DICIASSETTE

HAILEY

La festa si era rivelata noiosa, ma per fortuna stava per concludersi. Per tutta la sera, Dorian non aveva fatto altro che tenermi sotto controllo, vantandosi spudoratamente di essere semplicemente sé stesso. Lo detestavo quando assumeva quell'aria da pallone gonfiato, innalzandosi su un piedistallo immaginario come se fosse al di sopra di tutti. Si pavoneggiava con movimenti teatrali, padrone indiscusso della serata. E, in effetti, lo era. Le feste organizzate da Dorian Hunderson erano leggendarie: chiunque era impaziente di parteciparvi non appena veniva annunciata una data e messi in vendita i biglietti.

Ormai la sala si era quasi svuotata. Erano le tre del mattino e la maggior parte degli invitati se n'era già andata o si trovava fuori dalla discoteca a chiacchierare e fumare. Gli irriducibili erano rimasti a ballare o si erano raccolti attorno a Dorian, idolatrandolo come se fosse una divinità in grado di fare miracoli. Lui, nel frattempo, era circondato da un gruppo di ragazze in abiti succinti, che lo accarezzavano in ogni punto del corpo mentre lui sorrideva a ciascuna con la sua tipica aria seducente. Ma, nonostante l'attenzione che riceveva, continuava a voltarsi verso di me per assicurarsi che fossi ancora seduta con quel gruppo che considerava di "sfigati" per il semplice fatto di non essere popolari. Io, dal canto mio, sorseggiavo lo stesso drink che avevo ordinato all'inizio della serata, senza togliermi l'impressione di essere fuori posto.

Non volevo partecipare a quella festa, anche quando Dorian si era intrufolato a casa mia passando per il balcone, per convincermi. Ma restare a casa non mi allettava, e, sapendo che i miei amici ci sarebbero andati, alla fine avevo accettato. Ero rimasta seduta per tutto il tempo a chiacchierare con Kenneth e Laetitia, evitando qualsiasi interazione superflua.

-Oh, credo che dovremmo andare a casa- disse Nemina, barcollando. Zaira la sorresse ridendo, altrettanto instabile. -Abbiamo decisamente esagerato stasera. Se non rientriamo, finiremo per addormentarci sulle sedie, e i nostri genitori allerterebbero chi di dovere per rintracciarci.- Laramey alzò gli occhi al cielo, scocciata. -Non avete bevuto un cazzo e siete messe già così male.-
Sorrisi, divertita, mentre Laetitia rise di gusto alle sue spalle. Mi passò il suo bicchiere con fare complice. -Hai lo stesso drink da tutta la sera. Cambia un po'- mi disse con un sorriso luminoso, gli occhi che le brillavano di una gioia contagiosa. Laetitia aveva un'energia travolgente, non si atteggiava mai a leader, anche se tutti si lasciavano guidare spontaneamente dal suo spirito. Era la più conosciuta tra noi, ma mai altezzosa.

Prese a parlare del ragazzo che aveva appena conosciuto, un tipo popolare che sembrava calmo e innocuo, sebbene io nutrissi qualche dubbio. Le passai il mio bicchiere in un gesto distratto, facendola ridacchiare. -Un baratto. Mi sembra ovvio- scherzò e alzai le spalle.

-Perché sei venuta, allora? Non sembri dell'umore giusto- mi chiese avvicinandosi. -Tua madre ha combinato qualcosa? Devo ospitarti per qualche giorno?-
Sospirai, scrollando la testa. -No, tutto bene. Sono solo stanca. Il lavoro e lo studio insieme sono un po' pesanti. E poi con questa dieta non ho abbastanza energie per affrontare tutto.- Lei annuì, ma il suo sorriso si affievolì, oscurato da un'ombra di tristezza che non avevo intenzione di provocare. -Sto bene, davvero- aggiunsi con un sorriso forzato. -Tra l'altro, c'è Dorian che mi "solleva".- Le mie parole le strapparono un ghigno ironico. -Dorian ti solleva? Sembra una nuova posizione. Te l'ha proposta lui?-
-Laetitia!- Esclamai arrossendo. Lei rise, scuotendo la testa.
-Io e Dorian non...-

-... sì, sì, certo. Siete "amici d'infanzia"- replicò mimando delle virgolette in aria. La fulminai con lo sguardo.

