Capitolo 25.3 - Nessuno.




*


Kuroo's POV


Che stai insinuando Akaashi?
Che cosa stai cercando di suggerirmi?

Io ed il mio migliore amico, dagli occhi tondi e ambrati ci osserviamo per qualche secondo, che sembra davvero durare un'eternità.

I suoi occhi sono aperti al massimo, risultando ancora più grandi, con un velo di inquietudine adagiato sulle sue iridi, mentre prova a comunicarmi i suoi pensieri.

La sua bocca trema, per cercare di frenarsi e per cercare di sedare quella situazione così al limite.
Le sue mani sulle mie spalle si serrano, ancora di più e mi intima a rilassare i miei muscoli contratti.

Respira.

Non urlare.



<< No, non ho detto questo. Kenma è stato male, e Dio...se me la sono fatta addosso pure io! Kenma è anche mio amico, Kuroo!! Ma questo non ti da il diritto adesso di prendertela con Akaashi. Smetti di comportarti come un folle.>>

Folle.
Sono io il folle, adesso?

Non ci riesco Bokuto, non ci riesco davvero a star calmo e a non comportarmi in questo modo.

Vorrei fare come dici, tirare un respiro e placarmi ma sono frenato e non riesco a capire perché.

Forse perché, implicitamente, se ora mi abbandonassi alle tue parole, se ora io ci credessi, è come se stessi accettando quel che Akaashi mi ha detto.

Non posso credere alle sue insinuazioni.

E così, di nuovo, il mio corpo si muove da solo, senza che io possa prevederne il moto, sto ancora una volta facendo un qualcosa che non avrei dovuto.

Sono di nuovo dove non sarei dovuto essere.

È un attimo, nuovamente, un battito di ciglia.

Sbatto le mie palpebre per ricacciare quella sensazione di tremolio fastidioso, che parte dalla mia testa e che mi scende giù fino alle mani.

Chiudo gli occhi.

E sento i pugni serrarsi in contemporanea con la mia mascella.
Sento dentro di me un fremito, un impulso irrefrenabile.
Un bruciore allo stomaco che mi fa piegare in due dal dolore.
Mi sento ardere vivo, in una landa devastata dalla mia stessa rabbia.

Un amaro di fiele mi sale in bocca, così velenoso che è impossibile da deglutire.

Nella frazione di secondo in cui le palpebre cadono sui miei occhi, già mi sento lacrimare per lo sforzo immane che sto facendo.

È davvero un attimo, e le lacrime scorrono sulle mie guance, imprimendo a fuoco il loro passaggio sulla mia pelle.

Dio, che sensazione tremenda deve essere, non avere il controllo di se stessi?

Che insopportabile dolore deve essere, sentirsi l'unico a vedere le cose in un modo che gli altri non vedono?

Quanta solitudine ci deve essere, in un uomo che tutti vedono come un animale impazzito, di cui hanno paura?

Come ci si sente nel leggere il terrore negli occhi di chi si ha difronte?
E quanta sofferenza deve dare il rendersi conto di
non poterci fare proprio nulla?

È la mia croce, che mi porto dietro da non so neanche io quanto tempo.

Da che ho memoria non ho sentito altro che:

"Tetsurō controllati.
Kuroo hai perso la testa.
Tetsurō avresti dovuto frenarti.
Kuroo, tu non sai gestire te stesso."

È un supplizio, il mio, un marchio di nascita che non importa che cosa faccia o dica, ci sarà sempre qualcuno che mi giudicherà, secondo etiche e morali a me sconosciute.
Ho dovuto imparare a proteggermi da solo, così ho finito per scegliere solo secondo la mia volontà, ho imparato ad agire secondo me stesso.

Se sono incontrollabile, allora voglio avere il controllo di quello che non riesco a frenare.
Se devo essere una canna che si piega sotto il volere di forze sovrannaturali, tanto vale diventarlo il vento.
Se devo sentirmi in preda ad istinti animaleschi, tanto vale diventare il fuoco.

Apro gli occhi.

