Capitolo 32
Seth
Perchè l'avevo fatto? Perchè non ero riuscito a tenermi le mani a posto? Perchè doveva guardarmi e sorridere in quel modo? Perchè non mi ascoltava e non restava lontano da me? Perchè non capiva che fossi un bastardo?
Cazzo.
Era così morbida la sua pelle, così liscia, così delicata. Mi eccitavano i segni che le mie mani lasciavano su di lei. Il suo profumo era qualcosa di magico e allo stesso tempo di tossico, era come se avesse il potere di incantarti e di farti dimenticare di tutto tranne che di lei. Lo volevo addosso a me. Lo volevo ovunque. E ieri notte l'avevo sentita ovunque. Sapevo avrei fatto una cazzata, sapevo che quando avrei affondato in lei per la prima volta non avrei più avuto via di fuga e avrei voluto continuare a farlo e rifarlo. Ed era stato così. I suoi soffici gemiti, il modo in cui pronunciava il mio nome come se fosse una preghiera immorale, le sue dita che si aggrappavano a me, gli occhi lucidi e innocenti che mi guardavano mentre sprofondavo nel paradiso tra le sue cosce, quelle dannate labbra che avrei voluto mordere al posto suo ogni volta colpivo nel punto giusto.
Mai, nemmeno una volta, una scopata mi era entrata così sotto pelle. Non mi interessava di niente e nessuno. Certo, sapevo occuparmi molto bene di chi avevo sotto di me, ma solo perchè volevo essere il migliore e volevo che non si scordasse di me. Ero un dannato megalomane e lo sapevo, specialmente nel sesso. Me ne sbattevo di che profumo avevano, della loro voce, di come mi guardavano. Anzi, la maggior parte delle volte ero talmente fatto che poi non ricordavo nulla se non se la scopata fosse stata mediocre, discreta o ottima.
Ma con lei no. Era lei la droga. Era lei che entrava nel mio circuito mentale e lo fotteva. Lei e i suoi dannati occhi cristallini. Il suo modo di sorridere. Come si toccava i capelli. Come il suo corpo rispondeva al mio. Sembrava che non si fosse mai acceso per nessuno in quel modo e questo mi faceva sentire potente. Mentre la scopavo, volevo essere nella tua testa per leggerla da dentro. Volevo sapere quali pensieri facesse su di me. Volevo vedere con i suoi occhi come mi guardava. Se il suo cuore accelerava in quel modo nauseante quando la toccavo, così come faceva il mio con lei.
Era tutto così sbagliato. Penelope aveva ragione. Non avrei dovuto fottere lei, perchè ci avrebbe fottuto tutti. Se l'avessero scoperto, sarebbe stato un grosso problema. Ma non capivano. Non capivano come mi facesse sentire normale e lo sapevo che fosse perchè non sapeva chi fossi ma era bello il modo in cui riuscivo a non pensare a niente quando stavo con lei.
«Seth?»
Aprii gli occhi e fissai le piastrelle della doccia. L'acqua bollente scorreva sulla mia pelle. Cercavo di eliminare le sue tracce ma sembrava impossibile.
«Tutto bene? Sei dentro da un po'.»
Chen non si faceva mai i cazzi suoi. Doveva sempre comportarsi come un fratello attento e protettivo.
«Sto bene.» Dissi ad alta voce per superare la porta del bagno chiusa e il rumore dell'acqua della doccia.
Il silenzio che seguì mi fece capire che se ne fosse andato.
Tornai a chiudere gli occhi e serrai i denti. Non mi sarei perdonato per quello che sarebbe successo quella sera. L'avrei terrorizzata e il solo pensiero mi faceva venire voglia di prendermi a pugni da solo.
Ma mi aveva mentito, ancora. Non mi aveva detto che il messaggio fosse di Ian, o almeno, lei credeva fosse suo. Le abilità informatiche di Chen erano sempre le più utili.
Mi avrebbe mai detto la verità? Si sarebbe mai fidata di me fino a quel punto?
Non lo sapevo ma non era quello il problema. Il vero problema era che una parte di me, forse tutta, stava vicino a lei indipendentemente dallo scoprire la verità. Ero fottuto, si. Daphne mi avrebbe mai perdonato per questo errore?
Iniziai a lavarmi con la speranza di riuscire a togliere il suo profumo, il suo tocco, il suo sapore...ma non sembrò funzionare. La sentivo ancora addosso a me quando uscì gocciolante dalla doccia.
«Cristo.» Non pensavo che Chen fosse rimasto nella stanza. «Che ci fai ancora qui?»
Era seduto sulla sedia girevole della scrivania e lo superai mentre andavo a recuperare dei boxer.
Sbuffò in una risata. «Non provi nemmeno a nasconderli?»
«Sei tu.» Dissi atono aprendo l'armadio. «So che resterà tra me e te.»
Come sarebbe rimasta tra noi la loro scopata. Era stato difficile da spiegare perchè avessi buttato e bruciato il materasso in una discarica abbandonata.
«Sei stato con lei fino ad adesso?»
«Si.» Serrai i denti.
Cristo. Mi avrebbero dovuto premiare per l'autocontrollo che avevo avuto per essermi staccato da lei quando era completamente nuda sotto di me.
Mi vestii in fretta prima che un altro di noi cinque fosse entrato in camera e avesse visto i graffi delle unghie di Nyxlie. Certo, avrei potuto mentire ma non ci avrebbero creduto a quello.
