22
«Noi per caso ci siamo già visti?» chiesi a Jaime dopo essere riuscita ad impalcare una conversazione con lui nella sua cucina per un po'.
«Nel caso, non ne ho memoria» rispose, prima di versarsi un bicchiere di vodka e portarselo alle labbra.
Sapevo di essermi ripromessa di non bere, però lo imitai, provocandogli un guizzo divertito nello sguardo.
«Sei la prima persona che mi si è avvicinata senza pregiudizi dai tempi del carcere» mi confidò.
«Non mi sono mai piaciuti i pregiudizi.»
«E le persone cambiano, no?»
«Esatto, insomma, non credo ti avrebbero rilasciato se tu continuassi ad agg... Scusa, no, è indelicato. Mi dispiace, non volevo dirlo così» mi corressi.
«Non preoccuparti, ne ho sentite di peggio.»
«Posso chiederti... Perché lo hai fatto?» gli domandai con voce flebile.
«Ho sempre avuto un debole per le belle ragazze e Kathryn... Ah, Kathryn...» Sospirò come se il ricordo gli provocasse piacere. «Aveva certi capelli lunghi, bruni ed invitanti... E la pelle bronzea e liscia... E quelle gambe tra cui mi immaginavo ogni notte... Ho sempre avuto una cotta per quella ragazza.»
«Non credo sia un motivo per...»
«Lo so» mi interruppe. «Eravamo usciti a cena, quella sera. Era stata tanto carina da accettare il mio invito. L'avevo baciata e lei aveva ricambiato. Onestamente non capisco cosa sia andato storto, so solo che è scattato qualcosa nella mia testa, continuavo a pensare "devo averla". Ma quando ho provato a toccarla più intimamente lei si è rifiutata e quella cosa nella mia testa è uscita di senno.» Doveva essersi accorto di qualcosa nel mio sguardo incuriosito, perché si riscosse e si passò nervosamente una mano tra i capelli. «Mi dispiace, raccontata così è orribile, sembro uno psicopatico.»
«No» sussurrai, incantata. «È interessante sentire un'altra versione della storia. La tua versione.»
«Nessuno vuole sentire la versione di un maniaco sessuale.»
«Io sì» replicai, gli occhi nei suoi.
Lui distolse lo sguardo, quasi in imbarazzo, e vide qualcosa che gli fece cambiare umore, tanto da farmi voltare nella direzione in cui stava guardando. E ciò che vidi mi attanagliò lo stomaco: Dylan Brooks, in una camicia bianca che gli stringeva i bicipiti, con la mano attorno al fianco di una ragazza che non ero io mentre questa gli si muoveva contro in modo sensuale, a ritmo di musica.
Sospirai ed abbassai lo sguardo, tentando di non farmi colpire più di tanto da quella scena.
«È brutto come qualcuno possa buttarti via come se niente fosse, non è vero?» disse distratto Jaime, al che annuii in modo altrettanto distratto. «Soprattutto se rottami una Lamborghini per guidare un Maggiolino.»
Ridacchiai e mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, arrossendo. «A chi ti riferisci?»
«Non è ovvio?» rispose con un sorriso furbo. «Ti va di andare di sopra, a parlare? C'è più calma.»
Forse non avrei dovuto accettare. In fondo, quando ad una festa qualcuno ti chiede di andare al piano di sopra non ha alcuna buona intenzione se non quella di portarti a letto. Ed Helena mi aveva vivamente sconsigliata di fidarmi del comportamento di Jaime sotto le lenzuola. A sfavore c'era pure il fatto che io non ero affatto il tipo di ragazza che va con il primo che le dice una carineria, in particolare non dopo aver sofferto così tanto per un altro ragazzo. Però vedere Dylan ad un passo da me, con quella ragazza addosso, mi fece mettere da parte la coscienza.
«Certo» risposi quindi, prima di alzarmi.
Salimmo le scale ed entrammo in quella che presunsi essere la sua camera. Ci sedemmo sul letto, l'uno ad un passo dall'altra, ma ciò che seguì fu un silenzio che, onestamente, non mi ero aspettata. D'altra parte, di cosa avremmo mai dovuto parlare di così importante da rintanarci nella sua stanza?
«Mi ricordi lei» mormorò poi Jaime, d'improvviso. Mi accarezzò i capelli come inibito da essi mentre io ero sempre più confusa.