Poco dopo, si aggiustò il vestitino blu e diede una rapida sistemata ai capelli castani. -Comunque, devo incontrare quel ragazzo di cui ti parlavo.- La guardai con fare interrogativo. -Per affari, immagino- commentai ironica, ma lei non rise.
-Spero solo che non si stanchi di me perché non sono popolare- mormorò.

Laetitia era splendida: intelligente, empatica e carismatica. Solo uno stupido avrebbe potuto stancarsi di una ragazza con cui era possibile parlare di tutto, per ore. Ma lei mi sorrise di nuovo, scrollando le spalle. -Comunque, spero almeno di farci sesso- concluse.

Sobbalzai. -Siamo in pubblico- le ricordai, imbarazzata. Lei se ne andò ballando, muovendosi sensualmente accanto a Rajin. Intanto, Nemina vomitava in un vaso all'ingresso e io non potei fare a meno di provare disgusto.

-Forse dovresti anche tu.-
La voce profonda alle mie spalle mi fece trasalire. Era Dorian. Non mi voltai, ma sentivo il suo fiato caldo sul collo. -C... cosa? Fare cosa?- Balbettai, avendo già dimenticato la conversazione. Lui rise, senza rispondere e con un gesto rapido mi strappò il bicchiere dalle mani.

-Tu non bevi- disse, finendo il contenuto in un sorso.
-E tu non sei mio padre- ribattei, cercando di riprendermi il bicchiere ma lui lo allontanò con un ghigno compiaciuto.
-Ho diciassette anni, non sono una bambina- dissi con tono ostinato, ma ciò non fece altro che divertirlo ulteriormente. Quel sorriso soddisfatto mi dava sui nervi. Bastardo.

Ero stanca. Mi appoggiai con la guancia sulla sua spalla e il suo volto si fece immediatamente serio.
-Vuoi che ti porti a casa?- Chiese.
Scossi la testa. -Devi restare fino alla fine, sei l'organizzatore. Tornerò con i ragazzi.-
-Sono ubriachi e resteranno qui almeno un'altra ora.-
Sospirai per l'ennesima volta. Lui si inginocchio davanti a me, i suoi occhi scuri puntati nei miei.
-Lascia che ti riporti a casa.-
-Ma... come farai?- Mormorai esitante. -Ho dei collaboratori, tornerò subito dopo.-

Mi guardai intorno, cercando una scusa. -Non voglio tornare a casa...- dissi infine, quasi sottovoce. Eppure, Dorian comprese immediatamente.
-Dormirai da me.- Scossi di nuovo la testa. -Hailey, non fare la bambina. Sei esausta e se non vuoi andare a casa tua, andrai nella mia.- La sua voce era decisa, una serietà insolita per il suo solito carattere. Quella sera Dorian mantenne davvero la sua parola. Mi portò a casa sua e io ero così stanca da lasciarmi trasportare tra le sue braccia lungo il vialetto che collegava le nostre abitazioni. Era strano essere nella sua stanza, anche se, a dirla tutta, non era la prima volta che dormivamo insieme.

Crollai sul letto dalle lenzuola nere, restando in intimo, e mi avvolsi nella calda trapunta.

