Capitolo 38 - 17 Novembre.
*
Kenma's POV
Ho passato un'altra ora, da solo nella stazione di Meguru, con le ginocchia tirate sulle sedute di plastica rosse, e la testa sopra di esse.
Gli occhi serrati, lasciando che piangessero da soli fino a quanto avessero voluto.
Senza più tapparmi la bocca, lasciando che l'eco della stazione si riempisse della mia angoscia.
Ho passato un'ora, immobile, da solo, dentro ad una stazione vuota.
Fino a che ad un certo punto, non mi sono reso conto di essere già a fondo nell'abisso e che quindi, non avrei dovuto aver paura di cadere.
Dove altro si può andare, quando si è già sul fondo?
Cosa altro può venir tolto, quando si ha già perso tutto?
Ho passato un'altra ora da solo, tenendomi la testa tra le mani, fino a quando non avessi sentito le dita dei piedi e delle mani intorpidirsi; così da ricordarmi che sono ancora vivo, in qualche modo.
Senza più nessuno a dirmi di non piangere.
Senza più nessuno a dirmi di alzarmi e tornare a casa.
Sono rimasto immobile, per un'altra ora, nella speranza di disperdermi nel vento tetro che proveniva dai tunnel dei treni.
Sollevo il capo, solo quando sento le prime vertebre del collo farmi male, e solo quando mi rendo conto di essere completamente svuotato da ogni emozione.
Un guscio vuoto, nell'illusione di essere stato completo un tempo, che si anima mosso da una forza sovrannaturale.
Una marionetta, nelle mani di un destino crudele.
Non avevo più lacrime da piangere.
Non avevo più fiato in corpo.
Non avevo più nulla.
Sentivo solo freddo ed i crampi della fame misti ad un senso di nausea e tremori.
Sono ridotto ad uno straccio, così tanto, che a stento mi reggo in piedi come un essere umano.
Ma forse, dovrei strisciare, in verità.
Strisciare fino a casa.
Strisciare fino da Kuroo.
Strisciare fino da mia madre.
Ho finito tutte le mie lacrime da piangere, quando lentamente, sentendomi tutto intorpidito, cerco di mettermi in piedi e di avvicinarmi al distributore automatico per prendere qualcosa da mangiare.
Sono certo che, se non metto un qualsiasi cosa sotto ai denti, io adesso possa morire di stenti.
Non che sarebbe male, infondo.
Non che sarebbe strano.
Alla fine, sto già soffrendo abbastanza così, non ha senso avere la presunzione di meritarsi una morte più piacevole o meno dolorosa.
In fin dei conti i presupposti ci sono già: morire da solo, tra le più dolorose sofferenze.
Non è questo, quello a cui sono destinato, sin da quando ho aperto gli occhi?
Non mi serve una risposta.
Non mi serve niente, in realtà.
Tutto quello che volevo avere, non l'ho avuto.
Tutto quello che potevo avere, non l'ho voluto avere.
Mi trascino lentamente a comprare dei tramezzini ed una bevanda calda, senza neanche soffermarmi a guardare il gusto: nelle condizioni in cui sono ora, ogni cosa mi darebbe il voltastomaco, ma so anche che devo mettere qualcosa sotto i denti se voglio avere la forza di trascinarmi fino a casa.
Non che abbia tutta questa voglia di tornarci, a casa.
Volevo solo dare a Kuroo il tempo di prendere le sue cose e di non incrociarlo per le scale, mentre andava via.
Perché sono sicuro che che se ne sia andato, di sua volontà questa volta.
Non posso reggere alla vista di lui andar via.
Non di nuovo.
Non per davvero, questa volta.
È tutta colpa mia.
Io l'ho portato al limite e poi l'ho spinto giù dal precipizio, ed alla fine mi sono anche meravigliato delle sue reazioni.
Kuroo è umano.
Kuroo ama e odia, come tutti.
Kuroo gioisce e soffre.
Come tutti.
Ma io tendo a dimenticarlo.
Questo e tutte le altre cose che dimentico.