«E non sei riuscito a scoprire niente?»
Lo guardai oltre la spalla. «Non mi interessava farle domande ieri sera.»
Mi sentivo patetico ma volevo solo stare con lei.
Sospirò. «Pen e Derek vogliono occuparsene loro.»
Sorrisi mentre frugavo sotto le magliette nel mobile per tirare fuori una bustina con della cocaina.
«Col cazzo.»
«Pen dice che non puoi farlo tu.»
Il mio sguardo si indurì. «Vogliono giocare agli psicopatici con lei. Non esiste.»
La maggioranza aveva vinto e ora dovevo accettare che venisse rapita per essere interrogata. Era già tanto che glielo stavo facendo fare. Ma non avrei mai lasciato quei due da soli con lei.
«Gli unici che la interrogheranno saremo io e te.»
«In tutta sincerità, non penso che tu sia nella mentalità per farlo.»
Lo guardai fulmineo. «Devo.»
«Perchè?»
«Sarà più facile allontanarmi dopo.»
«Sul serio?» Si accigliò.
«Non posso starle vicino dopo questa sera. Impazzirei.»
Andai verso il comodino per recuperare il pacchetto di sigarette e ne accesi una, stando davanti alla finestra.
«Le ho detto che mi dispiace.» Butta fuori una nuvola di fumo, fissando il pavimento. «Se mi allontano, collegherà quelle scuse a questo.»
«Non pensi ti cercherà? Specialmente dopo questa sera?»
Non risposi. Certo che ci avevo pensato ma magari non l'avrebbe fatto. Perchè avrebbe dovuto cercare protezione da me? Significava che fossi qualcosa, qualcuno, per lei e non andava bene.
«Pensi che parlerà?» Chiese con un sospiro.
Buttai la cenere fuori dalla finestra. «Alla fine cederà, si. Lei si sente in colpa e avrà paura a parlare perchè penserà che le faremo qualcosa, che la reputeremo in parte responsabile.»
«E se lo fosse?»
Lo guardai infastidito. «Non è colpa sua.»
«Non sai cos'è successo.»
«Ma so che non è stata lei a violentare Daphne.» Scattai e feci un altro tiro. «Qualsiasi cosa sia successa, lei non ha colpe. Daphne non si è uccisa per colpa sua.»
«Posso farti una domanda?»
«Se riguarda lei, no.»
Premette le labbra e io inarcai un sopracciglio mentre espiravo una nuvola di fumo.
Ovviamente era su di lei.
L'istante successivo la porta si spalancò e Penelope entrò. Nascosi l'irritazione che provai nel vederla. Fino a quella sera avrei preferito non incrociarla.
«Oh, finalmente ti sei fatto vivo.» Incrociò le braccia e mi scrutò. «Dove sei stato?»
«Non importa.» Replicai. «Cosa vuoi?»
Ruotò gli occhi. «Sei ancora arrabbiato per questa sera? Dovresti essere contento dato che scoprirai la verità.»
Serrai i denti e spensi la sigaretta nel posacenere.
«A proposito di questa sera, né tu né Derek vi avvicinerete a lei.»
Sapevo che si sarebbe incazzata e infatti dopo aver chiuso la porta con un gesto secco, mi fulminò con lo sguardo.
«Avevamo deciso che voi vi sareste occupati della prima fase e noi del resto.»
«Non ho mai accettato questo piano.» Assottigliai gli occhi. «Figuriamoci lasciare voi due con lei.»
«Ci sarà anche Zack.» Rispose annoiata.
«Non mi interessa. Voi, tu soprattutto, non vi avvicinerete a lei.»
Il suo sguardo si fece più affilato e sorrise cinica.«Cosa c'è Seth? Hai paura che la tua principessa si faccia male?»
La fissai imperturbabile. Non avrebbe ottenuto ciò che voleva. Non oggi.
«Pen, sai anche tu che è sbagliato.» Intervenne Chen.
«L'ha fatto con l'ex. Perché lei no?» Chiese rivolgendosi a lui ma guardando me. «Lei non è diversa. Non ti guarderebbe in faccia se sapesse la verità di noi, di te. Con lei, vivi in un'illusione e lo sai. Pensa di conoscerti ma non è cosi. E tu pensi sia speciale solo perché è la prima volta che ti leghi a qualcuno ma questo solo perché non sei mai stato interessato a conoscere altre, non ti sei mai avvicinato ad altre perché sai di non poter essere davvero te stesso. È come tante altre, solo che hai passato più ore con lei e ti sembra unica. Ti sbagli: rimane una ragazzina viziata e bugiarda che non ti capirà mai fino in fondo.»
«Pen--» Disse Chen.
«No.» Mi lanciò un'occhiata sprezzante. «L'ho già detto e lo ripeto: ci farà fottere tutti quanti. È solo questione di tempo.»
Le sue parole si attaccarono nelle mie sinapsi, entrarono nel mio circuito mentale e si fermarono negli angoli nascosti ad avvelenare gli altri pensieri.
Rimanemmo in silenzio per diversi secondi.
«Non hai niente da dire?» Chiese infastidita, quando mi allontanai dalla finestra.
Mi fermai di fronte a lei e incrociai i suoi occhi per avere la sua completa attenzione.
«Lei non si tocca.»
