4. Ci si può innamorare di una voce?
Giovedì 17 gennaio
Il terzo cliente, assai più occupato dei primi due, ha fissato l'appuntamento per oggi, infilandolo in una mezz'ora stranamente vuota tra i suoi numerosi impegni. Questo almeno è ciò che mi dice il boss, che si è raccomandato di essere puntuale e di non fargli perdere tempo.
All'una in punto sono pronta a partire, con ben mezz'ora di anticipo.
Afferro le chiavi. «Ci vediamo dopo.»
«Aspetta, Christine!» strilla il boss. «Il cliente ha appena avvertito che farà un po' di ritardo, chiede se potete incontrarvi alle due.»
«Tanto meglio, almeno ho il tempo di lasciar arieggiare un po' la villa.»
E di mangiare, magari.
I telai delle finestre di Villa Saint Mary sono così vecchi e gonfi che le imposte faticano ad aprirsi. Alcune restano incastrate e devo tirarle con un bel po' di forza. In compenso, lo spettacolo del pulviscolo sospeso nel fascio di luce che si proietta sul pavimento è più affascinante che mai.
Persa nei miei pensieri, mi rendo conto appena in tempo che quest'ora è volata e ho solo dieci minuti per raggiungere il luogo dell'appuntamento.
Mi infilo subito in macchina e in un attimo sono in piazza.
Mi squilla il cellulare. È Clark.
«Christine, il cliente ha detto che non ce la farà per le due. Dovrai aspettare un po'.»
«Nessun problema: questo e altro, per i clienti più facoltosi» ironizzo.
Accendo la radio e ascolto qualche canzone. Tiro giù il parasole, mi osservo il viso nel suo rettangolino di specchio e mi sistemo i capelli.
Santo cielo, che noia!
Tiro fuori dalla borsa il mio fedele astuccio dei trucchi e mi sistemo il rossetto e il mascara. Il telefono squilla di nuovo.
«Che palle!» borbotto, prima di rispondere al boss.
«Christine, non dirmi niente: il cliente ha richiamato.»
«Ancora?! E cosa ha detto?»
«Che sarà in ritardo. Abbi pazienza, attendilo in piazza per le due e quarantacinque.»
Riaggancio irritata. Cominciamo davvero male!
Se almeno avesse avuto la briga di annullarlo, questo dannato appuntamento, o almeno di posticiparlo direttamente di due ore, avrei potuto usare il mio tempo in modo molto più fruttuoso! Invece mi tocca restarmene qui bloccata ad aspettare i suoi porci comodi.
Quanto odio i clienti!
Esco dalla macchina e prendo una boccata d'aria. A quest'ora, in giro non c'è neanche un'anima con cui scambiare quattro chiacchiere.
Alle tre meno dieci, quando ormai le ho provate davvero di tutte per non morire di noia, la mia suoneria si fa sentire ancora una volta. È un numero sconosciuto.
«Pronto?» rispondo, incerta e curiosa.
«Buongiorno. Sono Vincent, ho un appuntamento con lei per una visita di Villa Saint Mary.»
Oh cielo. La sua voce... che voce!
Non ho mai ascoltato un suono più intenso e armonioso, prima d'ora.
«S-sì, salve» balbetto imbarazzata, come se il signor Vincent potesse vedere le chiazze rosse che mi si dipingono in faccia quando provo un certo scompiglio.
«Per prima cosa, mi scusi davvero per il mio ritardo» continua lui.
«Non si preoccupi, nessun problema» mento.
«Lo spero. Mi sono permesso di farmi dare il suo numero per poter parlare con lei personalmente.»
E hai fatto bene!, penso, trattenendo a stento l'impulso di dirglielo.
«Ci tenevo ad avvisarla che sto arrivando. A momenti sarò lì» mi comunica il cliente.
Non so quale incantesimo mi abbia fatto, ma ora potrei restare qui ad aspettarlo anche fino a domani.
Ci si può innamorare di una voce?
Così profonda, così dolce e rassicurante. Un suono capace di cullare anche l'animo più irrequieto.
Prima di perdermi in strane fantasie come al mio solito, però, concludo che a un uomo con una voce così bella non possa associarsi altro che una faccia orrenda. È la legge di Murphy.