L'espressione di sorpresa, incisa sul viso di Bokuto, sembra durare solo qualche secondo per lasciare poi spazio ad una più intensa realizzazione.

I suoi rapaci occhi dorati mi guardano incredulo, arrossati come sono per le lacrime, mentre io inizio a sentire il battito del mio cuore riprendere quel ritmo incalzante.

"Oh no... che ho combinato?"

Già, che ho combinato?

Lo so, non dovrei... anzi non avrei dovuto, ma è successo così rapidamente che adesso sono sorpreso da me stesso, esattamente come lo è lui.
Avevo semplicemente chiuso un attimo gli occhi, solo un secondo, ed il mio corpo si è mosso, che ora riaprirli mi sconvolge e non poco.

Osservo le mie mani tremanti, le mie nocche indolenzite e pulsanti, mentre si arrossano.
Ci metto poco a realizzare che la pelle su di esse è screpolata, ma il sangue che le ricoprono, non è il mio.
Sento il respiro mancarmi, la testa mi costringe ad indietreggiare per un intenso capogiro.
Sgrano gli occhi e resto con la bocca aperta, nell'osservare come il sangue coli sul pavimento, dal naso e dal labbro di Bokuto.

E lui mi guarda, lasciando che il sapore metallico e ferroso della sua ferita gli entri in bocca.
Si sta arrossando, in quella zona, e vedo come strizza gli occhi per cercare di reagire a quel dolore, arrivato solo secondo allo sconcerto.

Akaashi dietro di me si alza ed è subito vicino a Bokuto, gli passa un braccio intorno le spalle e delicatamente gli preme una mano sulla narice sanguinante.

<<MA SEI IMPAZZITO KUROO?!>> mi urla addosso.
Ma la sua voce mi arriva come un debole sussurro.

Forse lo sono davvero.
Forse sono pazzo.

Gli occhi di Bokuto sono ancora puntati su di me.
La sua bocca semi aperta per respirare, non dice nulla.
Le sue mani tremano, mentre si asciuga il labbro e dopo attimi in cui ci siamo parlati con i soli sguardi- in una silente guerra che chi lo distoglieva per primo- lui si volta verso la porta.

Lo osservo come si sistema in posizione eretta, mentre afferra Akaashi per mano e si dirige verso la porta d'ingresso.

Vorrei che mi urlasse contro la sua rabbia, vorrei essere colpito anche io per liberarmi finalmente della serpe che mi sta strisciando dentro.
Invece resto ancora più ferito, nel vederlo andare via senza dirmi una sola parola.

<< Hai davvero passato il segno, Kuroo. Hai proprio esagerato questa volta.>>

Akaashi, l'unico che prova ancora un po' di pietà per me, mi lascia con questa ultima frase nel mentre lo sento sbattere la porta d'ingresso alle loro spalle.

Il suono dei loro passi concitati lungo le scale va all'unisono con il battito del mio cuore.

Mi sento un verme e merito di sentirmi così.

"Ma io non volevo Bokuto... non ti volevo colpire lo giuro."

Ricasco sul divano, prendendomi la testa tra le mani, ed iniziando a sentire il peso dei pensieri schiacciarmi con forza.
Una pressa sembra essersi appena stretta attorno alle mie tempie, e con una cattiveria inaudita, mi trapassa da parte a parte, facendomi sanguinare fino a non farmi sentire alcun suono.

Sono avvolto da una tristezza infinita, oscura, soffocante.

È troppo per me.

È troppo da chiedere ad una sola persona.
È troppo da far portare ad uno come me.

Uno come me.

Adesso lo so che vuol dire:

Uno spezzato e rattoppato, come me.
Uno al limite, come me.
Uno che non ha controllo e che deve affidarsi al suo solo istinto per sopravvivere e per non abbandonarsi del tutto, come me.

Questo è essere una persona come me.

È orribile ma, necessario.
È crudele ma, inevitabile.

Chiudo gli occhi con forza, lasciandoli piangere da soli, mentre mordo il labbro inferiore con una forza tale da fare in modo che il dolore fisico superi quello mentale.

