Capitolo 42 - Entropy.







*





Kenma's POV




Quando mi sveglio sembrano essere passati pochissimi secondi, dal momento in cui ho chiuso gli occhi.
O forse sono passati giorni, oppure mesi.

Chi può dirlo?
Di certo non io.

Potrei anche aver confuso l'essermi addormentato con un battito di ciglia.
Potrei non essermi ancora del tutto svegliato.

Non mi soffermo a pensarci molto, anche perché so bene che è del tutto inutile, rifletterci su.
Ho smesso da un po' d'interrogarmi su qualcosa che non riesco a comprendere, ad afferrare.

Una di queste cose è il tempo, il suo scorrere ed il suo lasciare le cose sempre esattamente uguale a prima.
Uguali ma diverse, in un certo senso.

Che seppur ogni giorno sembra identico a quello precedente, alla fine non lo è mai per davvero.

Qualcosa viene perturbato, anche se non ce ne rendiamo conto osservando solo la superfice, che risulta sempre piatta e tranquilla.

Qualcosa c'è, che si muove e crea disordine, anche se non la vediamo.
E non lo riesco ad afferrare, lo scorrere del tempo, in mezzo a tutta questa confusione.

Non riesco a comprenderlo il passare del tempo, ultimamente, poiché mi sembra che tutto faccia parte della stessa matassa intricata.

Magari è sempre stato così, che ogni evento è sempre strettamente collegato ad un altro evento, solo che non me ne sono mai accorto.
Non ce ne siamo mai accorti.

E forse, mi viene da pensare che non è neanche così semplice accorgersene, essendo che ogni essere umano vive una vita sola, e certe cose le tende a dimenticare.

Così, nella moltitudine di cose che si devono ricordare per forza, si presta meno attenzione allo scorrere del tempo e quindi, in qualche modo, fino a quando non ti resta altro a cui pensare,  semplicemente non ci pensi.
Lentamente si consuma la mente dell'essere umano, si assottiglia come un foglio di carta, come una piuma, o come il disco del sole all'orizzonte durante il tramonto, e quando accade non ti resta altro su cui riflettere se non il tempo.

E prendiamo consapevolezza, noi esseri umani, di quello che è passato e di quel poco che ci resta.

Ce n'accorgiamo solo nel momento in cui lo viviamo, che il tempo è una matassa d'istanti tutti correlati tra di loro.
Ed è sempre, inevitabilmente, troppo tardi.

Ammeto che, ultimante quest'immagine del tempo che ha la forma di gomitolo, mi sembra davvero la cosa migliore a cui abbia mai pensato.
Un intreccio di attimi, in una tramatura di eventi, che ci restituiscono come prodotto finale la nostra stessa vita, che vuoi o non vuoi, ci calza sempre a pennello come fosse un guanto.

Ne distinguiamo un filo, ogni tanto; lo prendiamo tra le mani quel filo di tempo e lentamente ce lo avvolgiamo attorno al collo, mentre ci convinciamo che un solo giro non potrà ucciderci.
Ed infatti il presente non ci uccide, non ci uccide mai.

È la somma distratta di tutti quei fili che ci siamo passati attorno al collo, giorno dopo giorno, che ad un certo punto ci fa mancare l'aria.

Sorpresi, boccheggiamo disperatamente per aggrapparci ad un nuovo filamento di tempo.
Lottiamo con tutte le nostre forze per raggiungere quella matassa, che alla fine ne restiamo impigliati come mosche in una ragnatela.

Non sono sicuro di chi, ad un certo punto, abbia deciso di tessere una ragnatela in mezzo al cosmo, e lasciare che la vita degli esseri umani ci restasse impigliata dentro.
So solo che è così, che è inutile cercare di libarsene e che, anche se passiamo buona parte della nostra vita ignorando questa cosa, alla fine ce ne rendiamo tutti conto.

E tutti non facciamo altro che chiederci, al di là di tutto, come abbiamo fatto a non accorgercene prima.
Com'è stato possibile finire impigliati.

Ma poi, c'è davvero qualcuno che trova le risposte dall'altra parte?

Però, a differenza di tutti, io non faccio altro che chiedermi dove si trovi il ragno.
Mentre si muore, chi è che si chiede dove si trova il ragno?





Il mio ragno è in cucina.