A volte, mi sembra di vivere assieme ad un Kuroo che non conosco affatto.
Altre volte invece, mi sembra di vivere in una coscienza di me, che non mi appartiene affatto.
Sono io eppure, sono diverso.
Pur volendo spiegarlo, non saprei neanche da dove iniziare... o come.
L'orologio della stazione segna le 23:47.
Il primo tramezzino scende giù per lo stomaco, senza neanche che io mi sia accorto di che gusto abbia.
Il secondo invece è all'uovo.
Più che il cibo consumato al volo, è il the caldo in lattina, che mi da la forza di uscire all'aperto, lasciando che il vento gelido di Novembre mi ferisca il volto.
I miei occhi non hanno neanche la forza di mettersi a lacrimare, per il freddo.
Sono così gonfi che gli angoli mi fanno male.
Così come sento un sordo dolore alla testa ed uno al petto.
Da quando sono rimasto da solo alla stazione, alla fine non l'ho usato il telefono.
Non ho chiamato mia madre.
E non sono neanche andato a casa con Kuroo.
Sono rimasto fermo, in un limbo che io stesso ho creato, a crogiolarmi nel mio dolore e nel mio sconforto, sperando che qualcuno per l'ennesima volta, venisse a salvarmi.
Ho sperato di vedere mia madre, fare capolino da dietro una colonna, con il sorriso in viso e con le braccia aperte pronte ad accogliermi.
Ho sperato, forse più di tutto, di veder tornare Kuroo.
Anche con la faccia incazzata, anche con la rabbia che gli scorre nelle vene.
Non mi sarebbe importato, avrei solo voluto vederlo.
Però me lo merito.
Me lo merito che alla fine nessuno dei due si sia fatto vedere.
Forse perché ho ancora bisogno di autocommiserarmi, o forse semplicemente perché non riesco a voltare pagina.
Che è tutta colpa mia se non riesco ad andare avanti, e nel contempo, tremo al solo pensiero di guardarmi alle spalle.
Perché ho paura di quel che potrei trovare.
Ho paura di quel che potrei dimenticare, inconsapevolmente.
Non riesco ad ammettere che anche io, nel profondo, sentivo che mia madre non sarebbe venuta.
Che Kuroo mi stesse mentendo.
Che qualcosa, da qualche parte, io la stia dimenticando.
Se solo riuscissi a scorgere che cosa, se solo ci fosse un modo per accertarmi di che cosa sia.
Se solo potessi affacciarmi alla finestra e vedere il mare calmo; inebriarmi del profumo rassicurante della salsedine, respirare a pieni polmoni senza paura di ferirmi.
Se solo potessi, in qualche modo...
Mi fermo per strada, sollevando lo sguardo al cielo cupo, che ha appena iniziato a far scendere qualche lieve fiocco di neve.
Nevica, sopra la mia testa, in una serata gelida di Novembre.
Nevica, eppure il freddo che sento, proviene da dentro di me, dal mio cuore e dal mio animo.
Fuori dalla stazione, ancora il traffico di Tokyo continua ad avanzare, così come il vociare di alcune persone a piedi.
C'è una coppia, davanti a me, che ride per qualcosa che non ho sentito.
Lei si stringe al braccio di lui, con fare lascivo, lui si china e le lascia un bacio sui capelli.
Chissà, se anche loro, oltre questa coperta d'amore che si tengono saldi sulle spalle, sentono lo stesso freddo che sento io.
Chissà se Kuroo, in questo momento, stia sentendo freddo.
Chissà se...
Il mio telefono prende a vibrare nella tasca, ma lo ignoro.
Ho il terrore di vedere che potrebbe essere mia madre... o Kuroo.
O peggio, che potrebbe non essere nessuno dei due.
Alla fine, chi è che a poco dalla mezzanotte di un Mercoledì di Novembre, abbia voglia parlare con me?
Sospiro, mentre mi stringo in me stesso, nella mia marcia solitaria verso casa.
Spero che Kuroo non se ne sia andato davvero, in cuor mio, anche se, se proprio deve esserlo, spero che sia già lontano per quando aprirò la porta.
