22
Dopo l'edizione serale del telegiornale, in cui il mio volto compariva in primo piano accompagnato dal titolo "Candice Neil abbandona le Neil Industries", ero stata bombardata di chiamate e messaggi da parte dei miei e del legale dell'impresa. Inutile dire che non risposi a nessuna chiamata né messaggio. Al contrario, decisi di spegnere il telefono e lasciarlo morto sul mio letto.
I miei genitori mi avevano rovinato la vita più volte e questa sarebbe stata l'ultima. Ero stanca di venire associata a quella famiglia e di essere comandata da quella famiglia. Me ne ero tirata fuori ed era esattamente ciò che temevano di più. Avevo dato loro ciò che si meritavano per avermi costretta a stare prima con Robert, poi con Louis, e adesso per aver rovinato la vita di chissà quante persone e avermi coinvolta in quella merda. Io-ero-fuori.
Bussarono alla mia porta ed io aprii lentamente, trovandomi di fronte a Dylan. Era un Dylan stanco, che evidentemente non dormiva da giorni e a cui si erano formate delle enormi borse sotto gli occhi. Aveva i capelli scompigliati e la maglietta stropicciata con cui andava a dormire, oltre a un paio di pantaloni della tuta scoloriti.
«Ciao» mormorò.
«Ciao» risposi.
Mi era mancato parlare con lui, anche solo rivolgendoci un saluto civile come quello, senza urlarci contro né odiarci. Eravamo semplicemente stanchi, entrambi.
«Come stai?» mi chiese.
Scossi la testa. «Non lo so» ammisi.
«Vuoi parlarne?»
Annuii, prima di spostarmi dalla porta per lasciarlo entrare, poi la chiusi. Mi ci accostai mentre lui si sedeva sul mio letto. «Mi sento un po' più libera dal peso dei miei genitori e... non capisco perché ci stia così male» gli spiegai.
«Perché ci tieni, Candice. Tu tieni a loro, all'azienda... È la tua famiglia, qualunque cosa faccia. Può farti star male quanto vuoi, ma stai male lo stesso se te ne liberi facendola soffrire. E poi, tu sei il tipo di persona che tiene a tutti, anche, se posso ricordatelo, ad uno stupratore.»
«Avrei preferito non ricordarmelo» risposi con un sorriso triste, sedendomi accanto a lui a gambe incrociate. «È solo che... So di aver fatto la scelta giusta, ma non mi sento così.»
«Non esistono le scelte giuste, esistono solo scelte meno sbagliate di altre.»
«E tu? Come stai, Dyl?» tentai di distogliere l'argomento da me.
«Distrutto» ammise calando lo sguardo. «Ho fatto una cazzata e me ne rendo conto sempre di più ogni giorno che passa. Vorrei solo tornare indietro nel tempo e dire al me passato che sta commettendo un errore. Ho buttato nel cesso la cosa migliore che avevo.»
«Cosa?» chiesi incuriosita.
«La nostra relazione» rispose, lasciandomi spiazzata. «Io non vivo senza di te, Candice. Eri l'unica persona che mi faceva sentire un uomo buono, un uomo meritevole di una famiglia, di una donna, dell'amore. Eri l'unica persona che mi faceva sentire amato e che mi faceva credere che fossi capace di amare. Senza te, io sono solo un coglione che va avanti giorno per giorno, senza un piano.»
«Noi non avevamo un piano, Dylan» replicai gentilmente.
«Io ce l'avevo» ribatté. «Io ti avrei portata all'altare, un giorno. Lo giuro. Quando... Quando mi hai detto che i tuoi volevano che ci sposassimo ero felice, perché tu saresti stata mia per sempre. Avrei voluto vederti camminare verso di me in abito bianco e poi avrei voluto avere dei figli, con te. Almeno due.»
«Addirittura due» sussurrai con un nodo alla gola.
«Sì, addirittura due» confermò. «Immagino che non sia più possibile, adesso che ami Louis.»
«Io non amo Louis» replicai. «Lo sai che io amo te. Ho sempre amato te.»
«Perché allora niente sembra poter tornare come prima?» mi chiese con sguardo disperato.
«Perché Sally è incinta ed io dovrò sposare Louis, Dylan. È evidente che niente possa tornare come prima.»
«Non ti ho nemmeno detto mai addio.»
«Ed io non voglio che tu lo faccia» dissi, lo sguardo offuscato dalle lacrime. «Non voglio che tu mi dica addio. Ti prego, Dyl.»
«Mi dispiace, Candice.»
«No» lo supplicai.
Racchiusi un labbro tra i denti, indecisa sul da farsi, poi mi sporsi verso di lui per baciarlo. E Dio, quanto mi era mancato. Era da tanto che non ci baciavamo, che non stavamo più così vicini l'uno all'altra, ed io volevo soltanto tornare ad illudermi che tutto andasse bene, che tra noi andasse tutto bene. E sentivo che anche Dylan ne aveva bisogno, perché si avvicinò a me con lo stesso ardore cauto, lento, per gustarci entrambi il momento prima che attorno a noi tornasse a regnare il caos. Mi posò entrambe le mani a coppa sulle guance, asciugando distrattamente qualche lacrima secca, ed io non potetti far altro che notare quanto fosse caldo. Ormai era maggio inoltrato, eppure mi sembrava tutto così dannatamente freddo, al di fuori dei suoi palmi.
Quando ci separammo a malincuore lui si alzò e, senza nemmeno guardarmi, se ne andò. Ricominciai inevitabilmente a piangere: com'era possibile che in così poco tempo fosse andato tutto a rotoli? Mi sembrava passata un'eternità dall'ultima volta che io e Dylan eravamo stati insieme, prima che io e i miei fossimo cacciati di casa, ancora prima di quella stramaledetta cena. Era passato poco più di un mese da quella sera, solo poco più di un mese. E se in un solo giorno dalla scoperta della gravidanza di Sally era successo tutto ciò che era successo, dall'andare a letto con Louis da ubriaca, fare una sorta di patto con lui, litigare con mio padre e adesso baciare Dylan, cos'era successo in un mese e mezzo? Quasi avevo paura di scoprire cosa sarebbe successo di lì a poco, insomma, sarebbe per caso cascato il mondo? In poco più di un mese erano successe troppe cose. E il mese seguente ci sarebbero stati sia il mio compleanno che il matrimonio. Avrei voluto morire.
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