2

Quello stesso pomeriggio uscii con la mia migliore amica, Helena, per un giro in centro. Lei era una persona stravagante e indipendente. Sapeva ciò che voleva, ciò che le piaceva, ciò che, invece, detestava. Era determinata e sicura di sé e questo la rendeva attraente agli occhi dei ragazzi. Anche solo vedendola camminare sui tacchi in quel suo modo sciolto e spigliato, o sentendola parlare con quel suo tono deciso e bilanciato, i ragazzi perdevano la testa. Se poi ci aggiungiamo la sua adorazione per i vestiti da capogiro ed il suo fisico modellato come quello di un busto da sartoria, Helena sarebbe potuta risultare la ragazza perfetta con cui stare. Peccato che la bella bionda dalla pelle di creta fosse già occupata con qualcuno, Tyler, un giocatore di football di cui lei era più che soddisfatta, in ogni senso.
Avevo conosciuto Helena in una gita scolastica a Coney Island qualche anno prima semplicemente sedendomici accanto sul bus; scoprimmo di avere gli stessi gusti musicali e gli stessi interessi, poi persino di abitare nella stessa strada del Lower East Side, così tutte le mattine avevo acquisito l'abitudine di passare da casa sua a prenderla per andare a scuola insieme e ci aspettavamo a vicenda all'uscita da scuola per fare la strada di ritorno insieme. Se poi non avevamo praticamente niente da fare nel pomeriggio, a parte studiare, che però non contava, passavamo il tempo a casa dell'una o dell'altra, o prendevamo la metro per il Midtown e facevamo un giro per i negozi. In fondo, le nostre famiglie si somigliavano per benestare e settore di lavoro, perciò era impossibile che si creasse tra noi l'imbarazzo che avrebbe potuto esserci tra qualcuno di Manhattan e qualcuno di, che so, Brooklyn, o anche solo tra Downtown e Uptown. Purtroppo New York City era fatta così, con i suoi grandi squilibri economici a distanza di soli pochi chilometri, a volte a distanza di una sola strada. Il destino sembrava segnato da una linea geografica che divideva gli eterni benestanti e gli sfortunati poveracci che difficilmente sarebbero arrivati al di là di quella linea.
Era proprio al confine di quella linea, tra il Midtown e l'Uptown, che eravamo andate io e Helena. Dopo una seduta dall'estetista, con la pelle liscia come quella di un bambino in fasce che sfregava contro il tessuto dei jeans, ci eravamo dirette da Flying Tiger Copenhagen, un negozio labirintico in cui si trovavano i ninnoli più carini esistenti.
Helena prese un cuscino cervicale cucito ad un cappuccio dalle orecchie a forma di topolino che ricordava molto Minnie e me lo mostrò. «Potrei comprarlo a mia madre per il viaggio a Taiwan.»
«Quand'è che partono, i tuoi?»
«Tra due settimane. Non torneranno fino a maggio.»
«Dura, la vita dell'intermediaria politica internazionale sposata con un professore di economia politica» commentai prendendo un cuscino a forma di labbra giganti. «È carino, no?»
«È quello che hai tra le gambe, per caso?» scherzò.
«Simpatica.» Le lanciai in fronte una pallina pelosa che avevo a portata di mano e lei scoppiò a ridere, prima di accarezzare la copertina piena di paillettes di un quaderno.
«Non ne comprendo l'utilità, ma lo voglio.»
«È la morale con cui devi entrare in questi negozi. È adorabile e non ha il minimo senso? Lo prendo.» Mentre prendevo tra le mani una tavolozza per colori, aggiunsi: «Quanto vorrei saper dipingere.»
Quando alzai lo sguardo, incontrai quello azzurro come l'acqua clorata di Dylan e mi sentii avvampare. Tentai un sorriso, ma lui ripose il manichino snodabile di una mano in legno che aveva sollevato e se ne andò.
«La prossima volta prova a non sbavare, funziona» commentò Helena.
«Ma cosa dici!» esclamai, voltandomi di scatto verso di lei.
«Sai, un ragazzo non si definisce decisamente "attratto" da una ragazza che prima deve essere salvata da uno psicopatico in bagno e poi lo fissa come una maniaca sessuale in un negozio.»
«Io non lo fisso come una maniaca sessuale!»
«Hai ragione, sembra solo che mentre lo guardi ti passi per la testa "Cinquanta sfumature di grigio". Per favore, non farti serie TV pornografiche sulla gente, perché si nota.»
«Io non... Ci rinuncio. Ci rinuncio!» annunciai con le mani in alto.
«Ciao.»
Quella voce. La sua voce. Quella voce che, nonostante la conoscessi da poche ore, mi rimbombava nell'orecchio scandendo ogni secondo. Mi voltai lentamente verso Dylan, che mi guardava con un sorrisetto strafottente e le braccia incrociate.
«Ciao» gracchiai, quindi mi schiarii la voce. «Ciao» ripetei, stavolta con un tono normale.
«Volevo solo chiederti se segui il corso di Matematica del professor Anderson.»
«Sì, perché?»
«Domani mattina puoi portare gli appunti dell'ultima lezione e prestarmeli?»
Sinceramente ero un po' delusa che non avesse altro di cui parlare con me se non degli stupidi appunti di matematica, ma d'altronde immaginavo che quel sorrisetto non avesse alcuna intenzione di parlarmi d'altro e, in fondo, non trovavo un motivo valido per cui avrebbe dovuto fare altrimenti.
«Certo» sussurrai.
Iniziavo a comprendere quanto trasparente fossi agli occhi della gente, perché Dylan, evidentemente mosso da un briciolo di pietà nei confronti dell'ennesima vittima della sua bellezza, mi portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi mormorò un "grazie", al che distolsi lo sguardo, incapace di respirare. Odiavo il modo in cui il mio corpo reagiva ad una tale vicinanza col suo e capii che, forse, ero talmente ingenua da averglielo fatto capire subito. Così ingenua che lui aveva deciso di non parlarmi d'altro, se non degli appunti di matematica.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top