Per ingannare il tempo rimasto, mi addentro nel mio gioco preferito: immaginare il cliente. Stavolta non c'è nessun biondone muscoloso, no. Stavolta il signor Vincent è vecchio, brutto e col viso ricoperto di nei e macchioline marroni. Ha i capelli schiacciati da un improbabile cappello e una gran pancia flaccida che ballonzola oltre la cintura dei pantaloni.
Sorrido tra me e me, divertita. Sarà più facile affrontare la visita alla villa con delle aspettative così basse.
Alle tre e mezza – alla faccia del «sarò lì a momenti»! – finalmente il soggetto delle mie obbrobriose fantasticherie si fa vedere.
Non è difficile individuarlo: si presenta in piazza alla guida di una vistosa Porsche di un grigio lucente.
È... bello.
Oddio quanto è bello.
«Ciao!» Abbassa il finestrino e mi saluta, con quella sua voce intrigante.
«S-salve!» balbetto in risposta. Devo essere diventata dello stesso colore dei fari della sua macchina.
Mi indica il sedile vuoto accanto a lui. «Venga pure con me!» propone sorridendo.
Memore della brutta esperienza di due giorni fa, apro la portiera della mia macchina e lancio la borsa sul sedile del passeggero. «Credo che sia meglio se mi segue» sorrido, pentendomi all'istante di aver rifiutato. Spero quasi che me lo riproponga.
«Come preferisce» dice invece il signor Vincent.
Percorro i pochi chilometri che ci separano dalla villa con il cuore in gola, sia per il fascino inaspettato del riccone sia perché sto guidando come una matta per non sfigurare davanti alla sua Porsche.
Parcheggio nel vialetto, attendo che anche il signor Vincent finisca la manovra e cammino verso di lui, cercando di mantenere un certo contegno professionale.
«Il posto non è affatto male» mi dice mentre apre la portiera. Almeno non si è lamentato della ghiaia.
Sorrido. «Qui c'è il sole fino al tramonto e il panorama è molto piacevole.»
Lui scende dalla macchina, mi guarda e sorride a sua volta. «Questo lo vedo.»
Oh cielo. Oh cielo. Oh cielo!
Sto per svenire.
Altro che biondone dei miei sogni! Questo qui supera l'immaginazione!
Si tocca il bavero della giacca per controllare che sia a posto e nel farlo piega appena il collo, sfiorandoselo con una mano affusolata. Si volta verso di me. «Andiamo?»
«Certo, mi segua» mi affretto a rispondergli mentre mi avvio verso il portone della villa, dandogli le spalle per evitare di farmi vedere in faccia – sto andando a fuoco!
«Ascolti... Christine.»
Oh!
Mi fermo di scatto. Ma come fa a conoscere il mio nome?
Oddio, non sono pronta per sentirmi chiamare da una voce simile!
Lui si accorge che qualcosa non va. Ridacchia alle mie spalle. «Non sono uno stalker, no: ho semplicemente chiesto in agenzia di dirmi quale fosse il suo nome, oltre che il numero di cellulare.»
Mi volto verso di lui. «Che sciocca, non mi sono neanche presentata...»
«Non ha importanza, la colpa è la mia. Ho fatto un ritardo spaventoso.»
Nascondo l'imbarazzo dietro a un sorrisetto. «Voleva chiedermi qualcosa?»
«Sì, in realtà. Perché non ci diamo del tu? Insomma, siamo quasi coetanei, e poi non ho mai amato le formalità.»
«Ma certo, con piacere». In effetti, avrà al massimo trentacinque, trentasei anni.
Nel frattempo, traffico con le chiavi e apro finalmente il portone d'ingresso. Dentro, le finestre ancora spalancate lasciano entrare la quantità di luce perfetta per valorizzare i colori delle pareti, dei pavimenti, dei mobili, persino della polvere.
Forza, Christine: puoi farcela!
Gli mostro l'ingresso e le prime stanze. Vincent mi ascolta, attento, e osserva ogni dettaglio con una certa premura.
«Vedi quei ghirigori, lì, sulle ante di quell'armadio?» mi chiede.
«Sì?»
«Non ho mai capito a cosa diamine servano.»
Non riesco a trattenere una risata sincera. «Sai» gli confido, «proprio due giorni fa ho passato almeno dieci minuti ad ascoltare le peculiarità del filone artistico che ha dato vita, tra le altre cose, anche a quegli stessi ghirigori.»
«Sul serio?»
«Sì!»
«Caspita, che noia!»
Vincent ride e io lo guardo. Possibile che un perfetto sconosciuto riesca a mettermi così a mio agio?
