Capitolo II: Kranhos-Nann - Parte 1

GIORNO PRIMO DEL TREDICESIMO TAY, RHYN 127 DEL CINQUANTESIMO EONE DALL'AVVENTO DEGLI ARCANI.

I Due Soli comparvero all'orizzonte d'Occidente.

Tra le nebbie vermiglie della notte, Mywuha era già sveglio da tempo.

Osservava i punti in cui il Kranhos-Nann, il Bianco Manto delle terre di Ifherarg, si estendeva e dilatava: da nord-est fino al centro di quelle terre la catena montuosa si sviluppava quasi rettilinea per poi deviare improvvisamente verso il gelido nord e piegarsi come un arco ad ovest, terminando in chissà quale territorio sconosciuto oltre i confini del mondo.

Le vette, imponenti e ripide, erano ricoperte da ghiacciai dal centro fino alla loro sommità mentre nevi perenni scendono durante tutto l'anno, arrivando alle loro pendici. In quel momento, con il cielo notturno che si espandeva ancora ad Oriente, i gelidi ghiacci dei monti rilucevano di una strana e sinistra colorazione cremisi, sembrando terre cosparse del rosso sangue degli Azharyn della Luce.

Mywuha si trovava appoggiato alla balaustra di un metallo grigio opaco, le braccia incrociate su di essa, la quale, gettandosi a capofitto, delimitava il percorso di una stretta stradina che fiancheggiava il pendio inclinato e scosceso del monte.

Più i due Soli, pigramente, salivano nel cielo e più riusciva a scorgere ciò che si estendeva sul lato nord della catena: neve.

Neve e soltanto neve che si allargava ovunque, in ogni direzione, tingendo di bianco ogni punto.

Cosa ci fosse oltre essa, nessuno era in grado di dirlo, né di sapere quali fossero gli arcani misteri che si celano tuttora al di là di quel candido deserto. Molte le spedizioni partite, ma nessuno aveva fatto mai ritorno per narrare cosa vi fosse nelle Terre Esterne.

"E presto altri sarebbero andati verso l'ignoto e la morte."

Il vento gelido sferzò il volto dal colorito ambrato del giovane principe, su cui si notava un accenno di barba sul mento, sollevando e facendo muovere i lunghi capelli ramati, lasciati sciolti, tranne che per due piccole e sottili trecce ai lati della testa e che scendevano dietro le orecchie. E mentre la neve cominciava, lenta, a cadere sui picchi montuosi, i suoi occhi rosati scrutavano voraci le Bianche Lande.

Mywuha si trovava in quell'inospitale territorio per conto del Tryha Nokha, il re che governava gli Azharyn dello Spazio, nonché suo padre.

Un patto sanciva, ormai da Eoni, una sorta di alleanza tra gli Ejyn e il popolo degli Azharyn della Luce: gli esploratori-guerrieri, con il loro dominio, potevano viaggiare velocemente e con facilità verso remoti territori, per conoscere ogni terra che si celava dietro i muri naturali di Azheran.

"La fame di sapienza degli Ifh sarà la loro stessa rovina. Alla fine si annienteranno con le loro stesse mani. Ma annienteranno anche noi, sfortunatamente..."

Eppure, a voce bassa si sussurrava quanto nelle corti tanto nelle città o nei Consigli, che grandi forze si stavano risvegliando, muovendosi molto più in là delle terre estreme, che si trattasse dell'innevato nord o degli aridi deserti che si estendevano a sud.

Qualcosa si stava alzando, qualcosa che nemmeno i sapienti Signori della Luce sapevano esistere.

Fortunatamente per il principe Mywuha quella forzata ed evidente prigionia, dovuta più a un capriccio del re che a una sua vera colpa, stava per terminare. Dopo quasi un Tay, un mese della durata di cinquanta giorni, sarebbe ritornato nelle Isole di Ejyn-Lha, insieme a tutti gli altri Azharyn dello Spazio che affollavano Synam, la città più a settentrione di tutto il loro Mondo. Venne costruita scavando nella viva roccia nera di uno dei picchi del Kranhos-Nann e si snoda nel suo ventre, collegandone i suoi versanti.

