10

LOUIS

Ero nervoso. Candice mi rendeva nervoso. Il problema non era che non sapessi cosa fare, come farlo o dove farlo, in fondo quello che avrei fatto a lei era quello che avevo fatto già centinaia di volte sui corpi di altre ragazze; ciò che intendo è che non ero affatto un novellino, sapevo cosa piaceva ad una ragazza, cosa la portava all'orgasmo, qual era il suo punto magico e come raggiungerlo. Il problema era che stavo per farlo con Candice. Non che mi dispiacesse, insomma, nelle ultime sere ero rimasto nel mio letto rosso fino alla punta dei capelli nell'immaginarla nuda sotto di me, quella prima notte di nozze che ci attendeva. Però Candice Neil era un'altra storia. Non solo era la ragazza di cui era innamorato mio fratello, egoisticamente in quel momento non mi importava, vedevo solo lei, solo la voglia che avevo di metterle le mani addosso e toglierle i vestiti. Ma io diventavo stranamente imbarazzato al solo pensiero; lei non era come le altre ragazze, non mi faceva lo stesso effetto delle altre ragazze, senza scendere nei dettagli. Candice mi rendeva nervoso, volevo che si sentisse a suo agio, che non facesse cose che non avrebbe voluto fare solo perché un giorno avrebbe dovuto farle comunque, con me. Era complicato, sia da spiegare che da vivere. Non mi ero mai sentito così insicuro con una ragazza prima d'ora; avevo paura che ciò che alle altre piaceva, a lei sarebbe risultato imbarazzante, scomodo, invasivo o l'avrebbe messa a disagio. Mi sentivo come un ragazzino alle prime armi che, nonostante la voglia, aveva paura persino di sfiorare un millimetro di pelle nuda della ragazza che si trovava davanti. Eppure, come ho già detto, avevo la mia bella esperienza dietro alle spalle, sicuramente più di lei. Ciononostante era lei a dettare le carte in tavola.
«Se non vuoi fa niente» mi disse senza guardarmi, forse visto che io esitavo ad avvicinarmi. Era ovvio che parlare di un argomento così intimo, così taboo, le creasse vergogna.
«No» ribattei. «Voglio. Dimmi solo...» Esitai, tentando di trovare le parole giuste. «Cosa devo fare. Dove devo fermarmi.»
Lei annuì, perciò io mi collocai sul letto, di fronte a lei che vi era già seduta con la schiena contro la testiera. Avvicinai la mano alla sua caviglia scoperta e quando la sentii per la prima volta così calda, così morbida, così scoperta, feci già fatica a mantenere il controllo. Per me sarebbe stato facilissimo strapparle i vestiti di dosso e possederla adesso, sul mio letto, ma non potevo, dovevo sottostare al suo volere ed alle sue regole. Dovevo darle il tempo di entrare in confidenza con me, con le mie mani, con il mio tocco. Doveva abituarsi alla mia pelle che sfiorava la sua, la pelle di un estraneo, praticamente, perché io non ero Dylan, né qualunque altro uomo con cui fosse stata prima, e non mi conosceva nemmeno così bene come persona, le cose che sapeva di me si potevano contare sulle dita di una mano.
Feci scivolare i polpastrelli sull'astragalo fino all'altra parte del suo piede e poi feci una lieve pressione per spostarle lentamente la gamba verso l'esterno.
«Candice,» la chiamai quando la trovai a fissare i miei movimenti, «dimmi dove fermarmi.»
Solo quando confermò di nuovo passai le dita sul tendine e le lasciai salire lungo la sua gamba, avvicinandomi man mano anche con il resto del corpo. Arrivai nel tempo più lungo possibile all'interno coscia e mi fermai, tornando a guardare Candice, che però mi fece segno di andare avanti, perciò strinsi gli occhi, pensando a cosa fare, cosa togliere, dove toccare. Fu lei alla fine a prendere l'iniziativa togliendosi la maglietta.
«Louis, sii naturale» sbottò. «Fa' quello che faresti con qualsiasi altra ragazza.»
«Fidati, tu non vuoi quello che farei a qualsiasi altra ragazza» mormorai.
«Cosa faresti?» insistette.
«Ti prenderei qui, subito. Ti strapperei i vestiti di dosso» continuai abbassando gradualmente la voce, «e ti farei venire gridando il mio nome.»
Lei arrossì violentemente, ma non distolse lo sguardo dal mio. «Sii naturale» ripeté con un filo di voce.
Scossi la testa e tentai di lasciarmi andare almeno un po', preoccupandomi dei suoi limiti, ma sciogliendo i miei. Premetti le labbra sulle sue con un tale impeto che la inchiodai al letto, con passione, con irruenza. Nella mia testa era passata quella immagine per tanto tempo, da quando l'avevo vista la prima volta a quella cena di beneficenza. Al tempo era la ragazza di mio fratello, poi mi ero messo in testa di trattarla bene, perciò mi ero sempre trattenuto. Adesso mi aveva lasciato a briglia sciolta ed il mio istinto, quello animalesco, quello che aveva sognato sconcezze su di lei per tante notti, si presentò con veemenza. Le sue dita tra i miei capelli non mi aiutavano a mantenere almeno un briciolo di autocontrollo; avvolsi un braccio attorno alla sua coscia e la spinsi stesa sotto di me, prima di passare a lasciarle baci lungo il collo, al quale mi lasciò libero accesso piegando indietro il capo, fino alla curva tra i seni. Inarcò agilmente la schiena, invitandomi a slacciarle il reggiseno, o forse era solo una reazione alla mia bocca che insisteva su un punto preciso della sua pelle per lasciarle una macchia viola vivido. Averla così, con il petto completamente nudo ed assoggettato alla mia lingua, le gambe che premevano insistenti contro il mio bacino che impediva loro di chiudersi dall'eccitazione, le sue mani che mi stringevano i capelli per chiedermi di non fermarmi, di andare avanti, più giù, e darle piacere, portarla al culmine, era un panorama senza eguali. Quando poi iniziò a gemere, con l'assalto alle sue areole, fu la ciliegina sulla torta e fui certo che il mio autocontrollo se ne fosse andato a quel paese. Infatti per me fu difficilissimo fermarmi quando Candice me lo chiese, mentre passavo i denti sul suo interno coscia denudato pochi istanti prima. E sapevo che anche a lei costasse tanto chiedermi di non andare oltre, perché sfiorandole gli slip di sfuggita si percepiva quanto bagnata fosse.
«Grazie» sussurrò infine, ancora mezza nuda. Passò una mano sulla mia nuca e poi ancora tra i miei capelli prima di baciarmi. Mi ci volle tutta la disciplina che avevo in corpo per non portare ancora le mani sul suo seno e ricominciare da dove avevo lasciato. «Grazie per esserti fermato.»
Annuii e, mentre lei si rivestiva di fronte a me, fu difficilissimo andarmene in bagno a sistemare la situazione nei miei pantaloni senza portarmela sulle gambe e farla sistemare a lei, spingendo la sua intimità contro la mia. Adesso che avevo avuto un assaggio di lei dopo così tanto tempo e mi ero perso nelle mie fantasie ero certo di aver perduto la testa.

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