La vita è correre, il resto è attesa.
Faccio il primo passo sull'asfalto della pista.
Un boato si leva dalle tribune. Stanno tutti applaudendo, qualcuno si è addirittura alzato in piedi e regge uno striscione. Non posso far altro che alzare la mano e salutarli. Il fragore dei loro applausi diventa ancora più potente. Sorrido e mi dirigo verso la vettura.
La mia macchina, la mia fedelissima compagna.
Dopo tanto tempo e tante disavventure, corriamo ancora insieme. E ogni volta è come la prima.
M'inginocchio accanto all'alettone e passo le dita sul muso appena lucidato.
I meccanici non fanno caso a me. Sono abituati a questa scena che si ripete ad ogni gara. È un rito ripetitivo, a volte anche un po' noioso, ma fa parte della gara tanto quanto noi.
Ѐ come se la mia compagna ed io ci parlassimo, come se con le dita riuscissi a trasmetterle tutta la fiducia che provo nei suoi confronti e tutta la voglia di correre che mi scorre nelle vene.
I rumori mi arrivano ovattati. I battiti frenetici del cuore mi rimbombano nelle orecchie.
Faccio un respiro profondo e tento di svuotare la mente.
La concentrazione e la passione sono le uniche cose che mi servono.
Una mano mi stringe piano la spalla. Non ho bisogno di voltarmi per sapere che è il mio ingegnere di pista: vuole sapere come mi sento. Chino un po' la testa in un blando cenno affermativo.
Apprezzo che non mi parli, che lasci questo silenzio indisturbato. Una domanda, in base al tono della voce, può risultare anche falsa, di circostanza. Una stretta, invece, non può nasconderti nulla. Riesco a sentire le vibrazioni che passano dalla sua mano a me. Sono capace di captare quanto sia orgoglioso e, allo stesso tempo, irrequieto.
Sa meglio di me che ogni gara equivale a un salto nel vuoto. Se qualcosa va storto, nel migliore dei casi perdo la gara, nel peggiore ci lascio le penne.
Eppure la voglia di salire in macchina mi pervade. Il bisogno di sfrecciare a tutta velocità davanti al mondo non mi permetterà mai di tirarmi indietro. Ogni gara potrebbe essere l'ultima, ma il pensiero di morire, come tanti prima di me, mi lascia solo una potente scarica di adrenalina.
Non so quanto tempo sia passato quando decido di rialzarmi.
I meccanici sono pronti ai loro posti e stanno riscaldando le gomme. Cercano di non darlo a vedere, ma sono tesi e mi lanciano sguardi furtivi. Sono passati mesi e mesi dall'ultima volta che sono andato a sbattere contro il muretto fuori dalla pista. Ho vinto e perso diverse gare da quel giorno, eppure non posso ingannare né me stesso né gli altri. Sono agitato, scalpitante. Fra qualche minuto diventerò anche irascibile e scontroso, perché è così che reagisco quando sono sotto pressione: trasformo l'ansia in energia e l'inquietudine in resistenza.
Mi avvicino a loro e mi stampo in volto l'espressione più decisa e rassicurante che riesca a creare.
I meccanici mi lanciano mute occhiate, rimanendo inginocchiati accanto alle gomme.
Vorrei dire loro che sono sempre stato fiero del mio team, che vorrei aver gareggiato sempre con il loro aiuto. Vorrei assicurarli che per me sono amici prima che colleghi. Sono compagni di avventura, rumorosi e disciplinati.
Eppure questo è uno di quei momenti fatidici in cui le parole non servono, tutto può essere detto e intuito con un solo sguardo. Quindi me ne sto zitto, anche se le mie labbra sono ancora socchiuse nel caso ci ripensassi e mi venisse la voglia di sciorinare tutte queste sdolcinatezze che mi sono venute in mente.
L'ingegnere di pista mi appare come un angelo custode, interrompendo il flusso dei mie pensieri.
"Vatti a preparare" mi sussurra, spingendomi verso il box.
Dieci minuti dopo, sono dentro la vettura.
La pista è stata sgombrata, così da poter iniziare il giro di prova.
Ho tre auto davanti a me. In prima posizione c'è l'avversario che più temo. Ѐ il leader del mondiale, ma ha solo una manciata di punti in più di me. Io sono secondo in classifica, il primo dei perdenti.
Ѐ solo la settima gara, i giochi sono aperti. Ho tutto da perdere, ma anche tutto da guadagnare.
Il semaforo diventa verde e cominciamo ad accelerare. Procedo a zig-zag per scaldare le gomme. Quando viro verso destra riesco a intravvedere l'immagine riflessa del mio compagno di squadra sullo specchietto.
Io sono il veterano, quello con maggior esperienza e con più famigliarità con il team e con la pista. Lui è pressoché un ragazzino al mio confronto; è meno esperto, più insicuro e più impulsivo. Si sta dando da fare per entrare dentro questo complicato, ricco e insidioso mondo che è l'automobilismo, ma non è facile. L'esordio è duro quasi per tutti, soprattutto se sei così ricco da comprarti un posto al fianco di uno che si è già fatto le ossa da solo.
Per quanto il mio compagno possa essere impulsivo e avventato, spero vivamente che non perda la lucidità. Mi ricorda me stesso durante il mio anno d'esordio. Ero anch'io così sprezzante del pericolo, o almeno lo sono stato finché non ho distrutto la macchina a Montecarlo. Quella sì che è stata una bella botta!
