Capitolo 47 - A riveder le Stelle.
⚠️ TW: Capitolo dal forte contenuto emotivo, con scene forti estremamente grafiche ed esplicite.
Se sensibili ne sconsiglio la lettura. ⚠️
*
Kenma's POV
Sbatto nuovamente le palpebre, per abituarmi al buio persistente.
L'odore di chiuso e di polvere s'insinua dentro al mio naso, facendomi prudere tutto il corpo.
C'è puzza di un passato in decomposizione, qui dentro.
C'è puzza di morte.
Socchiudo gli occhi per cercare di mettere a fuoco le ombre della casa, che a stento riesco a riconoscere.
La mia casa di Meguru non è mai stata così.
La casa di Meguru era sempre piena di luci, di voci, di persone... di Kuroo.
Questo luogo è spoglio, vacante e sporco, come il filtro della mia anima, che ha sempre respinto questi ricordi.
Ma era inevitabile che, una volta messo piede qui dentro, tutto sarebbe tornato a tormentarmi.
Che tutto si facesse vivo alla mia memoria, ancora una volta.
<< Sono a casa.>> dico a bassa voce, ai fantasmi del mio passato che sono rimasti in questo luogo in attesa del mio ritorno.
Lo dico al riflesso distorto del mio viso dentro lo specchio dell'ingresso.
Lo dico a tutto quello che vedo che però non c'è, alle illusioni che hanno demolito la mia realtà.
Lo dico ai miei demoni, che hanno imparato a contare assieme a me e che sanno distinguere i sogni dagli incubi.
Lo dico a me stesso, per ricordarmi che nonostante io sia fuggito lontano, è qui che appartengo.
È qui che sono nato, in questo luogo di luci e ombre ed è inevitabile che qui, io dovrò finire.
Muovo qualche passo incerto nel corridoio di casa.
Le porte sono tutte chiuse, mobili più grandi sono tutti coperti da lenzuola bianche, che ne ammorbidiscono i profili ed i tratti.
È tutto rimasto come il giorno in cui me ne sono andato, tutto è rimasto immobile in quel frangente di tempo, come congelato, fino ad oggi.
È come se tutto si fosse preservato al solo scopo di vedermi tornare.
È come se la casa stessa, stesse aspettando il mio ritorno.
Passo distrattamente da una stanza all'altra senza soffermarmi su niente in particolare.
Non sto cercando nulla di specifico in giro, non sto neanche cercando di rievocare alcun ricordo, proprio perché i miei fardelli li sento camminare con passi leggeri alle mie spalle, senza neanche il bisogno di voltarmi a controllare.
Quel che sto facendo, è semplicemente concedermi un minuto di tempo solo per me.
In cui ci sono solo io, in cui sento solo la mia voce ed il rumore dei miei passi.
In cui sono solo io, senza incontrare i loro occhi artefatti.
In cui sono solo io, senza sentire le loro voci che mi suggeriscono di salire al piano superiore.
Mi riconosco il diritto di poter vagare in questa casa, toccandone i legni scricchiolanti e impolverati, ricordando gli spifferi sulla pelle, osservando la luce che filtra dalle chiusure di cartone delle finestre e che fa ribollire un milione di minuscoli corpuscoli sospesi nell'aria.
Respiro l'aria polverosa della casa, sentendo un'improvvisa nostalgia.
E quindi dico addio a tutto ciò.
A tutti i ricordi, a tutto quello ch'è stato, a tutto quello che sarebbe potuto ma che non è mai accaduto.
Li saluto, caldamente, quei fantasmi che sono nati in questa casa.
Li congedo, i miei incubi e le mie paure.
Saluto tutte le mie prime ed ultime volte, in questo posto.
Le mie lacrime piante in silenzio e quelle che tutti potevano sentire.
I desideri che ho espresso a bassa voce e le imprecazioni di disperazione che ho urlato a squarciagola.
Il giorno in cui un bambino, che si era casualmente trasferito nella casa vicina, decise di aspettare con me su quella panchina all'asilo.
I giorni seguenti in cui decise di entrare nella mia vita, in punta di piedi.
Le nottate spese a giocare ai videogame, le giornate passate ad allenarci con la palla da pallavolo.