Avrebbero preso parte alla cerimonia del Mywu-Okle, il Giorno delle Luci, quello stesso pomeriggio e il mattino seguente gli Ejyn, di stanziamento nella città, sarebbero nuovamente ritornati per intraprendere le loro attività e prepararsi per un imminente viaggio previsto, mentre il principe sarebbe rimasto nel palazzo.

Mywuha sentì il grande portale, terminante ad arco, che delimitava l'entrata nord della città, scorrere in un lieve fruscio e aprirsi. Voltandosi, notò un uomo camminare sullo stretto passaggio che attraversava il fianco della montagna.

– Come voi piccoli Ejyn riusciate a non sentire questo gelo, lo ignoro. – parlò l'uomo, la voce attutita dal pezzo di stoffa arancio che gli cingeva quasi tutto il viso, lasciando scoperti sono gli occhi dal colore dei ghiacci.

Era più alto del principe, aveva una massiccia muscolatura che s'intravedeva attraverso la folta e calda pelliccia bianca, la quale arrivava fin quasi alle ginocchia del Farwan. I bianchi fiocchi si stavano posando sui capelli violacei e ricci, mentre tra le pieghe del manto, scosso dal vento, si notavano i vestiti dalle sfumature rosso-arancio degli Azharyn del Fuoco.

Mywuha sorrise, scuotendo la testa: effettivamente, dandosi una rapida occhiata, notò che indossava, oltre alla tiara stellata sul capo e ad alcuni ampi bracciali sui polsi, solamente i tipici larghi pantaloni Ejyn, lunghi fino alle caviglie e stretti su di esse. I piedi nudi sfioravano il leggero strato di ghiaccio che si era formato lungo il passaggio.

– Sento il sangue gelarsi nelle vene. – continuò sfregandosi le mani avvolte in guanti di pelliccia, che lasciavano scoperte solo le dita arrossate. Tra di esse piccole fiammelle apparvero.

– Io ignoro il motivo che spinga un Farwan ad arrivare così a nord. – rispose Mywuha lanciando un leggero sguardo all'altro – Oltre alle Gemme della ricca Ifherarg. – aggiunse velocemente.

– Se non è questo il motivo, quale altro potrebbe essere? – abbassò dal viso la stoffa, chiudendosi ancora di più nel caldo manto – Gli Azharyn della Luce pagano bene i mercenari che si spingono oltre le terre del nord e, soprattutto, pagano anticipatamente. Io non ho avuto la fortuna né di nascere principe né di vivere in un territorio migliore dell'arido sud. Ho molti figli, la maggior parte di essi sono troppo piccoli perché tengano in mano un'arma e combattere, o anche solo cacciare per mangiare. Che cosa dovrei fare, lasciarli morire di stenti? –

– Non pensavo che gli Azharyn del Fuoco avessero tutti questi istinti paterni. – disse alzandosi improvvisamente e iniziando a ridere. Al principe Mywuha si aggiunse l'uomo.

– Sei troppo giovane, ragazzo, per capire cosa significhi avere una famiglia sulle spalle.

– Non siamo qui per parlare di questo, Kànamh. – disse l'Azharyn dello Spazio abbassando la voce – Come procedono le cose? Sei riuscito a metterti in contatto con la tua tribù? – lui annuì con forza, facendosi all'improvviso serio.

– Il Tharwan Rohono in persona ha deciso di esserci, insieme a suo fratello Nàhur e alla sua prima moglie. Altri due uomini del Sole Rosso li accompagneranno.

– Sono solamente in cinque? – gridò Mywuha in un impeto d'ira – Ho pagato per avere almeno venti Azharyn del Fuoco! –

– Venti Farwan sono troppi per un'azione del genere. – rispose Kànamh impassibile – In cinque saranno più silenziosi e si muoveranno più velocemente, devi fidarti. –

– Come potrò mettermi in contatto con il tuo Tharwan? – disse l'Ejyn distogliendo lo sguardo dall'altro Azharyn e posandolo nuovamente sul bianco territorio dinanzi a lui.

– Tieni, – il guerriero prese, da una sacca nascosta sotto la pelliccia, un oggetto argenteo dalla forma rotonda – credo che tu sappia come si usi. Parlerai direttamente con lui, quando sarà ora. – Mywuha lo afferrò stringendolo nella sua mano.