«Chi?» gli chiesi, ma lui mi ignorò, perché premette le labbra sulle mie.
Non sapevo come comportarmi, insomma, Jaime McMurray era uno dei ragazzi più carini che avessi mai conosciuto, e si era persino rivelato simpatico, ma giustificava il fatto che ci stessimo baciando e che a me non dispiacesse affatto? Mentre Dylan era al piano di sotto a fare da palo da lap dance a quella ragazza, io ero autorizzata a baciare Jaime? Non per il mio cuore e di certo non per il mio cervello, che ad ogni secondo che passavo in quella stanza continuava a ripetermi "Non è Dylan". No, non era affatto Dylan, perché io e Dylan avevamo chiuso, lui non mi amava, lui era là sotto a fare chissà cosa con un'altra. Ed io ero lassù.
E poi ero laggiù. Jaime mi spinse con la schiena contro il suo materasso, mentre io realizzavo lentamente, troppo lentamente, a causa dell'alcol, ciò che stava succedendo.
«No» tentai di spingerlo via mentre mi sfilava languidamente gli slip, la bocca sul mio seno. Mi sentivo debole, la mia voce era flebile, le forze mi stavano abbandonando nel momento peggiore. Tentai di nuovo di far pressione sulle sue spalle, ma sentivo le braccia molli, deboli. «No» tentai di ripetere. «Basta.»
E d'un tratto fui libera. Tornai a respirare e mi resi conto solo allora di aver trattenuto il fiato. Non capii a pieno ciò che era successo finché non vidi Jaime steso a terra che si teneva la mascella e Dylan che mi aiutava a ricompormi con le nocche arrossate.
«Forza, principessa, andiamo via» mi incitò, mentre scendevamo le scale.
«Grazie» sussurrai una volta nella sua macchina.
«Sei un'idiota» sbottò. «Come ti è saltato in mente di fidarti di Jaime McMurray? Quello è stato dentro per aggressione, Candice, ha il cervello fuso, come vede una bruna pensa a Kathryn Symonds e le salta addosso! Io... Non ci sarò sempre, e vedere che in un giorno senza di me sei quasi stata violentata non mi rassicura affatto, sai?»
«Scusa se magari ti ho scomodato dal tuo piccolo impegno con quella biondina, per caso non aveva finito di spalmarsi su di te?» mi offesi. Non era vero che non sapevo badare a me stessa e, comunque, non era vero che non riuscivo a stare lontana da lui per più di un giorno. Ci ero stata per diciassette anni, senza di lui, avrei potuto farlo ancora, o almeno così credevo.
«Tu vedi solo quello che vuoi vedere, Candice.»
«Cos'avrei dovuto vedere, sentiamo?»
«Forse che ti ho tenuta d'occhio da quando sei arrivata?» si innervosì. «Ti presenti a una festa conciata a quel modo aspettandoti che i ragazzi tengano le mani a posto? Io... Non so più che fare, con te.»
«Forse non avresti dovuto lasciarmi» azzardai.
Si voltò finalmente verso di me, facendomi venire le lacrime agli occhi. Già mi mancava sentire quello sguardo ceruleo su di me, le sue dita lisce ed affusolate sulle mie curve, le sue labbra sulle labbra mie. Ed era così bello averlo vicino, tanto quanto straziante mi risultava non poterlo toccare.
«Hai ragione» rispose, confondendomi.
Premette delicatamente le labbra sulle mie ed io mi sentii levitare, in estasi. Quando, purtroppo, si separò, il mio cuore scricchiolò. Avrei dovuto immaginarlo, dannazione, che fosse il suono del suo sgretolamento. Il suono delle crepe che vi si stavano formando prima della rottura.
«Ma non posso farti del male, principessa. Non posso più» aggiunse Dylan, aumentando il peso sul mio petto. «Meriti qualcuno che ti ami.»
«È inutile avere qualcuno che mi ama quando amo te» replicai.
«Io però non sono né degno del tuo amore, né tanto gentile da ricambiarlo.»
Se ci fosse stata anche solo una minima possibilità che io avessi frainteso, quella mattina nel monolocale, ora ogni dubbio era stato fugato: Dylan mi aveva appena detto chiaro e tondo che non mi amava. Punto. Non c'era nient'altro da dire né da fare. Per questo, senza dire una parola, uscii dalla sua macchina, sbattei la portiera e mi avviai a piedi per la strada di casa.
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