Capitolo 48 - La Torre.





*



Kenma's POV







Silenzio.

Un confortante silenzio mi avvolge.
Mi tiene stretto tra le sue mani affusolate e nodose, come una madre esausta che continua a cullarmi con pazienza e con amore.

In un manto fatto di un calore tiepido e rassicurante, tengo gli occhi chiusi godendomi il canto soave del silenzio.

Non c'è niente, davvero niente questa volta.

Ci sono io e non ci sono al contempo.

Percepisco il mio corpo a sprazzi, come se fossi stato smembrato ed adesso stessi fluttuando in mezzo all'universo.
A volte mi sento da una parte, altre volte nella direzione completamente opposta.

Mi lascio guidare dalla corrente che mi sospinge in mezzo all'oscurità che mi si ravvolge tutt'intorno.

Non mi spaventa questa sensazione di Niente che sto provando, non mi preoccupa, non mi scalfisce.

Prendo un respiro a pieni polmoni, godendo dell'opportunità di non respirare più l'aria sporca del mondo che mi sono lasciato alle spalle.

Lentamente con gli occhi chiusi, continuo il mio viaggio, sentendomi vuoto ma di un vuoto pieno, che non fa male.



E nuoto nel silenzio.

Mi nutro del silenzio.



Faccio parte di questo silenzio, adesso.

Ne sono figlio e genitore, progenitore e discendente.
E nessuna cosa ha più un peso, ormai.








C'era il silenzio.
C'era la calma in un orizzonte piatto senza increspature.

C'era la serenità di un mare d'ombra che mi trasportava verso una riva ancora lontana.

C'era il silenzio e poi qualcosa ha iniziato improvvisamente a vibrare, come un fastidioso ronzio che senti solo da un orecchio.

Hanno iniziato a risuonare passi frettolosi dati in punta di piedi, tutt'intorno, anche se dovunque provassi a volgere il capo, il suono sembrerebbe sempre arrivare dalla direzione opposta.

Improvvisamente sento un formicolio che risale dalle punte delle mani e dei piedi; o meglio dove dovrebbero essere le mie dita delle mani e dei piedi.
C'è qualcosa di strano in questa sensazione che mi fa ardere tutto il corpo.

C'è qualcosa che si muove, che riesco a percepire in mezzo al silenzio.


Quel qualcosa sono io.


Mi sto modellando, atomo dopo atomo, centimetro dopo centimetro per assumere nuovamente una forma tangibile.
Una forma che pesa portarsi dietro.

E questo peso mi grava addosso, nuovamente.

In un punto imprecisato, come se stessi viaggiando dentro un corridoio all'interno dello spazio, compare una luce flebile.

Sento le palpebre appiccicaticce, l'una incollata all'altra, così tanto che m'è difficile riuscire a dischiudere gli occhi per vedere da dove proviene questo fascio di luce.

Sento solo l'affanno del mio respiro spaventato, che trema di freddo e che brama nuovamente quel tepore.
Mi sento nudo, spogliato da ogni difesa, in una landa ghiacciata che mi fa avvizzire.


C'è qualcosa, qui intorno?


Quando riesco finalmente ad aprire gli occhi, dopo un intervallo di tempo che sembra essere infinito, ciò che metto a fuoco è qualcosa di insolito.

Le mie pupille tremano nel riflettere l'immagine di una torre, che più che una torre è un'infinita tromba delle scale.

S'estende a perdita d'occhio verso l'alto e l'unico puntino di luce che riesco a scorgere, aguzzando la vista, deve trovarsi davvero in cima.

È buio tutt'intorno a me, tant'è che riesco a distinguere il corrimano in ferro lavorato, soltanto nei piani più alti.

È un posto vuoto, tetro, freddo.
Di un freddo che proviene da dentro e che non puoi sciogliere in alcun modo.


Perché mi trovo qui?



Stavo così bene nel silenzio e nel nulla fino a poco fa, mi sentivo così... insignificante.

Così tanto da finalmente sentirmi completo.

Adesso, mentre osservo i dintorni di quest'androne dove mi trovo, inizio a sentire il peso di tutto me stesso.



Sento il peso delle ossa, che si saldano al terreno partendo dai miei talloni.
Il peso della spina dorsale, che mi costringe in una posizione eretta.
Il peso dei vasi sanguini, che rapidi si collegano tra di loro partendo dai capillari più piccoli fino ad arrivare alle arterie del cuore.
Il peso degli organi, che iniziano a riaffiorare dal sangue.

