Capitolo 45 - Vitae Tua.





26 Novembre, Tokyo.

Kuroo's POV




<< Che domanda mi fai?>>


La voce della mia terapeuta è asciutta, non lascia trasparire alcuna emozione, nonostante possa scorgere sul suo viso una piccola incrinatura di preoccupazione.

Mi prendo il mio tempo prima di risponderle, senza fretta.
Aspetto, nel silenzio calmo che ne consegue, lasciandola in attesa mentre guardo fuori dalla finestra del suo studio.

Non è una stanza molto grande, anzi, è uno studio abbastanza accogliente per essere quello di una strizzacervelli.
Non ci sono grandi divani di pelle dove distendersi come nei film e lei non scrive niente su una cartelletta, dietro a degli occhiali a mezzaluna.

C'è un divano, questo sì, ma è di tessuto verde anche leggermente usurato, ma più che sedersi là sopra, ci si appoggia il cappotto.

La sua scrivania è orientata per ¾ verso la vetrata, posta su un lato intero della stanza quadrangolare, che generalmente tiene chiusa da una tenda di lino opaco.
Ma adesso è aperta, forse perché sa che mi dà conforto guardare al di fuori mentre parlo con lei, o forse è solo una mera coincidenza.

Le poltrone sono due e sono beige, di un colore tenue e pastello che fa contrasto con l'enorme tappeto scuro al di sotto.

È una giornata piovosa e grigia di novembre, una giornata qualsiasi a dire vero, una delle tante di un mese umido e freddo.
Però, oggi mi sembra essere più freddo, tetro e cupo del solito.
Il peggior novembre di sempre, per essere precisi.

La terapeuta si acciglia un momento, come se fosse stata colta di sorpresa, anche se sono sicuro che l'avesse vista arrivare quella mia frase.


È strano mettersi in dubbio, sentirsi deboli ed effimeri, davanti alla vita.
Succede davvero, tutto quello che ogni giorno mi scorre davanti agli occhi?
Sento davvero, tutto quello che mi pare di sentire?

Non ci avevo mai pensato.

E, sbagliando naturalmente, dall'alto del mio essere nessuno, credevo di aver trovato già tutte le risposte a tutte le domande possibili.

La verità è che non so niente.
Né su me stesso e né di nient'altro, in generale.
Non l'ho mai saputo e solo adesso che vengo messo, forzatamente, davanti alla mia ignoranza mascherata da presunzione, mi rendo conto di quanto poco io avessi capito, della vita.

A volte mi chiedo quanto ci sia di semplice, nell'essere una persona che guarda fuori da una finestra lo scrosciare incessante della pioggia.
Osservo la condensa che si crea sui vetri e di come piccole goccioline d'acqua, vi restino impigliate.
Osservo il cielo grigio e minaccioso di nuova tempesta, sopra una Tokyo di un giorno nella metà di novembre.





<< Tetsurō...>> la dottoressa richiama la mia attenzione, in modo delicato.





Volgo lo sguardo verso di lei.

È la migliore in quello che fa, e non lo dico solo perché ormai sono circa nove settimane che vengo a trovare rifugio sulle sue poltrone beige, ma perché il modo che ha di parlarmi in qualche modo mi rassicura.

Anche se all'inizio ero diffidente, ferito e chiuso in me stesso, con lei ho imparato ad aprirmi e conoscermi meglio.
Anche se non ero altro che uno dei tanti scettici sull'effettiva validità della terapia psicologica, adesso mi sembra come una finestra che solo io posso aprire, quando ho voglia di respirare una boccata d'aria pulita.

La osservo con gli occhi inevitabilmente carichi di lacrime.





<< Hai voglia di rispondermi?>> chiede piano, sistemandosi meglio sulla sua poltrona dietro la scrivania.





Annuisco senza pensarci, anche se dentro di me non vorrei davvero tornare con la mente a quei momenti.





<< Bene, allora... cosa stavamo dicendo?>> mi intima.





Mi inumidisco le labbra, anche se le sento già umide e salate per le lacrime che ho pateticamente già bevuto, prima di prendere un respiro e parlarle.





<< Io stavo ripensando a quel giorno... non so bene perché...>> dico in un sussurro, spostando il mio sguardo da lei a nuovamente fuori dalla finestra.





La sento trattenere un respiro.
Forse, non s'aspettava di certo che io tornassi nuovamente a parlare di un qualcosa che le avevo assicurato non turbarmi più.

O forse, al contrario, stava aspettando questo momento da settimane, giorni o anche semplicemente da quando ho varcato la soglia del suo studio, completamente a pezzi, questo pomeriggio.





<< Come ti fa sentire?>> mi chiede, dopo una breve pausa.





I miei occhi s'intristiscono esattamente come il cielo che vi si riflette dentro e, iniziano anche loro a piovere, per quello che possono.
Sollevo gli angoli della bocca in un'espressione contrita, e di conseguenza sollevo anche le spalle.

