Capitolo 39 - Novembre 17.


17 Novembre, Tokyo.

Kuroo's POV

Era un Novembre gelido.

Ogni anno ci si ritrovava a dire, riuniti a casa di qualcuno, che quello era il Novembre più freddo di sempre.

Eppure, l'anno successivo, con metodicità, si diceva comunque sempre la stessa cosa.

Ma non era lo scorso anno, quello più freddo?
Ma non era già successo, di dire qualcosa del genere?

Ormai non ci faccio più caso.

Ne a quanto sia freddo questo Novembre, arrivato all'improvviso.
Ne a tutto il resto: alle chiacchiere, ai convenevoli, al meteo, agli orari.

Non faccio caso a molte cose, a dire il vero, ultimamente.

Quest'anno non c'era nessuno a cui saltasse in mente di dire che fosse un Novembre gelido.
Quest'anno, nessuno aveva voglia di riunirsi.
Quest'anno nessuno aveva voglia di dire niente, in realtà.

Ed io per primo, ho persino dimenticato che suono abbia la mia voce.
Anche perché sentirla mi disturba come poche cose.
Vuoi che sia perché ho sempre mal di testa, vuoi perché non sopporto più niente.

Che alla fine Novembre è arrivato in un battito di ciglia, solo ieri mi sembrava fosse Settembre.
Solo ieri credevo di potermi godere il Sole caldo, degli strascichi dell'estate, ed invece ora sento un freddo così pungente dentro, che tremo.

Era arrivato, questa volta davvero il più gelido che io abbia mai vissuto, e nessuno ha detto niente.

Ma del resto, come si potrebbe?

Sono seduto su questa poltrona dalla fodera azzurro sporco, con i braccioli di legno opaco, e leggo.

Sto leggendo la stessa frase da almeno dodici minuti.
Continua a passarmi sotto gli occhi, eppure mi sorprendo, tornando con l'indice indietro, dicendomi che ancora io non l'abbia letta.

"Chi non ha mai fretta, trova il tempo per tutto."

Mikhail Bulgakov - Cuore di Cane.

Non so se ti piaccia, quel che sto leggendo, più per inerzia che per altro.

Non so neanche se lo puoi sentire.

<<Però è vero, se ci pensiamo un momento, no?>> sospiro, appoggiandomi con le spalle allo schienale della poltrona.

La stanza è in penombra, perché è sera e come di consueto, il mio tempo con te è terminato.

<< Chi non sa cosa fare della propria vita, ha sempre il tempo per far tutto. In particolar modo per compiere le scelte sbagliate, non pensi?>> dico a bassa voce, togliendomi lentamente gli occhiali da lettura.

Siamo quasi alla fine di questo libro, così come nel corso di queste otto settimane, ne hai finiti tanti assieme ad Akaashi.

Ma questo è il primo che finiamo, io e te.
O meglio, che quasi finiamo.

Ammetto che è stato proprio Akaashi a dirmi di iniziare a leggere per te, e di farlo proprio oggi, come regalo per me stesso.
Lui dice che ci aiuta entrambi, in qualche modo.

Lo trovi patetico?
Scommetto di sì.

Io non ne avrei mai avuto il coraggio, di prendere l'iniziativa e sono certo che tu sappia anche questo.

Però eccomi qui, con un libro preso a caso da uno scaffale qualsiasi, in libreria prima di venire qui, a pretendere che davvero questa cosa abbia uno scopo o un senso.

E se poi l'abbia sul serio, io non lo so.
Ma facciamo finta.

Fingiamo ed illudiamoci che sia così.

Mi chiedo sempre se in realtà ti piaccia, ciò che leggo per te.
Se ti piace la mia voce che legge per te.
Mi chiedo sempre, se lo senti... che sto leggendo per te.

È inutile farsi prendere dalla tristezza o dalla disperazione.
Lo so bene.
L'ho saputo dal primo momento in cui ti ho visto addormentato, anche se non l'avevo metabolizzato.

Sospiro, alzandomi e riponendo il libro sotto braccio.
Ogni volta mi dico di essere forte, ma non c'è modo in cui lo si possa essere, quando arriva quell'orario e devo salutarti.

<<Permettimi di chiederti, se quello che stai facendo sia un bel sogno.>>

Vorrei accarezzarti i capelli, ma ho paura di toccarti.
Ho paura di romperti, in qualche modo, ora che mi sembri fatto di cristallo.

<<Permettimi di chiederti se, al di là di quel che tu stia sognando, tu lo possa sentire, che di qua io non riesco più a prendere sonno.>>

Sospiro, ancora una volta.

