19

LOUIS

Non mentirò: Candice mi stava mettendo a dura prova. Il vestito le aderiva completamente addosso per il diluvio, la pelle le riluceva delle gocce di pioggia e lei stava facendo di tutto per convincermi a portarmela a letto. Ma, diavolo, era ubriaca, andava contro ogni mia morale, sarebbe stato come approfittare di lei e delle sue condizioni.
Tornammo a casa con la mia macchina e mi accorsi che mi seguiva verso la mia camera, quindi le ordinai di girare i tacchi e andarsene nella sua. O era molto brava a recitare o l'alcol la rendeva davvero così imbranata, ma inciampò nei suoi stessi piedi, quasi facendo cadere un vaso che mia madre teneva in corridoio, quindi, per evitare che si facesse del male o che finisse nei guai, la accompagnai nella sua stanza.
Inutile dire che tentò di nuovo di sedurmi chiudendo la porta alle mie spalle e appoggiandovisi contro.
«Candice, andiamo, fammi uscire» dissi serio, sperando che capisse che non avevo intenzione di fare niente con lei.
«Perché tanta fretta di andartene?» mi chiese.
Si portò una mano sulla gamba, attirando la mia attenzione proprio in quel punto, e salì fino alla coscia. Il suo vestito si alzò e scoprì l'orlo degli slip, facendomi deglutire involontariamente. Distolsi lo sguardo per non lasciarmi tentare, ma lei mi si avvicinò e si voltò una volta paratamisi di fronte, allacciò le mani al mio collo e mi si strusciò contro, il vestito che si attaccava ai miei vestiti, scoprendo il suo sedere perfetto, e le mani che percorrevano il mio petto. Certo che sapeva benissimo dove andare a parare per farmi perdere il controllo.
«Candice» tentai di fermarla, ma lei premette le labbra sulle mie per farmi stare zitto e portò una gamba nuda al mio fianco. Istintivamente la ressi con una mano e fu inevitabile che le mie dita scivolassero sulla sua pelle bagnata fino al didietro. Ero stato un condannato a morte dal momento in cui lei si era messa in testa di farmi impazzire, ancora prima di salire in macchina.
Afferrai anche l'altra sua gamba per portarmela in braccio. Ormai ero totalmente inebriato dalle sue labbra e dal suo corpo che premeva contro il mio e non avrei più potuto farci niente. La posai sul suo letto e lasciai che ribaltasse la situazione, salendo su di me. Scosse la gonna del suo vestito, muovendosi sensualmente su di me come avesse avuto una canzone latinoamericana per la testa, e dalla mia posizione potevo godere del suo panorama. Mi sentivo come sotto l'Empire State Building, a guardare dal basso l'immensa meraviglia che avevo di fronte e mi sormontava. Era come se le sue braccia sollevate a scostarsi i capelli avessero potuto toccare il soffitto ed io ero estasiato da lei, dal modo in cui roteava i fianchi contro i miei e giocava, perché io sapevo che si divertiva a vedermi succube della sua sensualità. Perché era così sexy ed io così schiavo della sua bellezza da non poter nascondere la mia devozione al suo corpo.
Alzai la schiena soltanto perché potesse togliermi la maglietta, perché altrimenti non avrei mai rinunciato alla mia posizione privilegiata. Ne approfittò per premere le labbra sulle mie e la trascinai giù con me, mentre in realtà era lei mi trascinava giù nel baratro. Mentre continuava a muovere i fianchi tenuta dalle mie mani scese con la bocca sul mio collo, il mio petto, fino alla cintura dei miei jeans, che si affrettò a slacciare insieme al bottone e alla zip per eliminare sia i pantaloni che i boxer che avevo sotto. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, per quanto il piacere che mi dava mi imponesse di rivolgerli al soffitto, ma lei posava quel suo sguardo grande su di me per godere della mia sottomissione alla sua bocca ed io non potevo non accontentarla e farle leggere quanto era brava nel suo riflesso nei miei occhi.
Si sfilò gli slip e si portò nuovamente su di me per far incontrare le nostre intimità. Non riuscivo a guardarla vestita, la volevo nuda, la volevo pura e sporca, volevo vedere il contrasto della sua pelle abbronzata che si scontrava contro la mia rosea, volevo vedere le sue natiche arrossarsi quando le mie mani vi si abbattevano. La volevo succube di me quanto io lo ero di lei, perciò le abbassai la zip del vestito, sotto il quale non aveva niente, e glielo sfilai dalla testa. Mi accostai con la schiena contro la testiera del suo letto e lei posò le mani sul mio petto e la fronte sulla mia spalla, gli ansimi che mi rimbalzavano sulla pelle come un frisbee.
Averla era e sarebbe sempre stata la sensazione più bella della mia vita. Il desiderio di possedere ogni suo respiro, ogni suo gemito, di essere colui a cui dedicava i suoi orgasmi, colui che la portava a ritirarsi e rilasciarsi come le onde del mare sulla spiaggia, sapere di essere io la sua spiaggia. Sapere che quando le sue mani le avrebbero dato piacere per la sua testa sarebbero passate le mie, sapere che avrei fatto l'amore con ogni suo pensiero e che in ogni suo pensiero noi avremmo fatto l'amore. Quella era una soddisfazione che nessuna se non lei avrebbe potuto darmi e che io non avrei voluto da nessuna se non da lei. Candice era come un tornado che arrivava senza preavviso, ti trasportava e lasciava solo briciole dietro a sé. Ed io ero lieto di venire trasportato da lei, in tutti i sensi ed in nessuno di essi.

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