Lui si accomodò sul bordo del letto, scostandomi una ciocca di capelli dal viso con una delicatezza che mi sorprese. Era un gesto inconsueto per lui, abituato più a ferire che a confortare, intenzionalmente o meno. Anche se tenevo gli occhi chiusi, potevo sentire il suo sguardo che mi bruciava addosso e il lieve tocco delle sue dita mentre giocherellava con i miei capelli. Un rumore attirò la mia attenzione: il suono delle sue scarpe che scivolavano sul pavimento, seguito dal letto che si abbassò di colpo.
Aprii gli occhi. Dorian era vicinissimo al mio volto, sorreggendosi con un braccio accanto alla mia testa, mentre l'altra mano mi sfiorava la guancia. Le sue dita scivolarono fino al mio mento, alzandomi delicatamente il viso verso di lui.

Il breve spazio che ci divideva era carico di una tensione palpabile. II mio respiro, sempre più affannoso, sembrava l'unico suono nella stanza. Sapevo che poteva percepire il battito irregolare del mio cuore. Era tutto così assurdo.
Perché Dorian mi stava toccando con quella dolcezza che non gli avevo mai visto? Perché si trovava li, cosi vicino, quando avrebbe potuto essere alla sua festa? E perché mi guardava come se fossi la cosa più preziosa e fragile sulla Terra?

Forse è ubriaco, pensai, mentre un'ondata di brividi mi percorse il corpo. Poi mi baciò. Lentamente, le sue labbra si fusero con le mie, il calore che trasmetteva sembrava accendermi dall'interno. La sua lingua sfiorò la mia in una danza sensuale che mi tolse il respiro.
Cercai di allontanarlo con una mano sul petto, ma lui me la prese, intrecciandola con la sua e tenendola premuta contro di sé.
Un lieve mugolio gli sfuggì mentre mi mordicchiava il labbro inferiore.
Senza pensarci troppo, aprii le gambe per permettergli di avvicinarsi e lui colse
immediatamente l'occasione.
Continuò a baciarmi senza sosta, sospirando impaziente, e il movimento dei suoi fianchi contro il mio corpo accese un fuoco difficile da ignorare. -Dorian...- mormorai col fiato corto, staccandomi da lui per un istante. I suoi occhi, scuriti dalla passione, sembravano in grado di incendiare la stanza intera.
-La tua festa... devi tornare...- cercai di dirgli ma lui mi zittì di nuovo con un bacio. Senti le sue mani che mi stringevano con decisione, mentre le sue labbra non lasciavano le mie neanche per un attimo.

Mentre lo guardavo sfilarsi la giacca con un movimento fluido, il mio corpo bruciava di desiderio. Era Dorian. Dio, era Dorian. Una marea di calore si concentrò tra le mie gambe, in quel punto in cui lui cercava sollievo strusciandosi contro, fastidiosamente
protetto dai vestiti. Mi tenne ferma con una mano al collo, facendomi emettere un leggero gemito di sorpresa. Si liberò della camicia, gettandola da qualche parte nella stanza, e non potei fare a meno di accarezzare il suo petto scolpito, lasciando che le mani scivolassero lungo la sua schiena. Quando le sue dita trovarono la strada verso la mia intimità, togliendo ogni barriera tra di noi, trattenni un gemito. Provai a sollevarmi con le braccia per guardare, ma lui mi fermò con una presa decisa al collo.

-Ferma- ordinò, la sua voce era bassa e autoritaria. Deglutii, il cuore batteva all'impazzata. Nei suoi occhi brillava una scintilla di malizia mentre premeva con maggiore intensità su quel punto, sapeva come farmi impazzire.
La sua fronte si poggiò contro la mia e ogni pensiero razionale venne cancellato da quel tocco, dalla sua presenza dominante, dalla tensione che si faceva sempre più insostenibile.