Le cose sono precipitate, in pochissimo tempo ed io neanche me ne sono reso conto.
Ho combinato un casino dietro l'altro e di nuovo, non ho idea di come rimediare.

Ad ogni azione corrisponde una reazione contraria di uguale intensità.
Terzo principio della dinamica, che non mi è mai sembrato così tremendamente errato.

È tutto così sbagliato:
Bokuto che mi confessa la sua omosessualità ed io che finisco per passare per un saccente omofobo del cazzo.
Kenma che si sente male e finisce anche per ferirsi.
Akaashi che si ostina a dire che non c'era nessun telefono e che nessuna telefonata è giunta a destabilizzare la situazione.
Io che non riesco a credere alle insinuazioni di quest'ultimo, perché non posso accettare di sentir dire che Kenma sia....

"Non riesco neanche a pensarla questa eventualità.
Sto rigettando la realtà?
Forse, ma non mi è proprio possibile formularlo questo pensiero per quanto mi fa male."

Bokuto che per cercare di sedare i miei bollori di rabbia, indirizzati ad Akaashi, incassa un pugno in pieno viso dal sottoscritto.

Non lo avevo mai colpito.
Anche quando in passato abbiamo discusso, per motivazioni che ora ci fanno sorridere, non siamo mai arrivati a questo.
Forse eravamo più piccoli, forse non c'erano di mezzo sentimenti tanto intensi per me.

O forse, la verità, era che all'epoca ero davvero senza controllo e quindi non mi importava di niente e di nessuno.
Lasciavo correre, lasciavo che le situazioni mi scovolassero addosso e che si risolvessero da sole- o che intervenisse qualcuno con la voglia di risolverle-.

Mentre ora, che ho deciso che era tempo di crescere per davvero, ora che ho deciso di volermi prendere cura come si deve di una persona, non faccio che sbagliare.

Errori su errori, cose che non avrei dovuto dire ma che invece ho detto, cose che non avrei dovuto fare ma che invece ho fatto.

Adesso che ho deciso, anzi che mi sono imposto, un certo contegno, sembro essere regredito allo stato di una bestia impazzita.

Perché continuo a comportarmi così?

Perché riesco solo a ferire gli altri, quando non riesco ad accettare quel che mi dicono?
È successo con Kenma, quando non volevo vedere la gelosia nel mio cuore, ed è successo nuovamente in questo preciso istante, perché non voglio accettare quello che Akaashi stava provando a dirmi.

Un singhiozzo mi sfugge dalle labbra.

Da quanto tempo era che non piangevo così?

Non riesco a ricordare un'altra situazione così angosciante, da farmi trovare conforto nelle mie stesse lacrime.

Mi sono sempre posto come se fossi invincibile, ma la verità è che sono a pezzi.

Ho il diritto di cedere anche io, quando mi sento impaurito?
Ho la possibilità di avere paura del buio, quando mi trovo da solo?

Eppure quell'insidioso, subdolo, pensiero continua ad aggrapparsi al mio animo, rendendomi inquieto e forse anche cieco:

"Non hai pensato a quello che potrebbe succedere a Kenma, se tu crollassi davanti ai suoi occhi?"

Non ci ho mai voluto pensare in verità, perché dentro di me è l'unica cosa che devo evitare di fare.
L'unico patto che ho stretto con me stesso e che mi sto impegnando, anima e corpo, a rispettare.
Non può vedermi così, non può assolutamente vedere questo lato di me.

E così mi ritrovo a singhiozzare con una mano sulla bocca, per cercare di smorzarne l'intensità, con gli occhi chiusi e con la fronte poggiata sulle ginocchia.

Un dolore mi si espande nel petto, mi fa stringere la gola e chiede pietà alle mie tempie.
Sto soffocando nelle mie stesse lacrime e mi rendo conto che forse, morire da soli, non è poi una grande miseria.

È un privilegio, potersene andare senza lasciare l'immagine di te sofferente, negli occhi della persona che ami o dei tuoi familiari.

Per lo meno, il tuo ultimo pensiero non sarà: "Dio, guarda come soffre mentre me ne sto andando".

