3. Che giornata!


Resto in piedi sulla ghiaia, immobile come un'ebete, per almeno un minuto. Nel frattempo, il cielo già scuro sembra offuscarsi ancora e la mia autostima, già sotto le scarpe, sprofonda sempre più verso i meandri della terra.

Non sarai mai capace di combinare nulla, nella vita.

Ci mancava solo il vecchio porco a farmi sentire una stupida!

Ma come si è permesso, poi? Santo cielo, sono davvero così imbranata?

Torno nella villa per chiudere le finestre e spegnere le luci, cercando di riaffermare a ogni passo la dignità ferita. Salgo le scale pestando i piedi a terra, con forza, come se su ogni gradino ci fossero le facce del vecchio e della ragazza.

Che razza di maleducati, tutti e due! Non si sono neanche presentati, adesso che ci penso. Se i clienti facoltosi sono tutti così, dirò a Clark che non se ne parla, che questa maledetta villa se la dovrà vendere da solo. Mi viene da piangere... e siamo solo all'inizio!

Col sole ormai tramontato e i nuvoloni gonfi di pioggia che coprono il cielo, gli ambienti della villa cominciano a incutere un certo timore. Per di più, la stanchezza inizia a farsi sentire: non vedo l'ora di arrivare a casa e crollare sul divano, riflettendo su quanto la mia vita faccia schifo. Mi affretto a raccattare le mie cose, recupero le chiavi della macchina dalla borsa ed esco fuori.

Qualcosa non mi torna.

Accidenti, la mia macchina!

La mia macchina è rimasta in piazza!

Dannato signor Thomas con le sue chiacchiere, maledetto vecchiardo arrogante! Me ne hanno fatto del tutto dimenticare!

Cerco di mantenere la calma. In fondo è ancora presto, non è successo nulla di grave e ho la fortuna di poter sempre contare sulle mie splendide amiche.

Tiro fuori il telefono dalla borsa e faccio per chiamare Flo, ma mi accorgo che si è appena spento. Dev'essere scarico.

Niente panico, porto sempre con me un caricabatterie di riserva.

Certo. Ed è in macchina.

Ah.

Mi accascio sul gradino che precede il portone della villa e mi prendo la testa tra le mani. Questa giornata sembra proprio non voler finire.

Mi faccio coraggio e rientro nella villa. Presa da una smania da film d'avventura, passo almeno un quarto d'ora a cercare un telefono, una radio, un qualsiasi congegno che possa aiutarmi ad andarmene da qui, ma invano: attorno a me non c'è altro che un inutile sfavillio di oggetti dorati.

«Ma perché, perché?!»

Faccio un rapido conto. La piazza disterà sette, otto chilometri: considerando che la strada è sconnessa, buia e in pendenza, considerando che ho indosso un paio di stivaletti non proprio adatti alle scarpinate, mi aspetta almeno un'ora e mezza di cammino.

Fuori, ovviamente, ha iniziato a piovere.

Esito un po', prima di uscire. Aspetto ancora una ventina di minuti, sperando che gli scrosci si facciano meno intensi, ma accade l'esatto contrario. È buio pesto, ormai, e il piccolo lampione davanti all'ingresso della villa getta una luce fioca e inquietante sul giardino intriso di ombre.

Ho una paura fottuta.

Inspiro forte, cercando di calmarmi; poi mi lancio decisa sul vialetto d'ingresso e mi richiudo la porta della villa alle spalle, con un cigolio che farebbe invidia al miglior thriller della storia.

Faccio appena tre o quattro passi e sono già zuppa fino alle ossa.

«Che palle!»

Devo andare avanti. Devo tornare a casa. Devo farcela.

«Forza, forza, forza!» continuo a ripetermi a voce alta.

Risalgo a fatica tutto il vialetto d'ingresso, trascinando i piedi e rischiando tre o quattro volte di inciampare sulla ghiaia bagnata. Riesco a vedere la strada, finalmente, e i puntini luminosi delle macchine che passano sfrecciando, schizzando acqua dappertutto.

All'improvviso, una di quelle auto svolta verso la villa, puntandomi i fari negli occhi e accecandomi.

Non capisco più nulla.

Sono pietrificata.

Aiuto!

La villa è disabitata da anni, nessuno ci mette piede da tempo.