Manca poco e dovrò andarmene.
Non so se avrò il coraggio di tornare ancora.

Del resto era davvero tanto che non venivo.
E alla fine oggi sono venuto solo perché avevo qualcosa dentro che mi stava divorando, un po' di più delle altre cose.
Con un po' più di cattiveria ed un po' più velocemente.

<< Sono venuto a chiederti scusa.>>

Mi avvicino alla finestra, guardando come il cielo sia carico di neve anche questa volta, ma che ancora non si sia decisa a scendere giù.
Resta tutto ammassato lassù, in agglomerati di ghiaccio ed acqua, in attesa paziente.

<< Anche se non ha senso. Me lo ricordo bene che mi hai detto che le mie scuse non avevano valore, se te le facevo quando dentro non provavo niente.
Adesso dentro ho così tanto... che mi sembra si stia sommando e stia diventando niente.>>

Faccio una pausa, sentendo come mi si stia chiudendo progressivamente la gola, ogni parola che dico.

Scusami per averti lasciato.
Scusami per non essere più venuto a trovarti. Scusami per averti odiato.
Scusami per averti dato la colpa.
Scusami per non aver avuto la forza, per essere stato debole e per aver ceduto.

Ti chiedo scusa...

Un nodo si stringe saldo alla mia gola.

Guardo il cielo grigio e cupo, e mi sembra che stia nevicando finalmente, quando in realtà è solo il mio riflesso che piange, nel vetro della finestra.

La bufera è dentro di me, anche se la cerco dispersamente all'esterno.

<<Ti... ti chiedo scusa per non essere stato all'altezza.
Per averti ferito il modo peggiore che esista.
Ed anche se tu adesso mi dicessi che è tutto apposto, anche se tu mi perdonassi... io non riuscirò mai a perdonare me stesso.>>

Mi sento così patetico nel singhiozzare davanti a te, quando mi ero ripromesso che se fossi tornato, lo avrei fatto mettendo su il miglior umore che potessi trovare.

Improvvisamente mi tornano in mente le parole di Akaashi:

<< Vedrai, le cose si sistemeranno.
Devi solo avere fiducia.>>

Ma è difficile avere fiducia, quando si è come me.

Ken... io non credo in Dio.
Io non credo nel destino e neanche nel paradiso.
Anzi, si può dire che io non abbia mai creduto in una sola cosa, ciecamente.

Ho sempre pensato che tutto fosse ben in equilibrio, su un filo invisibile, teso per tutto l'universo.

" Nel Tutto e nel Niente, te lo ricordi?"

Però adesso, mentre ti guardo nel riflesso della finestra, troppo codardo per voltarmi, mentre sei così rilassato come non ti vedevo da tempo, mi viene voglia di crederci nel Bene Superiore.

Mentre starai sognando sicuramente qualcosa di bello... qualcosa di molto lontano dalla realtà in cui mi hai lasciato da solo, mi viene voglia di credere in un Dio che ti guida.

In un Dio che ti consola, dove io ho fallito.
In un'entità che ti rasserena, dove io ho portato tempesta.
In un calore che ti faccia sentire a casa, dove io ho portato solo glaciale aridità.

Mi viene voglia di crederci, che tu ora possa trovarti in una sorta di "paradiso" dove ti senti felice, dove ti senti leggero.

Dove ti senti amato.

Ho fallito in molte cose, Ken.
Ancora di più da quando tu non ci sei.

E non è passato giorno in cui io non me ne sia pentito.
Di tutto, di ogni cosa.

Ma dirtelo adesso, potrebbe suonarti vuoto.

E potresti finire per odiarmi anche nei tuoi sogni, ed io vorrei evitare di agitare anche quelli.

La mia psicologa dice che non devo addossarmi la colpa.
Tu ci crederesti, che vado da una psicologa?
Ci crederesti che alla fine l'ho fatto?

Anche se so che è una perdita di tempo, lasciare che qualcuno mi dica come analizzare e metabolizzare le mie emozioni, alla fine l'ho fatto davvero.

Ma la realtà è che come mi sento, lo so solo io.

E per quanto la psicologia sia una pseudo-scienza, io non ci ho mai creduto più di tanto.

Eppure adesso... adesso sento che ho bisogno di nutrire la mia anima, e non solo la mia mente. Sento che mi fa bene parlarne con qualcuno... nonostante poi io non faccia nessun passo in avanti, per mia scelta.

Faccio ancora una pausa, mentre il vociare nei corridoi si fa più intenso.

È davvero ora.