Il tuo ultimo sguardo non si poserà sul suo viso addolorato, bensì su una rassicurante oscurità, che lentamente ti inghiotte e ti riporta nel Nulla, da cui sei stato generato.

Sarebbe un dono talmente generoso, da parte dell'Universo, che sento quasi impossibile il potermelo meritare.

Del resto, se le cose si possono complicare per me, sono certo che lo faranno, nel modo più contorto ed intricato possibile.

Dopo una quantità imprecisata di minuti, passata nella più completa autocommiserazione di me stesso, sollevo appena il capo, quel poco che basta per osservare la borsa della palestra di Kenma, appoggiata sul tavolo da pranzo nel soggiorno.

Il cuore diventa improvvisamente pesante nella mia gabbia toracica e sento i miei organi pietrificarsi.

"Il suo telefono potrebbe essere lì dentro."
Oppure no, perché lo ha usato per parlare con questa persona sconosciuta e poi, chissà dove lo avrà lanciato.

"Potresti controllare nella borsa.
Potresti trovarlo li dentro."
Oppure potrei non trovarlo, perché ce l'ha con se.

Ma è giusto mettermi a frugare nella sua borsa?
Se il dubbio mi attraversa la mente, e vengo spinto a fare queste cose, non sto implicitamente accettando quello che Akaashi stava cercando di dirmi?

"Trovare il telefono dentro la borsa non vuol dire nulla, se non controllo il registro delle chiamate."
No, non posso farlo.
Mi fido di Kenma, mi fido delle sue parole, non ho bisogno di controllare.

"Hai bisogno di un'evidenza che confermi quanto detto da Kenma, piuttosto che quanto detto da Akaashi."
Che razza di scienziato vuoi diventare, se alla fine tremi come una foglia al solo pensiero di controllare in una borsa?

Prendo un respiro molto profondo e mi alzo esitante dal divano.

Controllare il suo telefono, non significa invadere la sua privacy.
In circostanze normali non lo avrei mai fatto, ma adesso è diverso: ci sono delle condizioni che non posso ignorare, devo capire se ci sono prove a favore di Kenma o a favore di Akaashi.

L'azione del solo "accertarmi" non significa automaticamente che sto dando ragione ad Akaashi, e che di conseguenza dubito di Kenma, non è così?

Non ci credo neanche io, non riesco ad ingannarmi, mentre mi avvicino alla zip argentata.
Ma ormai sono qui, non posso tornare sul divano facendo finta di niente, per cui tanto vale procedere.

Prendo un nuovo respiro a pieni polmoni.

Posso sentirmi il cuore battere in gola e rendermi difficile anche il solo aprire quella striscia metallica.

Avanti.

La fodera scura della sua borsa rivela il contenuto:
La sua borraccia, la maglietta macchiata di questa mattina- che mentalmente appunto di mettere in lavatrice- il suo pantaloncino, calzini... il suo portafogli.

Mi sento sollevato per un attimo brevissimo ma poi una scarica elettrica mi fa accapponare la pelle.

Zelda si è appena strusciata alle mie gambe, passando tra di esse in cerca della mia attenzione.

<<Dannata gatta! Mi hai fatto prendere un colpo.>>impreco.

Zelda emette un miagolio debolissimo puntando i suoi occhioni turchini dritti nei miei.
Si siede e resta in attesa.

<<No, non accetto che una gattina adesso mi faccia una predica e mi faccia sentire in colpa per quel che sto facendo.>> dico, osservandola.

Zelda non si scompone, sbadiglia e continua a giudicarmi con i soli occhi.

<<Non sto davvero dando retta ad una gatta... non lo sto facendo sul serio...>>
Scuoto la testa.

Continuo a guardare nella borsa, mi resta da controllare solo la tasca interna: se il telefono non è lì andrò a sedermi nuovamente sul divano e non aprirò mai più bocca sull'argomento. Non cercherò di rintracciare questa persona per ridurla in polvere, non dubiterò mai più di Kenma e farò tutto quello che vorrà per il resto della vita.
E mi aspetto anche di ricevere delle scuse da parte di Akaashi e Bokuto.