La visita prosegue con un entusiasmo e un'intimità che non ho mai provato con nessun altro cliente in tutta la mia carriera. Parliamo di tutto: di film, di canzoni, di sport, di cucina. Presto ci rendiamo conto di avere esattamente gli stessi gusti. È incredibile: qualunque sia l'oggetto della nostra conversazione, entrambi finiamo per amarlo o detestarlo allo stesso modo.
Al piano di sopra, gli mostro le varie camere da letto. Vincent apprezza in particolar modo quella dalla tappezzeria sui toni dell'azzurro, e così scopriamo di avere anche lo stesso colore preferito.
Quando il tour della casa è completato, tra una chiacchierata e l'altra, il sole ormai è al crepuscolo. Le ombre dei mobili della villa si allungano sul pavimento consunto, disegnando delle lunghe ed eleganti linee scure.
Torniamo nel salotto principale, al piano terra, uno dei locali più esposti al sole. Vincent si guarda intorno e mi sorride, e il mio cuore batte all'impazzata. Non riesco ancora a credere di aver conosciuto un uomo così... perfetto!
Si appoggia a una finestra e si infila una sigaretta tra le labbra; poi tira fuori dalla giacca un accendino argentato e porta le mani vicino alla bocca, con quella precisione di un gesto ripetuto, ormai, chissà quante centinaia di volte. L'accendino libera una piccola lingua di fuoco che illumina per un attimo il volto in ombra di Vincent. Un mantello di fumo lo avvolge, dandogli un'aria di affascinante mistero.
Non ho il coraggio di rovinare tutto dicendogli che non dovrebbe fumare qui dentro, anche se la finestra è aperta.
«Sai, la villa non è niente male» mi dice, parlando nel mezzo di due boccate.
«Sì, è un ottimo immobile anche in ottica di un investimento futuro, considerando l'andamento dei prezzi...» neanche il tempo di cominciare la solita tiritera che uso sempre per convincere i clienti a concludere gli affari, che lui mi interrompe.
«Andiamo, Christine, le cose sono fatte per essere godute! Non si può star sempre a pensare al denaro» mi dice, il fumo che viene spezzato dai raggi del sole morente.
«Anche questo è vero.»
Vincent fa un altro tiro di sigaretta. «L'unica cosa che non mi convince molto sono i muri del secondo piano» osserva. «Mi sembra che ci passi dell'umidità.»
Mi irrigidisco per un istante. Non ho notato muffa o umidità, qui dentro. Certo, quando sono venuta la prima volta puzzava di chiuso, ma lasciando arieggiare le stanze credevo che il problema fosse risolto.
«Ne sei sicuro?» gli chiedo. «Da quel che so, le condizioni strutturali della villa sono ottime e non dovrebbero esserci infiltrazioni. Due giorni fa pioveva a dirotto, eppure non ci sono stati problemi.»
Lui sorride, quant'è bello il suo sorriso. «Vieni, ti faccio vedere» mi fa, avviandosi a passo svelto lungo la scalinata.
Arrivati al secondo piano, Vincent si avvicina alla grossa finestra sulla sinistra, con le tende rosa antico che sfiorano il pavimento.
«Ecco, guarda qui per terra.»
«Mmh... non vedo niente.»
«Guarda meglio.»
Si accovaccia e fa scorrere un dito vicino al battiscopa, alla base della finestra. «Lo vedi questo?» mi dice, mostrando il polpastrello ora sporco di una sostanza bianca, simile a del sale molto fino.
«Sì.»
«È salnitro. Si forma dove c'è umidità.»
Resto a bocca aperta. Come ha fatto a notare un dettaglio così piccolo, in una villa così grande?
«Esperienza» continua Vincent affacciato alla finestra, quasi mi leggesse nel pensiero. «Ecco infatti il probabile motivo: guarda lì.»
Mi affaccio anch'io e noto alcune tegole scomparse dalla tettoia sottostante, forse finite nell'erba alta al livello del terreno.
«Mancano delle tegole, in effetti.»
«E c'è dell'altro: guarda bene sotto al muro esterno.»
«Dove?»
«Proprio lì» indica Vincent. «C'è una piccola crepa all'attaccatura delle tegole.»
Strizzo gli occhi. È quasi buio, ormai, e la luce dei lampioni è troppo fioca per la mia vista.
«No, proprio non riesco a vederla.»
«Lì!»
