QUINDICI

HAILEY

La tensione aleggiava nell'aria, palpabile come una tempesta incombente. Mi domandavo esasperata: perché cazzo il sindaco aveva deciso che dovessimo lavorare tutti e tre insieme; io, Ethan e Dorian, nello stesso ufficio proprio quel giorno?

Da ore tentavo di concentrarmi sulle email ma ogni sforzo risultava vano. Lo sguardo infuocato che Dorian lanciava a Ethan mi distraeva continuamente. Ethan dal canto suo sembrava pietrificato, incapace perfino di rivolgermi una parola che non fosse strettamente necessaria, un comportamento insolito per lui. Mi sentivo in colpa. Probabilmente si era fatto strane idee su me e Dorian o forse lo stronzo aveva combinato una delle sue. Mentre lo osservavo vidi Dorian scrivere freneticamente. La sua calligrafia era impeccabile ma la tensione che lo avvolgeva sembrava quasi tangibile, aleggiava un'aura di collera repressa. Mi girai verso Ethan seduto al computer. Era pallido e non distoglieva lo sguardo dallo schermo, come se temesse che anche il minimo movimento potesse attirare l'attenzione su di sé. Sospirai. Quello stage che avrebbe dovuto rappresentare un'opportunità indimenticabile, si stava rivelando un vero incubo. Invece di imparare mi ritrovavo a temere che Ethan sparisse da un giorno all'altro nel nulla. Tentai di tornare al mio lavoro ma sembrava che anche il destino fosse contro di me. L'applicazione si bloccò di colpo cancellando l'intera email che avevo appena scritto. Imprecai a bassa voce ma sobbalzai quando il sindaco apparve alle mie spalle. -Ottimo lavoro ragazzi. Avrete un giudizio più che positivo. Dorian, posso parlarti un momento?- Il ragazzo si alzò lanciandomi un'occhiata che aveva il sapore di un avvertimento, prima di seguire il padre nel suo ufficio. Un avvertimento per cosa, esattamente? Avrebbe infilato di nuovo uno di quei cazzo di giocattoli sessuali dentro di me per poi costringermi a non venire? Per punirmi di qualcosa che soltanto lui riteneva un torto? Un giorno o l'altro lo avrei preso a pugni.
Nel frattempo tentai invano di riavviare l'applicazione. Con tutto il denaro che il sindaco possedeva avrebbe potuto sostituire quei computer obsoleti con qualcosa di più moderno e funzionante. Dopo diciassette interminabili minuti il computer finalmente riprese a funzionare. Mi accorsi che Ethan mi stava osservando di nascosto terrorizzato all'idea di rivolgermi la parola anche in assenza di Dorian. Eppure sapevo che la sua continua presenza non era una coincidenza.

Dorian non ci aveva lasciati soli nemmeno per un attimo da quando il turno era iniziato e una parte di me sospettava che lo avesse fatto deliberatamente. Era consapevole dell'attrazione di Ethan nei miei confronti ma perché comportarsi in quel modo? Non aveva alcun diritto di interferire nella mia vita. Non era il mio fidanzato. Era stato, al massimo, il mio migliore amico. O forse no. Forse non eravamo mai stati davvero amici, ma soltanto due persone unite da un'infanzia condivisa e da un astio che non aveva mai smesso di crescere. Ma ieri vi siete baciati, mi ricordò una voce interiore. Cercai subito di correggerla: Mi ha baciata lui.
È diverso. Avere a che fare con Dorian era come vivere sulle montagne russe, un continuo alternarsi di odio, cattiverie e gesti contraddittori. Mi isolava da tutti, soprattutto dai ragazzi. Mi baciava per poi dichiarare che lo faceva solo chi amava. Ma era una cazzata: non mi amava, mi odiava. Posai la testa tra le mani con i gomiti piantati sulla scrivania. La sua presenza era estenuante, un peso costante che mi risucchiava ogni energia. Era sempre stato così fin da bambini. L'app si aprì finalmente quasi come per magia e sentii un nodo sciogliersi dentro di me. Ma la gioia durò un istante: ogni email inviata era sparita. Trattenni a fatica le lacrime; la frustrazione e la delusione mi opprimevano come un peso insopportabile. -Hey Ethan- mormorai avvicinandomi alla sua scrivania. -Non capisco, si è cancellato tutto. Potresti aiutarmi con questo problema? Ti prego non voglio fare una figura di merda con il sindaco.- Lo osservai guardarsi intorno come per accertarsi che fossimo davvero soli. Il gesto mi diede la conferma che sospettavo: Dorian doveva aver combinato una delle sue. Non era una novità del resto; lo aveva sempre fatto con chiunque si trovasse vicino a me. Ethan annuì seppure esitante.
-Okay, vediamo...- disse avvicinandosi a sua volta.

