19
«Buongiorno, principessina» mi salutò Dylan il mattino dopo, a scuola, mentre passavo di fronte alla sua moto.
«Hey» sussurrai, senza voce. Il giorno prima avevo pianto troppo per averne.
«Tutto okay, Candice?» mi chiese, prendendomi una mano.
Annuii con lo sguardo basso. Robert passò proprio in quel momento ed io mi allontanai subito di un passo. Quello che... Quello che mi aveva obbligata a fare a casa sua non lo avrei mai detto a nessuno. Nessuno avrebbe mai e poi mai dovuto sapere il modo in cui ero stata umiliata come una concubina dell'antica Grecia. Non il modo in cui ero stata minacciata e poi obbligata, a fare certe cose. Non il modo in cui un uomo può diventare un animale, anzi, una bestia vendicativa e sadica nei confronti di una donna, fiore a cui vengono strappate le spine, plancton in un mare di squali e balene, mentre la barriera corallina diventa inospitale, il corallo perde il suo colore, l'oceano diventa dolce. Ed era così difficile sopravvivere, per una donna, in quel mare di uomini.
«Ti ha fatto qualcosa?» mi chiese serio Dylan, ma io scossi la testa. «Guardami, cazzo» ringhiò, un dito sotto il mio mento per farmi alzare lo sguardo su di lui. Fu allora che vide il piccolo livido sotto l'occhio che avevo vanamente provato a nascondere con il correttore, quello lasciato dallo schiaffo che avevo ricevuto il giorno prima. «No» sussurrò. «Ti prego, dimmi che non ti ha messo le mani addosso.»
«Non mi ha messo le mani addosso» mentii tentando di distogliere lo sguardo.
«Candice, porco...» Si trattenne dal terminare la frase serrando un pugno tra i denti. «Io lo ammazzo. Io lo ammazzo.»
«No, tu non fai proprio niente» lo frenai. «Mi metteresti solo di più nei guai.»
«Dimmi almeno che non ti ha toccata, che non ti ha obbligata a fare niente. Niente che con me non faresti di tua spontanea volontà» mi supplicò con le lacrime agli occhi, ma io non risposi, perché non ce la facevo a mentirgli.
Lui era troppo... Troppo tutto, in quel momento, per fargli del male con una bugia. Era troppo sensibile, troppo dolce, troppo gentile, persino troppo bello, così troppo da far male al cuore, a me che avevo già un cuore da rottamare.
«Io lo ammazzo» ripeté con lo sguardo altrove. Si voltò e tirò un calcio ad un lampione, prima di poggiarvi la fronte.
«Dylan» lo chiamai con voce flebile, facendolo risvegliare da un momentaneo stato di tranche.
«Ti porto via» annunciò. «Non ti faccio stare a meno di un chilometro da quel mostro.»
«Dylan» lo chiamai ancora. Gli presi il volto tra le mani, anche se eravamo in pubblico, perché tanto peggio di così non sarebbe potuta andare. «Lui lo sa, di questo» lo avvisai.
«Non può dirlo a nessuno, Candice, non gli...»
«Ha le prove» lo interruppi. «Di certo non mi farei trattare così da qualcuno se avessi capito che è un bluff, non trovi?»
«Perché farti del male, per l'amor del Cielo?» si disperò. «Cos'ha in quella cazzo di testa?»
«Io...» Scossi la testa, rassegnata. «Non so che fare» ammisi. «Sono con le mani legate.»
«Prega che non ti prenda alla lettera» borbottò lui, mettendosi le dita tra i capelli. Alla fine prese il casco che teneva nel sellino e me lo porse.
«Non posso» rifiutai.
«Principessa, ne ho bisogno» insistette.
«Di cosa?»
«Di farti vedere come si tratta una donna.»
Afferrai il casco con esitazione e lasciai che me lo allacciasse sotto il mento. Lasciai che mi aiutasse a salire sulla sua moto e lasciai che mi portasse al suo monolocale, che ormai era un po' il nostro posto. Lì non avevo più paura. Non avevo paura di Robert, né di mio padre, perché ero con Dylan e solo con Dylan, che mi tolse i vestiti gentilmente e si sottomise totalmente a me senza chiedere nulla in cambio. Mi baciò ogni millimetro di corpo a partire dalla punta dei piedi e si soffermò tra le mie gambe, quando la sola visione del suo volto che si nascondeva tra le pieghe della mia intimità mi faceva stare bene. E non facemmo sesso, né tantomeno l'amore, niente del genere. Semplicemente sostò sui punti più sensibili del mio corpo con la sua bocca e le sue mani e fu come se ci stessimo abbandonando l'uno all'altra, lui per servire me ed io per godermi i suoi servigi. Era il primo uomo che mi avesse mai trattata come una divinità ed era il primo a sembrare di sacrificarsi per la sua dea. Perché sì, quella visione celestiale, di quella schiena alata che si contraeva mentre le braccia di muovevano per accarezzarmi, di quelle labbra lucide di me e quegli occhi lucidi di noi, non ritraevano davanti a me un ragazzo, ma un uomo, un uomo bellissimo in tutto e per tutto, che era lì per me, in tutto e per tutto.
Ed alla fine mi tenne tra le braccia, appagata, coccolandomi con i suoi baci e le sue carezze, sotto le coperte, ed io mi sentii amata come mai prima di allora. E fu proprio all'apice della mia salita che iniziò la ripida discesa che ridusse il mio cuore ad un mucchio di briciole. Quando dissi a Dylan un flebile "ti amo" a cui non ricevetti alcuna risposta.
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