Così lontano che se anche lo cercassi per tutta la notte, non riuscirei a trovarlo.
E così lontano, che se decidesse a voltarsi indietro per scorgermi, tutto ciò che vedrebbe, sarebbe la sola oscurità.
Il telefono riprende a vibrare.
Una seconda volta.
Ed anche una terza, intervallata dallo squillare dei messaggi.
C'è qualcuno che mi sta cercando, con estrema insistenza.
E se fosse...
Scuoto la testa appena, quel che basta per dirmi mentalmente di non essere sciocco e di continuare a camminare, secondo l'inerzia che sta muovendo i miei passi.
Il telefono ricomincia, per una quarta volta, a vibrare nella mia tasca.
E se fosse...
Con mani tremanti ed indolenzite dal freddo, lo estraggo dalla tasca.
...Kuroo?
Il display lampeggia un nome, che tra tutti quelli che io abbia sperato di veder comparire, è davvero quello più inatteso:
"Akaashi Keiji"
Mentre sto per riporre il telefono, senza alcuna voglia di parlare con Akaashi adesso, sento di star per perdere l'equilibrio dopo aver messo la caviglia che già sentivo dolorante, su una lastra di appena formatosi ghiaccio.
Faccio appena in tempo a reggermi al muro di un edificio sulla mia destra, per non trovarmi rovinosamente a terra, quando sento dal telefono uscire una musica abbastanza alta.
A: "KENMA?! PRONTO?!"
Posso sempre chiudere.
Mentalmente sono già proiettato a schiacciare il pulsante rosso, infondo magari, Akaashi neanche se ne sarà accorto che ho risposto per sbaglio.
Non sono costretto a parlare, posso sempre chiudere e lasciare Akaashi alla sua musica, decisamente troppo alta per un tipo silenzioso come lui.
" Ehi..."
Mi ritrovo a dire, mordendomi la lingua un secondo dopo, mentre mi porto il telefono all'orecchio.
A: " KENMA MA DOVE SEI?!"
Perché Akaashi sta urlando?
I rumori, una volta portato il telefono vicino all'orecchio, diventano più distinguibili, ed oltre ad una musica sparata a mille, si sentono diversi schiamazzi ed urla.
"È per caso una festa?"
Dal microfono di Akaashi riesco a captare la voce di Bokuto, urlare a squarciagola un " GIÙ GIÙ GIÙ"
È decisamente una festa.
Una di quelle a cui Bokuto Kōtarō urla a più non posso, ed Akaashi si trova a doverlo sorvegliare neanche fosse sua madre.
"Per strada."
A:" OH BENE. TRA QUANTO ARRIVI?"
Arrivare?
Dove?
" Non... Eh?"
A: " TRA QUANTO SEI AL LOCALE, KENMA? ADESSO LA MEZZANOTTE È PASSATA DA 5 MINUTI."
Qualcosa mi impone di fermarmi, davanti lo spiazzo del mio condominio, con la bocca aperta ed il telefono appoggiato all'orecchio.
Il cuore accelera ancora una volta il suo battito, lasciandomi impietrito.
La mezzanotte?
"Akaashi io... non capisco."
A:" NON SENTO BENE...
NON...
ASPETTA UN MOMENTO."
Akaashi mi mette in attesa, mentre lo sento scusarsi e chiedere la sua giacca ad una ragazza, molto probabilmente l'addetta al guardaroba del locale in cui si trova.
Mentre lui parla, rivolto a qualcun altro, io lentamente salgo le scale fino al mio piano, con gambe pesanti tanto quanto il peso sul mio cuore.
Che cosa sto dimenticando?
Che cos'è che sto tralasciando?
C'è qualcosa...
Qualcosa che... non avrei dovuto dimenticare.
Ma che cosa?
"Akaashi?"
Ti prego torna al telefono.
Aiutami a ricordare.
Toglimi questa sensazione da dosso, che è così stringente che mi fa mancare l'aria.
Ti prego, abbi pietà di me, almeno tu, e aiutami a capire.
