Epilogo

«Dorme?»

La mia voce è così bassa che Henry a stento mi sente.

«Sì.»

«Finalmente!»

Henry si sdraia accanto a me, gli occhi chiusi. È stremato, ma sorride. A tentoni, cerca tra le lenzuola finché non si imbatte nella mia mano e la stringe forte.

«Direi che l'ha presa bene» sussurra.

«Altroché! Sarà la sorellina più premurosa del mondo.»

Ridiamo tutti e due, ben attenti a tenere basso il volume della voce, finalmente rilassati dopo una serata molto intensa.

Abbiamo detto a Sophia, il nostro terremoto di quattro anni, che tra qualche mese avrà una sorellina. Avevamo paura che reagisse male, che fosse gelosa, che non capisse... e invece ci ha tempestato di domande, di pareri, persino di consigli, e ha detto che cederà la sua camera alla nuova arrivata per farla stare più comoda e che lei dormirà sul divano. È stato inutile cercare di spiegarle che non sarà necessario, che entrambe avranno lo spazio di cui hanno bisogno, ma Sophia è stata irremovibile: dice che ormai è lei la signorina di casa, e pertanto deve prendersi le sue responsabilità.

Io e Henry abbiamo riso per mezz'ora quando l'abbiamo sentita fare questo discorso. È incredibile: tutta suo padre!

«Siete i miei tesori» sussurra Henry, sfiorandomi la pancia. «Tutte e tre.»

Dal giorno in cui ci siamo resi conto che eravamo fatti l'uno per l'altra – anzi da molto prima, in realtà – lui non è mai venuto meno alla sua promessa: fare di tutto per vedermi felice. A volte penso di non meritare un uomo come lui, al mio fianco, ma poi è lo stesso Henry a farmi credere davvero in me stessa, a farmi capire quanto valgo, a darmi ogni giorno una ragione in più per amarmi. E io, d'altra parte, cerco di fare lo stesso per lui e a quanto pare ci riesco piuttosto bene, dato che l'ombra che per tanti anni gli ha oscurato gli occhi sembra essere svanita nel nulla.

Di certo una buona parte del lavoro l'ha fatto Sophia: quando è nata, Henry è letteralmente impazzito di gioia. Se anche era rimasto qualche barlume di tristezza nel suo sguardo, con lei è scomparso per sempre.

Sophia ha le mie lentiggini e gli occhi di Henry. Ha i suoi capelli e il mio naso. Ha tutto l'amore di cui siamo capaci, fortissimo, incondizionato. E la sua sorellina, che sento ogni giorno crescere dentro di me, è già per tutti noi una nuova fonte di luce.

Henry sistema il cuscino dietro la schiena e apre il suo immancabile libro. Anche quando è stanco morto, non si addormenta prima di aver letto almeno un paio di pagine. Io invece stasera voglio solo lasciar vagare i pensieri, raggomitolarmi nel letto e lasciarmi scaldare dal tepore del corpo di Henry. Allungo una gamba sotto le lenzuola fino a toccare la sua. È bollente, come al solito. Insomma, ho sposato un termosifone!

All'inizio il matrimonio non ci interessava. Vivevamo la nostra storia di giorno in giorno, e andava bene così. Dopo i primi due anni abbiamo cercato una casa che fosse tutta nostra e ci siamo trasferiti – in fondo, quando capisci di essere davvero felice accanto alla persona che ami, che senso ha continuare a trascorrere da soli una vita che si potrebbe trascorrere insieme? – ma non volevamo che l'ansia delle nozze rovinasse tutto. Poi, quando Sophia aveva solo pochi mesi, abbiamo deciso di farlo – così, su due piedi!

È stata una cerimonia semplice, con pochi familiari, amici e colleghi. Niente di troppo sfarzoso, proprio come volevamo entrambi, e stranamente è andato tutto liscio. A parte il boss: lui ha dato i numeri, come al solito quando alza il gomito. Ormai l'ho imparato!

Debbie, Flo, Barbara e Linda, la sua compagna, sono state delle perfette damigelle, oltre a una mini-Sophia che ha incantato tutti, nel suo vestitino azzurro. Mi commuovo al solo pensiero!

[A proposito: Barbara e Henry sono cugini! Quando lei, tanti anni fa, ha detto di amare una donna, la sua adorata famiglia l'ha cacciata di casa, e lei ha contattato Henry, disperata, per farsi aiutare. Lui l'ha ospitata per qualche mese; il tempo che Barbara trovasse un lavoro e un appartamento dove cominciare una nuova vita. E lui, quando mi ha conosciuta, è con lei che si è confidato. E io che credevo che si piacessero... non ne azzecco mai una!]