Le mani tremavano mentre afferrava la tastiera del mio computer e iniziò a digitare. Il suo sguardo balzava nervosamente tra me e lo schermo e senza volerlo finii per fare lo stesso. Mi ritrovai con gli occhi incatenati ai suoi, di un azzurro vivido e profondo. Quel giorno Ethan sembrava diverso: più maturo, quasi intimidatorio. Indossava un completo elegante molto simile a quelli che Dorian sceglieva e di certo altrettanto costoso. I suoi capelli rosso-arancioni erano tirati indietro con abbondante gel mettendo in risalto le lentiggini che gli punteggiavano il viso. Cercava di mantenere una postura rigida, quasi a mascherare il terrore che traspariva dai suoi occhi. Il verdetto, purtroppo, non tardò ad arrivare: il problema era irreversibile. Le email erano perdute senza alcuna possibilità di recuperarle. Nonostante tutto Ethan continuava a provare come se la speranza lo costringesse a non arrendersi. La porta si spalancò all'improvviso interrompendo quel momento. Entrambi ci voltammo di scatto. Dorian torreggiava su di noi con un'espressione indecifrabile. Una scarica di brividi attraversò Ethan anche se Dorian stava fissando me. Deglutii sentendo la stessa paura paralizzante insinuarsi dentro di me. -Che state facendo?- Domandò, ma il tono lo rese tutto fuorché una domanda. Abbassai lo sguardo incapace di incontrare quello di Ethan e balbettai qualcosa di appena comprensibile.
-Ho avuto un problema con il computer... e ho chiesto a Ethan se poteva aiutarmi.- Dorian avanzò verso di noi con la stessa espressione illeggibile dipinta sul volto. -Devi chiedere a me se hai un problema- sentenziò con voce dura. -Solo a me. Non devi rivolgerti agli altri.- Quella prepotenza mi fece scattare. Alzai il capo per affrontarlo, commettendo l'errore di lanciargli un'occhiata piena di sfida. Il suo sguardo si incupì e in un attimo mi afferrò il polso trascinandomi in disparte con un movimento deciso.
-Torna a lavorare- ordinò ad Ethan che obbedì immediatamente senza protestare. La mia schiena urtò il muro con forza e Dorian mi sovrastò con la sua figura imponente. Alzai il viso per guardarlo ma la sua presa sul mio polso si fece più salda, fino a provocarmi dolore. -Ti diverte vero?- Sibilò a bassa voce con tono velenoso e carico di rabbia repressa. Mi ritrovai a sbattere le palpebre più volte, come se cercassi di decifrare il significato di quelle parole.