Aiutami a sentire.
Aiutami a vedere.
Aiutami a ricordare.
Che cos'è?
Che cos'è questa cosa?
Una manciata di minuti, che sembrano dilatarsi in giorni e giorni.
"Akaashi..."
Mi trovo a chiamare ancora, nuovamente in preda alla disperazione delle lacrime.
Mi appoggio alla porta di casa, nella speranza di cogliere un rumore da parte di Kuroo, che ancora arrabbiato, abbia comunque deciso di restare con il fallimento che sono.
È tremendamente egoistico da parte mia.
Una forma di presunzione tale da far impietrire anche i diavoli dell'inferno.
Ma è più forte di me: più mi ferisce, più mi allontana e più non faccio altro che desiderare di essere assieme a lui.
Più lo ferisco, più lo allontano e lui più cerca la strada per tornare da me.
Sembriamo due randagi, che vagabondano fino a ricongiungersi, per poi allontanarsi nuovamente.
È quello che facciamo da una vita, è quello che ho sempre fatto e che ho sempre permesso a Kuroo di fare.
Non conosciamo altri modi, io e lui, per restare uniti se non quello di distruggerci a vicenda e poi ricomporci, pazientemente coccio dopo coccio.
Per questo dentro di me, in un rintaglio della mia coscienza, spero di vederlo tornare.
A:" Kenma... ci sei ancora?"
La voce di Akaashi suona improvvisamente al mio orecchio, interrompendo i miei singhiozzi ed i miei pensieri.
Non rispondo, lascio solo che senta un suono cupo, provenire dal mio microfono.
Non rispondo perché non ce n'è bisogno, lui sa benissimo che sono in attesa.
A:" Kenma... adesso sento bene. Ti chiedevo, dove sei di preciso? La mezzanotte è passata da un po'..."
Deglutisco, lasciando che anche la persona dall'altra parte del telefono mi senta.
Non ha senso nascondere la mia agitazione.
Non adesso.
"Akaashi io... non capisco..."
A: " Kenma... lo so che non sono affari miei, però qualsiasi sia il motivo per cui abbiate litigato... io ti chiederei di metterlo da parte e di venire."
Osservo per un momento le dita arrossate della mia mano libera dal telefono, sembrano molto fragili, le mie nocche.
Sembrano fatte di cartapesta, mentre le vedo diventare sempre più violacee, aspettando non so bene cosa, al freddo fuori dal mio appartamento.
Che Kuroo abbia parlato con Akaashi mi sembra davvero inverosimile.
Per lo meno non con questa rapidità, non dopo così poco tempo.
È molto più plausibile che abbia chiamato Bokuto e che Akaashi, abbia ascoltato la conversazione di riflesso.
Vorrei provare a trovare un motivo per infastidirmi con Kuroo, ma neanche sapere che sia andato a sfogarsi con Bokuto, mi tocca più di tanto.
Vorrei aggrapparmi ad una qualsiasi scusa, pur di rovesciare un po' di colpa su di lui: ma sono così stanco e così in guerra con me stesso, che niente sembra scuotermi.
Neanche sentire che Akaashi sappia della nostra lite.
" Mh... non so che cosa ti abbia detto ma io non sono dell'umore per ven..."
A:" Oh no Kenma, io non so niente.
Kuroo-San non voleva più venire, è stato Bokuto-San a pregarlo, ed infine lui ha ceduto.
Ti prego, anche se non sono affari miei... ma ti prego... senza di te non è la stessa cosa."
Un brivido mi scuote.
Un brivido che non so bene se stia partendo dall'interno di me stesso, dai residui pietrosi del mio animo, che congelano in questa notte gelida di Novembre, o dal vento esterno che improvvisamente mi scompiglia i capelli e mi ferisce il volto.
Akaashi parla un'ultima volta, prima che io, in preda all'ennesimo attacco di codardia, chiuda la conversazione senza neanche degnarlo di una risposta.
Ciò che mi dice è un lampo, uno scintillio argenteo nella notte, di un pugnale che viene scagliato dall'abisso per centrare il mio cuore.