<< Non ci riesco ad andare avanti, Ken. Non voglio  andare avanti... perché se io lo facessi... se per un solo momento il senso di colpa che ho sulle spalle si alleggerisse... io sento che sarebbe come abbandonarti di nuovo.>>

Tiro su con il naso, nella speranza di fermare i miei singhiozzi.

Con esitazione, mi volto a guardare il tuo viso, così rilassato.
Il tuo petto fa su e giù, ritmicamente e lentamente.

<< Oggi è il mio compleanno Ken... Ma non ho voglia di festeggiare... vorrei solo sognare, quel che stai sognando tu... però non posso.
E non hai idea di quanto faccia male...>>

È un Novembre gelido, quello dell'anno dei miei 18 anni, e se avessi potuto congelare il tempo, lo avrei fatto.
Perché non ha senso pensare che questo sia l'anniversario della mia nascita, quando mi sento un morto che non riesce a morire per davvero.
Uno zombie che si trascina, in bilico tra l'essere ancora umano ed il diventare un mostro.

E che resti tra noi... ma io un mostro credo di esserlo sempre stato.

<< Buonanotte Ken. Fai dei bei sogni, anche stanotte, okay?>>

Mi richiudo la porta alle spalle, con la voglia di continuare a piangere anche una volta uscito nell'aria pungente di Novembre.

M'incammino a piedi, con le mani in tasca e quel senso di inadeguatezza che mi accompagna fino a casa, ogni volta che ti lascio.

Forse era anche per questo che avevo smesso di venire.

Quel che non ti ho detto è che sono tornato a casa mia, dai miei genitori.
Entrare nel tuo appartamento senza di te, era una cosa che non potevo più fare.

Entrare in quell'appartamento mi ricorda che cosa ho fatto, mi ricorda come ti ho trovato...

Lo so che è egoistico, ma non sto cercando di dimenticare... sto solo cercando di non riviverlo davanti ai miei occhi, entrando in casa tua.

Perché sai, riviverlo mentre chiudo gli occhi ogni qual volta mi addormento, in qualche modo fa meno male.

Sono tornato a casa mia perché avevo bisogno di piangere tra le braccia di mia madre.
Avevo bisogno che mi cullasse, come quando faceva quando ero piccolo, e che mi dicesse che tutto sarebbe andato per il meglio.

Anche se io non ci credo nel meglio.

Ma avevo solo bisogno che lei me lo dicesse, che mentisse per me e che m'ingannasse come solo gli adulti sanno fare.

Perché alla fine io sono ancora un bambino, uno di quelli capricciosi che gioca ad essere grande, per sentirsi meno fragile.

Per adeguarmi poi, ho ceduto al dolore e alla rabbia.
Ed ho urlato le peggio imprecazioni al tuo nome.
Ti ho dato la colpa di avermi lasciato e ti ho addossato tutto il peso delle conseguenze.

E mentre dicevo a tutti per telefono che non volevo sapere come stavi, piangevo mettendo il muto, perché mi vergognavo terribilmente.

Patetico vero?

Anche se nessuno me l'ha mai detto in faccia, io sono ben consapevole che lo hanno pensato tutti, almeno una volta.

E mi faceva star male vedere quegli sguardi pieni di compassione, quel dolore che veniva indirizzato solo a me.
Quel senso del dovere che tutti avevano, nel sentirsi devastati.

Mi dava fastidio, ogni cosa che mi dicevano, ogni mano che mi tendevano, ogni aiuto che mi offrivano.
Così ho finito per chiudermi nel mio bozzolo di rancore e di rabbia, dicendomi che ti odiavo, anche se non capivo che in realtà lo stavo dicendo a me stesso più che a te.

E quando quei fili di seta, in cui mi ero mummificato da solo, hanno cominciato a puzzare di putrido, ho capito che il mio odio mi stava facendo decomporre.

Mi stava sottraendo tutto quello che mi avevi insegnato.
Stava corrodendo anche l'immagine che avevo di te, e delle cose che ti piacevano e di quelle che invece non sopportavi.
Mi stava togliendo anche questo, il mio patetico odio.

Ti stava ammazzando, dentro la mia testa, quel senso di colpa che non riuscivo ad accettare; che mi faceva dimenticare come suonava la tua risata, come luccicavano i tuoi occhi, e come le tiravi su le tue ginocchia al tavolo.

Stavano decadendo, decomposti e matidi di morte, quei dettagli di te, dentro di me:
Il modo in cui ti addormentavi nello stanzino della palestra.
Il suono della tua console che si apriva nel bel mezzo della notte.
Il rumore dei tuoi passi.
L'espressione che avevi quando mangiavi la tua cosa preferita.

E non potevo permettere a me stesso di lasciarti andare di nuovo.