Benché avessi detto che non mi procurava più dolore ripensarci, era solo una bugia che raccontavo a me stesso, per tenermi buono e non perdere il senno del tutto.
Forse perché credevo che alla fine la situazione sarebbe precipitata.
Forse perché era più semplice pensarlo, piuttosto che, ancora una volta, affrontare la verità.


Ma le cose sono cambiate, ancora una volta, mandando a fanculo le previsioni che avevo fatto in tutte quelle infinità di variabili che esistono.
Alla fine, le cose fanno solo il cazzo che vogliono.

Lui potrebbe svegliarsi, questa volta sul serio.
Non sono più le parole rassicuranti di un medico, che ti dice quel che vorresti sentirti dire perché sei sotto shock.
Non è più quello che ti racconti, per evitare di cedere alla disperazione.

Questa volta è vero.

E se da una parte mi sento sollevato per questa nuova consapevolezza, dall'altra mi sento trascinare sul fondo dai miei ricordi.





<< Ti attribuisci ancora la colpa, Tetsurō?>>





Certo, non è ovvio?
Non si capisce dal modo in cui mi trema il mento?
Da come si stringono le mie mani al tessuto dei miei jeans?
Non lo si capisce, semplicemente, da come appare il mio viso?





<< Io... >> mormoro piano.

<< Tetsurō, ne abbiamo già discusso tantissime volte...>> inizia lei.





E lo so, maledizione, lo so bene.
Lo so che non è colpa mia, che non potevo prevederlo e che a conti fatti io non posso fare niente.

Non l'ho spinto io a farlo.

Io non c'ero quando l'ha fatto.


Non è colpa mia, lo ripeto come un mantra da mesi, eppure non sembra funzionare.
Neanche un poco.

Mi mordo l'interno della guancia, mentre tiro su con il naso e mi allungo a prendere alcuni fazzoletti da sopra la scrivania.

E non esserci stato, non è forse la colpa peggiore di tutte?
Non è forse il peccato originale che mi porto dietro, da quel giorno?
Non è questa, l'onta che di dosso non riesco a lavarmi non importa quante lacrime io ora versi?

Credevo che in vita mia niente avrebbe potuto ferirmi, niente avrebbe potuto spingermi a piangere amaramente.
Ancora una volta, ero solo accecato dalla superbia.





<< Si, si lo so... però... però ci penso, da quando Akaashi...>> la mia voce muore in gola, nel momento esatto in cui le parole iniziano a prendere una forma, dentro la mia testa.





Ripercorro mentalmente la telefonata avuta con Akaashi di circa una settimana fa.
Alla fine non è colpa sua, lui voleva solo dirmi qualcosa che forse m'avrebbe tirato su di morale, ma che invece è stata fautrice di qualcos'altro, di ben peggio.

Mi ero appena svegliato, avevo una gran fame ed un gran mal di testa quel giorno.
Nevicava, se non ricordo male.

Non so per quanto tempo avessi dormito, forse per più di dodici ore di fila, che alla fine m'ero svegliato per i crampi allo stomaco.
La mamma mi aveva preparato qualcosa di caldo, che adesso non ricordo cosa fosse, so solo che lo mandai giù tutto d'un fiato facendomi ustionare anche la lingua.

Quando presi il telefono, il cuore mi fece mancare un battito nel vedere 17 chiamare perse.
E tutte provenienti da Akaashi Keiji.

Al terzo squillo a vuoto Akaashi rispose.








*FLASHBACK*


A: "Kuroo-San, finalmente. Perché non hai riposto prima?"

"Ohi, è successo qualcosa?"

Akaashi fa una pausa, nella quale lo sento portare una mano al microfono, scusarsi con la madre presumibilmente presente nella stanza, e poi riprendere a parlare mentre lo sento salire le scale.

A: "Si beh... no, tranquillo niente di che, volevo solo raccontarti una cosa. Tu come stai?"

"Come sempre. Dimmi cosa c'è."

Taglio corto, iniziando a sentirmi nervoso per quella telefonata appena iniziata.

Akaashi prende un respiro, lo sento chiudersi la porta della sua stanza alle spalle.


A: "Forse non è niente, non lo so... però..."

Inizia lui, con più esitazione che mai.


"Akaashi, ti prego..."

Sospiro massaggiandomi il ponte del naso.


A: "Sono stato... lo sai e ho letto tantissimo per lui, gli ho parlato un po' e poi mi sono messo a fare i compiti. Alla fine, mi avanzava un altro po' di tempo e così ho ripreso a leggere..."


Non dico niente, faccio solo un mugugno per spingerlo a continuare.
Lo ammiro, Akaashi, dico davvero.

Un tempo avrei creduto che fosse un rammollito senza palle, che si facesse prendere dall'ansia e dal panico e che aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse cosa fare e quando farlo.
Uno senza spina dorsale per certe cose, ecco.

Mi sono dovuto ricredere.