Nyxlie
Fai qualcosa. Devi aiutarla, Nyxlie. Lei ha aiutato te e ora tu la ripaghi in questo modo? Aiutala! Sei l'unica che può farlo. Sei l'unica che può salvarla. Si, ero l'unica che poteva salvarla ma non riuscivo a muovermi. La mia testa urlava di chiamare qualcuno, fare qualcosa, ma io ero bloccata. Non potevo crederci che stava succedendo davvero quello. Ero seduta su quel gelido pavimento, fuori da quella stanza, mi tenevo stretta le gambe magre e la testa nascosta tra le ginocchia. Ero lì, potevo aiutarla ma tremavo. Tremavo e piangevo mentre sapevo cosa stava succedendo dietro quella porta. Speravo arrivasse qualcuno ma non arrivò nessuno. Potevo salvarla ma non l'avevo fatto. La paura aveva avuto la meglio e lei...lei era morta.
La testa era pesante e le tempie mi pulsavano. Sentivo le braccia formicolanti e le palpebre faticavano a stare aperte ma piano piano iniziai a mettere a fuoco e a provare a muovermi perchè sentivo le braccia in una posizione insolita. Non riuscivo a muoverle. Anche i polsi erano bloccati. Sembravano uniti ma bloccati da qualcosa, tipo un laccio.
I miei occhi vagarono, catturando le immagini di quello che sembrava un sotterraneo o un garage. C'era una porta di metallo nella parete di fronte a me. Mi resi conto di essere stata legata ad una sedia. Le gambe erano bloccate da nastri di plastica contro le gambe e i polsi erano legati dietro alla mia schiena. Mi lamentai indolenzita e provai rompere il laccio attorno ai polsi tirando e tirando, ma niente da fare, era durissimo.
Il mio cervello iniziò ad elaborare il pericolo.
Non era Ian quello che mi aveva scritto. Non avevo idea di come fosse possibile ma ero stata ingannata ed ero caduta nella loro trappola.
I Vendicatori.
Erano loro. Ne ero sicura. Prima di perdere i sensi avevo visto quella maschera: lo smile rosso. Non stavo dormendo. Quello non era un sogno. Era la realtà. Stavo vivendo un incubo.
Quel pensiero fece andare in tilt l'apparente calma che mi aveva fatto compagnia fino a quel momento. Dov'ero? Quanto tempo ero stata priva di sensi? Cosa volevano farmi? Se avessi urlato qualcuno mi avrebbe sentito? Mi stavano guardando?
Saettai negli angoli della stanza ed effettivamente vidi una telecamera puntata verso di me.
Deglutii ma non servì a tranquillizzarmi. Ero stata rapita da cinque fottuti serial killer, ero legata, non avevo niente con cui difendermi -non che fosse stato possibile farlo-, ero semplicemente in trappola. Senza via di fuga. Ero certa che quell'unica porta fosse o bloccata oppure ci avrei trovato loro.
Da quanto mi stavano tenendo d'occhio? Come avevano fatto a rintracciare il mio numero di telefono?
Sentii il respiro iniziare a farsi più rarefatto. Mi divincolai cercando di liberarmi ma sentivo solamente la plastica sfregare contro la pelle dei polsi. Era inutile.
Non avevo detto a nessuno dove stessi andando davvero. Nessuno si sarebbe preoccupato. Nessuno mi avrebbe cercata.
Il labbro prese a tremare e affondai i denti, chinai la testa e singhiozzai piano.
Avrebbero mai smesso di cercare la verità? Avevano mai smesso di seguirmi in quegli anni? Mi avrebbero torturato per farmi parlare? Perchè me? Perchè non prendere direttamente mio padre? Non avevano prove, mi dissi. Ecco perchè me. Ero la loro via più semplice per ottenere ciò che volevano. Quella più debole.
Ma la domanda era: avrei mai detto la verità?
Ad un paio di metri da me c'era una sedia vuota. Chi di loro l'avrebbe occupata? Sarebbero venuti qui tutti e cinque? Solo due? Avrebbero fatto a turno? Quanto tempo sarebbe passato prima che avrebbero perso la pazienza e mi avrebbero ucciso?
Non avevo idea di quanto tempo fosse passato. Forse dieci minuti, forse un'ora. Le lacrime si erano ormai seccate ma il nodo allo stomaco era sempre presente. I miei occhi guizzarono alla porta quando quest'ultima si aprì. Trattenni il respiro e mi irrigidii. Ogni mio muscolo era teso come una corda di violino e stringevo i denti così forte che avevo paura potessero rompersi.
Il terrore prese nuovamente il sopravvento nel mio corpo e sentii le orecchie fischiare mentre ogni centimetro di me prese a tremare.
Era strano. Vederli dietro uno schermo e ora essere davanti ad uno di loro era...strano. Era inquietante ma c'era qualcosa che mi attirava. Una parte di me, quella curiosa, prese ad analizzare la figura che lentamente avanzava. Volevo sapere quanti anni avessero. Chi fossero. Perchè facevano quello che facevano.
Indossava una tuta anticontaminazione interamente nera, guanti di pelle neri, anfibi neri e incastrata nel cappuccio della tuta c'era la maschera. Rabbrividii perchè era esattamente così che si vestivano per le loro dirette.
Si avvicinò, superando la sedia, e non staccai gli occhi dallo smile a neon giallo. Era un'altra persona. Nelle dirette arrivava alla fine per premere il grilletto, non torturava, si limitava a porre fine ai giochi.