Si è svegliato prima di me, come spesso accadeva, ed ha iniziato a trafficare con le stoviglie e le pentole per preparare la colazione.
Nonostante mi sembri di non mangiare da mesi, continuo a non sentire fame, così come la sete o anche solo banalmente il sonno.
Mi sento stanchissimo, la maggior parte delle volte questo è vero, ma quando mi ritrovo sdraiato nel letto non ho mai la sensazione di aver fatto un sonno ristoratore.
Chissà da quant'è che non dormo come si deve.


Oggi mi sento più a pezzi delle altre volte.


Non è un dolore fisico quello che mi spinge a tenere la testa rintanata sotto il cuscino, è più che altro qualcosa dentro al mio cervello, che non riesce a mettersi a tacere.
Certi giorni sono migliori di altri.
Certi giorni invece sono un inferno, un caos, un macello totale.


Oggi è uno di quelli.


Oggi mi sento come se il mio corpo non avesse peso, al contrario, la mia mente sembra pesare quintali e quintali.
Resto immobile sotto le coperte, mentre un fastidioso fruscio ed un" bip" incessante mi riempiano le orecchie.

Mi mancava sentire solo gli acufeni, trapanarmi nelle tempie, poiché non bastava già il peso che ho sulla coscienza.

Mi schiaccia sulla schiena se sto disteso sulla pancia e mi schiaccia il petto e sto disteso sulla schiena.
Non riesco a scacciarlo, non riesco a smorzarlo; posso solo sopportarlo al meglio che posso anche oggi.
Anche se mi sembra tremendamente più difficile delle altre volte.


"Che giorno è oggi?"



Sospiro, a pieni polmoni, l'aria che sa di lenzuola e rimpianti.

Perché si, me ne sono pentito di quel che è successo tra di noi.
È così difficile che non riesco neanche a pensarlo il suo nome, figuriamoci dirlo.
Mi consuma, il rimorso, nonostante non sia passata una vita in mezzo, ma solo una gelida notte di un mese che forse è novembre.


"Resterai qui con me?"


Me l'ha chiesto ieri sera ed io, benché non voglia ricordarlo, ce l'ho marchiato a fuoco sulla pelle il sì che gli ho detto.

Ed allora lui si è preso una parte di me.

Lui si è preso quel che restava di me, ed io gliel'ho lasciato fare, perché lui diceva di starlo facendo con amore.

Ma che vuol dire, farlo con amore, se poi non riesco neanche a pronunciare il suo nome, senza che la paura m'attanagli alla gola?

Che alla fine, non sono stato io a volerlo?

Non sono stato forse io, a piombare il quel locale e baciarlo davanti a tutti?

Non era implicito che fossi d'accordo, nell'ammettere ad alta voce qualcosa che dentro sento strisciarmi nelle budella?

La risposta dovrebbe essere sì, e dovrebbe anche essere abbastanza semplice pronunciarla, eppure mi si secca in gola e non riesce ad uscire.

Mi appassisce dentro.

Sono stanco.
Sono stanco e confuso.
E sono anche deluso, da me stesso e da tutto il resto del mondo.

Ed anche se posso odiare me stesso ed il resto del mondo, non posso odiare il mio ragno.
Di conseguenza, essendo che non riesco a odiarlo, dovrei amarlo, ma non riesco a fare neanche questo.

Perché per quanto possa essere velenoso questo aracnide, nero come l'abisso nel quale sono precipitato, alla fine m'è dolce la caduta perché immagino che, da qualche altra parte, ci sia davvero la persona di cui sono innamorato.

Solo che non è questo ragno.
Solo che non è in cucina, in questo momento.

È più complesso di quel che dovrebbe essere, e mi rendo anche conto che a complicarlo sono io, seppur da una parte quello che vorrei è solo restare assieme a lui per sempre, dall'altra sento di aver commesso l'ennesimo errore irrimediabile della mia vita.


Vorrei che fosse così e al contempo non lo voglio.
Vorrei...


I miei pensieri si bloccano immediatamente nel momento in cui sento i suoi passi, lenti e misurati, avvicinarsi verso la camera da letto.

Non voglio vederlo.
Non lo voglio vedere, né oggi e né mai più, se fosse possibile.

Ed è una cosa abbastanza patetica a cui aggrapparsi, essendo che dentro di me so bene che senza di lui non esiste un posto nel mondo per me.
Che ho passato quasi tutta la mia vita assieme a lui ed il solo pensiero di perderlo mi porta più vicino alla follia di quanto io già non sia, eppure mi sento inquieto.