I nostri campeggi fuori porta, sulla collinetta dietro casa.
I nostri sogni da bambini.
Le nostre promesse.
Tutti quei piccoli tasselli del mosaico che abbiamo costruito assieme.
Rendo un ultimo omaggio al vissuto tra queste mura.
Ch'è ora di lasciarlo andare per sempre.
Di liberarlo e di liberarmi, di farlo scomparire e di farmi dissolvere.
Mi ritrovo davanti l'arco di legno che segna l'ingresso della cucina; o meglio, di quella che un tempo lo era.
Il legno è segnato dall'usura del tempo ed è impolverato da anni passati senza il suo consenso, però, su quel legno sono ancora visibili i segni delle altezze che io e Kuroo prendevamo da piccoli.
Sono sbiaditi, sono appena accennati, eppure ci sono ancora.
Una tacca di fianco all'altra.
Kuroo vicino a me.
Io di fianco Kuroo.
Non posso fare a meno di lasciare che una nuova ondata di pianto m'offuschi la vista.
<< Ti amo Kuroo Tetsurō... da quando eri alto così.>> sussurro, posando un polpastrello sulla tacca più in basso, quella che segna l'inizio di tutto.
Quella in cui eravamo quasi uguali.
<< E ti amo... anche se non sono mai riuscito a dirtelo... anche quando sei diventato alto così.>>
Mi sollevo sulle punte, facendo appello a tutte le mie forze per non cedere, tracciando ad occhio e croce una linea sulla polvere, per indicare l'attuale altezza di Kuroo.
Chissà se un domani sarai ancora più alto, Kuroo.
Chissà se un domani ti accorcerai sotto il passare del tempo, Kuroo.
Chissà come sarai... un domani, Kuroo.
"Sei davvero patetico."
Ah, eccole di nuovo, quelle voci che popolano la mia testa.
Immagino che il tempo per me stesso, sia davvero finito.
"Che razza di persona sei, se dici di amare qualcuno che hai abbandonato e lasciato da solo?"
Ho dovuto, io...
Porto le mani contro le mie orecchie, nel momento in cui tutto intorno a me scoppia in una fragorosa risata.
Le loro risate, di quelle voci che non mi lasciano mai un attimo in silenzio, rimbombano nelle mie orecchie, facendomi perdere la ragione.
Non resisto più.
Non riesco più a combattere contro tutto ciò.
Vorrei che le voci nella mia testa tacessero.
Vorrei che non fossero più in grado di parlare.
E se non dovessi riuscire a spengere loro, vorrei non essere più in grado di sentirle.
<< E allora vieni con me, Gattino.>>
Alzo lo sguardo perplesso.
Kuroo, quello adulto, quello da cui sono scappato dall'appartamento di Meguru, è adesso davanti a me.
Mi tende una mano, negli stessi abiti con cui l'ho visto sedersi in cucina.
Mi tende una mano, senza sorridere, anzi giurerei che la sua espressione sia anche abbastanza cupa.
Quand'è arrivato?
Ha preso il treno con me e non me ne sono accorto?
Ha preso quello successivo?
<< Coraggio...> m'incalza, sforzandosi in un sorriso.
Il suo volto è spento, come offuscato da una nube che non riesce a diradarsi, che non mi permette di riconoscerlo.
Per tanto esito ancora un po', continuando a guardarlo con il cuore in gola.
<< Quando... quando sei arrivato? >> gli dico piano, continuando a sostenere il suo sguardo.
<< Proprio ora.>>
Pausa.
Ha senso?
Quel che sta dicendo ha senso?
<< Ma...>>
Kuroo mi fa segno di restare in silenzio, portandosi un dito affusolato alle labbra, dopodiché torna a tenermi la mano.
Come ipnotizzato, l'afferro, sentendola stringersi attorno le mie dita intorpidite dal freddo.
<< Avevamo detto che saremmo rimasti insieme, ricordi?>>
Annuisco, osservando le spalle della sua silhouette piazzata, farsi largo nuovamente nel corridoio, fino alle scale.
È già ora?
È già arrivato il tempo di salire?
Un fremito di paura mi blocca, lasciandomi inchiodato davanti al primo gradino.