Non so da dove la tiri fuori tutta questa costanza, questa fibra morale e caparbietà.
Si è rivoltato come un calzino, Akaashi Keiji da quel giorno, che quasi stento a riconoscerlo.

Akaashi è più risoluto, metodico e riesce a mantenere la calma anche in situazioni che farebbero crollare chiunque.
Akaashi è cambiato, anzi no, si è del tutto evoluto, lasciandosi alle spalle il periodo in cui era un timido ragazzino che viveva all'ombra del suo Asso.


A: "Quando si è fatto un certo orario mi sono venuti a chiamare, io davvero avevo perso la cognizione del tempo, mentre andavo via... Kuroo-San, io e Kenma ci siamo guardati."


Il tempo si congela allo scandire di quelle parole.


"Che... che vuoi dire?"

A: "L'ho avvertito, non so come, ma era come se lui riuscisse a vedermi... è strano da spiegare, e so anche che con molta probabilità tu adesso stia pensando che io l'abbia immaginato..."

"No, nono. Ti credo. Qualsiasi cosa tu mi stia dicendo... io ti credo. Ti prego continua."


Akaashi fa una breve pausa, in cui lo sento deglutire più volte.


A: "È strano, ti giuro. Al solo ripensarci mi tornano i brividi, però è così. Ho avuto questa sensazione che lui... che lui effettivamente abbia potuto vedermi, mentre andavo via. Ne ho parlato poi con un'infermiera di turno, sai... Aiko-Chan, lei ha detto che potrebbe essere stato solo un riflesso di luce... che è improbabile..."


Ascolto Akaashi parlare con una mano premuta sulla bocca, gli occhi sbarrati ed il telefono incastrato tra l'orecchio e la spalla.
Ho bisogno di sedermi, di stare più vicino al pavimento con più parti del corpo, perché temo che potrei sentirmi mancare da un momento all'altro.

Deglutisco un quantitativo di saliva esiguo, essendo che la mia bocca s'è improvvisamente asciugata.


A: "Ha detto improbabile ma non impossibile, a volte gli stati di coscienza alternati si possono manifestare... per lei è un buon segno se sommato anche alle risposte agli stimoli visivi e uditivi..."


Strizzo gli occhi, appoggiando il cellulare al pavimento con il vivavoce e mi ritrovo con la testa poggiata sulle ginocchia, che tengo alte contro il petto.
Il respiro che aumenta per una richiesta improvvisa ed ingiustificata d'aria, il cuore pompa più sangue per mantenermi in piedi e compensare il mancamento.

È questo che ti fa un attacco di panico: ti rende fragile come cenere, ti fa tremare come le fronde più alte degli alberi in una notte tempesta.
D'un tratto non sei più sicuro di te stesso, del tuo corpo e ti senti inevitabilmente tradito da una reazione che non riesci a controllare.
Non riesci a spiegarti il perché, non riesci a contenerti, in balia di una sensazione familiare ed estranea di insicurezza.

È questo che ti fa un attacco di panico.

E lo vedi solo tu, che tutto sembra crollare.
Ed improvvisamente i colori si spengono, i suoi si distorcono e non senti altro che il battito del tuo cuore, dentro alla tua testa, che ci sembra essere diventata una gabbia.

Lo vedi solo tu, lo senti solo tu.

Perché da fuori nessuno s'accorge che dentro ti stai spezzando, nessuno riesce a capirlo e di conseguenza nessuno può aiutarti.


Quando mi succede, pur volendo, neanche lo riesco a chiedere aiuto.
Riesco solo a chiudermi in me stesso e cercare di calmare la mia agitazione da solo.
A volte finisce in fretta, altre volte m'accompagna fino al giorno dopo.


A: "Kuroo-San, ci sei ancora?"


Chiede la voce titubante di Akaashi Keiji dall'altro lato del telefono, che con molta probabilità mi sente solo respirare.

"Più o meno..."

A: "Dovresti tornarci anche tu... dovresti vederlo con i tuoi occ- "


La risposta è così immediata che non ho neanche il tempo di realizzarla.


"No.
Io non ci tornerò.
Non ci andrò più."





*FINE FLASHBACK*








Prendo un respiro profondo, chiudendo gli occhi e sentendoli bruciare di dolore inespresso.

Mando indietro la testa.

La dottoressa resta in silenzio, dandomi il tempo necessario per riprendere la nostra chiacchierata.

Ogni giorno fa sempre più male.
Ogni giorno è sempre peggio e non so cosa fare per cercare di renderlo meno greve sulle mie spalle.

Non bastano le preghiere, non basta la speranza.
Non serve niente, arrivati a questo punto, perché qualsiasi cosa io faccia o dica per mettere un punto di sutura, la ferita torna a riaprirsi.
E sangue nuovo sgorga come se fosse la prima volta.
E brucia, scava dentro la mia pelle e il mio animo, per andare sempre più in fondo.