Ciò che mi dice è la risposta alle mie preghiere, la realizzazione delle mie elemosine.
È un Dio benevolo e tiranno quello della memoria, che mi seduce e poi mi abbandona.
Che mi lascia appeso tramite dei lembi di pelle ai suoi ganci del tempo.
Che mi violenta, che mi tortura.
È un tiranno amorevole, quello della parola che mi profana l'animo.
Che mi mostra qualcosa che non posso avere, dipingendola sotto ai miei occhi e poi, mi priva della vista.
È una fatalità ingannevole, quella dell'emozione che mi scuote e della consapevolezza che mi lascia prendere una boccata d'aria, mentre in realtà non sto facendo altro che inabbisarmi, sempre di più.
È tutto un disegno.
Fatto male, intricato, e complesso, ma pur sempre un disegno.
Che qualcuno, in un momento imprecisato all'interno del Cosmo, ha deciso che sarebbe stato fatto per me.
Si dice che gli esseri umani siano esseri fragili, effimeri, volubili e caotici.
Si dice, nel contempo, che siano il miracolo dell'Universo, con le loro menti pensanti e con la piena coscienza di se.
Ed io la prendo, l'abbraccio forte, la coscienza di me che credevo di aver averso.
Mentre un momento prima sono immobile, incatenato davanti la porta chiusa di un appartamento che senza Kuroo, resterà vuoto per sempre.
Ed il momento dopo sto correndo per strada, con le lacrime che credevo di aver pianto tutte, scorrermi sul viso.
Non faccio molto caso a dove sto andando, sento solo di dover correre, lasciando che il vento mi si conficchi esattamente nei punti bagnati dal cammino del mio pianto.
Un momento prima sono ignaro, avvolto in un mantello di nebbia, mentre mi preoccupo per un qualcosa che vedo come un tremolante miraggio all'orizzonte.
Ed il momento dopo mi sono tuffato in acqua, nonostante il freddo, e sto nuotando con tutte le mie forze verso la superficie al solo scopo di raggiungerlo.
Mi aspetterai?
Mentre sto perdendo tutto il fiato dentro i polmoni, mentre arranco inciampando nei miei patetici sensi di colpa, non riesco a fare a meno di chiedermi, se tu, Kuroo mi aspetterai.
Mi aspetterai?
Anche se ho deluso ogni tua aspettativa.
Anche se dentro di me covo il seme della paura, per qualsiasi sia il frutto del domani.
Anche se sono inutile, patetico, debole, insicuro, e dannatamente problematico.
Mi aspetterai?
Anche se non te lo dovrei chiedere.
Anche se non me lo merito.
Perché ho paura che tu possa svegliarti un giorno e scoprire quanto io sia inutile.
Perché temo che anche tu, come lei, possa abbandonarmi in un angolo, perché non sopporti più la mia sola vista.
Perché ho paura che tu possa iniziare ad odiare il mio modo di piangere, il suono della mia voce, il rumore dei miei passi.
Ho paura Kuroo.
Ho paura lasciarti andare.
Ho paura di non trovarti.
Ho paura di vederti andare via e di non volarti a guardarmi.
Ho paura che tu possa imboccare una strada che io non posso percorrere.
Ho paura che tu possa non aspettarmi.
Ho paura che tu possa annoiarti di me.
Ho solo paura.
Tremo come una foglia, lasciando che il petto mi esploda dal dolore per la fatica, mentre arrivo dopo mezz'ora nel posto in cui sarei dovuto essere già da tempo.
Le gambe hanno ceduto moltissime volte, così tante che adesso il ginocchio non fa che regalarmi delle fitte, rendendomi instabile.
E come le mie gambe, anche la mia volontà, tante volte si è trovata a vacillare, mentre continuavo a spingere verso un posto, dove forse tu neanche vorresti vedermi.
Ho continuato ad avanzare perché, per una volta, prima delle mie paure e delle mie ansie, prima delle mie insicurezze e debolezze, ho messo te.
Mi dispiace Kuroo.