Kuroo lascia andare la mia mano e si volta a guardarmi interrogativo.
<< Io... forse è meglio tornare indietro... a casa...>> balbetto, abbassando lo sguardo.
Delicatamente Kuroo mi accarezza i capelli, mettendone qualche ciocca dietro l'orecchio.
<< È questa la nostra casa Ken. Non c'è altro posto dove dovremmo essere.>> sussurra.
Sotto al suo tocco delicato non riesco a non chiudere gli occhi, lasciandomi trasportare per un momento, dalla nostalgia delle emozioni.
Il tocco leggero delle sue mani è ciò che m'era più mancato al mondo.
Il modo che ha di riassicurarmi con un solo sfiorarmi.
Kuroo, quello vero, mi manca da mozzarmi il fiato.
Mi manca da far male.
Mi manca così tanto che adesso, a ripensare al motivo che ci ha portato a litigare... il mio sentirmi ossessivamente geloso di Rika ed il suo di Shoyo, mi sembra la cosa più insulsa e miserabile del mondo.
Nessuno Shoyo, con la sua travolgente sincerità e trasparenza potrebbe essere mai paragonabile a Kuroo.
Nessuno in questo mondo è in grado di prendere il suo posto.
<< Vieni con me.>> dice piano, cingendomi le spalle con un braccio.
<< Kuroo...>>
<< Si?>>
Salgo il primo gradino della scalinata di legno, che scricchiola di tarli e usura sotto al mio peso, con estrema lentezza.
Non mi volto per osservare Kuroo, la cui presenza mi fa correre un brivido di gelo lungo la schiena.
Deglutisco, prima di continuare.
<< Non sei davvero qui, non è vero?>>
Lo sento sospirare, più che altro dentro la mia testa che alle mie spalle.
<< Non ha importanza, Gattino.>>
Alla fine, annuisco, mordendomi il labbro inferiore e riprendendo la mia lenta marcia al piano di sopra.
È vero, non ha mai avuto importanza.
Gli ho sempre creduto ciecamente, mi sono sempre fidato di lui così come ho sempre riposto il cuore nelle parole illusorie di mia madre.
Sono senza speranza, quando si tratta di loro due: alla fine, il peso di questo legame che non riesco a recidere con entrambi, continua a farmi tornare da loro.
Se adesso Kuroo, che sia vero o dentro la mia testa, mi chiede di salire le scale, io le salgo.
Salgo, passo dopo passo, senza voltarmi indietro e cedere alla paura di vedere solo un corridoio buio, estendersi sotto di me.
Salgo, con la consapevolezza che alla fine in questa casa non c'è nessun altro oltre che me.
Non sono più esitante, seppur io senta il sangue congelarsi nelle mie vene, non sono più preoccupato o agiato.
Sono stranamente tranquillo.
Tranquillo e consapevole.
Ed un ulteriore peso si slaccia dal mio cuore nel momento in cui spingo la porta della mia camera da letto, o meglio, quella che un tempo era la mia camera da letto.
All'ultimo piano, con il tetto spiovente ed il balcone, da dove si poteva vedere la casa di Kuroo.
Entro nell'oscurità che la stanza mi ha riservato, e subito mi rendo conto che sono tutti riuniti qui dentro:
Kuroo, il bambino in calzoncini, sta seduto dove una volta stendevo il mio futon.
Mia madre è in piedi vicino la parete dove sta nascosto, sotto un drappeggio ingiallito, il grande armadio.
Kuroo, quello adulto sta guardando dalla finestra, ma si volta ad incontrare i miei occhi non appena varco la soglia.
È tutto come allora, come lo avevo lasciato: la poltrona, il balcone gli scatoloni ammassati, le mura spoglie, il mio vecchio comodino.
Un'ondata di nostalgia mi fa commuovere.
Continuo a dare un'occhiata in giro, sotto lo sguardo attento di tutti i presenti.
Le travi a vista della mia camera da letto sono piene di ragnatele.
Ogni cosa qui puzza di vecchio, ogni angolo è impolverato ed addormentato; solo ora che ho mosso un passo all'interno, nel silenzio assordante che mi circonda, mi rendo conto che tutto qui dentro è rimasto sospeso ad un preciso istante di tempo.