Quanto ancora posso reggere, prima di spezzarmi del tutto?
Quanto ancora dovrò sentirmi in colpa, prima di riuscire finalmente a perdonarmi?

Sento la dottoressa alzarsi e trafficare con il distributore dell'acqua alle sue spalle.





<< Tetsurō...prendi un sorso d'acqua.>>





Con mani tremanti l'afferro e me lo porto alla bocca meccanicamente, senza che davvero io abbia voglia di bere.





<< Tetsurō... piangi pure, urla se vuoi. Non tenerti tutto dentro, non continuare ad alimentare questo veleno.>> dice lei ad un certo punto, lasciandomi del tutto sorpreso.

<< Se vuoi apriamo anche la finestra, ed urliamo contro il vento e la pioggia.>>

<< E questo... questo m'aiuterebbe?>> dico piano.





Lei sorride dolcemente, come se non fosse più una psicoterapeuta ma bensì mia madre.
Sa di caldo e di pace, quel suo sorriso, che le fa segnare il volto di mille piccole rughe d'espressione.





<< Qualsiasi cosa ti farà del bene, Tetsurō, purché la butti fuori.
Lo abbiamo detto tante volte: tenerci pensieri dentro, tenerci la fetta più grande del dolore, non ci fa del bene.
La sofferenza non è il dolce che dobbiamo serbare per la fine del pasto... è inevitabile però, quando ci sediamo a tavola, che ci sia qualcosa che non ci piaccia... e ti ricordi cosa abbiamo detto?>>





Tiro su con il naso, asciugandomi con il dorso della mano.





<< Che dobbiamo mangiarlo a piccoli bocconi, tra una cosa che ci piace e l'altra.>> sussurro, guardandola negli occhi.





Lei annuisce e sorride nuovamente.





<< La vita ed i suoi eventi imprevedibili, sono come un'enorme tavola imbandita.
Crescendo e facendo esperienze nuovi piatti si aggiungono... a volte c'è un buonissimo katsudon fumante, a volte del nattō un po' acidulo... a volte un pesce marcio.
Noi dobbiamo comunque restare seduti a tavola, ringraziando sempre di aver del cibo davanti a noi, ma come facciamo a mangiare tutto?
Ingozzandoci o mangiando poco per volta?>>





Mi guarda interrogativa.





<< Ecco... un poco... un poco per volta.>> rispondo, sentendo che il peso delle lacrime e dei miei pensieri si sta leggermente alleviando.

<< Quando succede qualcosa di brutto, qualcosa di inatteso che ci fa del male, non dobbiamo pensare che prima lo mangiamo e prima lo digeriamo, prima lo eliminiamo.
Così rischiamo solo che ci faccia indigestione... e ci sentiamo peggio poi.
Un boccone alla volta, un passo alla volta, un pensiero per volta... e riusciamo a tirarci fuori da qualsiasi situazione, riusciamo a mangiare tutto quello che abbiamo sulla tavola.>>

<< Capito, Tetsurō?>> chiede infine, dopo una breve pausa.





Annuisco ancora una volta.

Un passo alla volta, un giorno alla volta, un pensiero alla volta.

Un peccato da redimere per volta.
Una colpa da espiare per volta.
Una richiesta di pace e perdono per volta.



<< Pensi che quanto detto dal tuo amico, ti abbia risvegliato i ricordi di quel giorno?>> chiede lei dolcemente.



Alzo le spalle.
In realtà quei ricordi sono tatuati con l'inchiostro indelebile dentro di me, non sono state di certo le parole di Akaashi.
Però c'è qualcosa che mi fa tremare come un coniglio, nel collegare le scene di quel giorno con lo scenario futuro che Akaashi stava raccontandomi.

Non c'è una correlazione evidente, lo so bene, tuttavia qualcosa in me crepita, come un ceppo di legno messo al fuoco e mi lascia inquieto.





<< Io... io ho fatto il pensiero che se... se davvero lui... io non saprei cosa fare, come dovrei comportarmi.>> confesso infine, dando sfogo al mio senso d'inadeguatezza.

<< Se lui dovesse svegliarsi? È questo che mi stai chiedendo?>>


Annuisco appena, pieno d'imbarazzo.


<< Sicuramente sarebbe una lieta notizia, e da tale sarebbe davvero un grosso ed appetitoso dolce sul nostro tavolo, non credi?>>

<< Si... si ma se... se dovesse ricordare e non volesse più vedermi...>> farfuglio, sentendo una nuova ondata di panico travolgermi.


La mia terapeuta mi blocca, con un gesto della mano.




<< Tetsurō, credi davvero che lo farebbe?>>




Realisticamente no.
Kenma non lo farebbe mai, però io, proprio perché sono dedito all'autodistruzione, mi costringo a pensare al contrario.





<< Io... io mi sento perso.>> sospiro, lasciandomi andare nuovamente contro lo schienale della poltrona, e portandomi le mani sul viso.





La dottoressa fa un po' di pausa.





