità di portarti in una delle stanze?- Mi volto e gli sorrido; sembra sciogliersi sotto il mio sguardo. Mi siedo su di lui e si irrigidisce, facendomi ridere per la sua reazione.
-No, tesoro, non puoi.- Anche se sono seduta sulle sue gambe e i suoi occhi grondano di desiderio, sono davvero stupita dal fatto che non mi sfiora neanche con un dito per tutta la serata.

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Sono le sei del mattino e sto dormendo in piedi; fortunatamente non ho programmi per il resto della giornata. O meglio, sì: dormire per tutto il pomeriggio. Sbadiglio e metto in borsa un'altra manciata dei soldi che sto raccogliendo vicino al mio palco. Ho guadagnato molto e sono soddisfatta. So bene che non potrò continuare a condurre questa doppia vita: è un segreto troppo grande da mantenere, e non voglio vivere con l'ansia costante che venga scoperto. I miei amici rimarrebbero molto delusi, per non parlare di mia madre. La mia reputazione ne uscirebbe distrutta, costringendomi a cambiare città, o meglio, paese. Potrei trasferirmi in Francia.
Dio, amo la Francia, vorrei potermi trasferire subito.

Raccolgo quella che credo sia l'ultima manciata di soldi e noto un bigliettino che cade nel momento in cui provo a metterli in borsa. Lo prendo tra le dita e mi sorprendo nel vedere quanto sia piegato con cura e per nulla stropicciato, nonostante sia stato tutta la notte qui. Lo apro con mani tremanti e mi rendo conto di quanto la calligrafia sia simile a quella della notte precedente.
-Ditemi che è un fottuto scherzo- mormoro ad alta voce accartocciando il bigliettino e lanciandolo in un angolo della sala. Inizio a tremare dalla paura e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Non per quel che c'è scritto, ma perché non riesco a capire chi sia questa persona.
E l'ignoto mi terrorizza ancor di più.

"Sei davvero bella stasera, sono contento per l'aumento a lavoro. Peccato che io stia ancora aspettando la tua risposta.
Acqua o fuoco Hailey?"

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