Mi dispiace di non essere tornato a casa con te.
Mi dispiace di averti allontanato.
Mi dispiace di non essere come tu vorresti che io sia.
Mi dispiace di averti deluso.
Mi dispiace di averti lasciato.
Mi dispiace di aver fatto tardi.
Mi dispiace di averlo dimenticato.
A:" Kenma... è il compleanno di Kuroo-San."
Qualcosa dentro di me scatta, all'improvviso.
Mentre sono ridotto ad uno straccio.
Mentre sento la testa pesante e la mia coscienza venire meno.
Mentre mi rendo conto, con il telefono in mano che l'ultima chiamata che io abbia ricevuto in questi giorni è stata solo quella di Akaashi di questa sera.
Mentre realizzo che lei non ha mai chiamato.
Che non sarebbe mai venuta.
Che tu lo sapevi, ma per non farmi star male, hai deciso di assecondarmi ugualmente.
Che hai provato ad aprirmi gli occhi nel modo più gentile e dolce, possibile.
Mentre ti vedo con gli occhi tristi dell'alcol che ti scorre nelle vene, seduto su un divanetto a gambe e braccia larghe.
Che c'è stato qualcuno che ti ha scritto +18 con il rossetto su una guancia, e ti ha sbottonato di un po' la camicia che avevi indossato prima di uscire di casa con me.
Mentre mi sento come se una parte di me stia lottando per tornare al posto a cui appartiene, mentre l'altra non vuole lasciare andare l'immagine di te che fai sedere una ragazza sulle tue ginocchia.
Te l'ha spinta addosso Lev, che forse è anche più ubriaco di te, in questo locale minuscolo che Bokuto ha prenotato al solo scopo di festeggiarti.
E tu l'abbracci, mettendole una mano sulla vita, che lei se la sposta sul suo culo, da sola.
Tu non fai una piega, tu sorridi vuoto, sperando che lei possa in qualche modo riempirti.
Ma io ti vedo, che sei vuoto fino ai piedi.
Ti vedo che sei distrutto.
Ti vedo che ti muovi per l'inerzia dell'alcol, quando inizi ad accarezzarle il volto e le metti una ciocca di capelli dietro l'orecchio, esattamente come fai con me.
E lei si sporge verso di te, mentre la musica è assordante e tutti ballano, ogni tanto urlando il nome del festeggiato.
Lei si allunga il colletto della maglia e ti fa guardare dentro, probabilmente ai suoi seni che immagino già essere prosperosi, proprio come piace a te.
Ma tu non fai una piega, tu alzi lo sguardo su di lei come se quello che hai appena visto, non ti sia sembrato più che sufficiente; e lei finge di offendersi, ma in realtà lo sappiamo benissimo che non è così.
E allora la vedo, mentre crede che nessuno la stia guardando, mettersi una mano sotto la gonna e sfilarsi le mutandine che, sotto le luci che cambiano continuamente, non ho idea di che colore siano.
Te le sventola davanti la faccia.
Tu non le prendi.
Tu resti immobile e la guardi, mentre quella ragazza si scompone e si umilia così tanto al solo scopo di compiacerti, senza dirle nulla.
Te le fa annusare, e tu, continui a guardarla vuoto.
Impassibile.
Stai pensando che ci farai sesso ugualmente?
Stai pensando di fermarla, mentre si mette le sue mutandine nella maglietta e poi ti afferra la mano e se la porta tra le cosce?
Qualcosa dentro di me scatta.
Un'emozione troppo forte, un qualcosa che non riesco a contenere.
Mi sento come in un sogno, quando vorresti urlare ma la voce non ti esce, perché in realtà sei immobile nel tuo letto sotto effetto di una paralisi.
Deglutisco per ricordare a me stesso che sono ancora vivo, ma non sento il sapore della mia saliva.
Non sento le voci degli altri, che mi accolgono.
Non vedo i volti di nessuno, nonostante tutti mi stiano salutando e forse anche toccando, mentre avanzo fino a te.
Non sento la musica.
Non sento il peso del mio corpo.
