21
LOUIS
Aspettai Candice all'uscita da scuola. Lei si era mostrata favorevole alla mia piccola e dolce vendetta su mio fratello, perciò ero stato lieto di andarla a prendere perché sapevo che ci sarebbe stato anche Dylan. Quando lei uscì con la sua amica, Helena, e mi vide, si illuminò in un sorriso e mi corse incontro come una bambina per gettarsi tra le mie braccia. La tenni stretta contro il mio petto, mormorandole un saluto sul capo, poi sollevai lo sguardo e notai proprio Dylan, immobile di fronte alla sua moto, che ci fissava. Candice non se ne era accorta, però sollevò il volto per baciarmi.
«Ciao» mi rispose sottovoce, senza smettere di sorridere.
Mi appoggiai alla mia macchina, tenendola stretta, e tornai a baciarla. Era bello avere le sue labbra sulle mie, le sue mani sul mio petto e le mie sulle sue natiche. Insomma, io stavo bene con lei, stavo bene ogni volta che ci baciavamo, che la toccavo, anche solo che la guardavo, perché lei era una benedizione per gli occhi. Tutto questo al di là di mio fratello.
«Ti sono mancata così tanto? Ci siamo visti solo questa mattina» scherzò Candice.
«Anche se fosse?» risposi. «Ti dà fastidio?»
«No» ridacchiò. «Anche tu mi sei mancato.»
«Ci siamo visti solo questa mattina» la scimmiottai accennando allo sbuffo di una risata.
«Ti dispiace se passiamo dall'ufficio di mio padre, prima di tornare a casa?» mi chiese seria, ignorando la mia pessima imitazione. Sembrava abbastanza preoccupata. «Mi ha mandato un messaggio, prima, dicendomi che aveva qualcosa di importante da dirmi.»
«Nessun problema» la rassicurai. «Forza, andiamo subito.»
Quando stavo per fare il giro della vettura per prendere il posto del conducente, Candice mi fermò per un polso e mi baciò di nuovo sulle labbra. «Grazie» mormorò, ancora in ansia.
«Pensi che sia successo qualcosa con quei teppisti?»
«Lo temo, sì» ammise. «Mia madre mi aveva detto che niente era stato risolto, quando l'ho incontrata l'ultima volta.»
Le aprii la portiera e la invitai a salire in auto, poi la portai all'ufficio di suo padre. Fuori dall'edificio era accalcata una fiumana di gente indignata ed io corsi a guardare Candice, che fissava la folla con sguardo assolto.
«Ecco cosa succede quando si pensa che essere l'élite della città ti separi completamente dalla plebaglia» si limitò a dire. «Pensi che i loro problemi non ti sfiorino nemmeno, finché non sei tu a crearglieli. La gente ai piani alti non pensa abbastanza spesso che le persone comuni come quelle che stiamo guardando adesso sono coloro che l'hanno piazzata sul piedistallo e, allo stesso modo, possono buttarla giù. E più in alto sei arrivato, mettendo i piedi in faccia agli altri, scalando il successo a discapito degli altri, più la caduta fa male. Perché le persone che sono in basso non possono far altro che salire, coloro che sono in alto possono anche scendere e non è mai un invito a ripercorrere gli scalini. Ti buttano di sotto senza curarsi delle tue ferite.»
«Non è il caso di tuo padre, Candice» tentai di rassicurarla, ma le provocai solo una risata amara.
«Lo è eccome. Puoi restare in auto, se vuoi. Non è la tua merda, questa.»
Le presi la mano nella mia e la strinsi, poggiato alla sua coscia. «Non è nemmeno la tua. Quindi, se tu decidi di affrontare tutto questo, meriti qualcuno che ti stia accanto. Andiamo.»
Lei mi sorrise con gratitudine, prima di scendere dal veicolo. Attraversammo la folla che gridava insulti e domande a Candice, ma io la tenevo stretta sotto braccio per impedirle di fermarsi a rispondere. Fortunatamente arrivammo all'ingresso dell'edificio senza troppi problemi. A quel punto Candice diventò una furia e non si fermò nemmeno a salutare la segretaria di suo padre per entrare nell'ufficio di quest'ultimo come un treno.