<< Non sapere cosa fare del nostro futuro è davvero molto comune. Cerchiamo di affrontare le questioni solo una volta che si saranno presentate alla nostra porta, va bene?
Un passo alla volta, Tetsurō... un passo alla volta.>>

<< Adesso... se te la senti, perché non raccontiamo ancora una volta cos'è successo quel giorno?
Una parola per volta, l'analizziamo insieme e vediamo dove sono le tue colpe e dove nascono i tuoi tormenti.
Andiamo pianissimo, ai tuoi tempi Tetsurō e quando vorrai fermarti, lo faremo.>> riprende lei.






Il cielo s'incupisce sotto il mio sguardo arrossato dalle lacrime.

Un passo alla volta, è vero, ma il primo resta sempre questo; la partenza è sempre la stessa, quel 22 settembre.

Era estate quel giorno.
Era ancora estate.

Faceva caldo...

Ma lo ricordo davvero, quel giorno?

Mi mordo il labbro inferiore, ripercorrendo lentamente il tragitto dei miei pensieri a ritroso, da oggi che mi trovo ancora una volta dolente su questa poltrona beige a quel giorno, del 22 settembre, in cui tutto sembrò perdersi in tunnel senza uscita.

Sono pronto?
Non credo che lo sarò mai, ma guardo il sorriso rassicurante della mia terapeuta, che viene a sedersi sulla poltrona vicino la mia e aspetta che io parli.

Non mi da fretta.
Non mi do fretta.

Chiudo gli occhi visualizzando nella mente la porta del suo appartamento chiusa, con noi sul pianerottolo a bussare come forsennati.


Era il 22 settembre.

Faceva caldo.

La sera prima avevamo litigato e lui mi aveva cacciato di casa.



Prendo un altro profondo respiro; un passo alla volta, mi dico.
Un ricordo alla volta.

Anche se fa male, un dolore per volta.
Un chiodo per volta, nella mia croce.
Un senso di colpa alla volta.



Quando riapro gli occhi li fisso nuovamente fuori dalla finestra per un breve istante, prima di inumidirmi le labbra.






<< Io me lo ricordo fin troppo bene... ogni dettaglio, ogni cosa.>> inizio.

<< Io...io...>>

<< Con calma.>> mi sussurra lei, mostrandomi ancora una volta quel sorriso rassicurante.





Un passo alla volta, ce la posso fare.
Piano, lento, graduale, calmo, lieve.

La mia memoria sfuma dal presente, al 22 settembre, nuovamente.








*FLASHBACK*





22 Settembre, Tokyo.


I miei pugni e quelli di Bokuto si scagliano sulla porta pesante di casa di Kenma.





<<Mi devi spiegare che cosa è successo Kuroo, ti rendi conto?!?>> urla il Gufo, qui di fianco a me.





Sono da poco passate le 18:00 ed io ieri sera, avevo preso un appuntamento per uscire con il mio amico dai capelli grigi che sfumavano dal nero.
Credevo che sarebbe stata una piacevole uscita, essendo che non abbiamo mai molto tempo per stare assieme.

Non credevo che nel giro di neanche 24h le cose sarebbero cambiate, nonché precipitate in questo modo.

Akaashi, dietro di noi, in preda al panico, insisteva per chiamare i soccorsi.





<<CAPISCI CHE DOBBIAMO PRIMA ENTRARE?!>>





Mi volto per ringhiare nella sua direzione.

Bokuto mi scuote, afferrandomi per la maglietta e costringendomi a guardarlo in viso.





<<DEVI SMETTERLA DI URLARE KUROO.>>





I suoi occhi grandi e dorati sono spalancati ancora di più.
Le sue pupille sono ridotte a delle fessure strettissime per la preoccupazione e l'agitazione.

Mi ripete di non urlare né in faccia a lui né in faccia ad Akaashi.

Mi continua ad esortare a parlare del perché ci trovassimo a casa di Kenma, in procinto di sfondare la sua porta d'ingresso.

Io, dal mio canto, non riesco ad ammettere quello che ho fatto.
Me ne vergogno così profondamente che preferisco sfogare la mia rabbia urlando, piuttosto che parlare chiaro.

Non posso accettare di aver colpito Kenma, ieri sera e di averlo lasciato da solo.


Questa mattina ero ancora arrabbiato, di un umore davvero scuro e pessimo.
Sono andato in classe senza passare dalla sua sezione.
Ho tirato dritto, impiegando il tempo a picchiettare nervosamente sul banco.


"Non ho voglia di vedere la sua faccia da cane bastonato oggi in palestra."
Non facevo altro che ripetermi.


Convinto com'ero di aver ragione, procedevo a grandi ed orgogliosi passi verso lo spogliatoio.
Ma Kenma non era lì.
Sbuffando, andai a controllare, per puro caso nello stanzino, sicuro di trovarlo lì addormentato.
Ma lui, non era neanche lì.

Iniziai a sentirmi leggermente agitato, ma poi conclusi dentro di me, ch'era sicuramente andato a comprarsi una nuova console.