Sgranai gli occhi quando mi accorsi che in mano aveva delle pinze. Avrei potuto urlare, pregarlo di non fare niente ma le corde vocali si erano incollate e riuscii solo a respirare affannosamente quando si mise alle mie spalle.
Poco dopo sentii il laccio di plastica abbandonare i miei polsi e poi anche le caviglie furono liberate. Mi massaggiai i polsi per eliminare il segno rosso del laccio e alzai lo sguardo spaventata ma perplessa. Non mi stava guardando, stava già camminando verso la sedia, dandomi le spalle.
«Non avrebbero dovuto legarti.» Disse mentre si sedeva.
Il mio corpo venne cosparso da una miriade di brividi mentre lo stomaco si ghiacciò.
La voce era robotica. Impossibile capire se si trattasse di una donna o uomo, ma la corporatura alta e massiccia mi fece venire il sospetto che potesse essere un uomo. L'idea però peggiorò la mia situazione mentale. Non avrei mai potuto vincere in un combattimento con un uomo.
Non mi preoccupai di asciugarmi le guance umide con la manica della felpa ma continuai a stare ferma e in silenzio.
Mi aveva liberata ma non avevo lo stesso una via di fuga.
«Vuoi dell'acqua?»
Mi accigliai. Scherzava? Al suo silenzio, scossi la testa. Era complicato parlare con qualcuno e non poter vedere l'espressione sul suo volto. Era ancora di più complicato capire le intenzioni vocali quando la voce era robotizzata e nutra.
«Di solito non agiamo in questo modo.»
Rimasi in silenzio.
«Ma la tua famiglia è speciale per noi. Ormai ci conosciamo, no?»
Quella frase mi fece assalire un senso di rabbia.
Serrai i denti e affondai le unghie nei palmi. «Non avete mai smesso di spiarci, non è così?»
Non avevo idea da dove fosse saltato fuori quel coraggio.
Inclinò la testa. «Diciamo che non ci siamo mai dimenticati di voi.»
«Che cosa vuoi da me? Cosa volete?» Sputai nonostante la voce tremante.
«Parlare.»
«E se non volessi?»
«Perchè non dovresti?» Intrecciò le dita davanti a sé. «Cosa nascondi, Nyxlie Blake?»
Speravo non vedesse come iniziai a tremare fin nelle ossa.
Cosa nascondevo? Semplice: la verità.
Deglutii. «C-come avete fatto a trovare il mio numero? Come mi avete trovata?»
Parlavo al plurale perchè nonostante fosse da solo, sapevo che gli altri ci stessero osservando. Lo sentivo.
«Scoprire questo genere di informazioni non è difficile per noi.»
Effettivamente sapevano hackerare tutti i dispositivi americani, tv, tablet, telefoni. Tranne quest'anno, il mio telefono e il mio pc non erano stati bloccati. Speravo di poter fare un'altra domanda ma fu lui a parlare.
«Ora è il mio turno.» Disse. «Parlami un po' di tuo fratello.»
«Sapete già che è vivo, a quanto pare.»
«Lo abbiamo scoperto, si.»
«E cosa volete sapere? Non so dove sia adesso.»
«Dove si trova il centro? Come si chiama?»
«Oregon, si chiama...La Fenice, una cosa del genere.» Confessai. «È un istituto privato, si pagano molti soldi per far entrare le persone in riabilitazione.»
«Figuriamoci per farle rinchiudere a vita.» Commentò e potei captare l'ironia nonostante la voce camuffata. «Mamma e papà si impegnano parecchio per togliere di mezzo i problemi, no?»
Non risposi ma era la verità. Stava girando intorno, non era questo che voleva sapere. Entrambi sapevano bene perchè fossi qui.
«Soprattutto quando i problemi sono parecchio gravi.»
Aveva sganciato velocemente la bomba e ora stavo facendo i conti con la sua esplosione. Sentii le unghie tagliare la carne del palmo. Il respiro si fece più pesante e guardai a terra, il freddo pavimento cementato.
Forse sarei morta portandomi dietro quel segreto, ma loro non avrebbero mai capito perchè lo facevo.
«Una giovane donna si è suicidata perchè tuo padre l'ha violentata. Come puoi rimanere in silenzio?»
Potevo aiutarla.
«Vivi sotto lo stesso tetto di uno stupratore. Dormi serena la notte?»
Le lacrime presero nuovamente a bagnare le mie guance. Saettai gli occhi lucidi su di lui. «Io non so niente.»
«Perchè piangi?»
«Cosa vi fa pensare che io sappia qualcosa?» Ribattei.
«Sei sua figlia. Devi sapere qualcosa.»
«Be', non so niente.»
Il silenzio piombò tra noi. Nonostante la paura di avere davanti a me un assassino, non riuscivo a non guardarlo con astio. Era l'unico modo che avevo per non mostrarmi debole.
«Abbiamo tanto tempo.» Alzò le spalle. «E se non vuoi parlare con me, forse parlerai con gli altri.»
Sentii il sangue abbandonare il mio corpo. Volevano torturarmi?
«Dove siamo?» Chiesi, il nervosismo era udibile nella voce.
«Tu non rispondi alle mie domande, perchè io dovrei rispondere alle tue?»
Respirai piano dalle narici. Volevo insultarlo ma temevo la sua reazione.
La porta si aprì di scatto e risucchiai un sospiro quando le luci a neon rosse entrarono a contatto con i miei occhi.
No...