Chiusi gli occhi e inarcai la schiena, avvicinandomi a lui. Ne approfittò per lambire il mio collo con la lingua. Stavo bruciando. La stanza era colma dei miei gemiti, perché quel dannato bastardo sapeva esattamente dove e come toccarmi.
Conosceva il mio corpo meglio di quanto lo conoscessi io stessa.
Stavo perdendo la testa. La sua lingua era ovunque, le dita si muovevano con abilità, mentre le sue labbra soffocavano i miei sospiri posandosi sulle mie.
Si fermò di colpo. Rimasi con gli occhi chiusi, cercando di regolare il respiro. Lo sentii muoversi sul letto e, quando aprii gli occhi, lo vidi sfilarsi i boxer. Mi mancò l'aria.
Oddio.
-D... Dorian, io...-
-Non ti guarderò venire sulle mie dita. Non questa volta.- Afferrò il mio mento costringendomi a guardarlo, mentre si strofinava l'erezione sotto i miei occhi increduli. Poi si piegò, aprì il cassetto del comodino e tirò fuori un pacco di... no, non potevo crederci. -No, Dorian, io... io non l'ho mai fatto prima.- Pensavo che mi prendesse in giro o che scoppiasse a ridere. Invece, non mi degnò neanche di uno sguardo, limitandosi a srotolare il preservativo sul suo cazzo.

-Bene. È ora di provare qualcosa di nuovo.-

-Cosa...- balbettai mentre sentivo la punta sfiorare la mia entrata.
Tremavo. Mi afferrò i capelli con una presa salda, costringendomi a stendermi sotto di lui. Piegò la fronte contro la mia e, con un unico movimento deciso, spinse l'erezione dentro di me. Ero fradicia. Il mio corpo mi stava tradendo, allargandosi e adattandosi alle sue dimensioni. Nonostante questo, non riuscii a trattenere un lamento per il fastidio che lui placò con un bacio. Era insidioso, pungente, doloroso. Gemetti. Non l'avevo mai visto così coinvolto, così vicino a perdere il controllo. Le sue barriere vacillavano, sentivo che si tratteneva ogni volta che affondava completamente dentro di me, sospirando di piacere. Era calmo, anche se le sue spinte erano secche, quasi studiate per farmi il meno male possibile.

Affondai le unghie nella sua schiena, graffiandolo mentre mi agitavo sotto di lui, incontrando i suoi movimenti. Cercavo quell'attrito che mi aveva negato fermandosi. Era sorprendente quanto mi piacesse, pensai ansimando come se stessi correndo una maratona. Mi piaceva.
-Dorian- sussurrai con la voce
impastata di desiderio.
-Mi piace. Non smettere.-
Lui si irrigidi sopra di me.
-Scopami più forte.- Gli leccai la base del collo mordicchiandolo lievemente. Continuava a colpire quel punto in profondità che mi stava facendo impazzire, avvicinandomi rapidamente all'orgasmo. Sentii il piacere espandersi dentro di me man mano che aumentava il ritmo.
-Mh... Dio- mugolai, ormai vicinissima, con il respiro mozzato.
-Sono Dorian, piccola Hailey. Ti sto scopando io, non Dio. Quindi, di' il mio nome.-

Spostai una gamba sulla sua spalla e scivolò più in profondità, lo osservai baciarmi la caviglia senza mai distogliere lo sguardo da me. I suoi ricci erano incollati alla fronte e il petto era madido di sudore. Era ancora più bello in quello stato. Mi venne voglia di invertire le posizioni e cavalcarlo. -Dorian- gemetti nel momento in cui i miei occhi si chiusero e il mio corpo si irrigidi. L'orgasmo mi travolse, facendo contrarre le pareti interne attorno al suo membro. Lui ansimò appena, sopraffatto.

Cercai di riprendere fiato mentre
Dorian tornava a baciarmi con dolcezza. Mi spostò i capelli dalla fronte, i suoi occhi si immergevano nei miei, privi del solito sarcasmo.
Era serio. Mi accarezzò il viso e posò un bacio sulla mia spalla.
-Ti è piaciuto, mh?- Chiese. Annuii, ancora confusa. -Bene- rispose per poi prendermi con forza e girarmi. Sgranai gli occhi e provai a voltarmi verso di lui, ma mi afferrò per i capelli, bloccando il mio volto sul cuscino. Avvicinò le labbra al mio orecchio. -lo, però, non ho ancora finito. Anzi, ho appena iniziato.-
Il tono basso, fermo e roco mi fece tremare.