E non so ben dire se sia il giorno della mia partenza o il giorno del mio ritorno.
Quante volte sono stato in questa camera?
Quante volte mi sono rintanato proprio dentro quell'armadio, che adesso giace sotto i profili morbidi di un lenzuolo che puzza di muffa?
Quante volte ho cercato di sfuggire alla realtà, costruendomene una migliore, all'interno di queste mura?
È ironico come adesso, io sia tornato a nascondermi qui dentro.
Quando avevo paura io venivo qui.
Quando soffrivo, venivo qui.
Ed anche oggi sono venuto.
<< Kenma! Ti ricordi quanti record abbiamo battuto qui dentro?>> dice Kuroo, quello piccolo, sgambettando contro l'aria.
I ricordi di me e Kuroo bambino, che giocavamo ai videogame in questa stanza m'investono.
Certo che me lo ricordo.
È tutto gelosamente conservato dentro di me, ogni singolo giorno, ogni singolo gioco.
<< Kenma... te lo ricordi quando ti nascondevi dentro l'armadio, tremante di paura?>> dice mia madre.
Sposto il mio sguardo su di lei per un attimo, prima di abbassarlo.
<< Me lo ricordo.>> dico piano.
Anche questi momenti, pieni di sofferenza e solitudine sono marchiati indelebilmente dentro la mia memoria.
Non potrei dimenticarli neanche se volessi.
Deglutisco, muovendo qualche passo fino al centro della camera, dove poi mi perdo ad osservare le vecchie travi di legno sul soffitto.
Una mano si posa sulla mia spalla, facendomi sobbalzare.
<< Gattino, hai paura?>> sussurra al mio orecchio Kuroo, quello cresciuto.
Mi stringo nelle spalle, trattenendo un tremore.
Sto morendo di paura.
<< Si... ne ho davvero così tanta, Kuroo...>> singhiozzo, lasciando che il mio respiro si faccia più irregolare ogni secondo che passa.
Kuroo sorride, di un ennesimo sorriso vuoto e polveroso, proprio come questa stanza.
<< Non preoccuparti, ci sono io con te. >>
Sempre, ci sarai per sempre Kuroo.
Lo so io, che sto iniziando lentamente a lasciarmi guidare dai miei occhi alla ricerca di qualcosa di specifico.
Lo sai tu, che ti fai da parte, per permettermi di frugare in quegli scatoloni ammassati sullo spazio sulla destra.
Lo sappiamo entrambi, per questo restiamo in silenzio, mentre continuo a cercare uno tra tutti quegli imballaggi fatti tempo addietro.
Ne cerco uno specifico, che non ho il coraggio di nominare, ma che dentro di me riesco a vedere chiaramente.
Il ricordo è nitido dentro la mia testa, del giorno in cui impacchettammo tutta questa roba.
C'era Kuroo insieme a me, io gli dicevo cosa mettere e dove e lui obbediva, scrivendo il nome sugli scatoloni per riuscire a distinguerli.
Non avevo molta roba da portare a Meguru, o meglio, non c'era molto che m'interessasse portare da questa casa fin laggiù, per tanto la maggior parte delle cose veniva inscatolata con ordine.
Le uniche due cose che aveva senso portarmi dietro erano già pronte: Zelda e Kuroo.
Non c'era altro che mi servisse, per riempire quell'appartamento.
*FLASHBACK*
<< Kenma, dici che ha senso portarci la tenda?>> mi chiede Kuroo, mentre sta affaccendando sopra uno scatolone alto quanto lui.
Sollevo la testa dalla mia console, interrompendo per l'ennesima volta la mia nuova partita su Pokémon Verde.
<< Nah.>>
<< Perché?>> chiede ancora lui, costringendomi ad alzare gli occhi dallo schermo ancora una volta.
<< Perché non potremmo campeggiare in mezzo al cemento. A Meguru non c'è il verde che abbiamo qui.>> taglio corto.
Kuroo si fa pensieroso per un momento, portandosi una mano sotto al mento ed il pennarello nero dietro l'orecchio.
L'espressione che fa quando è pensieroso è davvero buffa, poiché rende il suo viso paffuto accigliato in un modo innaturale.