E piano, il peso degli arti, del busto, del collo che sorregge il capo, delle spalle, delle rotule e di tutte le articolazioni.

Il peso della coscienza, della ragione, dell'istinto e dell'anima.




Quanto pesa l'anima di un uomo?



Ci sono diverse teorie a riguardo, alcune più o meno fantasiose e filosofiche, su cui sono state costruite speculazioni di ogni genere.

Al momento della morte il corpo umano perde una quantità di liquido pari a 21 grammi, qualcuno una volta ha detto.

Io non ci ho mai creduto, ma sembrava estremamente romantico dare un peso tangibile e misurabile a qualcosa che non possiamo né vedere e né toccare, in alcun modo.


Adesso mi rendo conto che quelle erano solo cazzate senza nessuna base scientifica a sostenerle.


L'anima pesa a volte, poco e niente, mentre a volte troppo e incredibilmente.

L'anima e la coscienza ad un certo punto si fondono e così i tuoi peccati, le tue debolezze, i tuoi rimpianti, i tuoi rimorsi, i tuoi errori e le tue paure vanno a far muovere l'ago della bilancia.
Si cristallizza tutto dentro di te, di un vetro spesso che ti atterrisce e paralizza.

E pesa, quando te la senti addosso, l'anima.

Pesa esattamente per quanto massimo carico le tue spalle riescono a sopportare, non un poco di meno e non un poco di più.
Pesa di quel gravame che sei in grado di sopportare, che ti fa tremare le ginocchia ma non ti fa cadere, che ti fa sentire la fatica ma che non ti rende impossibile il cammino.

L'anima pesa di tutte quelle cose che ti lasci in sospeso sulla Terra.
Dei tuoi se e dei tuoi ma, delle tue esitazioni e dei tuoi rimandi.

L'anima pesa, in fin dei conti, di tutti quei pesi che per un motivo o per un altro non ti sei tolto di dosso in vita.

E te la porti dietro questa zavorra, fin dove ti dovrai spingere all'interno del Regno dell'Aldilà.



E mentre sono in piedi sotto quest'enorme tornata di scale, mi rendo conto che la mia anima pesa più di quel che m'aspettassi.

Mi schiaccia a terra, il tormento che mi stringe il petto, che mi brucia all'interno e che mi ricorda che quei gradini io debba salirli per passare oltre, per forza.

Se me l'avessero detto prima di averlo visto non ci avrei mai creduto.



La luce c'è infondo al tunnel, ma ci sono anche le scale ed anche tutti quegli affanni che credevi avresti smesso di trascinarti alle caviglie.


C'è tutto in equa misura, per quel che sei in grado di sopportare.


E questa volta non ci sono scappatoie, non c'è modo di sottrarsi o di volgere lo sguardo altrove.
Adesso non c'è modo d'ingannare la bilancia.

Inizio a tremare di paura, sentendomi la testa così pesante che penso stia per esplodere da un momento all'altro.
Il gelo che sento continua ad avvolgermi, rendendomi impossibile anche il mettermi in una posizione più sicura, che possa aiutarmi a riscaldare le mie ossa.


E soffro.



Soffro di un dolore che non riesco ad identificare ma che mi mozza il respiro.
Soffro per tutto il peso che ho sulla mia anima, che mi scorre davanti agli occhi come una vecchia pellicola cinematografica.







Fa male.












Fa troppo male.













Fatelo smettere.












Fatemi smettere.












Ad un certo punto, in mezzo all'oscurità che permea il luogo, miei piedi si staccano da terra da soli, senza che io faccia il minimo sforzo.

Sento la pavimentazione fredda e polverosa mancarmi all'improvviso da sotto le punte dei piedi, e con un sussulto, mi ritrovo ad inarcare la schiena all'indietro nel mentre che mi sollevo.

La testa ricade pesante sul collo, gli arti perdono forza e tutto mi sembra gravarmi addosso per una gravità molto più spietata.


Mi ferisce il senso di colpa che ho dentro.
Mi strangola il senso d'inadeguatezza.
Mi offusca la vista tutto questo nero vorticare intorno a me.
Mi lacerano gli errori che ho commesso.
Mi dolgono tutti i miei peccati.


Tutto di me freme di paura.







Fa male.















Fa ancora male.




















Dove sono?




Come sono finito qui?








Quanto pesa la mia anima, per farmi contorcere in questo modo?

Mentre serro gli occhi, per il senso di vertigine che provo nel sentire il mio corpo che fluttua, qualcosa di impalpabile mi sfiora una caviglia.