-Cosa dovrebbe divertirmi?-
Il suo ghigno si fece più evidente in un misto di sarcasmo e minaccia. -Essere la causa delle disgrazie altrui.- Lo fissai confusa e incredula. -Che cosa stai dicendo?-
Si avvicinò ulteriormente e mantenne corpo premuto contro il mio mentre il fiato caldo mi sfiorava il collo. La vicinanza mi ricordò con un lampo di panico che Ethan era ancora nella stanza.
Che cosa penserà di me vedendomi in questa situazione? Sentii il suo respiro salire fino al viso e un momento dopo le sue labbra erano a un soffio dalle mie. -Se gli succede qualcosa, Hailey, sarà solo ed esclusivamente colpa tua. Vuoi davvero portarti questo peso?-
-No...- sussurrai con il respiro mozzato.
-Bene- continuò lui con un tono gelido e definitivo. -Allora stai lontana da lui e non gli accadrà nulla.- Provai a spingerlo via ma non si mosse di un millimetro. Con un braccio bloccava il mio polso e con l'altro premeva l'avambraccio contro il muro sopra la mia testa imprigionandomi del tutto. -Lasciami andare- dissi guardandomi intorno con ansia.
-Ci vedrà.- Una risata sarcastica sfuggì dalle sue labbra, gelida come il ghiaccio. -Cosa c'è? Hai paura che qualcuno pensi che tra noi ci sia qualcosa?- Sibilò con voce carica di sfida. Deglutii cercando di mantenere un briciolo di lucidità. -Tuo padre potrebbe entrare da un momento all'altro e non voglio perdere un'opportunità per colpa tua- risposi ma il mio tono tradiva la crescente incertezza. La sua mano che fino a un istante prima stringeva il mio polso, si spostò lentamente lungo il mio corpo. Le sue dita scivolarono sulle cosce accarezzandole con una delicatezza che sembrava del tutto estranea al suo carattere. Un brivido mi attraverso, un misto di tensione e confusione. -Hai paura che qualcuno capisca che non ha alcuna possibilità con te?- Continuò inclinando la testa di lato, teneva gli occhi fissi nei miei.  Il suo corpo si spinse ulteriormente contro il mio schiacciandomi ancora di più contro il muro.
-Dorian...- sibilai in tono di avvertimento senza sapere bene
cosa sperassi di ottenere.
-Ho distrutto la possibilità che potesse esserci qualcosa tra voi?- Aggiunse con un ghigno pericoloso piegandogli le labbra. Prima che potessi rispondere la sua mano si mosse repentinamente insinuandosi tra le mie cosce e risalendo sotto la gonna. Sussultai quando toccò il mio punto più sensibile, il gesto così improvviso da lasciarmi senza fiato.
Era una follia, una follia totale.
Eravamo nello studio con le porte aperte. Sapevo che Ethan ci stava osservando incapace di distogliere lo sguardo. Dal riflesso di uno specchio lo vidi: il suo volto era paonazzo, gli occhi sgranati e le labbra erano serrate in una smorfia di pura incredulità. La situazione era fuori controllo ma Dorian sembrava trarre forza proprio dal caos che stava generando.

-Oppure hai paura che possa vedere come godi sulle mie dita?-

Sussurrò con voce bassa e tagliente mentre la sua mano continuava a muoversi con una precisione crudele, accarezzando la mia intimità sopra il sottile tessuto
delle mutandine. Mi sentii sopraffatta, un misto di umiliazione e rabbia si mescolò al calore che mi infuocava le guance. Il respiro corto e irregolare mi si spezzò nel petto. Ogni suo tocco mi riportava alla prima volta in cui l'aveva fatto, con quella sicurezza disarmante come se sapesse esattamente cosa fare per distruggere ogni mia difesa.
Mi odiavo. Mi odiavo per come il mio corpo reagiva tradendomi.
Come potevo farmelo piacere? In quel luogo, in ufficio, con qualcuno che ci guardava?
-Pensi che questo spettacolino gli farà capire che deve smetterla di avvicinarsi?- Mormorò scrutandomi con occhi lucenti di sfida. C'era disgusto in me, sì, ma non bastava. Non bastava a fermare quel tremito nei miei fianchi che involontariamente seguivano il movimento delle sue dita. Cercavo quell'attrito, quella scintilla di piacere proibito che mi faceva impazzire anche se sapevo che non avrei dovuto. Lo fissai negli occhi cercando di ritrovare il controllo ma il suo sguardo sembrava perforarmi, in grado di vedere ogni segreto che mi ostinavo a nascondere. Proprio come il mio collega dietro di lui, spettatore silenzioso di quella scena degradante.

