30. Non puoi sempre scappare


Lunedì 24 giugno

Non squilla.

Continua a non squillare!

«Deve avere il cellulare spento» mi dice Flo, ma per quanto il suo tono possa essere rassicurante, la mia ansia non vuole saperne di battere in ritirata.

Ieri sera, dopo aver mollato Vincent, ho provato a chiamare Henry almeno dieci volte, ma non mi ha mai risposto.

Col cuore in gola, ho aspettato di vederlo stamattina al lavoro.

Sono arrivata con più di mezz'ora di anticipo.

Ma lui non è venuto.

Nessuno ha sue notizie. Sono stata l'ultima a incontrarlo, ieri.

«Ma che razza di comportamento è, questo?» ha sbottato il boss, dopo aver provato a telefonargli anche lui.

Oh mamma. E se gli fosse successo qualcosa?

Henry è sempre stato un tipo molto preciso, soprattutto in ufficio. Per non parlare del fatto che, fino ad ora, non ha mai saltato neanche un giorno di lavoro. Possibile che adesso, a causa mia, sia scomparso così?

«Se non si fa vedere entro dieci minuti, è licenziato!»

Il boss è fuori di sé. Non conta nulla per lui che Henry abbia sgobbato come un mulo, da quando è stato assunto qui dentro.

La sua segretaria cerca di calmarlo. È stata lei, oggi, ad aprire l'agenzia con le chiavi di riserva, e si sente chiamata in causa.

«Clark, non ti sembra di esagerare?»

«Per niente! Questo è un lavoro serio e non tollero un menefreghismo simile!»

«Ma non sappiamo cosa sia successo. Potrebbe aver avuto un incidente.»

Oh no.

Henry. Un incidente.

No, non è andata così. Ne sono sicura.

«Clark!»

Il boss si gira verso di me, un punto interrogativo stampato in faccia.

«È colpa mia. Io e Henry abbiamo avuto una discussione. È colpa mia se oggi non si è presentato. Non prendertela con lui, ti prego.»

«Che razza di storia è mai questa? Il lavoro va oltre le questioni personali!»

Gli mostro la foto della scrivania che Henry mi ha mandato quando ero in albergo. «Allora come la mettiamo con questo? Sabato, con l'agenzia chiusa, lui era serrato qui dentro a lavorare. Mentre tutti noi eravamo a casa a fare i nostri comodi, Henry mandava avanti le pratiche arretrate.»

Il boss prende tra le mani il mio telefono e lo allontana quanto basta perché la sua ipermetropia gli permetta di osservare i dettagli della foto. «Ehi, è vero» conferma. «Non ne sapevo nulla.»

«E non era la prima volta che lavorava fuori orario.»

Clark esita. Poi sospira, sconfitto. «E va bene. Per oggi faremo a meno di lui. Ma se davvero sei tu la causa della sua assenza, vedi di recuperarlo.»

Seduta nel mio ufficio, compongo il numero in maniera ossessiva, sempre con lo stesso risultato.

Mi accuccio sulla scrivania, la testa tra le mani, le dita tra i capelli.

«Henry, oh, Henry, perché sei sparito?»

Flo mi raggiunge un minuto dopo, con Debbie alle calcagna, oggi libera dal lavoro.

«Ancora niente?»

«No.»

Loro restano in silenzio. Persino Debbie non sa più cosa dirmi.

«È tutta colpa mia. Sono stata una stronza.»

«No, Christine, che dici?» mormora Flo.

Tiro su col naso. «Mi sono comportata con lui come Vincent si è comportato con me.»

«Ma non è vero!» fa Debbie.

«Sì, invece! Non ho capito niente, razza di idiota che non sono altro!»

Le mie amiche si avvicinano. Mi tirano su dalla scrivania, mi abbracciano. Sono così tesa che non riesco neanche a ricambiare.

«Voglio andare a cercarlo.»

«Sì, vai» approva Flo.

La guardo. «Come faccio? Ho tre appuntamenti con i clienti, dalle undici in poi.»

Debbie mi si piazza davanti, le braccia allargate. «Che dici, ce l'ho la faccia da agente immobiliare?»

«Cosa?! Davvero mi sostituiresti?»

«Certo! È il mio giorno libero, qualcosa dovrò pur fare.»

Oddio, sul serio?

«No, Debbie, è troppo rischioso» le dico. «Se Clark mi scopre, dopo quello che gli ho appena detto, posso dire addio alla mia scrivania.»

Lei sbuffa. «Quanto mai potrà essere difficile mostrare delle case ad altre persone? Di certo non è più complicato di tagliare capelli!»

«Finiamola di giocare a chi ha il lavoro più difficile!» la rimbrotta Flo. «E comunque è vero, Christine, è un compito semplice: può riuscirci persino Debbie.»

Debbie la guarda male, ma sorride. «Posso farlo! Ti prometto che non ti farò fare figuracce.»