Inquieto nel desiderare di non avere più la vista per vederlo.
Ansioso nel sentire la sua voce che viene a svegliarmi ed impaurito, nell'immaginare le sue mani che mi toccano, che mi sfiorano.

Non dovrebbe essere così.
Non dopo quello che gli ho dato modo di capire ieri, non dopo che ho promesso che sarei rimasto con lui per sempre.
Non dopo aver fatto l'amore con lui.

Un nodo mi si stringe in gola, mentre sento la maniglia della porta abbassarsi lentamente.
Serro gli occhi come riflesso incondizionato e, l'unica cosa che riesce a sovrastare la confusione nella mia testa è il fingere di star ancora dormendo.

È un tentativo futile e immaturo, ma è tutto quello che ho al momento.
Tutto quello che sono al momento: un corpo avvolto da una coperta e la testa lontana anni luce, ancorata a qualcosa di inutile che molto probabilmente non è mai successo, e con un'immatura paura che gli fa battere il cuore.

La paura mi ricorda che sono ancora vivo, in qualche modo.
La paura e nient'altro.


<< Micetto... dormi ancora?>>


Kuroo entra nella stanza, ed immediatamente mi sembra di andare a fuoco dall'interno.

Non ho idea di come si risolva la situazione in cui mi sono cacciato.
Non so che cosa dovrei dirgli, o meglio non so se sarò in grado di mentirgli a lungo.
Che la verità non posso dirgliela, e non posso neanche sperare che creda alle mie patetiche bugie visto ch'è stato lui stesso ad insegnarmi come dirle.

Sospiro ancora, simulando di star svegliandomi proprio in quel momento.


<< Hm...>> mugugno, cercando di non sembrare troppo finto.


Kuroo resta in silenzio, mentre sento il peso del suo corpo far abbassare un po' il materasso dalla mia parte.
Se potessi discendere nelle profondità della Terra proprio in questo istante, lo farei senza esitazione.

Ma l'inferno lo viviamo già in vita, non è così?

E quindi mi rialzo lentamente, afferrando questo nuovo scintillante filamento di tempo e avvolgendomelo attorno al collo, esattamente come tutti quelli precedenti, senza fiatare.

Perché è così che funziona l'entropia nell'universo, in quello macroscopico e microscopio, e non sono di certo io in grado di cambiare l'andamento delle leggi del cosmo.

Mi limito a seguirle, obbediente come un cane, e mi lascio travolgere.

Il caos regna nell'universo, il disordine, la materia oscura, ed altri milioni di cose e leggi che non conosciamo ma di cui ogni tanto, se siamo sensibili abbastanza, ne percepiamo gli effetti.

E quando il grado di disordine aumenta, aumenta anche l'entropia, e con essa tutte quelle cose che ci insegnano a temere.

Ma alla fine, se anche nell'universo prevale il caso ed il caos, perché dovrebbe essere un problema?

Perché io, che sono solo un puntino all'interno del Tutto, dovrei preoccuparmi che là fuori le cose stiano inevitabilmente precipitando?

In realtà, perché dovrei preoccuparmi che anche all'interno del mio cosmo personale, le cose stanno precipitando?

Il disordine regola l'armonia dell'universo.
Il caos mantiene tutto in ordine.

E l'entropia aumenta.

La paura tiene in equilibrio tutte le altre sensazioni che sono in grado di provare.
L'ansia sopisce tutto il resto dei ricordi, che mi pesano come peccati sull'anima.

E l'entropia aumenta.

Ancora ed ancora, incessantemente.
Inevitabilmente.
Imprescindibilmente.
Un poco alla volta, dall'istante zero fino ad oggi.

Una mano calda mi accarezza i capelli, arruffandoli un po' e poi cercando di rimetterli al loro posto.
Le mani di Kuroo sono sempre state più grandi delle mie e decisamente più calde, e questa cosa mi ha sempre rassicurato.
Faceva parte di una di quelle piccole cose di lui che mi facevano sentire al sicuro, che mi calmavano quando mi sentivo la terra tremare sotto i piedi.
Era uno di quei ricordi che conservavo gelosamente, da tirare fuori solo nei momenti peggiori, ripassando mentalmente il delicato tocco di quelle mani che mi sfioravano per rendermi più tranquillo.

Mi rendeva sicuro, Kuroo.
Mi rendeva migliore.