Vincent allunga il braccio in avanti. Nel farlo, si appoggia alla mia schiena. Sento il suo petto tonico sul mio dorso, il colletto del cappotto di lana vergine che mi sfiora dolcemente il collo...
«Ah, sì. Eccola, ora la vedo bene» mento per venir fuori da questa situazione. Se Vincent restasse ancora un po' a contatto con il mio corpo, potrei crollare a terra morta.
Dio, quanto è bello!
Il mio cuore schizza a mille insieme ai pensieri nella mia testa. Non provavo una sensazione del genere dal mio primo bacio!
«Te lo dicevo, io!»
Lo sento staccarsi dalla mia schiena. Finisce di scostare le tende e si accovaccia a terra. «Vedi, Christine? Tocca qui, il muro è umido» mi dice, appoggiando la mano alla parete e abbozzando un mezzo sorriso.
Mi accovaccio anch'io e muovo il braccio in avanti. La mia mano, però, invece di incontrare il freddo dell'intonaco, cambia direzione e sfiora con audacia la sua.
Oddio, Christine! Ma che stai facendo?
Come mi comporto, adesso? Faccio finta di niente? Mi scuso? Fingo di svenire? Svengo davvero?
Non ho il tempo di mettere in atto alcun piano. Il naso perfetto di Vincent ora sfiora il mio collo, il suo fiato caldo mi solletica. Cerco di prendere fiato ma non ci riesco. Non respiro.
Le nostre labbra sono vicine, si toccano.
Oddio, non ci credo. Sta succedendo. Sta succedendo a me!
L'odore umido della vecchia villa, la luce fioca che filtra attraverso la finestra sopra le nostre teste, lo scricchiolare del pavimento di legno... è questo uno di quei momenti che non scorderò mai?
Le labbra, finalmente, si schiudono. Incontro la sua lingua, morbida e calda come un bagno bollente dopo un acquazzone in una sera d'inverno.
La mano di Vincent si posa sulla mia guancia sinistra, vellutata ma decisa. L'altra raggiunge il mio fianco, poi sale fin sotto al torace. Con le mie dita mi faccio strada sotto al suo maglioncino in cachemire.
Lui mi tira su. Continuiamo a baciarci camminando insieme fino al bordo del divano, per poi caderci sopra, l'impatto attutito dal suo corpo.
«Oh!»
Sotto di me, lui mi afferra e mi sbottona la camicetta. La scosta, avido del suo contenuto.
In risposta, gli sfilo il maglioncino.
Santo cielo, che fisico!
Come in un gioco, arriva il suo turno e mi slaccia il reggiseno. I miei seni ricadono morbidi sul mio petto, lui li afferra.
Ormai la passione mi ha fatto sua preda. Il mio bacino si muove avanti e indietro sul suo corpo indurito dall'eccitazione.
«Christine...»
Vincent mi attira a sé, mi volta e in un attimo nostri ruoli si invertono. Spinge tra le mie gambe, la mia schiena si irrigidisce.
Traffica per qualche secondo in una tasca. Poi i nostri pantaloni finiscono sul pavimento.
Sento le dita di Vincent scivolare sul mio ventre per poi scendere sempre più giù.
Con le mani lo cerco, lo accarezzo, lo stuzzico.
«Piano, piano» ansima lui.
Trasportata dalla foga, lo stringo con le gambe. Lui si appoggia, per poi scivolare dolcemente dentro di me.
«Oh, sì...»
Comincia una danza a senso unico. Lo sento arrivare sempre più in profondità, a ogni colpo. E ora esistiamo solo io e lui: tutto il resto è come se si fosse cancellato.
I nostri corpi si muovono sempre più veloci: rapidi, rapidi, rapidi, fino alla quiete.
Rimango abbracciata al suo petto, lui mi carezza dolcemente la testa.
Chiudo gli occhi. L'odore antico della villa e il profumo di Vincent formano un connubio che dubito dimenticherò mai.
Spazio autrice
Finalmente è arrivato Vincent!
(Arrivato in tutti i sensi)
Ok, la smetto!
Christine è ancora sconvolta. Quanto a me, scrivere questa scena è stata una delle cose più difficili della mia vita, considerati i miei gusti letterari parecchio lontani dal genere!
Che ne pensate? È leggibile? Ho fatto un disastro? Devo darmi all'agricoltura?
Mi sa proprio di sì... corro a prendere la zappa in garage!
A presto!
M.J.L.
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