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Bussarono per l'ennesima volta alla porta del bagno ed io ero a tanto così dallo scaraventare il mascara nel lavandino.
«Un attimo, Cristo santo!» gridai, frustrata.
«Candice, tesoro, hai bisogno di un aiuto?» mi chiese mio padre.
«Ho solo bisogno che mi lasciate in pace. Più sono calma, più mi viene bene il trucco al primo colpo e prima esco, ergo prima finisco di prepararmi e prima andiamo a quella diavolo di festa in cui conoscerò soltanto un decimo degli invitati.»
Sì, tutta quella fibrillazione era dovuta alla mia festa di compleanno. Come avrei superato la serata tra parenti di vecchia data che continuavano a ignorare il fatto che non sapessi nemmeno a quale parte della famiglia appartenessero, visto che "l'ultima volta che ti ho vista eri piccola così", colleghi di mio padre che avrebbero raccontato battute sulla finanza senza capire che non facevano affatto ridere e altra gente che non sapevo nemmeno da dove sbucasse, ma che mi costringeva a fingere più sorrisi di quanti me ne sarei mai potuti aspettare? Tutto questo, ovviamente, senza alcol in cui affogare il mio disagio. Le uniche mie ancore di salvezza erano i fratelli Brooks ed Helena, ovvero, adesso che ci pensavo, gli unici amici che i miei genitori avrebbero mai accettato. Certo, ad esempio, non avrei mai potuto presentare loro una tipa come Dana.
Uscii dal bagno dopo aver finito di truccarmi e indossai velocemente il vestito che avevamo scelto io, mia madre e la mia migliore amica qualche giorno prima, un paio di tacchi neri e degli orecchini pendenti in oro con dei diamanti sulla loro lunghezza; infine controllai per l'ultima volta la piega dei capelli, afferrai il giacchetto e la borsa ed uscii di casa al seguito dei miei genitori.
«Sei bellissima, tesoro» mi disse mia madre, in ascensore.
«Grazie, mamma» sussurrai con un sorriso.
La festa si sarebbe tenuta al Club Bonafide, un locale intimo dalle luci a LED che beneficiava della musica dal vivo. Gli invitati ci stavano aspettando alle porte del bar ed io mi sorpresi dal numero di persone presenti; quasi temetti di venire investita da tutta quella gente uscendo dal veicolo.
Come prevedibile, impiegai molto tempo a salutare tutti e soltanto alla fine potetti abbandonarmi tra le braccia di Louis, che mi stava aspettando con Dylan ed Helena. I primi due erano super eleganti nei loro gessati - Dylan indossava quello che gli avevo visto provare in negozio qualche giorno prima - e la mia amica era bellissima, fasciata da un tubino blu notte.
«Auguri, piccola» mi sussurrò Louis all'orecchio, allungandomi il suo regalo.
Lo scartai con un sorriso e, quando capii cos'era, non potetti non guardarlo con entusiasmo: una Polaroid. «Sai, vero, che la userò sempre?» mormorai.
Helena mi aveva regalato una stampa della "Grande onda di Kanagawa" che avrei sicuramente appeso alla parete del letto e Dylan, che arrossì come gli rivolsi uno sguardo curioso, mi disse di non aprirlo, per il momento.
Mentre tutti, compresi i nostri coetanei, entravano, Dylan mi affiancò, circondandomi i fianchi con il braccio. «Aprilo adesso» mi disse.
«Perché adesso e non prima?» gli chiesi, mentre ci fermavamo all'entrata del locale.
«Perché adesso siamo soli.»
Annuii senza fare storie e capii perché volesse che fossimo soli: era un braccialetto pieno di pendenti ed ognuno, per noi due, aveva un significato; c'era un vestitino, che mi ricordava quel benedetto camerino, c'era un casco da motocicletta, in memoria di quell'unica lezione che mi aveva dato. C'era anche una mano di Fatima, che immagino fosse in rappresentanza del nostro incontro casuale da Flying Tiger, quando lui guardava quel manichino in legno; e ancora una ciambella, ma immagino fosse più un bagel, e infine una coroncina. Una coroncina da principessa.
«Dyl...» sussurrai, senza però sapere come avrei terminato la frase.
«Lo so, ehm, sono tutte cose nostre e forse non avrei dovuto, ma...»
«Lo adoro» lo interruppi. «Si dice che l'importante di un regalo sia il pensiero e... E tu ci hai pensato tantissimo, evidentemente, hai pensato tantissimo a noi, quindi grazie. Grazie infinite, Dylan.»
«Ti amo» sussurrò. «Lo sai, questo, vero?»
«Non so più niente» ammisi con lo stesso tono.
Lui annuì senza guardarmi, poi si ricompose e aggiunse: «Sta' tranquilla, comunque, tua madre ha organizzato una piccola scappatoia per noi, Louis ed Helena. Sai, per evitare la parte in cui la festa si trasforma in una partita di carte post-pranzo domenicale.»
«E in cosa consisterebbe questa "piccola scappatoia"?» chiesi, sollevata che lui avesse cambiato argomento.
«Tyler ha noleggiato un pulmino. Un po' hippie, lo ammetto, ma meglio di niente. Andiamo a Long Beach, baby.»
«Ma è a più di un'ora da qui ed è notte fonda, non sarete stanchi?»
«Per questo faremo i turni.»
«Né io né Helena abbiamo la patente, non ancora» precisai.
«Bastiamo io, Louis e Tyler. Sta' tranquilla e goditi la tua festa, principessa, va bene?»
Annuii, poi scoppiai a ridere. La situazione era assurda: mia madre che organizzava un'uscita per me ed i miei amici dall'importantissima festa dei miei diciotto anni? Due mesi prima non sarebbe stato possibile.
Quando entrammo nel locale, mio padre mi vide e afferrò il microfono, rubandolo al cantante della modesta band che stava suonando. «Attenzione, prego. Vi prego, ascoltatemi solo un istante, poi potrete tornare a farvi gli affari vostri invece di stare con la festeggiata.»
Arrossii violentemente. Mio padre che faceva il sarcastico? Avevo una nuova famiglia, per caso?
«Come saprete, Candice ha rinunciato all'attività di famiglia per dei trascorsi con il personale. Ha annunciato alla stampa di non tornare a far parte delle Neil Industries finché le cose non fossero cambiate. Ed io non avevo intenzione di farle cambiare, dico sul serio; ma la perdita di una persona a me carissima...» Si interruppe per prendere lentamente fiato ed io aggrottai la fronte, perché non avevo mai visto mio padre tanto in difficoltà. Lui sapeva parlare alla gente, era un grande oratore, ed il suo principio era di distaccarsi dal discorso e stare lontano dal pubblico, ma adesso sembrava così toccato... Riprese in un attimo: «Mia madre diceva sempre che niente, niente deve mai venire prima della famiglia. Ed io ho commesso lo sbaglio di sottovalutare quelle parole. Io voglio mia figlia vicino a me, adesso più che mai. E per lei sono disposto a cambiare. Perciò, con la speranza che riveda la tua posizione, vorrei farti sapere, Candice, che il salario di ogni mio dipendente è stato incrementato di duemila cinquecento dollari mensili.»
All'inizio vi fu un silenzio preoccupante, ma poi tutti scoppiarono in un applauso, al seguito di mia madre. Mi aggiunsi al coro con espressione soddisfatta e sentii Louis che mi posava una mano sulla spalla.
«Pensavo fossi pazza,» ammise senza guardarmi, «ma a quanto pare sapevi ciò che facevi. Complimenti, bimba.»
«Affatto» replicai. «Non avevo la più pallida idea di ciò che stavo facendo.»
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