Mi alzai di scatto e andai dietro alla sedia, stritolando lo schienale. Chi c'era dietro allo smile rosso era il più sadico di tutto, non a caso si pensava fosse il capo. Era lui che avevo visto prima di perdere i sensi.
«Oh, abbiamo una piccola fan.» Commentò robotico, avanzando piano. «Finalmente ci incontriamo di persona.»
Anche lui indossava la stessa tuta monouso, guanti e anfibi neri. La persona con lo smiley giallo si alzò e lo guardò. Però, nonostante fossi lontana e nonostante le fessure della maschera fossero piccole per poter scorgere anche solo il colore dei loro occhi, mi sembrò di sentirli addosso come aghi. Ero sicura che non avesse ricambiato lo sguardo del suo collega. Qualcosa vibrò in me, qualcosa tremò. I miei occhi andarono subito alla ricerca di oggetti strani -coltelli- e per fortuna non li vidi. O forse erano nascosti. Preferivo stare con l'altro mascherato.
«Ci penso io adesso.» Disse, sedendosi sulla sedia e incrociando le braccia.
Non staccai gli occhi da quello smile nemmeno quando la porta sbattè perchè l'altro era uscito.
«Avrò l'onore di incontrarvi uno ad uno?» Sibilai, incrociando le braccia.
«Oppure potresti evitare con questa sceneggiata e non far perdere tempo a tutti noi.»
«Sceneggiata?» Quasi mi strozzai. «Mi avete rapito! E a prescindere non uscirò viva da quella porta!»
«Perchè lo pensi?»
«Perchè voi non lasciate mai vivo nessuno.» Replicai sprezzante, passandomi le maniche sulle guance per asciugarle.
«Potremmo fare un accordo, allora.» Disse. «Tu parli e noi non ti faremo niente.»
Scossi la testa. «Come se mi fidassi di voi. Io non so niente.»
«Non vogliamo farti del male.»
Afferrai il bordo della sedia e socchiusi gli occhi. «Stai mentendo.»
«Di solito tra bugiardi ci si intende.» Sembrò divertito.
«Vaffanculo.»
Mi pentii immediatamente di quello che dissi. Il cuore mi pompò nelle orecchie e sgranai gli occhi quando lo vidi inclinare leggermente la testa di lato.
«I-io...»
«Non voglio farti male.» Disse e questa volta, nonostante il dispositivo che robotizzata la voce, captai una serietà che per qualche assurdo motivo mi era quasi familiare. «Puoi insultarmi quanto vuoi ma non cambia il fatto che tu menti e che io non mi muoverò da qui finchè non mi dirai la verità.»
Io non potevo dire a loro la verità perchè significava avere la certezza di non uscire viva da qui.
Alla fine, io ero colpevole tanto quanto lui.
«Dove siamo?» Domandai ancora. Non mi sedetti, restai in piedi dietro alla sedia.
«Siamo in un seminterrato.»
«Siamo ancora San Francisco?»
«Non ci siamo spostati di molto.»
Da dove? Da San Francisco o dal maneggio?
«Che cos'hai provato quando è arrivata la denuncia?»
«La denuncia non citava il nome di mio padre.» Parlai atona.
«Ma il dito è stato puntato contro di lui. Non sarà stato bello, no?»
Incrociai le braccia e iniziai a camminare avanti e indietro. «È stato uno shock all'inizio ma io e mia madre sapevano che non fosse stato lui.»
«Supponiamo sia così.» Disse e i miei occhi saettarono sulla sua maschera mentre continuavo a camminare, fermarmi e girarmi dall'altro lato. «O la ragazza è una bugiarda o qualcuno l'ha incastrato.»
Non risposi alla sua domanda ma ne feci un'altra. «Perchè lo fate?»
Restò in silenzio qualche secondo, probabilmente stava ragionando a cosa stessi facendo riferimento.
«Per giustizia.»
«La giustizia non la si fa con le torture.»
«Non la fanno nemmeno i tribunali.» Replicò asettico. «Molte persone restano impunite perchè privilegiate e non lo troviamo giusto.»
«Perchè solo gli uomini?»
«Ci sono più casi con loro.»
«Fareste mai quello che fate ad una donna?»
«Non ci sono ancora stati casi di donne privilegiate che l'hanno fatta franca.»
Era un si, quindi?
«Ora rispondi alla mia domanda.»
Puntai lo sguardo sul muro davanti a me e mi fermai. Potevo davvero fidarmi di loro? No. Dio, anche solo il pensiero era assurdo. Erano assassini esperti. Mi avrebbero fatto uscire da qui anche a pezzi pur di non destare sospetti.
«Non me la ricordo.»
Sbuffò col naso e potei immaginare che chiunque ci fosse stato dietro, stava sorridendo. «Dai della bugiarda alla ragazza?»
«No.» Deglutii. «Non lo farei mai.»
«Quindi, tuo padre è stato ingannato.» Replicò. «Oppure, è un complice.»
«Se lo fosse...» Mi morsi il labbro. «Se lo fosse, cosa gli fareste?»
«Lo è? Chi sta proteggendo?»
«N-non ho detto che sta proteggendo qualcuno--»
«Allora è stato lui.»
Mi innervosii. «Non è stato lui!»
Restò in silenzio per pochi secondi. «Prima hai detto che non sapevi niente e ora sai che non è stato lui. A quale delle due affermazione devo credere?»
