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Erano successe tantissime cose in pochissimo tempo: in solo una settimana, io mi ero lasciata con Dylan, ci avevo fatto pace, ci ero andata a letto, poi mio padre aveva lanciato la bomba del mio fidanzamento con Louis e Robert e la sua famiglia erano venuti a conoscenza dell'annullamento nel precedente matrimonio. Mi sentivo scombussolata e nemmeno sapevo il perché. Insomma, sarei dovuta essere sollevata di essermi tolta quell'energumeno di Robert Schliemann dalle scatole, eppure mi comportavo come se Louis rappresentasse per me un destino peggiore. O forse mi stavo solo preparando ad un altro colpo, stavolta inflitto proprio da me. Non passava giorno, e in realtà ne passarono pochi, in cui io non mi chiedessi come avrei potuto portare avanti una relazione con Dylan sapendo di essere promessa a Louis. Per prima cosa, non mi sembrava giusto per Dylan, continuare a illuderlo di poter avere qualcosa insieme, quando evidentemente non avremmo mai potuto; in secondo luogo, Louis non era stato affatto cattivo con me, anzi, si era sempre dimostrato un perfetto gentleman in ogni singola occasione, perciò non mi sembrava giusto fare un torto pure a lui, che si impegnava giorno dopo giorno di non farmi pesare tutta la situazione.
Finché non avessi risolto quella questione non sarei mai potuta andare avanti in pace con me stessa. Dovevo chiudere, con uno dei due, non avrei mai potuto tenere il piede in due scarpe. Certo, nemmeno con Robert d'intorno avrei mai potuto farlo, ma Robert non era mai stato carino con me come lo era Louis, perciò non avevo rimorsi nei suoi confronti; d'altronde, non avrei potuto "chiudere" con Louis, per imposizione. Era ovvio quanto doloroso che avrei dovuto lasciar andare Dylan. In fondo, lui meritava di più di una ragazza destinata a sposare suo fratello maggiore; meritava qualcuno che lo amasse come lo amavo io, magari anche di più, se possibile, ma che potesse amarlo e con cui avrebbe potuto costruirsi una vita, una famiglia.
«Stai bene?» mi chiese Louis, accarezzandomi il dorso della mano con fare preoccupato.
Ciò che mi piaceva di lui era che tentava davvero di prendersi cura di me ed era davvero in apprensione quando mi vedeva pensierosa. Insomma, non era falso, capite? Credo che lui fosse riuscito ad accettare il fatto di sposarsi più di quanto avessi fatto io, credo fosse già entrato in quell'ottica, si era proiettato ad un futuro non molto lontano, visto che al mio diciottesimo compleanno mancava ormai solo meno di un mese.
Passai l'indice sul bordo della mia tazza di cioccolata calda che avevamo preso da Koneko, in Clinton Street, e sospirai. «Immagino di sì» risposi forzando un sorriso.
«Andiamo, puoi dirmi tutto, bimba.»
Aveva preso a chiamarmi così, dal nulla: "bimba". Solo in seguito mi svelò che era perché ero più piccola di lui, sia di età che di statura. A me non dispiaceva, aveva lo stesso sapore di quando Dylan mi chiamava "principessa". Mi erano sempre piaciuti i nomignoli, ma io non ero mai abbastanza fantasiosi da darne, almeno non per quanti ne ricevevo.
«Non so come dire a Dylan che dobbiamo finirla qui, qualunque cosa ci sia al momento tra noi» ammisi senza guardarlo. Non ero a mio agio nel dire a Louis che avrei dovuto spezzare il cuore di suo fratello.
«Perché vuoi rompere con lui?» indagò.
«Per non fargli del male illudendolo. Credo lo farebbe soffrire di più se continuassimo così e poi io sposassi te. Meglio chiudere subito e togliersi il dente. E non pensare che io sia contenta di doverglielo dire.»
«Non lo penso, infatti. Sei troppo gentile per trarne piacere. E poi, tu lo ami, no?»
«Certo che lo amo» mi lamentai con una smorfia. «Per questo non posso vederlo stare male per me.»
«Candice, vieni qui» mormorò con compassione, allargando le braccia.
Inutile dire che mi sedetti sulle sue ginocchia per piangere sulla sua spalla. «Mi dispiace così tanto, Louis.»
«Te l'ho già sentito dire troppe volte in così pochi giorni, piccola. E a te, chi ti chiede scusa per queste lacrime?»
Mi strinsi nelle spalle tirando su con il naso.
«Appunto. Non è colpa tua, okay? Non è colpa tua.»
«Avresti dovuto starmi lontano, a quanto pare tutti quelli che mi si avvicinano finiscono per farsi del male.»
«Tu non mi farai del male. Anzi, tu non ne hai fatto a nessuno» insistette.
«Sto per farne a Dylan» replicai, asciugandomi le guance con i polpastrelli per rovinare il trucco il meno possibile.
«Perché non soffra troppo in seguito, quindi gli stai evitando un male peggiore.»
«Ho sentito dire che solo perché esiste un male peggiore il nostro non va affatto sminuito. Il male è il male, che sia più lieve, che sia peggiore, non importa. Tu soffri ed è questo che conta. E poi, ognuno ha una sensibilità diversa, a me qualcosa di piccolo per te può fare un male atroce e per te qualcosa che ucciderebbe me può essere sopportabile.»
«Non puoi solo accettare che io stia cercando di farti stare meglio?» scherzò giusto per strapparmi una risata, e ci riuscì.
«E tu non potevi solo dirmi come lasciare Dylan in modo indolore?» continuai a scherzare.
«Non credo esista un modo indolore per farlo. Solo... sii gentile con lui, okay?» esitò ed io gli sorrisi tristemente per dargli almeno una piccola rassicurazione. Era carino come lui si prendesse cura di suo fratello e si assicurasse che stesse bene.
«Certo» sussurrai.
«Lo dico anche per te, Candice. Sii gentile con te stessa. Non è detto che tutto il male del mondo debba per forza venire da te, che in realtà non hai fatto nulla.»
«Appunto,» ribattei con l'amaro in bocca, «non ho fatto nulla.»

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