Non sento il suono dei miei passi.
Non sento il mio cuore in gola.
Non sento i miei respiri.
Vedo solo i capelli corvini e scompigliati, di qualcuno che non avrei dovuto allontanare.
Vedo solo gli occhi dorati di qualcuno che avrei dovuto tenere incollati a me, nonostante tutto.
Perché quegl'occhi sono tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno.
Per guidarmi, per confortarmi.
Per farmi sentire al sicuro.
Per farmi sentire amato.
La bocca di Kuroo si apre ma non sento cosa sta dicendo.
Gli occhi di Kuroo s'animano improvvisamente, quando finalmente li posa su di me, che sono in piedi, nei miei vestiti più larghi di qualche taglia, davanti a lui, tremante come una foglia.
Mi sento nudo, Kuroo, in questo momento, immerso solo in un tumulto che non riesco a spiegare neanche se volessi.
È come se fossi dentro una stanza vuota, dove vedo solo te, che non fai altro che scostare quella ragazza dalle tue ginocchia e restare a bocca aperta quando il tuo sguardo, finalmente, si posa su di me e capisce.
Capisce che sono venuto a chiederti scusa.
Capisce che ho trovato la risposta alla domanda che mi facesti qualche tempo fa.
Che non sono più spaventato dalle mie emozioni e dai sentimenti.
Che ho capito, che cosa c'è dentro di me, in serbo solo per te.
È solo un momento.
Un attimo che si dilata nel tempo, fino a diventare pesante e a piegare lo spazio in cui è immerso.
E genera una forza, questo attimo.
Genera l'attrazione tra me e Kuroo, che un momento prima ero in piedi davanti al suo sguardo spaesato ed annebbiato, ed il momento dopo che sono seduto su di lui, mentre gli lascio infilare le dita tra i miei capelli umidi davanti a tutti.
Glielo sussurro io, questa volta, in modo che solo lui possa sentirlo:
"Posso baciarti, Kuro?"
Ed è un battito di ciglia, il tempo in cui siamo immersi, mentre io mi lascio guardare, con il sapore della sua saliva in bocca, da tutti.
Mentre Kuroo mi stringe, ricordandomi che il presente tra le sue braccia non è altro che il miglior ricordo che io possa avere del passato ed il migliore futuro che io abbia all'orizzonte.
Si lascia baciare Kuroo Tetsurō, davanti a tutti i suoi invitati per la festa che Bokuto ci teneva ad organizzargli.
Mi lascio baciare, da Kuroo Tetsurō, davanti a tutti, nonostante mi sembra che qui siamo solo noi due.
Ed è come una scarica elettrica, che mi fa scuotere il petto, il momento in cui realizzo senza vergogna qualcosa che era sempre stata davanti ai miei occhi.
La vedo, nell'oscurità delle mie palpebre incollate, quella cosa prendere forma.
Con difficoltà.
Con una lentezza straziante.
Ma infine....
L'ho capito.
Io per un secondo, ho visto chiaramente, che cos'era quel qualcosa che stavo dimenticando.
L'ho sentita nuovamente, quella sensazione di non essere al posto giusto e di esser fuori luogo.
L'ho sentita ed ho anche intravisto la risposta.
Mi allungo per afferrarla, per non dimenticarla nel momento in cui sbatterò nuovamente le ciglia.
Mi divincolo, per prenderla tra le mani e non lasciarla scappare, nel momento in cui aprirò gli occhi.
Mi allungo per sfiorarla tra le dita, perchè questa volta so che ce la posso fare.
Perché è qui davanti a me, il motivo.
È qui, la verità.
Solo qualche altro centimetro.
Kuroo...
Te la ricordi quella persona che credevo di aver visto nella stanza da letto?
Te la ricordi, quella sensazione, che ho provato a spiegarti tante volte?
Adesso conosco la risposta, Kuroo.
Devo solo tenerla stretta, così che domani io possa dirtela.
Mi aspetterai?
Mi aspetterai Kuroo, per sentire quel che ho da dire?
Mi aspetterai...?
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