Mi sentivo come se fossi sotto a delle lame affilate che ondeggiavano tagliando l'aria e sibilando sopra la mia testa. Era complicato schivare quelle lame quando non aveva alcuna intenzione di far cadere l'argomento. Mi avevano rapita per questo. Loro dovevano ottenere quelle informazioni.
«Mi lascerete davvero andare come se niente fosse?»
«Gradiremmo tu non vada dalla polizia.»
«E se dovessi andarci?»
«Saremo costretti ad intervenire.»
Deglutii e nuovamente le lacrime mi colmarono gli occhi. Ero stanca.
«Non potete farmi parlare...» Soffiai ormai sull'orlo della disperazione.
«Perchè no?» Il tono voce robotizzata si abbassò, vibrando. «Di cosa hai paura?»
Sorrisi amaramente. «Mi stai chiedendo davvero di cos'ho paura dopo che mi avete rapita?»
«Non ti abbiamo fatto nulla.»
«Non ancora.»
«Io non ho intenzione di farti male.» Ripetè. «Ma qualcuno potrebbe avere altre idee.»
Ottimo. Scoppiai in un singhiozzo mentre mi tiravo indietro i capelli. «P-perchè non avete preso direttamente mio padre?»
«Perchè vogliamo che sia una sorpresa.» Rispose con tranquillità. «Lui pensa che noi ci siamo dimenticati di lui ma non è così.»
«E cosa ti fa pensare che non riferisca ai miei genitori di tutto questo?»
«Ti crederebbero?»
Quella domanda mi colpì quasi come uno schiaffo.
«Perchè sei venuta fin qui? Perché trasferirti dalla Columbia, una prestigiosa università, e venire qui?»
Lo guardai come se avessi voluto disintegrarlo, ma stavo ancora piangendo quindi era poco credibile.
«I tuoi genitori sembrano persone che prendono molto seriamente l'immagine di famiglia.» Continuò. «Ora capisco anche perché abbiano nascosto tuo fratello. Lui era un problema, forse avrebbero preferito che morisse davvero. E scommetto che non sia stato facile per loro vedere la propria figlia abbandonare un'università di quel calibro.»
Serrai i denti. «Abbiamo.»
«Come?»
«Abbiamo nascosto Ian.» Lo corressi con amarezza. «Io sapevo la verità e non l'ho mai detta.»
«E ti senti in colpa?»
«Certo che mi sento in colpa!» Sbottai. «Ian--lui è un pur sempre mio fratello.»
«Ti senti in colpa per quello che è successo a quella ragazza?»
«Si. No--cioè...»
Iniziai ad andare in tilt. Incastrai le mani tra i capelli e mi sedetti pesantemente sulla sedia per poi coprirmi il volto con le mani. Certo che mi sentivo in colpa.
Respira. Pensai a lui. Alla sua voce. Seth. Lui riusciva a calmarmi. Respira piano.
«Perchè ti senti in colpa?» Continuò a parlare. Continuò ad andare a fondo. A scavare nella ferita.
Scossi la testa, tirando su col naso e mi stropicciai gli occhi.
«Ti senti in colpa perché è stato tuo padre e avete mentito?»
«Non è stato lui!» Sbottai, scoprendomi volto coperto di lacrime. «Lui non era li!»
Si appoggiò alle ginocchia con le braccia.
Mi sentii nuda.
«Dov'era?»
Guardai le mani che stavo torturando. Sentii una lacrima raggiungere le labbra e me le leccai. Un singhiozzo sfuggì dalle mie labbra.
«Dov'era tuo padre, Nyxlie?»
Il mio petto vibrò appena udii il mio nome. Non riconoscevo la voce ma era come se il cervello andasse oltre quel meccanismo di distorsione e non capivo perché reagisse cosi.
«N-non capite. Non p-posso dirvelo.» Scossi la testa, tirando su col naso.
«Tu sai la verità.»
Guardai i piccoli fori della maschera. Le lacrime stavano ora scivolando sul collo. La testa mi pulsava. Volevo scappare. Volevo essere nel mio letto. Volevo chiudere gli occhi e sparire da lì. Vorrei essere tra le sue braccia.
«Nyxlie.» Mi richiamò.
Sentivo i miei occhi tremare dietro le lacrime.
E poi, come sfinita, annuii.
Confessai ad uno dei cinque serial killer più temuti di quegli ultimi anni la verità.
Io sapevo.
Inspirò e drizzò la schiena.
Lo guardai. Volevo sapere cosa pensasse. Stava pensando a come sbarazzarsi di me? A come punirmi per non aver mai detto la verità?
Si alzò e i nervi mi si tesero. «D-dove vai?»
Aveva detto che gli altri avrebbero potuto farmi del male. Lasciava a loro la palla? Era finito il suo turno?
Non ricevetti risposta.
La porta sbattè alle sue spalle e io tornai a piangere da sola, infreddolita e con la paura che mi avvolgeva come una fredda coperta insistente.
Non sarei mai uscita da qui.
Δ
Non avevo idea di quanti minuti fossero passati da quando rientrò. Tuttavia il mio petto si alleggerì nel vedere il più psicopatico tra i cinque entrare con una bottiglietta d'acqua. Non si avvicinò, però, me la fece rotolare sul pavimento una volta che si sedette nuovamente sulla sedia.
La guarda colpire le scarpe e la recuperai pochi secondi dopo. Tutte quelle lacrime mi avevano indolenzito la gola, avevo bisogno di bere ma come potevo assicurarmi che non l'avessero avvelenata in un qualche modo?
