15. Siamo qui per divertirci

Devo essermi immaginata tutto. Devo essermelo sognato.

Ecco, mi sono addormentata su uno dei divanetti fuori dal bagno e devo ancora svegliarmi. In fondo non sono abituata a bere così tanto e la testa gioca brutti scherzi.

Eppure qualcosa nel mio cuore mi dice che lo smarrimento che provo è reale, che la mia testa funziona benissimo e non ha immaginato proprio niente.

Mi sforzo di raggiungere il tavolino anche se le mie gambe non rispondono ai miei comandi. Vincent non sembra avermi notata.

Accosto le labbra al suo orecchio e lo chiamo, la voce che mi trema.

Lui volta appena la testa verso di me. «Dimmi.»

«Devo... devo parlarti un attimo.»

Intanto lo sguardo mi cade più in basso. Accanto alle bottiglie ormai vuote c'è una bustina di plastica; il bianco del suo contenuto spicca nella semioscurità dell'atrio. Anche sul legno scuro del tavolino risaltano, inconfondibili, due striscioline chiare. E uno degli invitati alla festa, carta di credito alla mano, sta sistemando una terza striscia accanto alle altre.

No, decisamente non posso aver interpretato male.

Si droga. Vincent si droga.

Lo trascino in disparte, tirandolo per la giacca. «Allora?»

«Allora cosa?»

«Che stai facendo, Vincent?»

«Niente, che sto facendo?» ribatte lui, impassibile. Persino con questa poca luce mi accorgo che i suoi occhi sono diversi dal solito: sono dilatati e arrossati.

«Niente? Ma se ti ho appena visto tirare!»

«E allora? Che male c'è?»

«Ma... ma come...»

Non riesco a ragionare. Non riesco ad articolare un pensiero sensato.

Vincent si droga.

E un altro pezzo del mio mondo va in frantumi.

«Santo dio, è una festa! Siamo qui per divertirci, Christine!»

Ecco, adesso se la prende anche.

Cerco di rispondergli, ma non ce la faccio. È come se la mia lingua si fosse incollata al palato. Devo avere una faccia sconvolta, perché Vincent mi riserva uno dei suoi sguardi velenosi; uno di quegli sguardi che mi fanno sentire una stupida bambina.

«Cosa ti scandalizzi a fare?» infierisce. «Mica lo faccio tutti i giorni! E poi sei stata a bere spumante fino ad ora, non ti sembra forse la stessa cosa?»

«Non è affatto la stessa cosa!»

«Senti, sono venuto a questa festa per staccare la spina e ti ho portato con me perché tu facessi lo stesso. Pensa a divertirti! Se ti dà fastidio quello che faccio, non guardare.»

Vincent si svincola dalla mia presa e torna a sedersi con i suoi amici.

Dio, quanto vorrei prenderlo a schiaffi. Vorrei andarmene, urlare, ma non riesco a muovere un muscolo. Non riesco a staccarmi da lui.

Lo lascio lì e me ne torno di sotto, troppo stravolta per parlare. Ho bisogno di distrarmi, di pensare ad altro: la scena che ho visto continua a balzarmi nella mente in un loop infinito che mi sta facendo impazzire.

Non è possibile. Ma perché?

Nel grande salone al primo piano, la gente ancora balla con una certa energia. Io, invece, mi sento svuotata di ogni linfa vitale ed emotiva.

Qualcuno mi trascina in pista, ignorando la mia debole ribellione, e presto mi ritrovo intrappolata tra i corpi. La musica è alta, martellante, ossessiva. Fa vibrare il petto, la testa, il ventre. Tutto quanto. I timpani pulsano. Il cuore pulsa. Le gambe vacillano.

Ma cosa ci faccio io qui?

Flo aveva ragione. Ancora una volta. Questo mondo non mi appartiene.

Mi sento così fuori posto. Per un istante, mi balena in testa l'idea di andarmene, di uscire da questa maledetta villa e di tornarmene a casa a piedi, scalza, come una Cenerentola disperata. Ma penso a Vincent. Non posso lasciarlo solo.

Ha bisogno di me. Ho bisogno di lui.

Mi viene da vomitare. Mi allontano dalla sala, alla ricerca di un ambente più tranquillo per potermi schiarire le idee, ma ovunque io vada c'è sempre una gran calca di persone vocianti, allegre ed eccitate. Ubriache, o peggio, fatte.

È questa, allora, la vera faccia della ricchezza? Alcool, droga e festini costosi?

Ormai incapace di resistere ancora, mi infilo in un ripostiglio, mi richiudo la porta alle spalle e mi lascio cadere su un secchio rovesciato, esausta.

Ed ecco le lacrime.

Un fiume inarrestabile.

Il vuoto che ho dentro, in combutta coi singhiozzi, mi mozza il respiro.

Sono sola.

Sola, in questo magazzino buio.

Il pacchetto di fazzoletti nella mia borsa è già finito.

Una coppia avvinghiata spalanca la porta all'improvviso e fa per rifugiarsi bramosa nel ripostiglio. Poi la donna mi nota. «Oh, scusa» mi dice. Escono.

Avranno pensato che mi sia drogata anch'io, ma poco m'importa. Devo avere due chiazze rosse al posto degli occhi, quasi certamente anneriti dall'impasto delle lacrime miste al mascara.

Non ho idea di che ore siano quando mi decido a uscire. La musica è ancora alta, ma sembra che adesso in giro ci sia un po' meno gente.