Le sue sopracciglia scure sono troppo sottili per corrugarsi decentemente, così come il suo naso, è troppo piccolo ed all'insù per conferirgli un'aria seriosa.
<< Probabilmente hai ragione, però...>> dice, lasciando un'occhiata delusa allo scatolo delle nostre cose per il campeggio.
<< Non ci servirà, mettilo via.>> rispondo con fare seccato.
Dover lasciare la tenda, così come i nostri sacchi a pelo e tutto quello che ci permetteva di ritagliarci un angolo di cielo tutto per noi, mi fa salire un magone alla gola.
Mi fa venire voglia di piangere e di piantare i picchetti della tenda dentro il cemento, piuttosto che doverla lasciare.
Non vorrei mai separarmene, non vorrei doverci rinunciare, ma la verità è che a Meguru non c'è spazio per questo tipo di sogni.
A Meguru non si vede il cielo.
A Meguru, non ci sono stelle.
Rassegnato, noto come Kuroo chiuda con lo scotch anche questo scatolone.
<< Scrivo qui sopra: "Se dovessi ripensarci e avessi voglia di Stelle." >> conclude infine, abbastanza soddisfatto di sé stesso.
Alzo le spalle per tutta risposta, trattenendo una tristezza dolorosa dentro agli occhi e dentro al cuore.
*FINE FLASHBACK*
"Se dovessi ripensarci e avessi voglia di Stelle."
Eccolo, lo scatolo che riponemmo quel giorno.
È ancora nel posto in cui ricordavo Kuroo lo avesse sistemato.
La grafia tremolante di un bambino che riponeva le sue cose preferite dentro una scatola, è ancora visibile, seppur sia leggermente sbiadita.
Ricordo che quel giorno fu come mettere i propri sogni dentro ad un cassetto troppo stretto.
Ricordo come si smembrarono, mentre vennero ripiegati su sé stessi e chiusi dentro la tenda che mettevamo fuori.
Ricordo quanto dolore mi fece provare lo sguardo deluso di Kuroo, nel dover rinunciare alla nostra tenda.
Sospiro sollevando lo scatolo, facendo non pochi sforzi, mentre il resto della roba impilata al di sopra ricade con un sonoro frastuono.
Nella confusione mi ritrovo anche io sul pavimento.
Resto con il fiato corto a terra, osservando come le travi sopra la mia testa inizino a vorticare l'una con l'altra.
Mi sento confuso e disorientato, probabilmente per il contraccolpo con il pavimento o semplicemente perché, mi rendo conto di essere da solo dentro la stanza.
Respiro piano, sbattendo gli occhi e non riuscendo più a distinguere il soffitto della stanza: a volte mi sembra di vedere quelle travi polverose, altre volte mi sembra di vedere una stanza bianca con delle luci a led sul soffitto.
A volte sento un vociare di persone che non conosco, parlare di qualcosa che non riesco a distinguere, altre volte mi sembra solo di venir inghiottito dal silenzio.
Chiudo gli occhi, portandomi una mano alla testa.
Quando li riapro vedo Kuroo, quello adulto, che mi tende nuovamente una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi.
Quella sensazione sparisce, il soffitto si ferma e tornano le travi impolverate.
E per quanto io sappia che tutto questo non sia reale, mi conforta vederlo, in qualche modo.
Mi fa sentire rassicurato, vedere qualcosa con chiarezza, anche se quel qualcosa non esiste veramente.
Che poi è proprio questo il problema: il sentirsi al riparo dentro ad un'illusione.
È questo che m'ha tenuto prigioniero fino ad oggi, il cullarmi ed il credere a false speranze, di vivere una vita che non m'appartiene.
Afferro quella mano e torno ad osservare i visi di tutti dentro la penombra.
Seppur sembrino dei fantasmi venuti a rivendicare la mia anima dall'oltretomba, sono grato che siano tornati per me, in un momento del genere.
Annuiscono tutti e tre all'unisono, incitandomi ad andare avanti.
A questo punto, in effetti, non c'è altro che io possa fare, se non andare avanti.
All'interno dello scatolo è ancora tutto sistemato come Kuroo aveva fatto.
Tutto è perfettamente impilato: la nostra tenda, i nostri sacchi a pelo, le nostre corde, i nostri martelletti e picchetti.