È come il passaggio di una nuvola, come un soffio tiepido per raffreddare la superfice di una calda tazza di cioccolato.
È un solletico che dura solo qualche secondo.

Penso che sia stata solo una sensazione dettata dalla mia suggestione, quando poi qualcosa mi sfiora nuovamente sulle braccia, sul viso, sulle gambe e sui piedi.


Quando dischiudo leggermente gli occhi per vedere di cosa si tratti, lo spettacolo che mi si para in alto è quello di una delicata nevicata.

Dal punto più alto della tromba delle scale che mi sto ritrovando a salire, piccole nuvole volteggiano in aria, proprio come fiocchi di neve.

Resto ipnotizzato nell'osservarli, finché una non si avvicina abbastanza a poter essere ammirata con attenzione.


Non è neve.
Non sono nuvole.
Non è polvere.


Sono delle piume, leggere e candide, che volteggiano in questo tunnel che si estende verso l'alto.

Il mio corpo inizia a farsi più leggero man mano che salgo e man mano che la pioggia di piume s'intensifica.

E restano a terra, annegati sul fondo in uno stagno putrido, tutti i miei tormenti, i miei rimpianti, i dolori e gli affanni.
Tutto sgocciola via, come sospinto dal vento, resta indietro e mi lascia sollevarmi con tranquillità.

I miei polmoni si aprono, il sangue fluisce, i muscoli si allungano, il corpo si rilassa.

Il peso dell'anima lentamente si dissipa, come fumo accumulato dentro allo sterno.
Si slaccia dalla cintura che porto in vita, facendomi sentire via via che si sale, sempre più leggero.



Il panorama cambia, dal buio persistente e pesto che oscurava la salita, si rischiara di una luce tenue e dalle tinte pastello, proprio come se fosse il sorgere di un nuovo giorno che prevale sulla notte.

Le mura risplendono dei bagliori dei raggi che riescono a filtrare dall'alto.
Riescono ad intravedersi i gradini che s'estendono concentrici verso la sommità di questa torre.
Il mio corpo teso si rilassa, come bagnato da una tiepida pioggia di sole primaverile.

Le piume, continuano la loro discesa, come una cascata leggiadra.

Le osservo scendere, volteggiare e compiere piroette in aria.


Mi chiedo cosa possano essere e da dove vengano.
Mi domando quale sia il loro scopo, nel volteggiare sotto i raggi di questa luce.


Alla fine, mi sento anch'io come se fossi una piuma, proprio come loro.
Fluttuo in aria, lasciando il peso della mia anima a terra, guardo verso l'alto e mi sento confortato.


Mi sento bene.
Mi sento libero.


Non avevo mai provato una tale sensazione di liberazione, di privazione da tutti i tormenti.
Non era mai stata così leggera la mia anima, così immacolata e pura.

Socchiudo gli occhi, mentre il panorama cambia ancora una volta: si rischiara di una nuova luce più intensa, più abbagliante.

Tutt'intorno si tinge di un grigio chiaro, quasi perlaceo e opalescente, che rende ancora più difficile vedere le piume che si mescolano all'ambiente circostante.

Il calore della luce mi accarezza la pelle e mi fa sorridere.
Di poco, con solo gli angoli della bocca, ma sorrido.

Sorrido perché mi sento improvvisamente fortunato di essere dove sono.
Sorrido perché le piume continuano a solleticarmi la pelle e perché dei timidi raggi di una fonte luminosa che non riesco a vedere, mi baciano la cute.



Queste piume, man mano che scendono, sembrano luccicare quando colpite dalla luce.

Le osservo un poco, dopo essermi abituato alla nuova luminosità della mia salita, e mi sembra di scorgervi qualcosa che scorre dentro al rachide*.

Strizzo gli occhi per cercare di cogliere qualche dettaglio in più, fino a quando non ne discende una proprio sul mio petto, che mi solletica la punta del naso.




Sono...




Sono scene di vita vissuta, che, come una linfa scorrono dentro queste piume.

Immagini, singoli momenti, conversazioni, paesaggi, interi scenari defluiscono all'interno di oggetti tanto delicati.




Mi sembra di riconoscere Kuroo mentre mi trascina per un braccio, con la palla da pallavolo in mano.

In un altro mi pare di vedere il primo giorno di liceo, io nella mia uniforme un po' troppo larga e con i capelli ancora del mio colore naturale.

E poi il giorno in cui decisi di tingerli.