Però adesso, mentre piano apro gli occhi per mettere a fuoco il suo viso, mi chiedo se mi stesse davvero facendo bene quello che credevo mi facesse bene.
Se sia giusto che sia un altro a dirmi quando sentirmi al mio meglio e quando no.
Se sia opportuno, che ci sia qualcun altro a giudicare le mie azioni e a guidarle, passo dopo passo, verso la direzione che ha scelto per me.

Ma io a questo punto, sono in grado di prenderla da solo una direzione?
E se quella direzione mi portasse lontano da Kuroo, io saprei proseguire ugualmente?

I suoi occhi dorati mi catturano immediatamente, non appena riemergo dalle coperte.
Si china leggermente su di me, e nonostante abbia un riflesso involontario di strizzare gli occhi, tutto quello che fa è lasciarmi un bacio delicato sulla fronte.

Se fosse stato un filo di tempo di diverso, avrei per fino potuto trovarlo romantico e piacevole.

Ma in questa matassa di caos, l'entropia non fa che aumentare, così come il mio senso di non appartenenza a questa persona che mi guarda con occhi lucidi di sentimenti, a questa casa che puzza come se al suo interno abitassero cadaveri e non persone, ed infine a questo luogo che seppur assomiglia esattamente al luogo dei miei ricordi è impercettibilmente diverso ogni giorno che passa.

E questa cosa, questo sentirmi nel posto sbagliato e questo senso perenne di star dimenticando qualcosa d'importante, mi sta lentamente conducendo alla follia.

E l'entropia, il disordine, dentro la mia testa, aumentano.

Kuroo sorride dolcemente, mentre aspetta che forse anche io gli rivolga qualche attenzione più intima o che semplicemente riesca a dargli il buongiorno.

Tuttavia, mi sembra di avere dei carboni al posto della lingua, che rigidi e consumati ormai, m'impediscono di articolare qualsiasi parola.

E forse è meglio così.





<< Hai dormito bene?>> chiede lui.





Ho dormito?
Che ne so, vorrei rispondere.

Mi limito ad annuire.

Dentro di me spero solo che non abbia intenzione di "parlare" di quanto accaduto ieri sera, anche se so bene che sarà argomento inevitabile.
E se proprio deve succedere, che succeda almeno il più tardi possibile, proprio perché nel momento in cui vorrà leggere sul mio viso quelle emozioni che ora stanno passando sul suo, resterà tremendamente deluso.

Gli si spezzerà il cuore, ancora una volta.
Anzi, forse una volta per tutte, questa volta.

Mi stringo nelle spalle, come se fossi appena stato attraversato da un brivido gelido.

Effettivamente sento una specie di venticello, soffiarmi piano sulla pelle, come se qualcuno avesse aperto di poco la finestra per far cambiare l'aria: ma la finestra nella camera da letto è chiusa.

Socchiudo piano gli occhi, godendo di quella sensazione per un poco, prima di riaprili nel momento in cui Kuroo si alza dal letto e mi intima di fare altrettanto, che la colazione in cucina è pronta.

Non rispondo, ma mi stiracchio al meglio che posso e solo in questo momento mi rendo conto di avere addosso dei vestiti.


Eppure, ero abbastanza sicuro che ieri io e lui...

Che io sia stato nudo per la maggior parte del tempo...


Deglutisco a fatica.


Non è possibile che io abbia immaginato che...

Che Kuroo...

Che lui abbia...


E l'entropia aumenta.


Un capogiro improvviso mi fa scattare seduto nel letto.
Lentamente mi porto una mano al petto, per sentire il battito del mio cuore e per calmare il mio respiro affannoso.

Nell'alzarmi, vedo che la poltrona della camera da letto è nuovamente occupata da una figura.

I miei occhi si sbarrano per un momento, mentre sento le pupille tremarmi per lo spavento.
È esattamente come quella volta: io che sono nel letto ed una figura nella penombra della stanza, seduta a testa bassa sulla poltrona di fronte al letto che non dice niente.

Sta succedendo di nuovo, seppur la silhouette di questa figura sia decisamente più nitida di quella precedente.
Così netto, preciso e reale che, dopo un primo spavento iniziale, aguzzo la vista per accertarmi di star effettivamente vedendo la persona che ho davanti.

La paura si dissipa, nel momento in cui mi rendo conto a chi appartiene la figura sulla poltrona.





<< A-Akaashi? Che cosa ci fai qui?>> sussurro piano.