Dorian si staccò di colpo lasciandomi senza fiato. Mi affrettai ad aggiustarmi la gonna cercando di ricompormi con un minimo di dignità. Il cuore mi martellava nel petto mentre evitavo di incontrare il suo sguardo. Lui invece mi fulminò con gli occhi, poi si voltò rapidamente mettendo quanta più distanza possibile tra noi. Lo osservai dirigersi verso la sua postazione e un ghigno soddisfatto si dipinse sulle sue labbra. Sedette di fronte a me ed Ethan come se nulla fosse accaduto. -Cosa fai ancora lì?-
Disse con un'ironia tagliente. -C'è molto lavoro da fare. Scrivi daccapo ogni singola email che hai perso.- Le sue parole colpirono come schiaffi. Deglutii a fatica serrando i pugni per contenere la rabbia. Tornai al mio posto, ogni passo era un atto di forza per non crollare. Mi accomodai evitando lo sguardo di Ethan consapevole che lui aveva visto tutto. L'imbarazzo mi stava divorando. La scena a cui Ethan aveva appena assistito mi martellava nella mente, un loop infinito di vergogna. Eppure dentro di me il caos regnava: un fuoco di emozioni contrastanti mi consumava. Il desiderio strisciava come un veleno nelle vene alimentato dal ricordo di Dorian e dei suoi tocchi. Ma al contempo ero furiosa, devastata dalla sua arroganza e prepotenza.
Mi costrinsi a guardare il monitor del computer ma le sue parole continuavano a rimbombare nella mia testa. Non era solo rabbia quella che provavo: era un conflitto insopportabile tra quello che odiavo in lui e quello che, contro ogni logica, desideravo.

Vera mi avvisa di una festa in un club ma non ho alcuna voglia di partecipare. La ringrazio con un messaggio e varco la soglia del locale, pronta a iniziare il turno. L'atmosfera è tranquilla e il bar quasi vuoto. La musica è alta come sempre ma i clienti sembrano insolitamente pacati. Sono seduti ai tavoli a conversare e solo pochi spettatori occupano i posti di fronte al mio palco. Scambio un cenno con Rajin che mi risponde con un saluto distratto. È solo dietro al bancone, intento a fumare con la solita calma mentre prepara i pochi drink ordinati. Mi sento stranamente serena, un lusso raro, soprattutto dopo la giornata infernale di ieri con Dorian. Salgo sul palco e comincio lo spettacolo, regalando agli uomini affamati di desiderio ciò che bramano. I loro occhi si perdono nei miei movimenti fluidi, mi seguono con un'intensità vorace. Sento le loro attenzioni gravare su di me come denti pronti a mordere. Ballo per loro ma mentre li soddisfo un pensiero emerge inevitabile. Mi ricorda qualcuno. Lui. I suoi ricordi riaffiorano sempre. Lo odio. Dio, quanto lo odio. Ma come si odia davvero qualcuno che è al tempo stesso la tua rovina e la tua salvezza? Come si può odiare chi ti priva della tua volontà per poi guardarti con fierezza, come fossi un trofeo? Lui è il mio inferno personale, il diavolo che alimenta una fiamma da cui non riesco a distogliere lo sguardo. Ogni volta che mi sfiora, ogni volta che i suoi occhi ardono sulla mia pelle, il mondo sotto di me si sgretola. Eppure... lo desidero. Lo desidero con la stessa intensità con cui lo detesto. È un veleno seducente, una lama affilata che accarezzo sapendo che mi taglierà. Perché, cazzo, c'è una parte di me che vive per quella ferita, che brama quel dolore.

Alzo lo sguardo verso le luci accecanti sopra di me e lascio che mi inghiottano.

Lo amo. Lo amo con un amore oscuro, sporco, che mi consuma più di quanto mi elevi. Eppure è tutto ciò che ho. La mia condanna e la mia redenzione. Vorrei scappare ma ogni volta che ci provo qualcosa di invisibile mi trattiene. Il mio cuore è incatenato al suo, una prigione che io stessa ho costruito.
Ma lui non mi ama. Mi possiede, mi manipola e io glielo permetto. Merda. Perché anche nel disprezzo, anche nel desiderio, c'è un piacere perverso a cui non riesco a rinunciare. E in questo caos mi perdo ancora una volta. Stringo il petto con entrambe le mani come se quel gesto potesse contenere ciò che sta per esplodermi dentro. Qui, davanti a tutti, su questo palco. Il respiro si spezza, gli occhi bruciano, ma mi ostino a resistere. Non voglio cedere, non voglio piangere. Eppure so che sto già perdendo la battaglia. Rido da sola, una risata che suona folle. L'ho ammesso finalmente.
Lo amo, ancora. Come può essere reale? Come posso essere così debole, così stupida? Come posso continuare a lasciargli questo potere su di me? Lo detesto perché sa di avermi in pugno. Perché mi guarda come se fossi un suo possesso e odio ancor di più il fatto che una parte di me voglia esattamente questo.