La neve intanto continuava a scendere, molto più celere rispetto a prima, il vento ululava e rimbombava tra i monti.

L'uomo, senza aggiungere altro, cominciò ad avviarsi verso il portale d'entrata che, con il solito fruscio, si aprì non appena fu davanti ad esso, inghiottendolo nel caldo cuore della vetta.

Lampi blu avvolsero completamente il principe che si trasportò nella sua camera. Non appena Mywuha mise piede lì dentro, una luce, proveniente da una fascia bianca posta lungo tutto il perimetro alto dei muri, di roccia nera e levigata, invase l'enorme stanzone rettangolare. Era quasi del tutto spoglia e pochi mobili la riempivano, com'è uso tra gli Azharyn della Luce: un tavolo e delle sedie di legno bianco, provenienti dalle sconfinate foreste di Ifherarg, erano addossati al muro; un armadio, dalle pareti trasparenti, poco più in là vicino a un portale ad arco che dava su un bagno privato, il grande letto centrale con le coperte gettate verso il fondo, ancora in disordine. Non erano presenti finestre, al loro posto dei pannelli mostravano immagini del territorio circostante. In quel momento si notava, come stava accadendo realmente fuori, il levarsi dei Soli e la neve che scendeva.

Mywuha lanciò sul tavolo l'oggetto che aveva nella mano e si sedette sul bordo del letto per poi allungarsi di peso sopra di esso. Chiuse un momento gli occhi ma quasi immediatamente un trillo lo fece alzare di scatto. Si portò verso il tavolo, dove, appoggiato, si trovava un altro oggetto circolare grigiastro con il simbolo stellato degli Ejyn in blu. Premette un pulsante al centro e un pannello a ologramma si aprì al di sopra.

– Ahare, sbrigati! – disse il ragazzo nel pannello, mentre richiamava l'attenzione di qualcun altro nella stanza dove si trovava.

Era identico a Mywuha tranne che per la barba ramata più folta. – Finalmente! – affermò la ragazza non appena fu visibile – È da un bel po' che cerchiamo di rintracciarti! Dov'eri finito? – continuò Ahare. Aveva i capelli biondi legati sulla testa e grandi occhi violetti, un sorriso si apriva sulle labbra rosee.

– Ero fuori, sulla via del monte. Ora non sono libero di fare due passi neanche qui?

– Ed io che mi preoccupo anche per te! – rispose lei con un tono indignato. Alzò la testa verso l'alto e mise i pugni sui fianchi. I due ragazzi iniziarono a ridacchiare.

– Talha, dov'è Khar? – chiese Mywuha.

– Dove vuoi che sia tua sorella a quest'ora. Nel suo letto, che dorme. – rispose l'altro ragazzo – Ci sarai alla Cerimonia? –

– Certo che sarò presente. Da oggi la mia prigionia è finita... – Mywuha si fermò un attimo scuotendo il capo – O forse dovrei dire i miei giorni di libertà. Almeno nella città di Synam non ho guardie che mi seguono in ogni momento. –

– Tryha sta degenerando. – affermò Ahare, facendosi seria – Ieri ha punito Talha soltanto perché si era trattenuto, poco oltre il tramonto, nella città sud. –

– Almeno non ti ha spedito immediatamente in questi luoghi!

– L'avrei preferito! Per non vedere la sua faccia! – rispose Talha incrociando le braccia al petto – Hai parlato con quell'uomo? –

– Abbiamo cinque Farwan dalla nostra.

– Solamente cinque? – affermò, quasi irata, Ahare.

– Ha detto di fidarmi e voglio farlo. Tu, piuttosto, come vanno le cose con i Kardet?

– Bene, nonostante siano giorni che non riesco a parlare con Morh. Tuttavia, dall'ultima volta, mi disse che qualcuno c'era.

– Ahare vuole informare Khar di ciò che stiamo per fare, ma io non sono d'accordo. – disse all'improvviso Talha con tono cupo, mentre volgeva lo sguardo verso sua sorella – Voglio tenerla al sicuro, abbiamo pensato di mandarla dal suo Magistro. –

– È un'ottima idea, ne parleremo meglio non appena farò ritorno. – rispose Mywuha, mentre suo fratello annuiva. Dopo di questo, si salutarono e il pannello, spegnendosi, scomparve.

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