"Certo come ho fatto a non pensarci prima. Senza una di quelle cose Kenma non riuscirebbe a mettere un piede fuori da casa."


Così aspettai, fingendo che non fosse successo nulla.
Fingendo che di lì a poco sarebbe entrato in palestra con la sua nuova busta Nintendo.

Tutti gli altri ragazzi iniziavano ad arrivare, tranne quel misero gattino.

Yaku si avvicinò a me, posandomi una mano sulla spalla:


"Spero tu ti sia scusato per come hai urlato ieri con Kenma."


Infastidito gli risposi di farsi i cazzi suoi, che questo non aveva nulla a che vedere con lui.
Era una cosa tra me e Kenma.

Già, ma adesso lui dov'era?

L'allenamento iniziò ed il Coach Nekomata non si risparmiò di sgridare l'assente del giorno, promettendogli diversi tipi di punizione.

Gli altri non sembravano preoccupati.
Era già successo che Kenma marinasse qualche allenamento, per giocare a qualche nuovo videogame, o semplicemente perché ne avesse poca voglia.
Ma nessuno sapeva quel ch'era successo ieri sera tra di noi.
Nessuno poteva immaginare che l'avessi abbandonato a sé stesso, in uno scatto di ira.

L'allenamento non accenna a finire, così prendo la mia borsa e vado via ugualmente.
Una crescente ansia e un senso di colpa insopportabile, mi stavano facendo perdere la concentrazione, quindi tanto valeva andare via.

Bokuto e Akaashi erano già arrivati nei pressi della stazione di Ueno, vicino la nostra scuola; così li intercettai e li trascinai a casa di Kenma, senza dar loro spiegazioni.





<<KUROO MI DEVI SPIEGARE CHE COSA SUCCEDE.>> grida Bokuto, con un tono che non ammette repliche.





Sono certo che se non avessi risposto ancora una volta alla sua insistente ricerca di delucidazioni, mi avrebbe colpito.





<<Temo... temo che gli sia successo qualcosa...>> dico infine.





Devo mettere da parte il mio stupido orgoglio, mi dico.
Devo pensare prima a Kenma e poi al mio senso d'arroganza ferito.





<<Che cazzo Kuroo!! CHE CAZZO!>> Bokuto si porta le mani alla testa, camminando inquieto sul pianerottolo di casa di Kenma.

<<Kuroo, ti rendi conto che è una porta blindata? Si apre solo dall'interno.>> precisa Akaashi.





"Ti prego non venirmi a dire l'ovvio. Ce l'ho sotto gli occhi da anni, so com'è fatta la porta di casa sua."





<<Che cosa intendi quando dici che "temi gli sia successo qualcosa?">> mi incalza ancora lui, continuando a rimanere leggermente in disparte.





Io non rispondo e stringo i pugni.





<<Ma vuoi davvero stare a sindacare sulla natura della mia affermazione?
Ma sei davvero così scemo??>>





Bokuto mi si para nuovamente davanti.





<<Adesso smettila di urlare contro di lui. Stiamo tutti cercando di essere utili.>> mi dà una spinta verso dietro.





Normalmente non l'avrei accettata ed avrei iniziato a fare a botte, sentendomi provocato e sfidato.
Ma la situazione è diversa: me la sto prendendo volontariamente con Akaashi perché non ho il coraggio di ammettere la verità e di conseguenza, non ho le palle di prendermela con me stesso.





<<Kuroo non hai le chiavi?>> prova a dirmi il corvino, con occhi carichi di ansia.

<<Bokuto glielo dici tu che se avessi avuto quelle cazzo di chiavi, a quest'ora avrei già aperto questa cazzo di porta?!>> rispondo, cacciando un calcio alla porta.





Sono quasi 24h che non ho notizie di Kenma e mi sento impazzire.
Come ho potuto essere così stupido?
Come ho potuto andare sul serio via, sapendo di quel che è capace quando è in preda al panico?

La tenda della finestra principale, si scosta leggermente, rivelando un musetto chiaro e due grandissimi occhi azzurri.
Appena i miei occhi incontrano i suoi, inizia a camminare inquieta, miagolando e muovendo le sue zampette sul vetro; come se volesse scavarlo.





<<La sua gatta è in casa.>> osserva Akaashi.





Stavo nuovamente per aggredirlo, quando mi si accende una lampadina.

La gatta.

Zelda... ZELDA!

La Signora Matsuda va a dare da mangiare ogni tanto a Zelda, quando Kenma è fuori casa, o quando è in ritiro da qualche parte.





<<Aspettatemi qui, nel mentre continua a chiamare, Bokuto.>>





Dico, mentre volo giù dalle scale al piano inferiore.
Non do neanche al mio amico il tempo di controbattere qualcosa, che sono già alla porta della Signora Matsuda, tempestandola di colpi.