Non dovrebbe avere questo controllo su di me. So che cedere a lui è un errore, un errore fatale.
Eppure, non riesco a fermarmi.
Mi sfiora e tutto il resto scompare. Il mondo intero si riduce a lui, al vuoto devastante che lascia quando se ne va. Le lacrime infine vincono. Una scende lenta lungo la guancia, calda, implacabile.

Eppure lo amo. Questa è la verità più crudele, la verità che non volevo ammettere. Lui è il mio errore eterno. Ma non riesco a immaginare un mondo senza di lui. Anche ora mentre mi stringo il petto nel vano tentativo di calmare il dolore che lui stesso ha lasciato, so che se chiamasse, io andrei. E forse lo odio proprio per questo: perché mi ha rubato qualcosa che non potrò mai riavere. Me stessa.

—————

La serata scivola via lasciandomi svuotata. Le prime luci dell'alba illuminano il cielo, pallide e fredde. Inspiro l'aria fresca, un sollievo dopo una nottata trascorsa in mezzo al fumo e agli alcolici. Stranamente non ho bevuto, cosa insolita per me. Carlos è sparito. Non ci siamo più scritti dopo quella serata insieme. Forse ha perso interesse. Pazienza, mi dico, anche se un velo di tristezza si stende su di me. All'improvviso una mano si posa sulla mia bocca. Il gelo della pelle sconosciuta mi brucia, mi paralizza. Gli occhi si spalancano cercando freneticamente di mettere a fuoco, di comprendere ma la mia mente è un vortice di terrore. Il cuore esplode nel petto, un tamburo furioso che risuona nelle orecchie. La paura mi travolge come un'onda gelida paralizzandomi. Per un istante non riesco nemmeno a respirare, come se l'aria fosse stata risucchiata
lasciandomi sospesa in un vuoto opprimente. La gola si chiude su un urlo soffocato dalla mano che mi tiene prigioniera, un peso insopportabile che mi blocca. Il mio corpo reagisce prima della mente. I muscoli si tendono spinti dall'istinto di sopravvivenza. Mi dimeno, cerco di liberarmi ma il panico mi confonde, mi annebbia i pensieri. Poi, una voce familiare rompe il silenzio come una frustata:-non è molto carino piantare le persone in quel modo.- Il sangue mi si gela. Riconoscerei quella voce tra mille. Con tutta la forza che ho mordo la mano che mi tiene ferma. Lui si scosta bruscamente lasciandomi libera e mi volto furiosa. Il suo ghigno mi colpisce come una lama. È compiaciuto, divertito dalla mia reazione. -Dorian- sibilo a denti stretti. -Che cazzo fai? Sei impazzito?-
-Ti sembra il caso di lasciarmi in quel modo?- Ripete con il tono sarcastico aggiungendo un'allusione alla notte precedente.
-Non fai altro che umiliarmi e ti aspetti che io resti li a farmi calpestare?-
-Sì, sotto di me, come sempre- ribatte avvicinandosi
pericolosamente, la presa salda sul mio mento mi obbliga a guardarlo. Lo spingo via con forza e col cuore che batte furioso. -Ma che cazzo di problemi hai?- Urlo, l'indignazione brucia come benzina sul fuoco. Lui non risponde subito ma i suoi occhi si accendono di una luce oscura. L'aria intorno sembra farsi densa, pesante, come se il mondo stesso trattenesse il respiro. -Hai sempre fatto del tuo meglio per rendermi la vita impossibile- sbotto. -Cosa cazzo ti ho fatto?-