E così sono finito a parlarne su una sedia di pelle molto costosa, con una donna di mezza età, che non fa altro che ripetermi che aprirmi mi fa bene.

Che parlarne ad alta voce mi fa bene.

Che accettare i fatti mi fa bene.

Ci sono giorni buoni, in cui mi dico la stessa cosa.
Ci sono giorni meno buoni, come questo, mentre cammino per strada, in cui la voce dentro la mia testa ritorna a dirmi che è solo colpa mia.

Che ha ragione, che la colpa sia solo mia, ma certe volte quel suo stridere contro le pareti della mia mente, profanando anche la mia coscienza, mi sembra semplicemente troppo da sopportare.

Io sono solo uno.
Sono solo un uomo.

Einstein diceva che il tempo è relativo, che acquista valore solo in base a quel che noi ne facciamo di esso.

Ovviamente aveva ragione, e lo davo per scontato, che io la sua teoria della relatività ristretta l'avessi compresa.

Sono dovuto tornare sui miei passi, nel momento in cui mi son reso conto di quanto tempo abbia sprecato, aggrappandomi alle apparenze ed alle cose futili, che potevo in realtà spendere nella contemplazione del silenzio.

Quel silenzio che c'era in casa di mattina, quando mi svegliavo prima di te, per prepararti la colazione.

Quel silenzio di quando iniziavi a giocare con le cuffie, per non disturbarmi.

Quel silenzio che non ci ha mai dato fastidio, che ci ha accompagnati pazientemente, fino ad oggi.

Quello che provo adesso che sono da solo, è la quiete più assordante e crudele, nella quale io avessi mai potuto ritrovarmi.

Non c'è quiete, senza di te.
Non c'è pace.
Non c'è silenzio.

Non c'è nulla.

Il vento freddo di Novembre mi ferisce il volto, nonostante io stia camminando a testa bassa.

Non ti ho neanche detto che Zelda sta bene.
Non ti ho detto che sto andando a scuola un giorno sì e cinque no.
Non ti ho detto tantissime altre cose.

Non so dove ho la testa.

Nonostante mi sembra di star congelando all'aria di un 17 Novembre più glaciale di quello precedente, che mai avrei voluto arrivasse così, la gente è per strada.
Agghindata nei loro cappotti pesanti, passeggia come se non stesse per nevicare da un momento all'altro.
Come se non ci fosse null'altro di più importante che trovarsi qui ed ora, a passeggiare per queste strade, portandosi dietro buste di acquisti, o amanti dall'aria stanca e svogliata.

Si beano, della loro condizione di spensieratezza, mentre io mi trascino come un cadavere, per andare a prendere il treno che mi porti a casa.

Il mio sguardo s'incrocia con quello dei passanti, ma sono tutti ignari di quel che sto passando.

Di quel che sto pensando.

Di come sto soffrendo.

Di come io mi senta solo.

Il cellulare in tasca squilla, all'improvviso, dopo che ho già percorso circa 40 minuti a piedi fino alla linea dove passa il mio treno.

Avrei potuto prendere una serie di coincidenze, senza dover per forza camminare così a lungo, ma avevo voglia di muovermi.

O forse avevo poca voglia di star fermo, seduto su un vagone della metro.

Non so neanche io di che cosa abbia voglia: ormai faccio solo le cose per automatismo o perché qualcuno mi dice di farle.

Se mia madre dice che devo mangiare, mangio.
Se la psicologa mi dice che devo dormire, dormo.

Non l'avrei mai detto, ma avere dei rimpianti ti logora lentamente, inesorabilmente, inevitabilmente.

Sospiro, mentre piano estraggo il mio smartphone dalla tasca.

Un numero privato.

"Si?"

La mia voce è atona, roca e appena udibile, tant'è che la persona dall'altra parte del telefono, continua a restare in silenzio credendo che io non abbia risposto.


"Si? Pronto?"

Mi trovo a ripetere, sforzandomi di alzare il tono di voce.

X: "Salve, chiamo dall'Istituto Privato Tokyo Tana, parlo con Kuroo Tetsurō?"

Perché, mi sta chiamando?

Perché proprio oggi, dopo che ho finalmente trovato il coraggio di mostrarmi a te nuovamente, ricevo questa telefonata?

Sono andato via appena 40 minuti fa, cosa può esserti capitato in 40 minuti, Ken?

I passanti si fermano.
Le luci della città di Tokyo si fermano.
Le auto, si fermano.

Tutto si ferma.

Compreso io.
Compreso il mio cuore ed il mio respiro.