Quella volta in cui Zelda scappò di casa, infilandosi rapidamente in uno spazietto del portone di casa rimasto socchiuso.

La prima vittoria della squadra di pallavolo.

Kuroo che cucina qualcosa e brucia la padella appena comprata.

Noi due con i piedi scalzi, la sabbia tra le dita ed il rumore del mare nelle orecchie.

I capelli di Kuroo che si scompigliano per il forte vento.

Il giorno in cui si è allagato il bagno e Zelda si è arrampicata fin sopra la libreria per non bagnarsi.

Quando Kuroo decise di mangiare sul pianerottolo, in quella giornata calda d'estate, fingendo che fosse il nostro terrazzo.

Le luci che aveva addobbato per Natale per tutta casa.

La prima volta che incontrai Shoyo.

Il ritiro con la Fukurodani e la Karasuno.

Il sapore della torta di mele che preparava la mamma di Kuroo.

Il tessuto soffice dei kimono della nonna di Kuroo.

Le nottate passate ad osservare le stelle ad Inagi.

La voce di Kuroo poco prima di addormentarsi, che fa la lista della spesa mentalmente, per ricordare cosa comprare l'indomani.




Sono frammenti di ricordi, di un vissuto che adesso sembra così lontano alle mie spalle.
Sono come dei lampi di flashback, che mi riportano alla memoria qualcosa che ho già visto e che ho già fatto.

Qualcosa di piacevole, di buffo, di esagerato, di indimenticabile.

E più si sale più i ricordi impressi dentro le piume sono migliori.
Più si sale e più il senso di liberà che provo, continua ad espandersi dentro di me.

Si sollevano dalle mie spalle tutti i miei problemi e pensieri, ancora ed ancora, così velocemente che mi sembra di non averli mai avuti in verità.




Il panorama è così candido adesso, di un bianco puro quasi stessi attraversando una nuvola, e m'infonde una calda serenità.
Anche guardare in basso, al pozzo oscuro che si trova sotto di me, adesso non mi mette nessun tipo di preoccupazione o angoscia.


Mi sento bene.


Come non mi sono mai sentito e come, molto probabilmente, non mi sentirò mai più.

Questo è molto meglio del silenzio che c'era prima.
Questo è tutto ciò che fa bene ad un'anima affaticata, che ha salito milioni di scale portandosi dietro un peso indicibile.

Questo è come una rinfrescata in una giornata afosa.

È come il calore di un abbraccio che attendi da tutto il giorno, e che sai che puoi trovare solo in casa.





Questo è come...















Questo è com'era lui... quando era con me.









Questo è com'ero io... quando ero con lui.















Sono costretto, ad un certo punto, a chiudere gli occhi tanto che il bianco della luce verso la quale sono attirato, m'abbaglia e mi ferisce lo sguardo.

È troppo intensa seppur non stia bruciando la pelle, che m'è impossibile continuare a guardare verso l'alto.



Forse sono arrivato in cima.
Forse è questo il capolinea della mia salita: un fascio di luce troppo intenso da poter essere guardato direttamente a contrasto di un fondo troppo buio per poter riconoscerne le forme al suo interno.

È qui ch'ero diretto, in mezzo al Niente probabilmente o, qualora ci sia qualcosa, in mezzo al Tutto che è così luminoso che i miei occhi non riescono neanche a comprenderlo.
Che la mia mente, non riesce a comprenderlo.



Se avessi le parole per poterlo descrivere, farei una fatica tremenda per scegliere quelle che meglio dipingono quanto c'è.

Se avessi i colori necessari, neanche mescolandoli tutti, non riuscirei ad avvicinarmi alle tinte che colorano quello che ho intorno.

Se avessi un sentimento che calzasse a pennello, crederei che l'unico che s'avvicini un poco sia un'emozione ancora sconosciuta agli uomini.


Se potessi mostrartelo, Kuro...
Se solo potessi sentirti come sto facendo io in questo momento...







Se solo io potessi...









Se solo tu fossi qui...









Un brivido leggero mi fa accapponare la pelle.

È tutto così lattescente intorno a me che forse la fine della corsa, è proprio il Paradiso.

O forse è una Stella, lontana in mezzo all'universo.
O forse è il centro di una galassia ancora sconosciuta.

O ancora magari, alla fine di tutto, ci sono tutte e tre le cose.






*rachide: struttura centrale di una piuma, dove ai due lati sono attaccati i vessilli (cioè le barbe morbide)

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