Vago per le sale della villa per una decina di minuti, indirizzando sorrisetti fintissimi a chiunque mi rivolga uno sguardo. Cerco dell'acqua e qualcosa da mangiare. Santo cielo, qui non si vedono altro che alcolici!

Trovato un tavolo di fortuna con una brocca e un vassoio ancora pieni per metà, mi riempio un bicchiere e mando giù un paio di crostini dal sapore esotico.

Mi sento meglio, adesso. Ora ci vorrebbe solo un po' d'aria.

Vincent non si vede da nessuna parte, ma forse è meglio così. Non mi va ancora di affrontarlo. Vorrei solo dimenticare quello che ho visto, svegliarmi domattina e ritrovarmi di nuovo nella mia favola romantica.

Vado in giardino e mi appoggio a una panchina. L'aria fredda della notte mi irrigidisce le spalle, nude nel vestito elegante che ho scelto per stasera. Avrei dovuto prendere il cappotto, ma va bene così. Voglio sentire i brividi sulla pelle. Voglio sentire il dolore, riconoscerlo, esorcizzarlo.

Davanti a me c'è un ragazzo, seduto sulla panchina di fronte alla mia. Mi sorride. Ha gli occhi un po' arrossati dietro agli occhiali dalle lenti spesse, ma non sembra troppo fuori di testa. Mi ricorda vagamente Henry.

«Ciao» mi dice. «Ti annoi?»

Ha una voce molto acuta.

Esito un po', prima di rispondere. «No, sono solo un po' stanca.»

«Comincia a essere tardi. Che ore saranno? Le tre?»

«Le quattro e mezza» rispondo, gettando uno sguardo allo schermo del cellulare nella mia borsetta.

«Ah, però! Il tempo è volato!»

«Già...» mormoro. Per me non è stato proprio così.

Il ragazzo si avvicina. «Ti va di bere qualcosa? Posso far portare un drink qui in giardino.»

«No, ti ringrazio. Ho già bevuto abbastanza, non voglio sentirmi male.»

Dietro di me, qualcuno mi dà una fastidiosa pacca sulla schiena, facendomi trasalire.

«Eccoti qui! Vincent ti sta cercando.»

Mi volto.

Oh no. È Nico, il giovane dai capelli rossi. La sua zazzera è molto più arruffata di prima.

Il ragazzo con gli occhiali sbianca. «V-Vincent? Quel Vincent?» balbetta, prima di darsela a gambe. A quanto pare, provarci con le ragazze di Vincent deve essere il suo hobby inconsapevole. O forse, più probabile, ha qualche questione aperta con lui. Non mi interessa.

«Christine! Dio santo, ma dov'eri?»

È lui. La sua voce è inconfondibile.

«Stavo prendendo un po' d'aria» gli dico quando mi raggiunge.

«Credevo che te ne fossi andata. È pericolosa la strada, qui fuori.»

Vincent mi guarda. Non è arrabbiato; anzi, sembra preoccupato. Mi cinge le spalle con un braccio, scaldandomi un po'.

«No, sono rimasta.»

«Bene. Possiamo tornare a casa, se vuoi.»

Un nodo mi chiude la gola. «Sì, ti prego» gli dico. Non ne posso più di stare qui.

Un'altra mezz'ora passa tra i saluti di Vincent e le solite chiacchiere d'occasione. Poi, poco prima delle cinque, finalmente recuperiamo i nostri cappotti al guardaroba e ci infiliamo in macchina.

Il silenzio regna cupo per qualche minuto, mentre le ruote sfrecciano sull'asfalto.

«Sei turbata?» mi chiede poi Vincent.

«Turbata?!» sbotto.

Gli dico tutto. Tutto quello che ho pensato, tutto quello che mi passa per la testa. Sono stanca, non riesco e non voglio trattenere ancora le mie emozioni.

«Te l'avevo detto» sbuffa lui quando ho finito, la voce un po' irritata. «L'avevo messo in chiaro fin da subito, Christine. È questa la mia vita. È così che io voglio vivere, che ti piaccia o meno.»

«Non mi avevi detto che sniffavi!»

«Oh, andiamo! Per una volta che l'ho fatto, a una festa! A te cosa importa? Cosa cambia, questo, tra noi due?»

«Cambia... cambia tutto! Io sono preoccupata per te, Vincent.»

«Non c'è niente di cui preoccuparsi. Guarda che lo fanno tutti: è molto più diffuso di quanto pensi.»

«Lo so. Cioè, lo immagino. Ma è una cosa che mi fa paura.»

Vincent tace per un po'. La Porsche corre veloce, sfogando il suo nervosismo, poi si ferma sul ciglio della strada. Fuori il cielo è meraviglioso, nei suoi colori pregni delle luci che anticipano l'alba.

Quando parla di nuovo, Vincent è calmo.

«Christine» mi dice, «io mi rendo conto di quanto possa essere difficile per te. Ma devi fidarti di me: sono adulto, so quello che faccio e ci tengo alla mia vita, va bene? E tengo anche alla tua.»

Una lacrima mi scorre solitaria su una guancia. «Mi prometti che non farai cazzate?» gli dico, la voce rotta.

Vincent sospira. «Non voglio farne.»

Mi abbraccia. Lo stringo forte e piango, piango ancora, il viso affondato nel suo petto.

Spazio autrice

Ma quanto è dura la testa di Vincent? 😅
Rinuncerà a qualcuno dei suoi vizi (almeno a quelli più gravi!) per Christine?

(Anche questo capitolo deve il suo sviluppo a M.J., e Loren ci ha messo il suo invadente zampino in fase di revisione 😎)

A presto!

M.J.L.

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