A quelle parole Dorian si volta verso di me. E in quell'istante il tempo sembra fermarsi. Il luogo si oscura come se persino le ombre temessero la sua presenza.
I suoi occhi... Dio, i suoi occhi. Non sembrano più umani. Brillano come braci incandescenti, intrisi di una rabbia primordiale che mi trafigge l'anima. I lineamenti perfetti nella loro bellezza spietata si deformano in qualcosa di terribilmente
magnetico, un fascino crudele che mi toglie il fiato. Ogni fibra del suo corpo è tesa, le mani sono strette in pugni e le vene pulsano con un'energia oscura pronta a esplodere. Quando finalmente parla la sua voce non è più la sua. È profonda, gutturale, un suono che sembra emergere dagli abissi.
-Sei tu, Halley. Il mio cazzo di problema. Sei tu.- L'aria intorno vibra, densa di tensione e il calore che emana mi avvolge come una morsa. È un fuoco che mi brucia, che mi paralizza e la sua ombra sembra crescere minacciosa come una creatura viva pronta a inghiottire ogni cosa. Le sue dita afferrano il mio mento con forza. Mi costringe a guardarlo, i suoi occhi mi divorano viva.
Indietreggio fino a quando la schiena non si scontra con qualcosa di ruvido: un albero. Il tronco mi immobilizza ma è la sua presenza a rendere l'aria irrespirabile. Lui è così vicino, così pericolosamente vicino che posso sentire il suo respiro caldo sulla pelle, il profumo della sua rabbia mescolato a qualcosa di oscuro e irresistibile.

Mi tiene prigioniera con la forza della sua presa e con la sua stessa esistenza. Non posso muovermi, non posso fuggire e una parte di me, la parte più debole e folle, non vuole farlo. Il suo viso si avvicina e le sue labbra sono a un soffio dalle mie. Per un istante c'è solo il silenzio tra di noi, carico ed elettrico. Il mio cuore batte furiosamente come se volesse sfuggire dal mio petto e rifugiarsi nelle sue mani. Voglio odiarlo, voglio urlargli contro ma le parole mi sfuggono. Le dita stringono appena di più e il suo sguardo scivola sulle mie labbra. Non dovrebbe farlo, non dovrei permetterglielo. Non possiamo.
-Ti odio- sussurro ma la mia voce tradisce ogni parola. È debole e incrinata, come se l'odio non fosse abbastanza forte da mascherare il desiderio che mi divora.
-Non quanto ti odio io- risponde e il suo respiro mi sfiora la bocca.
Ma non si muove, non si avvicina oltre. È lì, immobile, come una fiamma che minaccia di esplodere trattenuta solo da un filo. Le mie mani premono contro il tronco alle mie spalle e provo ad allontanarmi da lui, ma non c'è via di fuga. È lì la mia condanna in carne e ossa. Il suo sguardo brucia e non posso fare a meno di sentire il peso delle sue parole anche prima che le pronunci.
-Perché lo fai?- La voce è incrinata dalla rabbia ma anche da qualcosa che non riesco a controllare.
-Perché devi rendermi la vita impossibile? Perché non puoi semplicemente lasciarmi in pace?-
Lui serra la mascella e i suoi occhi sono fissi nei miei. C'è una lotta dentro di lui, la sento e mi terrorizza. Si trattiene da qualcosa di troppo grande, qualcosa che potrebbe distruggere entrambi.
-Lasciarti in pace?- Ride ma il suono è tagliente e privo di allegria. -Tu... tu sei ovunque. Sei dentro la mia testa, dentro la mia pelle. Non mi lasci respirare.- Scuoto la testa confusa e rabbiosa. -Io non ti ho chiesto niente. Sei tu che...- non mi lascia finire. Si avvicina di scatto e il suo corpo è quasi schiacciato contro il mio. Il tronco dell'albero è freddo ma il calore che emana lui mi avvolge, mi soffoca.

-Tu sei il mio tormento- la voce è carica di una furia che mi fa sussultare. -Mi tieni sveglio la notte, mi rovini la vita, mi fai perdere la testa. Ogni cazzo pensiero è rivolto di te.- Avvicina il volto al mio, il naso è premuto contro la mia guancia e mi parla a una distanza che sembra non esistere. -Ti voglio distruggere e ridurti in mille pezzi, per questo.- Resto lì immobile e incapace di respirare, incapace di pensare. La sua confessione mi colpisce come un fulmine e tutto ciò che riesco a fare è balbettare qualcosa di incomprensibile. -Tu...- le parole muoiono sulle mie labbra soffocate dall'uragano di emozioni che mi travolge. Le sue dita si allentano sul mio mento ma non si allontana. Rimane lì col respiro irregolare contro il mio come se fosse sul punto di perdere tutto il controllo che gli è rimasto. E io non so se devo odiarlo di più o lasciarmi consumare da quello che vedo nei suoi occhi.