Le setole ruvide delle corde, annodate tra di loro, mi graffiano le mani mentre che le tiro fuori.
Sono in alto, sopra tutto il resto della roba incastrata al di sotto.
Ne prendo una tra le mani, delicatamente come se fosse un bambino.
È usurata dal tempo, leggermente ingiallita ma a giudicare dalle fibre tese, mi sembra che sia ancora abbastanza forte.
Alla fine, a che cosa ci servisse una corda, neanche lo ricordo più, ma sta di fatto che era riposta dentro lo scatolo, con la stessa cura di tutto il resto.
Carezzo un lembo di tessuto della nostra tenda, che spunta al di sotto di altra roba.
È un saluto, anche per lei.
Il saluto che non sono riuscito a darle al tempo, ma che meritava assolutamente.
Mi ritrovo a mettermi la corda in spalla, tirando poi qualche scatola al centro della stanza.
Ne sollevo qualcuna e ne sposto qualcun'altra, fino a trovarmi davanti ad una torre di vecchi scatoloni e comodini.
Tiro in avanti la poltrona, per poter salire più facilmente sulla traballante struttura che ho costruito.
Una volta in cima, la sensazione di vertigine mi costringe ad accovacciarmi nuovamente, stringendo forte la corda al petto e chiudendo gli occhi.
Ah... che incredibile codardo che sono.
<< Kenma, se ti sollevi sulle punte riesci a toccare le travi.>> sussurra la voce di mia madre.
Apro occhi, che hanno preso a lacrimare da soli.
<< Mamma... ho paura di cadere...>> tremo, lasciando che le parole mi graffino la lingua, mentre escono fuori.
<< Tranquillo Gattino, ci sono io... giusto dietro di te.>>
Mi volto di scatto, osservando Kuroo, quello adulto, con le braccia aperte che prova a sorridermi.
Annuisco nella sua direzione, sollevandomi tremante ancora una volta sulle gambe.
Proprio come avevo detto la mamma, alzandomi sulle punte riesco a toccare con le mani la trave di legno.
La polvere su di essa mi fa lacrimare gli occhi e tossire un po', ma alla fine mi da un punto d'appoggio contro l'oscillazione delle scatole al di sotto.
<< Te lo ricordi come si fa?>> la voce di Kuroo, quello piccolo, mi arriva alle orecchie come un debole sussurro.
Lui è l'unico che resta in disparte, ancora seduto nello stesso punto in cui l'ho visto la prima volta.
<< Certo che me lo ricordo.>> rispondo, abbassando lo sguardo.
È solo un bambino...
È solo un bambino e non dovrebbe trovarsi qui... non mentre...
Osservo le mie mani che scorrono da sole sulla corda, senza ch'io ci metta alcun tipo di impegno, riescono ad annodarla come solo loro ricordano.
E se lo ricordano loro, per me non c'è problema.
Deglutisco e lascio un ultimo sguardo alla stanza, osservando con attenzione anche tutti i presenti.
Mia madre, quella che non c'è mai stata.
Quella che non si è mai presa cura di me e che non mi ha mai parlato con l'amore di cui necessitavo.
Kuroo, quello piccolo, quello con cui ho condiviso gli anni più difficili dentro le mura di questa casa.
Quello che si è preso cura di me, che mi ha aiutato a riemergere dal fango e che mi ha curato le ferite che avevo, anche quando non sapeva come fare.
Kuroo, quello adulto.
Quello che è venuto con me fino a Meguru, quello di cui con il tempo mi sono innamorato.
Quello che mi ha tradito e poi mi ha ripreso, quello che mi ha ferito e poi mi ha guarito.
Quello a cui ho promesso di restare per sempre con lui, quello a cui ho negato un bacio che poi gli ho successivamente concesso.
Quello con cui ho fatto l'amore per la prima volta, nonostante non lo volessi, quello con cui avrei voluto farlo, se solo fosse stato quello vero.
Sono tutti qui riuniti assieme.
Alcuni hanno atteso il mio ritorno per anni, alcuni sono stati lontani da me per non farsi raggiungere, altri mi hanno seguito fin qui.
In qualche modo adesso sono tutti tornati.