«Si può sapere che sta succedendo?» sbottò, prima di rendersi conto che un tizio era seduto nella stanza e stava parlando con Mr Neil.
«Scusate l'interruzione» rimediai io. «Possiamo aspettare. Dai, bimba, vieni fuori.»
«No, io voglio delle spiegazioni adesso» si impuntò lei. «Ho il diritto di sapere perché lo studio dei miei genitori è assalito da tutta quella gente, perché non posso tornare a casa e perché mi hai chiamata.»
«Perdoni l'irruenza di mia figlia, Mr Stevens, e le prego di accettare di incontrarmi ancora nei prossimi giorni. Le assicuro che saremo da soli» disse Mr Neil all'uomo con cui stava parlando, che si alzò, strinse la mano al padre di Candice dicendogli che non c'era alcun problema e che sarebbe tornato l'indomani, prima di uscire.
«Siediti» ordinò Mr Neil a sua figlia, che obbedì frettolosamente.
«Vuoi spiegarmi?» insistette lei.
«Candice, è una questione difficile.»
«Abbiamo tutto il tempo, quindi bando alle ciance e arriva al punto.»
Lui sospirò profondamente, prima di iniziare a parlare con voce greve: «Un mio dipendente ha avuto un incidente. Non può permettersi un'assicurazione sanitaria e non può nemmeno pagarsi le cure. Dopo un mese di assenza, è stato licenziato. I suoi figli hanno sparso la voce e la gente ha accusato il colpo. Il fatto è che io non c'entro nulla, se ne occupano le risorse umane.»
«No, papà, è proprio colpa tua» replicò Candice. «Tu sei sopra tutto e tutti, qua dentro, perciò le decisioni che prendono le risorse umane passano per te. Tu decidi i salari, tu firmi le pratiche di licenziamento. Magari non avevi alcuna voglia di approfondire il caso e ti sei affidato all'assenza di quell'uomo. Tu hai sbagliato e non solo con quella famiglia. Tu sbagli con tutti i tuoi dipendenti, perché tu stabilisci le retribuzioni minime. Quindi sai che c'è? Hai quello che ti meriti. Tutta questa merda è colpa tua e adesso ci anneghi tu.»
Seguii Candice fuori dall'ufficio di Mr Neil, che non ebbe nemmeno il tempo di replicare, e come stavo per aiutarla attraverso la massa di gente per tornare all'auto lei si fermò di fronte ai giornalisti, sorprendendo tutti, che si ammutolirono all'istante.
«Ho appena saputo l'accaduto» iniziò Candice con sguardo basso, forse vergognandosi di suo padre. «Io non avevo idea di ciò che succedeva all'interno dell'azienda di mio padre e adesso che sono stata convocata e informata di tutto il male che fa alla gente...» Scosse la testa e trovò il coraggio di guardare dritto in faccia la folla che aveva di fronte. «Mi dispiace» sussurrò con le lacrime agli occhi. «Mi dispiace che nessuno dei dipendenti di mio padre sia retribuito dignitosamente e mi dispiace che qualcuno sia stato licenziato senza motivo dopo una vita a badare alla propria famiglia con uno stipendio misero. Per questo ho deciso di abbandonare l'eredità di mio padre. Non prenderò mai in mano le Neil Industries, a meno che le cose non cambino radicalmente.»
Lo shock generale era palpabile. Nessuno dei presenti, me compreso, immaginava che Candice sarebbe arrivata ad un punto così... oltre. Perché c'era un limite e lei lo aveva appena passato. Le Neil Industries erano tutto per i suoi genitori e contavano totalmente sul fatto che un giorno le avrebbe gestite lei. Ma adesso non avevano più niente. Né la credibilità dell'azienda, né la stima nell'azienda, né un erede al patrimonio aziendale.
Forse non avevano più nemmeno una figlia.
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