Le parole mi riecheggiano nella mente come un ruggito che non riesco a spegnere. Il suo corpo è a un soffio dal mio, così vicino che potrei sentire il battito del suo cuore se non fosse sovrastato dal frastuono del mio. -Tu sei pazzo- dico cercando di mantenere la voce ferma ma è inutile. Sono in frantumi. -Se davvero mi odi tanto per tutto questo, perché non te ne vai e mi lasci vivere la mia vita? Che senso ha?-
-Perché non posso. Sei la mia maledizione.- Scoppio a ridere -non c'è un solo momento in cui non senta il peso di quello che fai. Mi distruggi e poi torni come se non ne avessi abbastanza.- Le sue labbra si piegano in un sorriso amaro, pericoloso. -Sapessi quante volte mi hai ammazzato senza accorgertene. È questa la differenza tra me e te.- Si interrompe ma noto le sue mani tremare, il controllo gli sta scivolando via. -Magari- lo sfido con tono velenoso ma c'è qualcosa di più sotto, qualcosa che non riesco a reprimere. Si avvicina ancora di più, il suo volto è così vicino che potrei inclinarmi appena e le sue labbra sarebbero sulle mie.
-Preferirei morire che vivere così- ammette infine in un sussurro roco che mi perfora l'anima.

-A questo costante bisogno di averti, di toccarti, di strapparti via ogni maschera per scoprire se sotto, c'è qualcosa che possa odiare di meno.- Eppure, c'è una parte di me, una parte perversa e traditrice che vorrebbe solo afferrarlo e lasciarsi
consumare dal fuoco. Le sue labbra sono a un soffio dalle mie ma si fermano, entrambe le nostre volontà inchiodate dall'odio che ci imprigiona. I nostri respiri si mescolano, tesi, saturi di una tensione che potrebbe spezzare il mondo intero.
-Dorian- sussurro e la mia voce è un miscuglio di supplica e sfida.
-No- ringhia. -Non ho intenzione di darti questa soddisfazione.-
Eppure nessuno di noi si muove.

Restiamo lì sospesi, consumati da un desiderio che ci divora e da un odio che ci tiene in vita. Il silenzio tra noi è insopportabile, carico come un temporale che non vuole esplodere. Il suo respiro sfiora le mie labbra eppure non si muove, non cede. È una tortura, una lenta agonia che mi strazia dall'interno. Le sue dita mi tengono ancora prigioniera, il mento è fermo nella sua presa. I suoi occhi mi scrutano, scuri e indecifrabili mentre sento il cuore battere così forte da temere che mi spezzi il petto. -Perché non lo fai?- Lo sfido. Non voglio dirlo, non voglio supplicarlo ma le parole escono da sole più forti della mia volontà.

-Se mi odi tanto, se davvero vuoi distruggermi, perché non lo fai? Perché non mi baci?-
Il suo sguardo arde più di prima.
-Perché dovrei darti quello che vuoi?- Ringhia.

Le mani si sollevano, tremano mentre gli afferro la camicia stringendola come se fosse l'unica cosa che mi tiene in piedi. Gli occhi mi bruciano ma non riesco a fermarmi. -Ti prego- mormoro e la voce si fa sottile, un respiro che sa di resa. -Baciami.-
-Sei patetica- sussurra ma la sua voce trema.
-Mi hai già distrutta, dopotutto, non penso ti dispiaccia darmi il colpo di grazia.- C'è un momento, un attimo che sembra durare un'eternità in cui il mondo sembra fermarsi. Poi si inclina, il suo volto è a un soffio dal mio e i suoi occhi si fissano nei miei. Ma non si muove, non ancora, è sul punto di gettarsi in un abisso e aspetta che io lo spinga. Si allontana lasciandomi un vuoto nel petto, le guance bagnate di lacrime e il cuore gravato dal peso di un dolore che non so spiegare.

Mi lancia un'ultima occhiata indecifrabile prima di voltarsi e scappare via, come ha sempre fatto.

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