Il ragazzo corvino solleva lo sguardo, più spento del suo solito, che le sue iridi chiare sembrano in realtà tinte di colore opaco e scuro.
Quasi sporco, sbiadito e stropicciato, così tanto che stride fortemente con il ricordo che conservavo di Akaashi Keiji e che mi spinge a non riconoscerlo del tutto.
Tutto del suo viso sembra inspiegabilmente di un pessimo umore, quasi sofferente e sollevato allo stesso tempo.

Sospira, Akaashi, ma non dice nulla.




<< Akaashi?>> mi trovo a chiamare nuovamente, mentre lo vedo che solleva il polso e dà una rapida occhiata dal suo orologio.





Volge il capo alla sua sinistra, sollevandolo di poco, e così faccio anche io sebbene a sinistra della poltrona dov'è seduto, c'è solo la libreria.

Akaashi parla piano con qualcuno che non riesco a vedere o che forse neanche c'è.
La sua voce non mi arriva.
Né la sua e né quella della persona a cui sta tristemente sorridendo.





<< A...>> provo di nuovo, ma un nodo alla gola m'impedisce di pronunciare nuovamente il suo nome.





Sento la lingua improvvisamente pesante ed impastata, per sollevarla per dire qualcosa di sensato.

In tutto ciò, mentre il panico s'impossessa nuovamente di me, Akaashi continua a parlare con qualcuno alla sua sinistra.
Annuisce un paio di volte, poi si sfila gli occhiali dal viso e li ripone con cura dentro la sua borsa.

I nostri sguardi s'incontrano per un momento.

Un brivido, una scarica elettrica mi attraversa e mi scuote ogni centimetro di pelle.
Le sue languide iridi, s'inumidiscono ancora di più e alla velocità della luce, mentre restiamo per un breve istante connessi solo con gli occhi.

È come se, in questo breve lasso di tempo, lui sia riuscito effettivamente a vedermi.
Ed io a vedere lui.

Mentre abbassa la maniglia della camera da letto, per andare via, mi rendo conto che, anche io sto piangendo.

Non so bene per quale motivo.

Anzi in realtà, la voce che dentro la mia testa non riesce a tacere, mi urla che non vedevo il mio amico da molto tempo e che quest'emozione si è tradotta in lacrime.


Ma Akaashi ed io ci siamo visti ieri sera.
Akaashi indossava una camicia chiara sotto un golfino bianco e blu.
Portava dei jeans un po' stretti, ma che mettevano ben in risalto la sua figura longilinea e slanciata.

Akaashi ieri parlava piano, nonostante la musica fosse assordante e il suo alito sapesse di alcool, di un qualcosa alla pesca per la precisione.

Akaashi portava una catenella argentata al collo, sotto il colletto della camicia.
E quella catenella sottile gliel'aveva regalata Bokuto per lo scorso Natale.

Me lo ricordo benissimo, eppure l'immagine triste e spenta della stessa persona che lascia la mia camera da letto è impressa vivida in egual modo nella mia memoria.

Mi alzo dal letto senza pensarci, ignorando anche il fatto che mi sento instabile, per precipitarmi a seguirlo in corridoio.

Ma tutto ciò che incontro, una volta aperta la porta della camera, sono le iridi dorate di Kuroo.





<< Ken, tutto bene?>> chiede, sollevando un sopracciglio sottile.





Akaashi?
Dov'è andato?





Mi sporgo a guardare oltre la sua spalla, ma del taciturno e corvino ragazzo della Fukurodani non c'è più traccia.






<< A-Akaashi... lui...>> balbetto, confuso.





Kuroo fa una smorfia, prima di posarmi una mano sulla spalla.





<< Akaashi? Che c'entra lui adesso?>>





Lui mi ha visto...





Alzo gli occhi per fissarli in quelli di Kuroo: sono luminosi come al solito, risplendono e mettono in risalto quelle pagliuzze nocciola e verdi chiare dentro ai suoi occhi dorati.
Sembrano così veri e onesti, così diversi da quelli di Akaashi.

Che sarebbe più normale pensare di aver immaginato di aver visto il corvino, piuttosto che credere che ad essere falsi, siano gli occhi di Kuroo.


Eppure...


La colazione che ha preparato Kuroo ha un aspetto invitante, ma io ho lo stomaco serrato dentro una botte di ferro, che solo a vederli tutti quei piatti mi viene la nausea.
Kuroo mi guarda speranzoso, in attesa che io inizi a mangiare.