Lo spinse dentro di nuovo con forza e in quella posizione lo sentii ancora più in profondità. I miei lamenti venivano attutiti dal cuscino, mentre la potenza delle sue spinte faceva sbattere ripetutamente la testiera del letto contro il muro. Voltai il viso di lato, cercando di prendere aria, ma le lacrime che mi rigavano le guance me lo rendevano difficile.
-Fa male- boccheggiai, singhiozzando. Lui ansimò vicino al mio orecchio, la voce intrisa di un sarcasmo crudele. -Sei troppo
stretta per me.-
-Per favore, fermati... fa male- implorai, cercando di spingerlo via con le mani. Mi afferrò i polsi con fermezza, bloccandoli dietro la schiena. I suoi movimenti erano rapidi, decisi, quasi disperati. Cercava di mantenere il controllo, ma i gemiti di piacere che gli sfuggivano tradivano il suo tentativo di dominare la situazione. -Lo prendi così bene per non averlo mai fatto... sei una puttana di natura- sibilò, gettando indietro la testa mentre i muscoli si contraevano e il respiro si faceva irregolare.

Quando finalmente si sfilò da me, buttò il preservativo a terra con un gesto indifferente. Mi lasciai andare a un sospiro di sollievo, sperando che nessuno in casa avesse sentito i suoni osceni che avevamo prodotto. Ma il rumore della carta che si strappava mi fece voltare di scatto. Non potevo crederci. La sua risata alle mie spalle era crudele, quasi infernale. -E tu credi di potermi soddisfare così?-

—————

Le mie palpebre si chiudevano per la stanchezza; erano quasi le cinque del mattino e Dorian non si era ancora fermato. Il mio corpo portava i segni della sua ingordigia: graffi, morsi, qualche livido e il rossore delle sculacciate ben assestate. La schiena mi doleva, ma nonostante tutto, non potevo fare a meno di osservare il suo corpo riflesso nello specchio dell'armadio semiaperto. La sua pelle, chiara e perfetta, brillava di sudore e ogni movimento sembrava un'onda di energia che attraversava entrambi.
Ogni volta che mi toccava, era come se un filo elettrico ci scuotesse.
-Merda...- sussurrò con il fiato spezzato, come se avesse corso per chilometri. I suoi occhi erano persi, lontani e la sua voce rivelava il crollo di ogni razionalità.
-Non... voglio fermarmi.- Mi afferrò per i capelli, costringendomi a sollevare il viso. -Non dormire. Resta sveglia. Voglio farlo ancora.-
-F... fermo- implorai, la voce era spezzata dai singhiozzi. Non avevo più lacrime da versare.
-Più lento, ti prego...- ma lui non mi ascoltò. Con un ultimo, brutale affondo, si svuotò dentro di me, con il corpo teso e il respiro pesante.
-Cazzo- sibilò colpendomi con l'ultima spinta, prima di crollare esausto, sul mio corpo. Mi baciò la nuca con una forza quasi dolorosa, poi gettò a terra, distrattamente, l'ennesimo preservativo. Forse il terzo, forse il quarto. Finalmente si stese accanto a me, il petto che si alzava e abbassava per il respiro affannoso. Lo guardai voltarsi, dandomi le spalle. Dorian era ingordo, insaziabile... e maledettamente bastardo. Ma ero troppo stanca per provare rabbia.
Così chiusi gli occhi e sprofondai in un sonno senza sogni.

-Il mio fidanzato mi ha scritta- dico con un tono sarcastico, guardando il telefono illuminato tra le mani. Un messaggio breve, diretto, ma abbastanza da farmi venire voglia di spegnere tutto e sparire per qualche ora. -Bloccalo- risponde Vera alzando un sopracciglio mentre sorseggia un bicchiere d'acqua. È appoggiata al bancone della cucina, i lunghi capelli viola che cadono lisci sulle spalle.