La sento avvicinarsi con fretta alla porta, dicendo:





<<Arrivo, arrivo!>>





Apre la porta con affanno, mentre si regge gli occhiali da lettura sulla testa.





<<Tetsurō, ragazzo... che cosa succede?>>

<<Mi dispiace di averla disturbata. È importante, lei ha le chiavi di casa di Kozume, vero?>> dico, cercando di farle capire quanta fretta avessi.

<<Si ecco, ne ho una copia... è successo qualcosa?>> inizia a cercare dentro un porta oggetti nel suo ingresso.

<<No... noi siamo solo rimasti chiusi fuori. Si sbrighi per favore...>> rispondo, fremendo sul posto.





Torna sulla soglia con la chiave, attaccata ad un portachiavi con una gattina di peluche, identica a Zelda.

L'afferro velocemente, quasi strappandogliela di mano.





<<Grazie mille... gliela riporto al più presto.>>



Come il vento, salgo per tornare al piano di Kenma, facendo i gradini a 4 a 4.

Bokuto sta continuando a bussare, senza ottenere risposta.
Akaashi è bianco come un lenzuolo, seduto per terra.





<< Merda Kuroo... >> dice Bokuto, con il viso contorto in una smorfia di tensione indecifrabile.
Mi strappa la chiave dalle mani e tremante la infila nella toppa.





Nel sentire il rumore della serratura che scatta, Akaashi scatta in piedi, mettendosi dietro a Bokuto che apre piano.

La prima cosa che si vede è la casa immersa nell'oscurità.

Io inizio a tremare, incapace di farmi largo tra i due ragazzi.
Bokuto entra, togliendosi le scarpe con un solo gesto rapido, mettendo il naso prima in soggiorno e poi in cucina.





<<CAZZO CAZZO...>> inizia a dire, spingendo fuori Akaashi, per non fargli vedere che in cucina c'era ancora la sua console a terra, completamente distrutta e le macchie del sangue che gli era fluito dal naso.





Akaashi non fa storie, aspetta fuori la porta, mentre io entro assieme a Bokuto.
Do una rapida occhiata in bagno.
Bokuto trasalisce nel vedere quei flaconi caduti nel lavello e a terra, con una ditata di sangue sul mobiletto a specchio aperto.





<<Kuroo... >> sussurra, stringendomi una spalla.





Io deglutisco.
Lo scenario che avevo immaginato è proprio quello che mi si presenta davanti.


"Dio ti prego, fa che non sia morto."


Una tremenda angoscia mi assale, stringendomi la gola.





<<Kenma...>> chiamo incerto, mentre piano, scortato da Bokuto, mi avvio verso la sua stanza.





Zelda viene subito tra le mie gambe, miagolando fortissimo come di solito non fa mai.
Lentamente, a passi incerti, siamo alla soglia della sua camera.


Un brivido mi scorre lungo la schiena.

Kenma è riverso su sé stesso, sul letto, con le coperte tirate sopra la testa.

Con un balzo sono su di lui, mentre Bokuto rimane sulla porta, incapace di chiudere la bocca.





<<Ohi Kenma... Kenma... Kenma avanti, rispondi.>>





Scosto le coperte per scoprire il suo viso, pallido.

Lo scuoto leggermente.
Mi pietrifico nel vedere che è privo di conoscenza.





<<Kenma... avanti... Kenma ... per favore...>>





Porto due dita sul suo collo, per misurarne il battito: debole ma presente.





<<Kuroo.... ma...>> la voce di Bokuto è al limite.



Una tensione tale, non tutti sono in grado di reggerla.

Ma io so cosa devo fare.
So cosa succede, so come aiutarlo, perché l'ho già fatto in passato.

Risoluto e senza perdere più un attimo, tolgo tutte le coperte, e gli sollevo le gambe, mettendomele intorno al collo.




<<Bokuto, forza, metti la sua testa per terra avanti... aiutami!!>> dico con impazienza.





Si smuove finalmente dalla porta e delicatamente mi aiuta a posizione la testa di Kenma per terra, sopra un cuscino, così da aumentare il dislivello tra le sue gambe e la sua testa.





<<Avanti... dai... Kenma, forza... forza... ti prego.>>





Passano dei secondi che pesano come anni.



Il panico mi divora nel momento in cui mi rendo conto che non succede niente.
Kenma non si muove, è solo afflosciato su sé stesso, come se fosse un semplice guscio vuoto e non più una persona.
Mi scivola via dalle mani, che hanno iniziato a tremare senza che io potessi farci niente.

E niente è proprio quello che faccio, quando mi rendo conto che il cuscino ed il lenzuolo su cui era adagiato il capo di Kenma, sono intrisi di saliva e presumibilmente anche vomito.

Il suo volto è imperlato di sudore gelido e tutto di lui è immobile e senza vigore.
Le sue pupille sono ridotte a fessure i suoi occhi non sono stabili al di sotto delle palpebre semichiuse.