Lo so che avevo detto che non credevo in Dio, ma per te mi ritrovo a chiedere aiuto a chi, da qualche parte sopra di me, ha la forza per non lasciarmi inabissare.

" Ti prego... Dio... ti prego... non darmi cattive notizie."

Mentre prego dentro di me, mentre mi costringo a credere che qualsiasi cosa il  Tutto sopra di me, abbia in serbo, mi ritrovo già a percorrere la strada che mi ero appena lasciato alle spalle.

Forse per automatismo.
Forse perché non sono pronto a quello che abbiano da dirmi al telefono.

Potrebbe anche essere tra vent'anni, che comunque sarei impreparato.

Ma ci sto sperando.

Mi sto illudendo, abbeverandomi alla pozza illusoria della speranza, che per una volta possa essere qualcosa di buono.
Lo so che chi sale troppo in alto, alla fine farà solo un sordo tonfo al suolo, quando cadrà, ma continuò ad arrampicarmi lasciando che mi si aprano vesciche di sangue sulle punte delle dita.

Continuo la mia salita.
Continuo ad illudermi, avvelenandomi del dolce sapore della speranza.

E più salgo, più mi sento pericolosamente vicino alla caduta.

Ma poi, apprendo la notizia per telefono.

Il cielo di Novembre, di quel gelido 17 Novembre, che sembrava carico di neve che non avesse nessuna voglia di scendere giù, improvvisamente si apre.

Lenti fiocchi di candidi cristalli di ghiaccio, iniziano a scendere, volteggiando nell'aria, seguendo le spirali di vento che li sospingono.

È una notte quieta, nonostante io dentro abbia il tumulto.

È finalmente iniziato a nevicare, nella notte del 17 Novembre, il giorno del mio compleanno.

"Mamma... sono io. Non torno a casa stasera."

M:" Tetsurō, tesoro è il tuo compleanno... fuori sembra tempo di bufera... dove stai andando?"

"Sto tornando da Kenma."

Un cristallo di neve mi si deposita sul viso, nel mentre che con la voce rotta dal pianto, mi ritrovo a correre lungo quella strada.

Mi sembra di vedere me stesso, trascinarsi fino alla stazione, passare di fianco al me stesso che correre indietro.

Non so se è perché è il mio compleanno o non so se le Stelle al di là delle nubi, si siano allineate in qualche modo.

Non so se le mie preghiere siano state accolte da Dio.

Non so davvero chi, in questa serata gelida di Novembre, abbia deciso di compiere il miracolo.

M:" Tetsurō, è successo qualcosa?"

"Lui... lui ha aperto gli occhi."




Angolo Autore

Salve Stelline

Ci siamo.
Abbiamo appena intrapreso la discesa che porta alla chiusura di questa storia.
Io già ne sento la mancanza, ma non so quanti altri capitoli ci vorranno prima di vedere la parola fine: 4 o forse 5?

Non saprei dirlo, ma ci siamo.

Ogni volta che arriva questo punto, nelle mie pubblicazioni " più lunghe" mi sento sempre come se mi fosse appena passato un tir addosso.

Ma è così che deve andare!

COOOMUNQUE
Come vi sembrano questi due capitoli?

SI/NO?

Sono certa che moltissim* di voi adesso abbiamo un quadro molto più ampio della questione è che abbiano anche inteso il significato di quei " * " che si vedono ad inizio capitolo, da un po' di tempo a questa parte.

Nel caso siate tra quelli che l'abbiano inteso, vi chiederei la cortesia di non dirlo apertamente nei commenti, per chi invece, ancora non ci abbia fatto caso.

Alla fine si chiarirà ogni cosa, ma è giusto che tutti ci arrivino secondo i loro tempi!

Per il resto come state?
Come vanno le vostre settimane?
Siete già andat* a mare?

Io sto per concludere la sessione e poi mi prenderò qualche giorno di vacanza, per dedicarmi alla nullafacente più totale, prima di un nuovo anno di, si spera lavoro, e di studio!

In ogni caso sto bene, mi son anche fatta la prima dose di vaccino.

Voi lo avete già fatto?
Avete in ogni caso intenzione di farlo?

Fatemi sapere un po'!

Ci tenevo a spendere due parole ora per dire qualcosa:
Vorrei tanto ringraziare tutt* voi Stelline che state continuando a seguire questa storia.

Grazie per ogni lettura, commento e stellina che mi lasciate!

Grazie per il supporto, grazie per condividere con me le vostre impressioni ed opinioni, sia pubblicamente che privatamente.

Spero che alla fine la storia non vi deluda, ma di questo ne parleremo tra qualche capitolo!

Vi lascio un bacino.

❤️

Lavienne

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top