La guardo e scuoto la testa, lasciando il telefono sul tavolo accanto a me. -Non gli rispondo- mormoro, più per convincere me stessa che per altro. Vera mi osserva con un mezzo sorriso, come se avesse già capito tutto, come sempre. Si passa un dito sul bordo del bicchiere, poi alza lo sguardo su di me con una scintilla divertita negli occhi. -Quindi questo Carlos...-

-Carlos...- ripeto, sospirando. -È carino, mi piace. È simpatico, educato, a modo...- il tono della mia voce si abbassa, come se stessi per confessare un segreto che non voglio neanche ammettere a me stessa. -Ma ho l'impressione che mi nasconda qualcosa.-

Lei esplode in una risata secca, inclinando la testa all'indietro. -Tutti gli uomini nascondono qualcosa.- Si tira i capelli blu dietro le spalle con un gesto teatrale, poi si sporge verso di me, fissandomi con un ghigno. -Aspettano che tu sia in trappola, che ti innamori perdutamente, e solo allora te lo sbattono in faccia. A quel punto non puoi più fare niente, perché sei cotta, senza speranza, e con il cervello nel cesso.- Rido, ma è una risata nervosa. Vera è sempre così diretta, e a volte la sua brutalità mi fa bene, anche se mi lascia un po' senza fiato. -Fortunatamente a me piacciono le donne- aggiunge, con un'aria di sfida che mi fa sorridere.

-Già- rispondo mordicchiandomi un'unghia. Un silenzio cade tra noi, ma non è scomodo. La cucina di Vera ha sempre un'atmosfera accogliente, con le candele accese sul tavolo e la musica soft che riempie appena il vuoto. Eppure, il mio stomaco si contorce di ansia. Domani ho la sfilata, e questo peso che mi porto addosso sembra più grande di quanto voglia ammettere.

Poi lei parla di nuovo, spezzando il momento. -E con Dorian?-

Il mio cuore si ferma per un secondo. Bella domanda. Mi passo una mano tra i capelli, evitando il suo sguardo. -Con Dorian, niente- rispondo troppo in fretta. -Lo odio, e spero che vada via il prima possibile.- Lei annuisce, ma la sua espressione tradisce che non mi crede. E nemmeno io ci credo. Le parole sembrano uscire da un'altra persona, non da me. Da quando se n'è andato, non ho fatto altro che sperare che tornasse. Ma non voglio ammetterlo, non a lei, non a me stessa. -Mh- fa Vera, guardandomi con il suo sguardo indagatore.
Abbasso lo sguardo sul bicchiere davanti a me, incapace di sostenerlo. Non riesco a smettere di pensare a lui. A quanto possa essere odioso, insopportabile, presuntuoso, egocentrico. A quanto mi faccia perdere il controllo. Ma anche a quanto sia bellissimo, insostituibile, e a come sia fottutamente mio, anche se non dovrebbe esserlo.

-Sì, certo che lo odi- dice Vera, con un tono sarcastico che fa il paio con il mio. -È per questo che ogni volta che lo nomino, sembri una bomba pronta a esplodere.- Non rispondo. Mi limito a incrociare le braccia sul tavolo, fissando il nulla. Vera sospira, poi allunga una mano per toccare il mio braccio. -Senti, qualunque cosa sia, smettila di fingere con te stessa. È un casino? Sì, ma almeno ammettilo. Fa meno male che continuare a dire stronzate. Fallo per te stessa.- Le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo, ma non lo lascio vedere. Mi limito a stringere i denti e annuire piano. -Ci proverò- dico piano, anche se non sono sicura che sia vero. Lei scuote la testa, con un mezzo sorriso. -Non provarci, fallo.-

Poi torna a sorseggiare la sua acqua, come se nulla fosse. E io resto lì, con il cuore che batte troppo forte e una strana sensazione di vuoto.

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