<< Kuroo...>> la voce di Bokuto mi spezza, definitivamente, mentre anche lui si rende conto che quel che stiamo facendo è del tutto vano.





Sono terrorizzato, che le parole inciampano sulla mia lingua prima di riuscire ad uscir fuori.





<< Ke-Kenma... Kenma...>> sussurro, lasciando che gli occhi corrano da Kenma a Bokuto, rapidamente.





Ed io non faccio niente.




Non quando osservo il suo viso pallido, che ha assunto un colore verdastro e malaticcio.
Non quando scosto i suoi capelli chiari, inzuppati di sudore.
Non quando osservo le sue labbra bianche, che sono asciutte e screpolate.
Non quando lo stringo con forza al mio petto, posando la fronte sulla sua, ed iniziando ad urlare il suo nome.

Niente è quello che faccio quando Bokuto viene a scuotermi, mentre anche io m'accascio a terra trascinando con me anche Kenma.
Niente, quando Bokuto mi chiede che cazzo dobbiamo fare, davanti un corpo di un ragazzo che sembra senza vita.

Niente, quando non riesco a rispondere, perché sono troppo impegnato a ricordarmi di come fare a respirare con qualcuno che sembra morto tra le tue braccia.
Niente, quando Bokuto urla ad Akaashi di chiamare aiuto.
Niente, quando le sirene dei soccorsi si spengono davanti l'appartamento.
Niente, quando Akaashi, con gli occhi gonfi di lacrime entra nell'appartamento seguito dai paramedici dell'ambulanza.

Niente quando mi strappano Kenma dalle braccia, e mi intimano di allontanarmi.

Niente, quando lo vedo che lo portano d'urgenza fuori dall'appartamento, dopo averlo immobilizzato alla buona sulla barella.



C'è qualcuno che mi blocca, che cerca di trattenermi mentre provo a divincolarmi, per raggiungere la barella che lascia in tutta fretta l'appartamento.

Ed io urlo.
Urlo con quanto fiato abbia in corpo, urlo di lasciarmi andare e di farmi raggiungere Kenma.
Urlo, per disperazione, per rabbia, per l'angoscia, per un dolore che mi sta divorando a grandi morsi.

Urlo perché non riesco a fare altro.



Quando finalmente riesco a liberarmi dalle braccia della persona che mi stava frenando, con un balzo scavalco le borse lasciate all'ingresso e a piedi scalzi mi precipito giù dal pianerottolo.
Incontro la Signora Matsuda, che con una mano sul petto mi chiede preoccupata quel che sta succedendo.





<<Fatemi salire, fatemi andare con lui...>> mi trovo ad implorare ad uno dei paramedici, mentre caricano Kenma sul retro.





Mi chiede se sono un familiare.





<< Vi prego... vi prego fatemi venire con voi.>> supplico, ignorando la questione.





Un altro di quei soccorritori mi tira indietro.





<< Non c'è posto per te, ragazzo. Aspetta che qualcun altro si accerti delle vostre condizioni, restando qui.>> dice, spingendomi via e chiudendo le porte dell'ambulanza davanti a me.





Niente, anche in quel momento, mentre osservo il veicolo che spinge a tutta velocità sull'asfalto, in quella torrida giornata di Settembre.





*FINE FLASHBACK*











Il 22 Settembre fu il giorno in cui restai da solo.












Angolo Autore:

Stelline
È con estremo ritardo che riesco a pubblicare i penultimi due (probabilmente) capitoli.

Vi starete chiedendo "perché?" o forse non ve lo state chiedendo, ma comunque eccovi la risposta:

Sto cercando casa, devo trasferirmi e devo studiare.
E nessuna delle 3 cose è più semplice dell'altra T___T
Trovare casa poi è più difficile che vincere un miliardo ai gratta e vinci.

Quindi vi chiedo scusa se c'ho messo così tanto T_T

Comunque, voi come state?!
Come vanno le vostre settimane?

Vi posso assicurare però che il finale non si farà attendere.
Per quanto mi dispiaccia, e forse dispiace solo a me per la fine di questa storia (😅), conto che nella prossima settimana i capitoli finali siano fuori.

Una settimana.

O al massimo dieci giorni.

Non sto neanche a chiedervi se questi due capitoli vi siano piaciuti, perché so bene che da questo momento in poi arriveranno solo ingiurie sul mio nome xD
E non vi chiedo neanche cosa ne pensiate.

(Però se volete farmi conoscere la vostra
opinione io sono sempre molto felice ❤️)

Vi chiedo solo:
SI/NO?

Che posso dire per rassicurarvi?

Fidatevi di me.

Okay forse nessuno si fida di me, ma facciamo finta di sì!

Abbiamo tenuto duro finora, sarebbe un peccato mollare proprio sul finale, no?

No....?


Bene!
Come sempre gli spazi autore sono più lunghi rispetto ai capitoli in se, ma ormai avere imparato a sopportare la mia logorroica persona.

Vi lascio un bacino.

❤️


Lavienne

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