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Ero pronta: mi ero vestita, truccata ed acconciata. Tyler ed Helena mi avevano dato un passaggio ed ormai eravamo dentro, con le luci stroboscopiche che ci picchiavano in faccia, il sudore che ci attaccava i capelli dietro al collo, i piedi dolenti per i tacchi che picchiavano a terra mentre i fianchi ondeggiavano e la gola accaldata per l'alcool e le canzoni gridate senza saperne una parola. Ad un certo punto accusai del caldo e della stanchezza e sentii la testa girare, iniziando a vedere sfocato. Tentai di concentrarmi sul volto di Helena, ma la luce viola e verde che andava e veniva sulle sue guance non faceva altro che aumentare il mio disorientamento, perciò mi armai di tutte le ultime forze rimaste ed uscii in fretta dal locale.
L'aria fredda della notte mi investì, facendomi gelare il sudore addosso e facendomi gonfiare i capelli dall'umidità. Respirai a pieni polmoni con un groppo in gola. La brezza mi si bloccava in mezzo all'esofago come un grumo d'ossigeno ed io non riuscivo a mandare giù un respiro che fosse uno. Non puoi dimenticarti come si fa, mi ripetevo come un mantra, ma non faceva altro che farmi formare un grosso mal di testa in piena tempia. Buttai fuori l'aria dalle narici e restai in apnea per un attimo, restando concentrata sullo sfarfallio del lampione sul marciapiede opposto per non cadere dalla giostra su cui mi trovavo. E tutto girava e si appannava come il finestrino di un'auto in corsa con la pioggia... Ma dove stavo andando?
La verità è che non mi ero mossa di un millimetro, se non ciondolando avanti e indietro, o sarei caduta davvero ed il buttafuori di fronte alla discoteca, lo stesso che mi aveva porto il biglietto del locale per entrare e registrare il costo dell'armadio e delle eventuali bevute analcoliche, lo stesso che mi aveva chiesto se sarei rientrata, una volta uscita, sarebbe stato costretto a rialzarmi, o a chiamare i miei amici, o addirittura i miei genitori, per rimandarmi a casa accusandomi di essere totalmente ubriaca, anche se minorenne ed anche se io avrei retto benissimo una bottiglia di birra, se non fosse stato per tutto il caos là dentro.
Improvvisamente mi sentii prendere per le spalle ed un paio di occhi cerulei mi si piazzarono davanti, ad un millimetro da me. «Quanto diavolo hai bevuto?»
«Pochino, in realtà» biascicai.
«Pochino quanto? Sei completamente ubriaca, per l'amor del Cielo.»
«Prima dice "diavolo"» borbottai. «Poi "per l'amor del Cielo". Dovrebbe darsi una mossa a scegliere da che parte stare, la vita è breve. Aspetta, io questa cosa l'ho già sentita. Chi me lo ha detto?»
«Sì, sei completamente andata» sussurrò Dylan.
«No, non "sei completamente andata", ho già sentito "la vita è breve". Oh, senti? L'ho sentito di nuovo.»
«Principessina, sei tu a dirlo» mi mormorò con un sorriso complice.
«Mi piace quando mi chiami "principessina"» ammisi.
«Smettila» mi ammonì.
«Lo hai detto tu che ci potrebbe essere qualcosa tra noi, no? In realtà non potrebbe, perché io dovrei sposare Robert, ma tu mi piaci quindi sì, potrebbe. Anche se non mi ricordo cosa, potrebbe. Sì.»
«Smettila» ripeté.
«Io ti piaccio» affermai con aria cospiratoria.
«Candice» mi richiamò.
«È il mio nome! Ma sai, detto da te suona molto più sexy.»
«Al diavolo» borbottò, prima di prendermi il viso tra le mani e baciarmi.
Non capii perché lo stesse facendo, semplicemente perché ero ubriaca. Non capivo perché sospirasse piacevolmente sulla mia bocca, né perché sembrasse cercare con urgenza i miei capelli con una mano ed il mio fianco con l'altra. Fatto sta che quando fui completamente spalmata su di lui, totalmente a contatto con lui, gli avvolsi le braccia attorno al collo. Anche stavolta, come la sera prima con Henry Hatcher, non ci fu nulla. Però alla fine anche io sospirai beatamente sulla bocca di Dylan. Forse perché entrambi avevamo aspettato quel momento dal primo istante che ci eravamo visti.
Helena uscì per controllare che stessi bene e si schiarì la voce a braccia incrociate e con il sorrisetto di chi la sa lunga. «Io...» iniziò, alzando le sopracciglia e abbassando lo sguardo. «No, okay, continuate quello che stavate...» esitò. «Facendo
Quando fu tornata dentro, scuotendo la testa come una ragazzina soddisfatta, io volsi lo sguardo verso Dylan con occhi da cerbiatta, o almeno, quello era l'effetto che avrei voluto ottenere, ma probabilmente sarei sembrata solo una psicopatica con gli occhi fuori dalle orbite. Fatto sta che lui sospirò e mi portò un braccio attorno alle spalle, prima di lasciarmi un bacio sulla fronte.
«Ti riporto a casa. Dammi il numero del tuo armadietto, vado a prendere le tue cose e avverto la tua amica.»
Feci come disse, ma, mentre camminava verso l'entrata del locale, lo richiamai con voce flebile: «Dylan...»
L'ultima cosa che vidi, prima del buio più assoluto, era lui che mi correva incontro mentre l'asfalto del marciapiede si faceva sempre più vicino.

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