Resto immobile a rimuginare.

Devo lavorare. Il boss ha ragione: ci vuole serietà in questa agenzia. Non posso fare l'idiota. Ma come potrei mai riuscire ad arrivare alla fine di questa giornata, se Henry non dà segni di vita? Come potrei sopravvivere all'angoscia, alle preoccupazioni, al terrore che sia successo qualcosa di atroce?

Al solo pensiero l'ufficio mi vortica intorno e sono costretta a gettarmi di nuovo a peso morto sulla scrivania, nascondendo la testa sotto alle braccia.

Una mano si posa sulla ma schiena, delicata come sa essere soltanto Flo. «Christine, sul serio. Lascia che ci pensiamo noi. A cosa servono le amiche, sennò?»

Alzo appena il capo, il necessario per liberare gli occhi e guardarle. «Siete sicure?»

«Certo!»

«Devi andare da Henry. Lui ha bisogno di te.»

Esito ancora un istante. «Quindi lo facciamo? Lo facciamo davvero?»

«Facciamolo!» esclamano loro all'unisono.

E così, quando manca un quarto d'ora alle undici, io e Debbie usciamo insieme dall'agenzia. Poi, una volta fuori dal raggio visivo del boss e degli altri colleghi, le affibbio le chiavi e i fascicoli con i documenti degli appartamenti.

«Mi raccomando, Debbie...»

«Non perdere altro tempo, muoviti!»

Mi infilo in macchina, il cuore a mille.

Da dove comincio?

Guido piano verso casa di Henry, guardandomi intorno. Nei pressi della palazzina, la vedo. È la sua macchina, ne sono sicura.

Tiro un respiro di sollievo. Almeno, l'ipotesi dell'incidente d'auto è da escludere. E se non è in casa, dev'essere comunque nei dintorni.

Parcheggio malissimo, scendo di corsa e mi piazzo davanti al citofono, premendo il bottone accanto al suo cognome in maniera così convulsa che le mie dita cominciano a fare male.

Niente.

«Henry!» lo chiamo. «Henry, ti prego, rispondi!»

Faccio il giro del palazzo, fermandomi sotto a tutte le facciate e chiamandolo sempre più forte. Qualcuno si affaccia alla finestra, qualche passante mi osserva dalla strada, ma non m'importa. Devo trovare Henry.

Lo cerco ovunque: sui marciapiedi, nei negozi della zona, sulle panchine, dietro alle case.

Faccio due o tre giri di ronda in auto, ma invano. Henry non si vede da nessuna parte.

Dove diavolo te ne sei andato?

A un tratto, nella disperazione più totale, qualcosa mi fulmina. Sento la sua voce nella testa, un brivido di freddo sulle spalle, un formicolio nello stomaco.

«Quando la vita sembra non avere più un senso, è qui che vengo a cercarlo.»

Sì! So dov'è!

Ricordarmi la strada sarà un'impresa, ma devo farlo.

Ingrano la marcia e riparto. Continuo a guidare, senza smettere di guardarmi intorno, fino a uscire dalla città. Mi infilo nei paesini dell'entroterra, poi lungo una salita. Raggiungo un bivio. C'è un cartello.

Rupe dell'aquila.

Era qui. Era qui, ma certo!

Arrivata in cima, un po' intimorita – di giorno, la strada che si apre a strapiombo sul vuoto fa tutto un altro effetto – fermo la macchina, tiro il freno a mano e corro fuori, sul pendio, ancora più su.

La strada si restringe e si fa sempre più polverosa, i tratti sospesi sul precipizio sembrano più tetri che mai.

E se Henry avesse fatto qualcosa di stupido?

Le mie gambe, a un tratto, non sono più in grado di reggere il mio peso.

Oddio.

Oddio, no.

«Henry!»

Continuo a salire, correndo lungo la salita con il petto, la gola, il cuore in fiamme. Presa dai miei deliri, a stento mi accorgo di aver quasi raggiuto la cima della rupe. Saranno le due del pomeriggio, ormai, e il caldo non è molto clemente: sono sudata come se avessi appena corso una maratona di tre giorni. Per fortuna, quassù il clima è un po' più ventilato.

Vedo la siepe. In lontananza, riesco a scorgere le fronde più alte dell'albero.

Mi avvicino.

Eccolo là. Seduto a terra, la schiena contro il tronco.

Sta guardando giù, verso il paesaggio bagnato dal sole.

Cammino piano verso di lui. Deve aver sentito i miei passi, ma non si volta. Se ne resta fermo, inquieto. Posso quasi percepire il suo respiro, man mano che mi avvicino.

Mi siedo al suo fianco.

Dio, quanto vorrei abbracciarlo. Lui però a stento reagisce: se non fosse per il mio ginocchio che tocca appena la sua coscia, penserei che non mi abbia vista, che non abbia idea che io sia qui.

