29
L'indomani stavo leggendo "Il ritratto di Dorian Grey" comodamente seduta sulla cassapanca piazzata sotto la finestra della mia stanza, quando alzai lo sguardo e vidi che una bionda si avvicinava a casa mia. Nonostante non potessi vederla in volto, riconobbi subito Sally Wheeler. Un attimo dopo, ovviamente, il campanello suonò. Che diavolo voleva quella tipa da me?
«Ciao» mi salutò con un sorriso tirato appena aprii la porta.
«Che vuoi?» le chiesi senza tante cerimonie.
«Volevo... Sai dove sia Louis?»
«No» risposi fredda. «Perché dovrei?»
«Forse perché sei la sua ragazza?» rispose in via retorica.
«Non significa che io sappia dove sia» replicai con l'amaro in bocca. «Né che lui voglia che io lo sappia.»
«È successo qualcosa tra voi due?» indagò.
«Non sono affari tuoi. Cosa vuoi da lui, a ogni modo?»
«Non sono affari tuoi» mi imitò.
«Dal momento in cui decidi di suonare al mio campanello, diventano affari miei.»
«Volevo solo un consiglio» si arrese, abbassando il capo.
Non so perché lo dissi, ma le offrii il mio aiuto. Ebbene sì, stavo aiutando la causa di almeno metà dei miei problemi.
«Oh, davvero? Be', non so se lasciare che Dylan faccia da padre al bambino.»
Sospirai e mi scostai dalla porta per farla entrare, poi mi sedetti al suo fianco - non troppo vicino - sul mio divano e la guardai: i capelli erano curati come sempre, ma sembravano spenti, non accecanti come l'ultima volta che l'avevo vista, e il volto era impallidito e segnato da delle profonde borse sotto gli occhi. Indossava un abito semplice azzurro a fiori che nascondeva la pancia che mi sembrava crescere ogni secondo che tenevo gli occhi fissi su di essa.
«Devi lasciarglielo fare, Sally» mi costrinsi a dire. «Non è bello crescere senza un padre, e devi mettere i bisogni del bambino prima dei tuoi. Inoltre, quando sarà grande vorrà sapere comunque chi è lo stronzo che l'ha messo al mondo.»
Ridacchiò annuendo. Onestamente, non ci trovavo niente da ridere. «Sì, forse hai ragione. Quindi dovrei dargli questa?»
Mi porse una foto estratta dalla borsa ed io notai che era un'ecografia. La fissai a lungo, stretta tra le mie dita, e alla fine mi decisi ad accarezzare il puntino nero che cresceva dentro Sally, prima di annuire, con sempre meno fiato, assottogliando le labbra. Vedere l'ecografia rendeva tutto maledettamente reale, come se prima il fatto di non averne una prova avesse alimentato la mia speranza che la gravidanza fosse un inganno o uno sgradevole equivoco. Però eccolo lì, il futuro bambino di Dylan e Sally. Eccola lì, la prova che non avrei mai potuto perdonarlo, per quanto lo amassi, e che non avremmo mai potuto avere una vita insieme.
«Sì, dovresti» mi sforzai di rispondere.
«Candice, c'è un'altra cosa che avrei voluto chiedere a Louis» continuò.
«Dimmi.»
«Pensi che lui mi ami?»
Mi strinsi nelle spalle e abbassai lo sguardo. Una domanda più difficile dell'altra. «Non lo so» risposi sinceramente. Louis non mi aveva mai lasciato intendere di amare Sally, ma il fatto che non fosse riuscito a dirle del matrimonio e di non vedersi più significava che provava comunque qualcosa per lei. E, a quel punto, come io amavo sia Dylan che Louis, lui avrebbe potuto amare sia me che lei? «È possibile.»
«È che non voglio ferirlo, visto che vorrei riprovare a stare con Dylan.» Un colpo dopo l'altro, sentivo il mio cuore venire abbattuto a picconate. Sally avrebbe dovuto andarsene. Subito.
«E Dylan che ne pensa?» mi obbligai a chiedere.
«È stato lui a chiedermi di tornare insieme.»
La spada che era sospesa sulla mia testa si era appena abbattuta su di me. Ero fuori dai giochi, ormai era definitivo: io e Dylan non avevamo più nulla. Pensai allora che anche se avessi amato Louis ardentemente quanto meritava, il che non lo ritenevo possibile, avrei voluto amarlo liberamente. Avrei voluto vivere con lui momenti belli e brutti in modo naturale, senza alcun vincolo coniugale. Non volevo sentire sulle spalle la responsabilità di far andare bene la nostra relazione per far funzionare quel matrimonio; volevo sbagliare e imparare dai miei, dai nostri errori. Perciò ciò che mio padre mi aveva consigliato di farne del mio matrimonio non avrebbe potuto far altro che liberarmi da un vincolo che non mi avrebbe portata da nessuna parte se non in una gabbia ancora più stretta di quella dove ero stata rinchiusa fino ad allora, e adesso più che mai mi rendevo conto che sarebbe stato meglio per tutti se avessi seguito quel consiglio.
«Lo ami?» mi chiese Sally, ridestandomi sai miei pensieri.
«Chi?» sussurrai, per paura che con la mia indecisione capisse più di quanto le era concesso.
«Louis.»
Sospirai, senza nemmeno sapere come mi sentissi. «E tu?»
«Non lo so, insomma, nell'ultimo periodo Dylan si è riavvicinato a me, ma so che è solo per il bambino. Eppure...»
«Eppure non puoi non innamorarti ancora di lui» conclusi amaramente. Non so quanta forza di volontà mi servì per mantenere il controllo, insomma, nonostante sapessi già di non poter competere con Sally, e che non avrei nemmeno dovuto volerlo, ogni parola che diceva continuava ad essere un coltello infilzatomi in diversi punti dello stomaco, ripetutamente. L'unica cosa che volevo era che lei se ne andasse e mi lasciasse piangere in pace, o che infliggesse il colpo fatale e smettesse di farmi soffrire.
«Non "ancora", l'ultima volta non l'amavo» puntualizzò e, prima che io potessi commentare con un ironico "Oh, giusto, scusa" aggiunse: «Louis non merita di sacrificare la sua libertà per un mio errore.»
Abbassai lo sguardo. «A chi lo dici» sussurrai.
Non avevo mai pensato a fondo a quanto io stessi vincolando Louis, con quel matrimonio, a quanto lo stessi privando della sua libertà. Il quadro di ciò che avrei dovuto fare si allargò, includendo anche questo aspetto, ed io me ne convinsi sempre di più. Non più per me, ma per Louis. Il mio unico pensiero restava Louis.
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