«Puoi berla.» Disse, notando la mia riluttanza nell'aprirla. «Ti ho detto che non voglio farti niente.»
Pregai che non stesse mentendo e aprii la bottiglietta per bere. L'acqua fresca aiutò a sfiammare la gola e la sentii scendere lungo la trachea. Ne scolai quasi metà.
«Che ore sono?» Chiesi con voce rauca per il pianto.
«È notte.»
Ovviamente non rispondeva in modo preciso.
«Quanto pensate di tenermi ancora qui?»
«Il necessario.»
«Che sarebbe?» Sbuffai in una risata disperata.
«Un'ora. Due. Un giorno. Una settimana...dipende da te.»
Stritolai la bottiglia al pensiero di stare rinchiusa qui per tutto quel tempo.
«Non potete.» Dissi ma non ero cosi sicura.
«Dici?» Incrociò le braccia.
«Qualcuno si chiederà dove sono e mi cercherà.»
Qualcuno come Zara e Phoebe. Avrebbero chiesto a Seth e lui...lui si sarebbe preoccupato? La notizia sarebbe arrivata poi a Winter? A Jace? Ai miei genitori?
«È troppo rischioso per voi tenermi qui.»
«Stai provando a convincermi a lasciarti andare?»
Non risposi. Era triste solo il fatto che ci avevo pensato davvero.
«Volevo informarti che non mi dilungherò troppo.» Disse. «Tra poco passerò il testimone.»
«Perchè? Chi...cosa vogliono farmi?» Mi agitai e il cuore battè più veloce.
«Non sono gentili come me.»
Risi brevemente. «Tu gentile?»
«Non sono gentile?» La voce robotica scese di un tono.
Deglutii.
«Hai paura che ti faccia qualcosa se racconti la verità?» Chiese.
Abbozzai un sorriso freddo. «Preferisco patire le vostre torture rispetto a quello che mi succederà se parlo.»
Sembrò irrigidirsi a quello. «Qualcuno ti farebbe del male?»
Distolsi lo sguardo a terra.
L'istante successivo la porta si spalancò ancora ed entrò una persona con lo smiley blu. Rispetto al giallo e al rosso, questa figura era più minuta, sicuramente più bassa.
Avanzò verso di me e sgranai gli occhi, ghiacciandomi di colpo quando mi puntò una pistola addosso. Premette il grilletto e urlai coprendomi le orecchie. Aveva colpito il vuoto alla mia destra.
Iniziai a piangere, a tremare e respirare con affanno mentre quello con lo smile rosso si alzò di scatto e si parò di fronte alla canna.
«Esci.» Captai la durezza nel suono metallico.
«Ci stiamo stancando.»
La figura con lo smile blu lo superò e si avvicinò, puntandomi la pistola contro.
«Ha mentito. Ti faremo fuori.» Disse. «Perciò ti conviene parlare, almeno il proiettile non sarà sprecato per niente.»
Cercai aiuto nella maschera rossa. Il modo in cui le spalle si alzavano e abbassavano mi faceva intuire che non era programmata questa irruzione.
«Parla, Nyxlie.» Disse proprio la sua figura, con più calma rispetto alla persona che mi puntava la pistola.
«A-avevi detto che non m-mi avreste fatto niente.» Andai in panico.
«Hai paura di quello che ti faranno altri, no? Tu parli, noi ti uccidiamo e risolviamo il problema.» Intervenne la maschera blu. Sicuramente non aveva pazienza e mi odiava.
Alternai lo sguardo tra le due maschere. Ora ero terrorizzata e preferivo di gran lunga stare rinchiusa con i primi due che quest'ultimo.
Sparò un altro proiettile vicino a me e urlai di nuovo.
«Aspetta! I-io...» Singhiozzai. «N-non posso dirvi chi è stato ma mio padre...l-lui non è stato. Aveva un'altra relazione in quei mesi. T-tradiva mia madre.»
La pistola non si abbassò, mirava alla mia fronte. Il dito guantato era sul grilletto. Guardai entrambi ma mi soffermai più sulla maschera rossa, in qualche modo, era più confortante.
«Quel giorno--il giorno in cui è avvenuta l-la violenza mio padre non ha un alibi, è vero ma perché era da questa donna...»
«Spiegati meglio. E in fretta.»
Deglutii. «Quel giorno li ho sentiti discutere. M-mia madre non riusciva a credere alla notizia, era disperata...ma più per il fatto successo lei pensava alla famiglia, a cosa avrebbero pensato le persone. Mio padre era strano in quei mesi, tornava tardi la sera e stava via per molto tempo. Mia madre gli disse che aveva capito che qualcosa non andava ma non pensava fosse quello.»
Presi un profondo respiro prima di continuare. «Mio padre disse che non era stato lui, che non era nemmeno andato in ufficio quel giorno e aveva una prova che non poteva confessare. Le confessò che era strano perchè andava a letto con un'altra donna che lei stessa conosceva.»
Mi fermai e mi strinsi le ginocchia con le mani mentre piangevo. Sentii dei passi e mi ritrovai davanti, inginocchiata, la persona con la maschera rossa. Ero talmente confusa, impaurita, che non mi accorsi nemmeno del colore dei suoi occhi.
«Cos'è successo dopo? Chi è stato?» Domandò.