Per almeno un minuto, respiriamo e basta. La sua gamba preme contro la mia, come se volesse scansarla e al tempo stesso appigliarvisi.

Basta, non resisto più.

«Hai fatto preoccupare tutta l'agenzia, stamattina» gli dico. «Clark ha dato di matto.»

Henry sorride appena, sempre senza voltarsi. «Mi ha licenziato?»

«Quasi. L'ho convinto a non farlo.»

Lui resta in silenzio.

«Ti ho chiamato mille volte, ti ho cercato dappertutto. Non sai che sollievo ho provato quando ti ho visto.»

«Ho lasciato il telefono a casa. Scusami, non volevo farti stare in pensiero, ma avevo bisogno di stare da solo.»

«Anche la tua macchina è sotto casa. Come diavolo sei arrivato qui?»

Henry, finalmente, mi guarda. Uno sguardo sfinito.

«È dalle cinque di stamattina che cammino.»

«A piedi?! Oddio, Henry...»

«Non riuscivo a dormire. Non riuscivo a fare niente.»

Mi concedo un secondo per elaborare le mille cose che voglio dirgli, ma lui mi precede.

«Christine...» Ruota appena il busto verso di me, la gamba che preme più forte sul mio ginocchio. «Ti chiedo scusa per la mia sceneggiata. Ho perso il controllo. Patetico, eh? Sono un totale fallimento come uomo.»

Sospira e io reprimo ancora l'istinto di abbracciarlo.

«Smettila. Lo sai che non è vero.»

«Puoi dirmelo: non mi offendo. E comunque ho preso una decisione.»

«Cioè?»

«Me ne vado.»

Il cuore mi si ferma per un attimo.

«Non dire scemenze. Non puoi sempre scappare.»

«Perché?» I suoi occhi sono lucidi, ma Henry non distoglie lo sguardo. «Che cos'ho da perdere?»

Mi avvicino a lui, strusciando le gambe sull'erba, fino a far aderire il mio fianco al suo. Il contatto col suo corpo mi dà i brividi.

«Va' pure, se è davvero quello che vuoi. Ma sappi che io verrò con te.»

«Ti annoieresti.»

«Vale la pena tentare, no?»

Lui tira un respiro irrequieto. «Lo pensi davvero?»

«È con te che voglio stare, Henry.»

«Con... con me?»

«Se solo mi avessi dato il tempo di spiegarmi, ieri» comincio. «Se solo avessi avuto un po' più di fiducia in te stesso, perché tu vali, Henry, e tanto. Il punto è che la persona che volevo sei sempre stato tu, ma ero cieca. Ho continuato a cercare negli altri le emozioni che mi avevi dato tu. Ho continuato a desiderare un abbraccio come il tuo, senza rendermi conto che solo le tue braccia avrebbero potuto stringermi in quel modo. Il punto è che con te, tra quelle braccia, io mi sento a casa.»

Sorride – dio, quant'è bello quel sorriso! – e finalmente riesco a scorgere un po' di luce in quegli occhi che ora liberano un paio di lacrime.

«Scusami se non l'ho capito subito. Scusami se il mio cuore era offuscato. Adesso lo so, non ho più dubbi: voglio stare con te e con nessun altro.»

Henry allarga le braccia, mi stringe, mi respira. «Credevo che mai, mai tu me l'avresti detto.»

Ricambio l'abbraccio con una foga tale che perdiamo l'equilibrio e scivoliamo su un fianco, sotto l'albero. E allora ridiamo, e piangiamo, felici come bambini, come adulti che alla fine sono riusciti a trovarsi.

Gli prendo il viso tra le mani, lo accarezzo. «Vedi?» sorrido. «Ora non hai affatto la faccia triste. Era così facile!»

Henry ride, poi mi bacia. Ancora. Ancora una volta.

«Sei il mio Henry, adesso» gli dico all'orecchio.

«E tu la mia Christine.»

 

Spazio autrice

Ed eccoci qua con il capitolo che aspettavamo da tanto!
(Io e la mia ansia lo aspettavamo, poi non so voi! 😜)

Anche questa parte è stata revisionata in maniera massiccia (non tanto per il contenuto quanto per la forma), per cui la pubblico per disperazione perché non ne posso più di metterci le mani. È stato difficilissimo ottenere una versione semi-decente da potervi proporre, ma considerando la stanchezza estrema di questa settimana, posso ritenermi soddisfatta.

Siamo arrivati, dunque, al termine di questa piccola avventura!

L'ultimo capitolo sarà un epilogo in cui scopriremo come sarà andata a finire: Christine e Henry saranno riusciti a far funzionare la loro relazione? Vincent si sarà messo in mezzo? E Debbie e Flo avranno avuto, anche loro, i propri epiloghi sentimentali? Ma soprattutto, la collega Marianne avrà imparato finalmente il nome di Christine?

Leggo con piacere i vostri pronostici!

A presto,

M.J.L. ❤️

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