Ma... se il telefono dovesse essere nella borsa, allora la realtà che si presenta sotto ai miei occhi potrebbe essere molto più ostica di quel che avevo immaginato.
E dovrò iniziare a scontare i miei peccati, per non essermi fidato di nessuno, o anche per essermi fidato inconsciamente.
E dovrò trovare il coraggio di scusarmi con i miei amici, che molto probabilmente non vorranno più vedere il mio brutto muso rabbioso.

Zelda miagola nuovamente.

<< Sei intollerabile Zelda, si proprio vede che sei femmina. Lo devo fare, anche se non è una cosa che normalmente farei... ma adesso è diverso, non capisci?! Non hai qualche giochino da distruggere? Qualche mobile su cui andare a farti le unghie?! Non stare qui a darmi pressione...>>

La spingo via con un piede, e lei, con una grazia e compostezza inaudite, mi volta quel suo soffice e candido didietro e sparisce nella cucina; proprio come se volesse dirmi:

"Non dire che non ti avevo avvertito, caro mio."

La guardo andare via, dopodiché mi concentro nuovamente sulla borsa davanti a me.

<<Non mi farò frenare di certo da una gattina impertinente. Non esiste... non esiste neanche che io ora mi stia giustificando con una micia.>>

Deglutisco e lentamente apro la cerniera della tasca interna.


*



Kenma's POV

A fatica apro gli occhi, avvertendo subito un capogiro ed un senso di secchezza nella gola, che mi fa bruciare le mucose fin dentro la bocca.

"Ho bisogno di acqua."

Il mio primo pensiero lucido in mezzo a tutta quella vorticante oscurità, alternata da una stanza da letto traballante messa a fuoco dalle mie pupille.

Tutto il corpo mi fa male:

A partire dalla testa, un sopracciglio su cui sento un cerotto appiccicato sopra, le mie mani -stranamente fasciate anch'esse -il mio petto, come se fosse stato scosso da un terremoto e per concludere con le mie gambe, -come se avessi corso per chilometri e chilometri senza fermarmi-.

Cerco di portare le braccia sugli occhi mentre provo a mettermi seduto per trovare un minimo di equilibrio.

La stanza come sempre è immersa nella penombra, posso sentire un peso vicino al cuscino sulla mia sinistra, ma non ho bisogno di voltarmi per capire che si tratta di Link acciambellato su se stesso.
Piano i miei occhi si abituano a riconoscere i profili della stanza, e subito noto, seduto con la testa rivolta verso la finestra, la silhouette di Kuroo.

Non riesco a metterlo a fuoco per bene, ma posso vedere lo scintillio dei suoi occhi, come se fosse immensamente triste o ancora come se stesse piangendo.

"Guarda fuori da una finestra... chiusa?
Ma che sta facendo?"

Vorrei dire qualcosa ma la gola mi brucia così forte che la voce mi muore in testa ancor prima di poter emettere alcun suono.

"Che ore sono?"

Ho perso la cognizione del tempo, e mi sento abbastanza confuso.
Non siamo più tornati a scuola dopo pranzo, chissà come mai.
Se solo riuscissi a dire qualcosa, potrei richiamare l'attenzione di Kuroo.
Noto che sta girando e rigirando qualcosa tra le sue mani, ma non riesco a capire che cosa; il mio sguardo viene di nuovo catturato dal suo profilo perfetto sul quale è dipinta un'espressione così dolorosa che non credevo potesse esistere.

"Sto forse sognando?"

No sono sveglio, ho consapevolezza del mio corpo e ne posso sentire il peso.
Ma allora perché Kuroo è così triste? Che cosa è successo?

Faccio per schiarirmi la voce, essendo che mi viene molto difficile parlare e le sue iridi dorate si posano immeritatamente su di me.
Il suo viso sembra trattenere il respiro per un istante e poi si rilassa non appena i nostri sguardi si incontrano.
Immediatamente l'espressione sul suo volto cambia, mette su un rassicurante sorriso e i suoi occhi si riempiono di una tenerezza infinita.

Questo suo viso, fa più male di quello angosciato di poco fa.

