21
«Avevi ragione,» mi confidai con Helena il mattino dopo a scuola, «lui non mi ama. Mi sento così stupida, adesso.»
«Sta' tranquilla, lui non ama nessuno.» Mi posò una mano sulla spalla in segno di conforto. «Sai che ti ci vuole? Una bella festa. C'è un giocatore di football, Jaime, che ne organizza una stasera.»
«Chi diavolo organizza una festa il giovedì sera?»
«Un giocatore di football con la casa libera e un debole per le belle ragazze» mi rispose una voce maschile alle mie spalle.
Voltandomi vidi un ragazzo alto dalle spalle non troppo larghe come il resto della squadra della scuola. Attorno al mento pallido aveva un accenno di barba bionda e gli occhi azzurri e freddi come i Poli mi scrutavano dall'ombra del ciuffo liscio e castano. Aveva l'aria del ragazzo pericoloso, con il sorriso arrogante sulle labbra, eppure aveva un'aria così familiare, per me, che mi convinse che nascondesse qualcos'altro, qualcosa di meno tenebroso.
«Allora, stasera verrai?» mi chiese.
«Io?» balbettai.
«Te l'ho detto, ho un debole per le belle ragazze.»
«Allora non posso mancare, suppongo» esitai.
«Ci saremo» confermò Helena con un sorriso furbo.
«Porta anche Tyler, Topolina» le rispose Jaime con lo stesso sguardo, prima di andarsene.
«"Topolina"?» ripetei verso la mia amica. «Non dirmi che fai le cose a tre con Tyler e Jaime McMurray!»
«Ma cosa dici?!» si sconvolse lei, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta. «Tu sei fuori di cervello. Secondo te decido di farlo con uno che è stato in carcere per aggressione?»
«Che cosa?» chiesi, aggrottando la fronte. «Ne sei sicura?»
«Sicurissima. Se quella notte non fosse arrivato un poliziotto, che fortunatamente era di pattuglia, chissà cosa sarebbe successo a Kathryn Symonds.»
Avevo sentito parlare di lei, qualche anno prima. Si diceva che fosse stata aggredita in un vicolo e che stesse per essere violentata, se non fosse stato per l'agente che stava passando da quelle parti. L'aggressore fu arrestato e finì in prigione per sei mesi, mentre Kathryn, dopo essersi ripresa dalle ferite, aveva dovuto frequentare uno studio psichiatrico per due anni. Tutti sapevano quella storia, perché tutti i più cari amici di quella ragazza l'avevano fatta spargere per i corridoi con la sua assenza a scuola. Io però non sapevo che il suo aggressore fosse Jaime.
«Quindi siamo sicure di andare a questa festa, stasera?» chiesi a Helena.
«Certo, lui è cambiato, sai? Non aggredisce più le ragazze, solo... Non mi fiderei ad andarci a letto, ecco.»
Annuii, ancora poco sicura, e terminai il mio pranzo.
¤ ¤ ¤
«Smettila di farmi vedere vestiti del genere» rimproverai Helena quella sera stessa.
Eravamo a casa sua e continuava a sostenere che avrei dovuto vestirmi in modo provocante per dimostrare Dio solo sa cosa a Dylan, subito prima di rispondere che non sapeva se lui ci sarebbe stato alla mia domanda: "Ma sei sicura che Dylan ci sarà?". Era la ragazza più incoerente che conoscessi.
«Provane solo uno» insistette.
«Vestirmi come una puttana dovrebbe aiutarmi con Dylan?» sbottai.
«Ehi, sono vestiti miei, quindi vacci piano.»
«Ti metti questi quando devi fare sesso con Tyler?»
«Esatto.»
Sospirai, ma afferrai il primo che mi porse e andai ad indossarlo in bagno. Chiamarlo "vestito" era un'offesa ai vestiti: si trattava di un abito a tubino metallizzato, con collo ad anello, schiena scoperta, corto, troppo corto, ed uno spacco ad ogni gamba. Mentre camminavo e svolazzava mi sentivo troppo scoperta, come una pantera che agitava la coda aspettando che il maschio le saltasse addosso. Ed io odiavo sentirmi così.
«Helena» mi lamentai.
«Cosa? Sei bellissima! E smettila di camminare come se facessi tardi alla maratona. Prenditela con calma, lentamente e ancheggia leggermente, con nonchalance. Sei sexy e sai di esserlo, perciò non rovinare tutto con una camminata alla "fatemi uscire da questo vestito".»
«Veramente tutto quello a cui sto pensando è "fatemi uscire da questo vestito"» replicai.
«Quanto sei delicata» sbuffò. «Metti un paio di sandali da gladiatore col tacco, trucco leggero, arricciati i capelli e sei pronta.»
«Tu sei matta. Io con questo vestito non esco. E non dovresti nemmeno tu.»
Inutile dire che non ci fu modo di opporsi a Helena. Alle undici meno dieci, accompagnate da Tyler, eravamo di fronte all'imponente villa di Jaime, dalle cui finestre si intravedevano le luci a LED viola che aveva impostato per l'occasione, mentre dal retro aleggiava un'aurea celeste che veniva dalla piscina. Le pareti bianche sembravano rimbombare dalla musica ad alto volume, come in un cartone animato.
«Io e te faremo i conti a fine serata, suppongo» borbottai alla mia amica subito prima di suonare il campanello, anche se il portone principale era spalancato.
«Ciao, ragazzi» ci salutò Jaime non appena ci vide. Diede una pacca sulla spalla di Tyler, gesto che non comprendevo, ma in fondo era tipico dei ragazzi e non era previsto che io lo capissi. Mentre lui e la sua ragazza sorpassavano il padrone di casa, quest'ultimo mi rivolse uno sguardo di cui non intuii il genere ed un sorriso. «Mi Lady» mi salutò prima di baciare il dorso della mia mano.
«Hey» risposi in imbarazzo.
«Benvenuta nella mia umile dimora.»
«Di umile questa casa ha solo il gabinetto, immagino» replicai scherzosamente, e fortunatamente lui rise, o io sarei sprofondata ancora più profondamente nel mio rossore.
«Alla mia famiglia sono sempre piaciute le cose in grande» ammiccò, facendomi ridacchiare nervosamente. «Scusa, sono una frana.»
«No, non direi» lo rassicurai.
«Qualcosa da bere?»
«Negli ultimi tempi preferisco restare sobria» rifiutai, ricordandomi che l'ultima volta che mi ero ubriacata mi ero svegliata nel letto di Dylan.
«Come vuoi. Allora ti va di ballare, magari?»
Solo se prometti di non aggredirmi, avrei voluto dire, ma le parole di Helena che mi rassicuravano che lui fosse cambiato mi misero a tacere. In fondo, avevo ancora quella sensazione di familiarità che non sapevo spiegarmi.
«Volentieri» risposi, prima di scacciare le inibizioni, prenderlo per un polso e trascinarlo in pista.
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