Il mio viso si contorse mentre scuotevo la testa. «S-sono l'unica che lo sa...sapranno che--»
«Ti prometto che non ti succederà niente. Faremo in modo di trovare informazioni che ci aiuteranno e non faremo riferimento a te, ma devi aiutarci.»
Mi passai sotto gli occhi i polsini della felpa ormai bagnati.
«Non ti verremo più a cercare.»
«Forse.»
La persona si alzò di scatto facendomi sussultare. Mi spaventai per la velocità con cui rubò la pistola all'altro. «Esci. Subito.»
Per qualche momento sembrò opporre resistenza ma poi per l'ennesima volta la porta sbattè.
La pistola era rimasta nella sua mano. La guardai ancora terrorizzata. Poi, con un movimento secco e svelto, tolse il caricatore con la stessa mano e la buttò a terra. Fissai quel caricatore, l'aveva fatto per farmi capire che non voleva uccidermi.
«La donna con cui aveva una relazione segreta era la moglie del suo socio: Harold Fletcher.» Parlai, sollevando gli occhi sulla sua maschera, in quei fori neri. «Harold lo sapeva, ma sapeva anche che negli uffici ci sono molte telecamere. Se la polizia avesse trovato quelle registrazioni era finita per lui.»
«Harold ha detto a tuo padre di occuparsi dei video perché è stato lui?»
Annuii. «Si. In cambio non avrebbe fatto saltare fuori la relazione segreta e che avrebbe fatto in modo che le accuse cadessero, non so come, ma la denuncia è stata effettivamente ritirata.»
Ecco perchè tutti incolpavano mio padre. La ragazza aveva solo denunciato la violenza da parte di qualcuno dei ranghi superiori, non aveva inserito nessun nome. Mio padre, capo dell'azienda e primo sospettato essendo senza alibi, aveva cancellato i video, non c'era nessuna prova contro Harold e quest'ultimo era riuscito ad inventarsi un finto alibi, così da non essere nemmeno considerato sospettato. L'unico che rimase senza alibi fu mio padre perchè non poteva dire di essere stato a casa di un'altra donna, moglie del suo socio e migliore amico; così la presunta colpa cadde di lui, ma la denuncia venne ritirata e tutto sparì. Tutto venne insabbiato. Qualcuno aveva dimenticato, molti altri ricordavano ancora tutto e puntavano il dito contro mio padre.
«Come faccio a crederti?»
Era verità. O meglio, parte della verità. Ma lui voleva un responsabile, e io uno glielo avevo dato.
«Come faccio a crederti che non mi ucciderai? Io sapevo--so la verità.»
Si abbassò nuovamente, i miei occhi erano in linea con i fori della maschera. Un brivido percorse il mio corpo.
«Sapere la verità non cambia ciò che è stato fatto. Harold Fletcher è il colpevole, non tu.»
Il cuore mi battè ferocemente. «Farete q-qualcosa anche a mio padre?»
«Lui l'ha aiutato ad insabbiare tutto. Una ragazza si è suicidata per questo.»
«M-ma non ha fatto niente a lei. Non direttamente almeno...»
«Valuteremo cosa fare.»
«Ma--»
«Lui è un adulto, tu eri una ragazzina. Non è la stessa cosa.»
Si rialzò.
«Mi lasciate andare adesso?» Chiesi allarmata.
Non rispose. Prima che aprisse quella porta parlai ancora.
«Siete stati voi?» Sputai senza nemmeno rendermene conto. «Ad Halloween...siete stati voi? Quell'uomo a Fruitville.»
Si fermò e si girò abbastanza da farmi vedere la maschera.
«Ti seguiamo da un po'.» La sua voce robotica sovrastò il rumore del battito accelerato del mio cuore. «L'abbiamo visto e non potevamo lasciar correre.»
Quindi avevo ragione. Seth non mi aveva creduto.
«Mi seguirete ancora? O-ora che avete ciò che cercavate...» Ingoiai un groppo d'ansia.
Non ricevetti risposta a quello. Se ne andò e io restai ancora sola per un po'.
Quando tornò non era da solo, scattai sull'attenti notando il compagno con la maschera dallo smiley giallo. Essendo in due mi preoccupai più del previsto e iniziai ad agitarmi maggiormente quando vidi nella mano di quello con lo smiley rosso, una siringa.
Provai scappare ma ovviamente venni bloccata dalle braccia del compagno. Impaurita della sostanza che ci fosse all'interno, cominciai a piangere e a pregarlo di non farlo. Mi venne tappata la bocca e bloccato il collo.
L'ago si infilzò nella pelle e rimasi ad osservare il buio di quelle fessure, dietro alle X a neon rosse degli occhi.
Non sapevo cosa fosse, ma non passò molto prima che perdessi ancora conoscenza.
Per un frangente mi sembrò di essere avvolta da un calore e profumo avvolgente e familiare.
S/A.
Ehilà 🍑🖤
Siamo giunti finalmente alla verità, ma Nyxlie sarà stata onesta al cento per cento?
➡️ Si è capito chi c'è dietro lo smiley rosso, un certo ragazzo che si è assicurato che nessuno le facesse del male⛓️🖤
➡️ Non sottovalutate ciò che Seth dice a Chen quando sono in camera, come ho detto la tormenta ormai è qui🌪🫣
Lasciate un voto e un commento se vi è piaciuto!
Vi aspetto su instagram per commento insieme♥️
A presto, Xx
Profili social🍒:
IG e TT: anonwriter23
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top