27

Come da previsione di Louis, la serata fu una noia totale. Tentai di rallegrarmi con il vino, ma era di una gradazione alcolica troppo bassa perché potessi arrivare ubriaca alla fine. Si susseguirono le portate ed i beni all'asta, i discorsi senza senso dei milionari e quelli moralisti di chi probabilmente si trovava in quella stanza per sbaglio. Io e Dylan non ci rivolgemmo la parola, visto e considerato che sentivo il costante sguardo di Robert addosso, dal tavolo di fronte.
Alla fine in molti si alzarono a ballare un lento e Dylan mi porse la mano, offrendomi di fare due passi. Lanciai uno sguardo omicida al mio futuro marito ed accettai volentieri. Andammo nell'atrio dell'edificio e ci sedemmo in un angolo appartato su un divanetto in pelle nera.
Accavallai le gambe e mi sistemai il vestito, consapevole dello sguardo di Dylan su di me. «Così mi consumi» mormorai.
«È che sei più bella del solito.»
«Io voglio sapere cosa intendevi l'altro giorno.»
Sospirò e si alzò, ma solo per risedersi sul tavolino in vetro di fronte a me. «Secondo te cosa intendevo?»
«Non importa quello che penso io, ma quello che pensi tu» replicai. «Dimmi cosa ti passa per la testa, una volta ogni tanto.»
«Non è quello che mi passa per la testa, il problema. Il problema è quello che mi passa per il cuore, Candice. E nel mio cuore ci sei tu. L'unica donna che amo è quella che non posso avere» sbottò.
«Quindi... Tu mi ami?» esitai.
«Certo che ti amo» sospirò ancora. «Dimmi che lo capisci, che ho dovuto farti credere il contrario. Almeno ho dovuto provarci, a farti cambiare idea.»
«Sono una a cui è difficile, far cambiare idea» ribattei, risoluta.
«Me ne sono reso conto» rispose con un sorriso.
Non avevo avuto l'occasione di guardare bene Dylan, ma quella sera dovevo ammettere che era bello da far perdere la testa: il gilet bianco gli stringeva il petto e la camicia dello stesso colore le braccia; i pantaloni grigi gli cadevano perfettamente sui mocassini. Ed i capelli, tra cui stava passando le dita proprio in quel momento, erano più attraenti del solito.
Mi alzai per piazzarmi di fronte a lui, che mi posò le grandi mani sui fianchi, allargando le gambe. «Non potrei nemmeno sfiorarti con lo sguardo, Candice» sussurrò, evidentemente in difficoltà.
«E chi ha parlato di sguardi?» risposi, prima di abbassarmi, aggrappata alle sue spalle, per baciarlo.
Mi strinse forte la vita ed io sentii tutto il suo desiderio di strapparmi via quel maledetto vestito.
«No, Candice, no» mi fermò. «Non possiamo. Io...» Mi arpionò con le sue dita a denti stretti. «Odio non poterti dire quanto ti amo. Odio non poterti stringere e togliere questo vestito, non poterti far gridare il mio nome tutta la notte. Odio non poterti dire che sono geloso di tutti quelli che stasera hanno messo gli occhi su questa scollatura senza chiedere il permesso, non poterti rivendicare, non poter dire che questo corpo è mio, questi seni sono miei, questo sedere è mio. Odio non poter dire che sei mia. Odio non poterti baciare e fare l'amore con te. Ma non posso fare nessuna di queste cose» concluse ad un palmo di mano dalle mie labbra.
«Sei geloso di me?» chiesi con un sorrisetto complice.
«Oh, Candice,» sussurrò, «così geloso che ti sbatterei sul letto e ti sculaccerei per aver indossato questo vestito.» Infilò un dito nella scollatura e la tirò leggermente per costringermi a stargli più vicino. «Ti prenderei da dietro per farti urlare forte il mio nome e far capire a tutti che solo io posso farti arrivare dove tu vuoi essere portata: all'estasi dei sensi.»
«Io sto aspettando, Sir» mormorai, a corto di fiato.
«Così mi tortura, Milady» rispose. «Ma non cederò alle sue avance. Continuerò a dirle tutte le sconcerie che le farei sotto le coperte per farla bagnare e sognare di avere le mie dita dentro di lei, stanotte.»
«Vuole sapere un segreto?» Usare un tono formale iniziava a piacermi, era come un gioco a cui mi piaceva giocare, rendeva l'atmosfera un po' più pesante, più calda. Avvicinai le labbra al suo orecchio e sussurrai, tanto flebilmente da credere di averlo solo pensato: «Io la notte sogno qualcos'altro di tuo, dentro di me.»
Si arrese ad abbandonare la bocca sulla mia spalla con un grugnito frustrato, una mano che cercava freneticamente il mio corpo. «Così mi uccidi» borbottò.
Gli lasciai un bacio sul collo, prima di voltarmi per andarmene. Dylan ovviamente non aveva alcuna intenzione di arrendersi e ne aveva tutte le ragioni. Quella uscita di senno ero io e avrei dovuto imparare a darmi un contegno. Non appena ebbi fatto un passo avanti Dylan mi schiaffeggiò il sedere ed io lo guardai, sorpresa.
«Scusa,» disse, stringendosi nelle spalle, «non ho resistito.»
«Ti prego, baciami» sussurrai. Detestavo essere così dannatamente vulnerabile, dimostrarmi così succube e disperata, ma lui mi mancava troppo ed io avevo bisogno di lui come dell'ossigeno.
Fortunatamente, Dylan non se lo fece ripetere due volte: perse il proprio contegno, si alzò di scatto e premette le labbra sulle mie, entrambe le mani sul mio volto. Io cercai il suo calore facendo passare le dita sotto il gilet, mentre lui mi spinse contro il muro di vetro alle mie spalle.
«Ti amo» mi disse sulle mie labbra ed io esplosi di gioia al sapere che, stavolta, era stato lui il primo a dirlo.
«Ti amo anche io» risposi con un sorriso.
Sentimmo dei passi alle nostre spalle e delle voci maschili, perciò ci affrettammo ad allontanarci l'uno dall'altra. Vidi mio padre e quello di Dylan che confabulavano tra loro, perciò decisi di andare nella direzione opposta alla loro, verso l'ascensore.
Quando questo si aprì ed io e Dylan vi entrammo, vi trovammo Robert a braccia conserte. Avevo l'impressione, insomma, che fosse destino che quella sera mi cacciassi in almeno un guaio.

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