Ma allora, di chi diamine è quella macchina?

Mentre si avvicina, la mia fantasia elabora gli incubi più macabri. Assassini, capi di associazioni a delinquere, stupratori seriali... e io sono qui, ferma come un'idiota, coi fari puntati in faccia e vorrei nascondermi ma ormai è troppo tardi, devono avermi già visto. Vorrei scappare, ma non riesco neanche a muovermi.

In un lampo la macchina mi raggiunge. Si ferma. Il finestrino del conducente si abbassa, nonostante la pioggia battente.

«Ma che stai combinando?» mi chiede una voce familiare «Entra, sbrigati!»

Il mio cuore ricomincia a battere.

Non posso crederci.

«Henry!»

Non mi faccio ripetere due volte il suo invito. Corro alla portiera, la spalanco e mi infilo in macchina, tremando dal freddo e dallo spavento.

«Guarda che, se ti ammali, io non li copro i tuoi turni!»

«A-ha» balbetto, congelata. Ora sì che ci vorrebbe un bel sedile riscaldato come quello dell'auto del signor Thomas.

Henry mi lancia un'occhiata incuriosita, poi torna a guardare la strada. «Qualcosa non va?» mi chiede.

«No, macché, va tutto a meraviglia!» sbuffo.

Lui alza appena le spalle. «Cercavo solo di essere educato.»

Mi pento subito del tono infastidito che ho usato con lui. In fin dei conti, mi ha appena salvata da chissà quale sventura.

«Scusa, hai ragione» gli dico. «È solo che oggi non è proprio giornata.»

«Sì, lo immaginavo.»

«Già. Ma si può sapere tu, piuttosto, che cosa ci fai da queste parti?» gli chiedo, curiosa.

Henry allunga un braccio sui sedili posteriori e tira fuori una sacca di stoffa. La mia sacca.

«Hai dimenticato in ufficio la borsa del pranzo» mi spiega, porgendomela. «Credevo venissi a riprendertela prima della chiusura, dato che saresti dovuta comunque tornare per riportare le chiavi della villa in agenzia. Poi, però, le sei sono passate e tu ancora non ti vedevi. Ho provato a chiamarti, ma non eri raggiungibile; così ho pensato di fare un salto qui.»

Mi rigiro la sacca tra le mani, stupita. «Hai fatto davvero tutto questo soltanto per ridarmi la borsa?»

«Beh, sì.»

Lo guardo, sorpresa. Chi l'avrebbe mai detto che un tipo rigido e fastidioso come Henry potesse avere un pensiero così carino?

Non so che cosa mi prende; sarà quest'inaspettata gentilezza, sarà che ho il bisogno impellente di condividere con qualcuno tutte le mie sfortune; le parole mi vengono fuori come l'acqua da queste nubi, scroscianti, e racconto a Henry tutto quello che mi è successo oggi: dai soliloqui del signor Thomas all'antipatia del vecchiardo e della sua ragazza, dall'auto dimenticata in piazza al cellulare scarico. Parlo così a lungo che Henry, una volta accompagnatami alla mia macchina, accosta accanto al marciapiede e attende che io finisca di ciarlare, prima di congedarsi.

«Per quanto possa valere il mio pensiero, sappi che non sei affatto un'imbranata» mi dice infine, dopo aver ascoltato le mie paranoie.

Guardo la borsa del pranzo dimenticata in ufficio, il telefono ancora spento tra le mie mani e i miei vestiti bagnati. «Ne sei sicuro?»

«Certo. Non lasciarti rattristare dalle parole: le persone parlano a vanvera.»

Sarà, ma io continuo a sentirmi un'idiota. Saluto Henry ringraziandolo ancora, scendo dalla sua macchina e raggiungo finalmente la mia.

Mi sembra un sogno. Sto tornando a casa!

Stasera, dopo una bella doccia calda, tutto ciò che ci vuole è sedersi davanti a una pizza con Debbie e Flo.

 

Spazio autrice

Abbiamo capito che Christine combina un guaio dopo l'altro - anche se potrebbe sempre andare peggio: potrebbe piovere!

Vi sono mai capitate situazioni simili a questa?

Per quanto mi riguarda, la mia vita funziona praticamente così 😅

A prestissimo!

M.J.L.

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