7
Il mattino dopo mi svegliai in un letto che non era il mio, con un forte mal di testa ed i piedi ridotti a due budini. Indossavo solo una maglietta bianca troppo grande per me ed i miei slip. Decisi di guardarmi intorno: le coperte sotto cui giacevo erano nere come la pece, le pareti della stanza blu notte ed un tappeto ai piedi del letto grigio topo; dal muro di fronte luccicavano molte foto appese e l'unica luce in tutte quelle tenebre proveniva dalla finestra sulla sinistra, coperta da delle sottili tende marroni e vicina ad un armadio nero ed una scrivania in legno di noce su cui erano stesi con cura il mio vestito ed il mio reggiseno.
La porta della stanza si aprì e Dylan, con solo un asciugamano attorno alla vita ed i capelli ancora gocciolanti dalla doccia, circondato dal fascio di luce del corridoio, mi venne incontro. La situazione era abbastanza surreale: io, mezza nuda, ero nel letto di Dylan Brooks e lui, praticamente totalmente nudo, stava venendo verso di me.
«Buongiorno» sospirò, prima di sedersi accanto a me e baciarmi sulla fronte.
«'Giorno» risposi, ancora più confusa. A dir la verità non ricordavo niente della sera prima, se non di essere andata in discoteca con Helena e Tyler e di aver ballato e bevuto tutta la notte.
«Scommetto che eri troppo ubriaca per ricordarti quello che è successo.»
«È probabile. Perché, cosa... è successo?»
«Niente. Forza, ti riporto a casa.»
Si rialzò subito senza guardarmi ed io lo sentii distante, come se il fatto che non ricordassi qualcosa lo stesse ferendo. Solo per questo lo fermai per un braccio madido di acqua e lo guardai con mille domande negli occhi.
«Dylan, dimmelo, ti prego. Cos'è successo tra noi due?»
«Chi ti dice che sia successo qualcosa tra noi due?»
«Non so, forse il fatto che io sia mezza nuda nel tuo letto» sussurrai, immaginando che i suoi genitori fossero in casa, alle otto di domenica mattina.
«Quello è stato un piacevole inconveniente con il tuo vestito» spiegò con un sorrisetto.
«Sai cosa ti sto chiedendo, perciò non girarci intorno.»
«Mi hai chiesto se sia successo qualcosa tra noi.»
«Tradotto: abbiamo fatto sesso?»
«No» rispose semplicemente ed io tirai un sospiro di sollievo. «No, ci siamo... solo baciati.»
«Ci siamo baciati ed io non me lo ricordo?!» esclamai involontariamente. La verità è che avrei voluto solo pensarlo.
«Posso rinfrescarti la memoria, se vuoi» ammiccò.
«Solo quando ti sarai messo qualcosa addosso» replicai.
Si alzò ed io mi portai le mani sugli occhi quando capii le sue intenzioni, però guardai attraverso le dita un Dylan completamente nudo che mi dava le spalle mentre si metteva un paio di boxer e dei pantaloni della tuta neri. Ricordo che pensai dovesse essere illecito far girare per il mondo un essere più simile a Dio di tutti noi comuni mortali, lui che, baciato dal sole, sembrava brillare di luce propria a causa del petto scolpito ancora bagnato. Se fosse stato più pallido, probabilmente lo avrebbero esposto nella Galleria dell'Accademia di Firenze al posto del David di Michelangelo e nessuno se ne sarebbe accorto.
«Ti sei dimenticato un pezzo» dissi ammiccando al suo petto.
«Anche tu là sotto ti sei dimenticata un pezzo, quindi sta' buona» rispose velocemente, prima di mettersi con un ginocchio sul materasso per darsi lo slancio verso di me, una mano sulla mia guancia, le sue labbra improvvisamente sulle mie.
Si sedette comodamente sul letto ed io mi sistemai a cavalcioni su di lui, scalciando le coperte. Entrambi avevamo bisogno di quel bacio, si sentiva dallo schiocco delle nostre bocche, dal respiro affannato, dalle mani che si cercavano, si trovavano, si lasciavano per raggiungere nuovi orizzonti. Avevamo bisogno di sapere che ci volevamo a vicenda, che ci eravamo mentiti a vicenda, che ci eravamo separati a vicenda.
Non potevamo. Volevamo. Dovevamo.
Non ci importava della cautela, della dolcezza, quanto ad un uomo nel deserto non importa di bere lentamente l'acqua: la vuole tutta e subito, la sete scaccia via ogni premura, ogni accortezza, c'è solo il desiderio che quella sensazione non finisca mai. E noi non volevamo che finisse mai, non volevamo staccarci l'uno dall'altro, non volevamo perderci. Perché nel profondo c'era anche quella paura: la paura di lasciarsi andare e non trovarsi più, di sparire, che quel bacio sparisse e si nascondesse nei cassetti più remoti della nostra memoria, tra gli angoli bui di quella stanza, e non uscisse più. E non tornasse più.
Infine, quando restammo senza fiato, ci guardammo negli occhi e ci accarezzammo un poco: lui ancora mi teneva stretta a sé, le braccia attorno a me ed una mano attorno all'altro polso, mentre io gli sfioravo i sottili e cortissimi peli di una barba bionda di un paio di giorni che gli spuntava attorno alla mascella.
«Come ha fatto una creatura come te a finire tra le braccia di un bastardo?» sussurrò Dylan.
«I miei genitori» risposi scuotendo la testa.
«Io non ti conosco bene come può conoscerti la tua amica Helena, o tua madre, ma vedendoti posso dirti che meriti di essere toccata come non ti lasceresti mai toccare dal tuo ragazzo. Di essere baciata in ogni punto che lui non può raggiungere ed essere portata dove lui non potrebbe mai portarti.»
«E dove sarebbe questo posto?» chiesi in un sussurro tremante.
Portò un dito alle mie labbra schiuse e sussurrò «Qui», come poi fece lungo il mio collo, tra i miei seni al di sopra della maglietta, poi allargando la mano sulla mia pancia e poi in mezzo alle gambe, al di sopra degli slip. «Qui» terminò sulla mia bocca, prima che io mi movessi involontariamente contro di lui.
Non ero vergine, avevo già provato il sesso, ma Dylan aveva un je ne sais quoi che mi accendeva e mi infiammava ed io bruciavo vicino a lui, vicino a lui io risplendevo ed illuminavo l'intera notte perché lui riusciva a portarmi in quel posto dove io stavo bene, dove a me mancava il fiato e batteva il cuore, mi portava in quel posto esattamente dove le nostre bocche si toccavano ed in cui esplodeva l'universo ed io nascevo in un sorriso ed ero accecata da lui.
«Sei già bagnata, principessa» sussurrò ed io me ne vergognai, arrossendo.
A salvarmi fu il mio telefono, che squillò insistentemente dalla mia borsa, sistemata all'attaccapanni dietro la porta. Quasi corsi ad afferrarlo pur di allontanarmi da Dylan e riacquistare un minimo di lucidità.
«Helena, ciao» risposi.
«Chiquita so che sei da Dylan, ma tua madre ti cercava. Le ho detto che sei da me, ma vuole che ti riporti a casa, quindi vengo a prenderti tra dieci minuti, se ce la fai a non farti scopare ed essere pronta per allora.»
«Okay, okay, mi preparo. Grazie di tutto, sei un'amica.»
«No, io sono la amica, tesoro» si vantò. «Bye.»
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