Io sono tornato.
<< Sono tornato a casa.>> sussurro, sentendomele guance appiccicaticce per le lacrime.
Le mani sussultano, così come tutto il resto del mio corpo.
Solo un ultimo passo.
Solo un primo ed ultimo passo.
Un po' di coraggio in più.
Un piccolo sforzo e null'altro.
Deglutisco, spingendo il pomo d'Adamo contro la tramatura ruvida della corda, che mi cinge la pelle delicata del collo.
Brucia, come se fosse incandescente e l'odore di vecchio m'insinua fin dentro al cervello.
Che cosa sto facendo?
Che cosa devo fare, arrivato a questo punto?
La voce della mamma e di Kuroo mi sussurrano ancora una volta, per quella che probabilmente sarà l'ultima.
Mi ricordano il perché io sia venuto fin qui, di gran fretta.
Mi ricordano che cosa io sia venuto a fare, nello sconforto più totale, in preda al delirio.
"E allora ucciditi."
Mi spingo i avanti, lasciando che la scatola in bilico sotto le punte dei miei piedi inizi a vacillare.
Ogni cosa ha avuto origine qui.
Le radici di ogni albero germogliato nel tempo, di ogni pianta, risiedono qui.
È giusto che sia qui, che tutto venga reciso.
È giusto che il cerchio si chiuda dove si è aperto.
L'inizio e la fine in fin dei conti, coincidono e sempre coincideranno.
Sbatto le palpebre, nuovamente confuso.
Mi guardo intorno e mi agito nel non vedere più nessuno.
Non c'è la mamma, non c'è nessun Kuroo.
Sono da solo, con una corda attorno al collo immerso in un'opprimente oscurità.
Mamma?
Kuroo?
Dove siete?
Dove siete tutti?
Dove...
Dove siete...?
Nel guardarmi intorno sento la scatola muoversi con ancora più veemenza.
Sta per cadere, ed io con lei.
Perché....
Perché mi avete abbandonato tutti...?
La paura s'impossessa del mio corpo ed un capogiro mi spinge verso avanti.
È solo questione di attimi, di piccoli frammenti di tempo che s'infrangono al pavimento in mille pezzi, assieme alla scatola che era posta in cima.
Ne sento il tonfo sordo contro il pavimento.
E poi è questione di secondi.
Solo le dita dei piedi che non trovano più l'appoggio al di sotto.
Solo le ultime lacrime che lasciano i miei occhi, in cui si specchia il demone della paura.
Solo gli ultimi affanni, che lasciano le mie labbra, mentre provo a chiamare il nome di Kuroo.
Solo gli ultimi spasmi.
Solo gli ultimi momenti.
La luce della Luna entra dalle fessure delle persiane del mio balcone.
Si vede la casa di Kuroo e si vede un cielo improvvisamente limpido.
Si riescono ad intravedere alcune stelle.
Sono luminose.
Sono lontanissime.
Sono meravigliose, proprio come si vedono solo nel cielo di Inagi, quelle piccole luci che viaggiano dentro l'universo e riescono ad arrivare ai miei occhi, in questo momento.
Sono luminose Kuro.
E ci ho ripensato, avevi ragione.
Avremmo dovuto portare la tenda con noi a Meguru.
Avrei dovuto baciarti.
Avrei dovuto dirti di restare.
Avrei dovuto fare tante cose...
Avrei dovuto...
La luce delle stelle dentro all'universo è calda a differenza di come sia fredda e triste quella che sento invadermi adesso.
È davvero un bizzarro ultimo pensiero, questo che mi attraversa la mente.
Davvero bizzarro.
Atipico.
Davvero confortante, tutto sommato.
Nessun spazio dell'autore.
Credevo sarebbero stati quelli finali questi, ma alla fine sono venuti più lunghi del previsto.
Ad esempio questo doveva essere un solo capitolo ( che però poi è venuto sulle 10.000 parole e per tanto ho dovuto dividerli.)
È stato difficile scriverli, ma alla fine eccoli qui.
Prossima settimana usciranno gli ultimi due/tre assieme ad un capitolo a parte per i ringraziamenti.
(tre perché potrei essere come sempre troppo lunga e prolissa).
A presto stelline✨
❤️
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