25

Dopo cena aprii la finestra della mia stanza, scavalcai il davanzale ed uscii per sedermi sulle scale antincendio con gli auricolari nelle orecchie. Restai così per ore, appoggiata al muro esterno a guardare le stelle con la musica in sottofondo, finché una figura a me familiare non entrò nel mio vialetto.
«Sono passato di qua tutte le sere, ma non ti ho mai vista lassù» mi informò Dylan.
«Io non ti ho mai visto laggiù» replicai. «Che ci fai qui?»
«Quello che faccio tutte le sere, da quella notte in cui te ne sei andata sotto la pioggia: controllo che tu stia bene.»
«E cos'hai scoperto?»
Salì le scale e si fermò un paio di scalini sotto di me per essere alla mia altezza, nonostante io fossi seduta. «Che stai come sto io: di merda. Ho scoperto che io e te non possiamo stare lontani. È troppo dura, è troppo triste. E noi siamo troppo soli, troppo feriti, troppo rotti per stare lontani da chi, come noi, ha delle crepe irreparabili dentro al cuore.»
«Tu hai creato quelle crepe, Dylan. Dicendomi che non mi ami» gli feci notare.
«Adesso sarebbe tutta colpa mia?» si irritò, prima di voltarsi dall'altra parte per sbuffare una risata chiaramente ironica.
«Stai per caso insinuando che sia colpa mia?»
«Affatto, Candice. Solo pensavo che avresti capito la differenza tra chi ti fa del male per proteggerti e chi te lo fa per ferirti. Perché io ti ho mentito per tenerti lontana da me, per non farti rischiare, mentre Robert ti ha minacciata e costretta a fare sesso con lui, ma quello che ti ha ferita a quanto pare sono solo io.»
«Che intendi con "Ti ho mentito per tenerti lontana da me"?» indagai e, quando lui si accorse di averlo detto, la sua espressione si indurì e si affrettò a rispondere: «Niente.»
«Dylan...»
«Niente, Candice» mi interruppe. «Fatti gli affari tuoi, per una volta.»
«"Fatti gli affari tuoi"» ripetei, indignata. «Grazie mille, Dylan.» Mi alzai di scatto per tornare dentro.
«Candice» mi chiamò lui, pentito, ma io avevo già scavalcato il davanzale della finestra, finendo sulla mia scrivania, ed ero scesa.
«No, va bene così. Mi farò gli affari miei. Addio, Dylan.»
Stavo per chiudere la finestra, quando lui mi chiamò "principessa". Facendo due conti, era da tanto tempo che non sentivo quella parola pronunciata da lui. Da troppo tempo. Mi era mancato, devo ammetterlo; però ero troppo orgogliosa e, in quel momento, troppo arrabbiata e delusa per soffermarmi a pensarci più di tanto.
«Vaffanculo» conclusi, prima di chiudere finalmente gli infissi e prepararmi per andare a dormire.

¤ ¤ ¤

«"Fatti gli affari tuoi", mi ha detto» finii di raccontare ad Helena, il giorno dopo, da Macy's. «Sono affari miei, brutto idiota! Avrò il diritto di sapere cosa pensa di me, quali sono le sue intenzioni con me... no?»
«Assolutamente sì» mi assecondò la mia amica, salendo sulle scale mobili. «Secondo me dovresti lasciar perdere, Candice. Allontanati il più possibile da lui, o continuerà a farti solo del male.»
«Non riesco a togliermi dalla testa le sue parole. "Ti ho mentito per tenerti lontana da me", ha detto. Chissà cosa intendeva.»
«Non darti false speranze, tesoro. Magari adesso pensi che ti ami solo per quella frase, poi magari vieni a scoprire che non è così e ti farà ancora più male. La speranza è una stronza proprio perché è l'ultima a morire e più la alimenti, più sarà la prima ad ucciderti.»
Annuii, poco convinta, e la seguii in un negozio senza nemmeno controllare l'insegna. «Come faccio a scoprire cosa intendesse?» insistetti.
«Parlagli alla cena di beneficenza di sabato» suggerì.
«Sabato ci sarà una cena di beneficenza?»
«Tu sei proprio con la testa tra le nuvole, in questi giorni. Mi sembra di avertene parlato più volte, la settimana scorsa.»
«Scusa» mormorai in imbarazzo.
«Va tutto bene, Candice. Ora smettiamola di parlare di Dylan e divertiamoci a fare shopping come abbiamo sempre fatto, ti va?»
Capivo benissimo che Helena si fosse stancata dei miei continui lamenti e dilemmi riguardo a Dylan. In fondo, non esisteva solo lui, al mondo, ed io avevo davvero bisogno di una tranquilla giornata tra ragazze, quindi annuii con entusiasmo.
Passammo il pomeriggio a vagare tra i negozi e cercai anche qualcosa da indossare quel sabato, perché non ricordavo di avere niente di adatto ad una cena di beneficenza, nell'armadio. Che ci si creda o no, Candice Neil, la figlia di uno dei più grandi produttori di abbigliamento di New York, nonché di un grande attivista nei Paesi in via di sviluppo, non era mai stata ad un evento di beneficenza. Non sapevo nemmeno cosa avremmo fatto, né se avessi dovuto organizzare qualcosa in particolare. Mia madre non mi aveva mai fatto partecipare a nessun evento di quel genere e solo adesso iniziavo a chiedermene il perché.
«È bello, Candice» mi rassicurò la mia amica mentre mi provavo un abito da sera rosa cipria lungo, dal corpetto in paillette in oro rosa e la gonna in tulle, la scollatura a V profonda e la schiena scoperta. «Sei un incanto.»
«Ma è un abito da questo genere di cose?» le chiesi, sempre più insicura.
«Certo che lo è! A questi eventi le donne finiscono per mettersi abiti così spudorati che la paura che una cena di beneficenza si trasformi in un bordello rende l'atmosfera molto pesante. Ora che ci penso, forse dovresti metterci sopra una giacca, magari un bel bolero.» Sgranai gli occhi ed Helena scoppiò a ridere. «Ti sto prendendo in giro, Candice.»
«Ti odio» borbottai, prima di rientrare in camerino per cambiarmi.

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