Da quel giorno non dimentico mai che la Morte corre con noi ad ogni gara. Ella ci osserva, ci gira attorno. Ci scruta con le orbite vuote che sembrano luccicare quando sfioriamo i muretti sul bordo della pista, aspettando il momento giusto per prenderci con sé.
Finisco il giro di prova e mi fermo al mio posto. Quando giro la testa incontro lo sguardo trepidante e ansioso del mio vicino.
La partenza è sicuramente il momento più temuto e più desiderato di tutta la gara. In qualche secondo puoi giocarti tutto. Ѐ l'attimo in cui gli incidenti si moltiplicano, in cui puoi ritrovarti in testa o in fondo al gruppo. Non c'è pilota che non si senta sulle spine in questo momento.
Faccio un paio di respiri profondi e mi sforzo di non tamburellare le dita sul volante.
I semafori si accendono.
Rosso.
La folla esplode per l'eccitazione. Ci sono talmente tante bandiere sventolanti che sembra che gli spalti stiano prendendo vita.
Rosso.
I motori ruggiscono e l'aria si impregna dell'odore acre e familiare dei gas di scarico.
Rosso.
Il mio cuore batte con tanta violenza che quasi mi aspetto che esca dalla tuta.
Rosso.
Stringo talmente tanto il volante che credo di avere le nocche pallide come ossa.
Rosso.
Mi accorgo di star trattenendo il respiro e lo rilascio lentamente. La morsa delle mie mani si attenua.
I semafori si spengono.
Prima che possa battere le palpebre sto già schiacciando il piede contro l'acceleratore. Il paesaggio mi sfreccia accanto, veloce e sfuocato. I miei occhi sono incollati alla macchina che era in seconda posizione e che nel giro di qualche secondo è già dietro di me.
Il leader in pole ha mantenuto la posizione. Ha fatto un'ottima partenza ed è sfrecciato via a una velocità preoccupante.
Mi infilo in seconda posizione e tento di tenere a bada quelli dietro di me.
C'è un lungo rettilineo prima della variante. Do gas, l'accelerazione mi schiaccia sul sedile.
Arrivo alla sesta marcia. Il tachimetro segna oltre trecentododici chilometri all'ora.
Quando arrivo alla variante scalo fino alla seconda e la mia velocità cala drasticamente. Vorrei tenere il piede sull'acceleratore e non staccarlo mai, ma so bene che sarebbe un pazzia.
Percorro la Curva Biassono più veloce che posso.
Il primo sta scappando da me a tutta velocità. Provo a stargli dietro, ma quando sposto gli occhi sugli specchietti noto che altri due piloti mi stanno alle calcagna.
Fortunatamente c'è un altro rettilineo e tento di darmi alla fuga, ma a quanto pare il dio della velocità non mi guarda di buon occhio oggi e me li ritrovo ancora alle spalle quando freno per la Variante della Roggia.
Quello che mi sta dietro non è della mia stessa idea, non frena per niente e taglia dritto. Non capisco perché abbia deciso di essere così avventato.
Me lo ritrovo davanti all'improvviso e inchiodo, girandomi con un testacoda. Lui sbanda leggermente ma si raddrizza e continua la gara, mentre io sono costretto a fare manovra per rigirarmi.
Le altre auto del seguito mi sorpassano e, quando ricomincio a correre, sono già sceso circa a metà classifica.
Il casco attutisce le mie sonore imprecazioni mentre controllo che non ci siano danni. Le ruote sembrano a posto, così come l'alettone. Tiro un mezzo sospiro di sollievo, ma penso di avere la faccia bollente. La rabbia è talmente impetuosa che mi riempie la testa.
Spero che diano a quello scellerato una bella punizione e che lo spediscano almeno al quindicesimo posto. Mi sfugge un'altra maledizione e digrigno i denti con violenza.
Poi premo l'acceleratore fino in fondo.
Dopo una decina di giri sono riuscito a recuperare qualche posizione e a risalire fino al sesto posto. Quello che mi ha mandato in fondo al gruppo ha ricevuto la punizione che meritava: dopo il Drive Through è sceso alla nona posizione.
Spero rimanga laggiù abbastanza da imparare la lezione.
Ripasso alla Variante della Roggia più veloce che posso e accelero al massimo sul rettilineo. Nel giro di qualche attimo capisco però che qualcosa non quadra. La macchina vibra in modo strano finché non si sente un rumore secco, come se qualcosa si fosse spezzato.
Scorgo davanti a me la Curva di Lesmo, faccio per virare. Un'ondata di puro terrore misto a incredulità mi pervade.
La vettura non risponde. Il rumore proveniva dal piantone dello sterzo.
Le gomme non girano ed esco di pista a tutta velocità. Tento di frenare, ma succede tutto troppo in fretta.
L'auto, la mia fidata compagna, si schianta contro il muretto.
In un attimo si sovrappongono migliaia di immagini. Mi rivedo esordiente, con i capelli arruffati e lo sguardo soddisfatto dopo aver vinto la prima gara, poi più maturo con in mano la coppa che sancisce la mia vittoria del Mondiale. Infine mi rivedo bambino, sul mio kart.
Se avessi abbastanza tempo probabilmente sorriderei perché è cominciato tutto su una pista ed è proprio qui che tutto finirà.
Le mie mani sono ancora sul volante quando diventa tutto buio.
L'ultima cosa che i miei occhi vedono sono due orbite nere che scintillano.
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