Un anno dopo è stato il turno di Debbie, che ha sposato il suo amato Mark. Loro, al contrario di noi, hanno voluto un matrimonio in grande stile, ma non hanno nessuna intenzione di avere dei figli.

Flo, invece, storce il naso ogni volta che qualcuno le parla del famigerato vestito bianco, e come al suo solito non perde occasione per ribadire che il matrimonio è una perdita di tempo. «Non sarà una stupida fede al dito a rendermi una donna felice!» dice sempre. Però sta cercando di avere un bambino. Qualche anno fa, in treno, ha incontrato un vecchio amico d'infanzia ed è stato un colpo di fulmine!

È proprio questo il bello: anche ora che siamo tre donne sposate o impegnate sul serio, i nostri caratteri e i nostri legami sono rimasti intatti, inalterati, perfettamente nostri. La nostra amicizia è la stessa di prima; anzi, col tempo, si rafforza sempre di più.

Il libro che Henry stava leggendo è abbandonato al suo fianco, ancora aperto. Infilo tra le pagine un disegno di Sophia che avevo sul comodino, a mo' di segnalibro – se piegassi l'angolino della pagina come faccio con i miei, di libri, Henry mi farebbe arrestare – e lo rimetto a posto. Gli sfilo gli occhiali, lui mugugna qualcosa di indefinito in risposta. Lo bacio su una guancia e gli sistemo il lenzuolo sul petto.

È crollato. Tra la bimba, la casa e il lavoro, non sempre è facile barcamenarsi, e Henry è uno che mette il cuore e l'anima in tutto quello che fa.

Sono cambiate tante cose, in agenzia. Due anni fa siamo andati incontro a un periodo di crisi, generata proprio dal settore "Immobili di lusso", che ha rischiato di far precipitare la situazione. Il boss ha avuto una crisi di nervi che l'ha costretto a un mese di riposo segregato in casa, ed è stato Henry a salvare l'ufficio, prendendo in mano il timone e portando le scrivanie lontano dall'uragano. Ha lavorato sodo, ma se ora l'agenzia è ancora in piedi si deve a lui.

Clark, dopo aver sperimentato che esiste una vita al di fuori del lavoro, ha capito di essere arrivato al capolinea – anche perché, diciamocela tutta, non è più nel fiore degli anni. Ha deciso di dimettersi e di passare le redini proprio a Henry, che ora è il nuovo responsabile dell'agenzia.

La sua prima mossa è stata quella di chiudere il settore lusso.

Mi capita, ogni tanto, di incontrare Vincent per strada. Lui ha continuato, proprio come voleva, a godersi la vita, tra donne, auto di lusso e festini privati. L'agriturismo va alla grande e Clark ne è diventato un assiduo frequentatore. Io, in compenso, mi chiedo come diavolo abbia fatto a perdere la testa per un uomo come lui. Il periodo passato a disperarmi, a piangere, a sperare di poter essere felice al suo fianco mi sembra un sogno lontanissimo, qualcosa di irreale, di impossibile.

Col tempo credo di aver capito una cosa. Se il cuore mi batteva forte per Vincent, non era perché lo amavo, ma perché ne ero innamorata.

Mi spiego meglio. Non mi è mai successo, con Henry, di sentire le farfalle nello stomaco o il petto esplodere. All'inizio pensavo di essere pazza, una bastarda insensibile, ma poi ho provato a chiedermi in quali altre occasioni di solito sentiamo lo stomaco formicolare e il cuore impazzire, e la risposta è stata così chiara!

Apprensione, angoscia, preoccupazione, paura. Il cuore scalpita quando siamo in ansia, e l'ansia non va tanto d'accordo con l'amore.

È questo, ciò che ho capito. L'innamoramento è tensione; l'amore è certezza. Non occorre alcun affanno, quando ami veramente. E io e Henry non siamo innamorati: noi ci amiamo.

[Forse dovremmo rivalutare l'equazione imprescindibile "sentimenti = batticuore" che sembra andare per la maggiore: si risparmierebbero tante sciocche, dannose paranoie. Quando le mie figlie saranno grandi, non dirò loro di trovare qualcuno che faccia battere i loro cuori, ma qualcuno con cui i loro cuori possano riposarsi e sentirsi a proprio agio. Al sicuro. A casa.]

Nel sonno, Henry si rigira tra le lenzuola e incastra una gamba tra le mie. Sorrido, gli occhi che cominciano a bruciare. È mezzanotte passata, ormai: credo proprio che gli farò compagnia. Un altro bacio, poi allungo il braccio sul comodino fino a tastare il filo dell'abat-jour.

Spengo la luce.

Buonanotte.


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