Sollevo lentamente la forchetta e mi porto un boccone di omelette in bocca, senza sentirne il sapore, e immediatamente dopo lui mi imita.

Recentemente quella che credevo essere la mia routine, è diventata la cosa più prossima al concetto di caos.

Mi dico che è giusto così, che alla fine le cose seguono la direzione che vogliono seguire, e che la volontà degli uomini ha davvero poco da farci.

Sospiro, e guardo il cielo terso che s'estende all'esterno, mentre procediamo a fare colazione in silenzio.

Nonostante sia novembre il sole dalla finestra della cucina entra, illuminando ogni angolo di stanza ed ogni espressione sul viso di Kuroo.


Sembrerebbe essere davvero una bella giornata.

Eppure, il disordine dentro e fuori di me aumenta.





<< A cosa stai pensando Ken?>> la voce di Kuroo, zittisce per un momento il chiasso dentro la mia testa.







Sto pensando che dentro l'universo non esiste posto peggiore di questo.
Sto pensando, che seppur sia il disordine a mantenere l'armonia e l'equilibrio nel mondo, io mi sento diviso e scomposto.

A pezzi, disfatto, degenere.
Perso e solo.

Mi sento appartenere a due realtà differenti, che mi reclamano entrambe a gran voce, e non fanno altro che accrescere dentro di me il bisogno di scegliere.
Perché lo so bene che non posso restare in entrambe.

E l'entropia aumenta.
Il disordine aumenta.
Il caos ed il mio senso di essere nel posto sbagliato, aumentano.

Faccio una pausa, guardando la meravigliosa giornata di sole che filtra dalle tapparelle completamente alzate della finestra, prima di schiarirmi la voce.





<< Penso che da qualche parte sia ancora novembre.>>





Kuroo sorride appena e scuote la testa, mentre dice un qualcosa che non riesco a sentire.





<< Come dici?>>





Alza lo sguardo su di me, prima di rispondere.





<< Che può essere qualsiasi mese tu voglia.>>





Questa cosa non ha senso.
Il tempo non scorre senso le mie voglie.

Al tempo non è mai importato delle mie voglie e dei miei capricci: di quando volevo che facesse più fresco nel mezzo del caldo asfissiante di agosto, o di quando volevo facesse più caldo in una giornata rigida di dicembre.

Fuori dalla finestra vedo per un momento un filamento risplendere, quando viene colpito da un raggio di sole.

Questo mi fa portare istintivamente una mano attorno al collo.
I miei polpastrelli, esitanti, sfiorano la mia pelle chiara come fossero alla ricerca di qualcosa d'invisibile.

Cercano il mio cappio fatto di tempo, ne sono stramaledettamene consapevole.
Lo cercano nonostante io sappia di non poterlo trovare.

È questo che fa il tempo, una volta che te lo stringi alla gola?
Ti confonde fino a questo punto?





<< Senti... tu pensi che... io sia pazzo?>> chiedo ad un certo punto.





Kuroo s'impietrisce, e con lui tutto sembra rabbuiarsi, come se una nuvola si fosse appena frapposta tra noi ed il sole.

Fra noi e qualsiasi mese io avessi scelto di far essere.

Lo osservo, in attesa, mentre alle sue spalle vedo nuovamente passare la stessa luce che oscilla da destra a sinistra, proprio come aveva già fatto ieri sera nell'ingresso.

La seguo ipnoticamente e per inerzia, sentendomi leggermente rincuorato nel vederla ancora una volta.
In qualche modo, una coincidenza non fa un'evidenza, ma lo stesso fenomeno due volte?
Questa non può essere una coincidenza.

Non due volte di seguito.

Mentre Kuroo cerca le parole adatte da dirmi, mentre prova anche lui a tenere a bada il disordine che aumenta esponenzialmente, io abbandono ogni speranza nel sentirgli dire che tutto quello che mi sta, anzi che ci sta succedendo, sia normale.

E neanche questa può essere una fortuita casualità del destino.


Oggi mi sento mancare l'aria più degli altri giorni.


Mi sembra che quasi io sia arrivato al capo di quella matassa di tempo, e che inevitabilmente mi renda conto che i fili a mia disposizione siano terminati.

Provo un velo di paura.
Chiudo gli occhi per un momento, prima di riaprili nel momento in cui sento la voce di Kuroo finalmente trovare la risposta alla mia domanda.





E l'entropia aumenta, nel silenzio e nel profondo dell'universo.

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