Ma sono davvero sicuro di aver visto quell'espressione su di lui?
Forse nella semioscurità della camera , ho frainteso le ombre proiettate su di lui.

Kuroo non è mai stato così deluso ed angosciato da niente e da nessuno, è un'emozione che non gli appartiene: è troppo concreto ed ancorato alle evidenze pratiche per far dipingere lo sconforto sul suo viso.

<<Gattino, ti sei svegliato.>> dice, mentre si avvicina al letto e mi porge una bottiglia d'acqua.

Il modo in cui sappia sempre quello di cui ho bisogno mi lascia senza parole, non che potessi parlare ora per come sento secca la gola, ma il senso non cambia.
È assurdamente attento, è tremendamente premuroso e zelante in qualsiasi cosa faccia, particolarmente se sono io il soggetto in questione.

Lascio che l'acqua fresca mi disseti e temperi il fuoco dentro di me.

<<Che... che ore sono?>> sussurro, non appena ho finito di scolare quella bottiglia.

Kuroo non si scompone, continua a sorridere con tranquillità mentre asserisce che sono già le 17:45.

<<Ma per quanto ho dormito? Perché non mi hai svegliato?!>> sbuffo.

Non è da lui marinare le lezioni pomeridiane.

Kuroo alza le spalle e avvicina una mano per accarezzare qualche ciocca dei miei capelli arruffati.

<<Mi sembrava che avessi bisogno di riposo, gattino.>>

Poso lo sguardo sull'oggetto che teneva in mano, che finalmente scivola sul letto.

"Il... il mio smartphone?"

Lo guardo interrogativo, perché mai Kuroo aveva in mano il mio telefono?

<<Perché... perché...?>> farfuglio, mentre mi allungo per prenderlo.

Kuroo ci mette una mano sopra e lo prende prima di me, resta un momento in silenzio, mentre mi scruta con i suoi occhi felini, e poi me lo porge.

<<Ho pensato che volessi fare le tue cose giornaliere su quel gioco....>> dice ad un certo punto.

Mi accorgo che sta lottando contro qualcosa di invisibile per non abbassare gli sguardo.
Tiene gli occhi puntati nei miei, increduli e confusi, ed ora da così vicino posso vedere come siano arrossati e come gli stiano tremando gli angoli di quest'ultimi.

Non capisco cosa voglia dirmi con questo sguardo, che non riesce con le parole.
Sembra tremendamente stanco eppure le rughe sul suo viso sono rilassate e rassicuranti come al solito.
Sembra urlarmi qualcosa con gli occhi, una disperazione senza pari, eppure continua a sorridermi con calma.

Afferro il telefono e le nostre dita si sfiorano:
Le sue sono calde come al solito ma è impossibile non notarne il tremolio delle punte.

"Che succede, Kuroo?"

Ho paura nel chiedergli qualsiasi cosa, vorrei che parlasse e mi dicesse che cosa lo sta turbando, ma ho un mal di testa così lancinante che taccio, senza staccare i miei occhi dai suoi.

Non faccio in tempo a formulare un pensiero che abbia senso da comunicargli, che vedo le labbra di Kuroo dischiudersi ancora una volta:

<<Il... tuo telefono era nella tua borsa.>>








Angolino Autore:

Stelline

~ Si lo so: che cosa ci faccio qui?
Un bel niente in realtà ma sento di dover dire: SCUSATEMI PER QUESTO RITARDO COLOSSALE NELLA PUBBLICAZIONE.

Sto impazzendo tra esami e lavoro ultimamente e chiedo perdono T_T

Spero che vi piaccia ugualmente, nonostante il ritardo, questo ultimo capitolo della parte 25.

A proposito, che ve ne pare?

Ve lo chiedo qui:

Vi piace un angolino autore alla fine dei capitoli?

Vi piacerebbe se lo riproponessi per scusarmi della mia pubblicazione così saltuaria, in questo periodo, anche prossimamente?

Ma in generale, voi come state?

Ditemi un po' ❤️

Vi saluto, che forse ho parlato fin troppo.


Lavienne_

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