Capitolo 24

«Si...ti prometto che ti racconterò tutto, ora--Si, te la saluto. Devo andare, ciao.» Jace inspirò a fondo mentre rimetteva in tasca il telefono.

Quella mattina ci eravamo svegliati relativamente presto poichè dovevamo andare a trovare sua zia e Jace doveva passare dalla camera dell'hotel. Lo raggiungemmo con un taxi e lui si chiuse in bagno per farsi una doccia e nel mentre io l'avevo aspettato in camera.
Al momento stavamo facendo colazione in un bar non tanto distante dalla casa in cui sua zia -che avevo scoperto si chiamasse Nancy- abitava e lo aveva invitato.

«Mia sorella ti saluta.» Mi fece sapere con fare annoiato.

Sorrisi divertita. «Grazie, ricambio il saluto.»

Jasmine era una ragazza davvero adorabile, non avevamo moltissimi anni di differenza ma l'avevo trovata sempre più in gamba di me. Era molto furba e sapevo che faceva impazzire Jace col suo carattere peperino. Non sapevo cosa sarebbe successo a lei dato che era ancora minorenne e Jace non aveva un lavoro stabile, speravo che non li allontanassero l'uno dall'altra ma non era un argomento che volevo toccare al momento. Anche se non voleva darlo troppo a vedere, era nervoso. Aveva ordinato solo un caffè e stava facendo fatica a finire anche quello. Io, invece, stavo gustando con piacere i miei waffle al cioccolato accompagnati da una spremuta.

«Andrà bene.» Dissi.

Lui guardava fuori dalla vetrata al nostro fianco con fare perso. «Non so nemmeno cosa dirle.»

«Devi solo parlare di te e di Jasmine.»

Mi lanciò un'occhiata. «Devo dirle anche quante volte mi hanno arrestato?»

Feci finta di pensarci e poi schioccai. «Quello direi di lasciarlo per il secondo incontro.»

Riuscii a strappargli un sorriso ma non fu abbastanza per farlo rilassare. Uscimmo dal bar appena terminai il mio piatto e ci incamminammo a piedi verso l'indirizzo che lei gli aveva inviato. L'aria quel giorno era fredda e nascosi mezza faccia nel colletto del cappotto e infilai le mani in tasca. Non ci scambiammo molte parole perchè Jace era perso nei suoi pensieri e non volevo disturbarlo.

Arrivammo davanti ad una villetta grigia, era in una di quelle vie tranquille, con le casette tutte vicine e uguali. Attraversammo il vialetto e ci fermammo davanti alla porta blu. Guardai Jace che fissava il campanello come se potesse esplodere da un momento all'altro. Poi, prese un profondo respiro e trovò il coraggio di suonarlo. Poco dopo la porta si aprì e comparve una donna. Aveva dei capelli castani e mossi, grandi occhi verdi e la bocca sottile schiusa per la sorpresa.

«Sei Jace, giusto?» Chiese delicata, emozionata.

Lui tossì. «Si, sono io. Lei è Nyxlie, una mia amica.»

La donna mi guardò con un sorriso cordiale che ricambiai salutandola. Ci fece entrare e subito ci avvolse un forte odore di cannella. Io e Jace ci scambiammo un'occhiata.

«Ho preparato del te e biscotti.» Disse la donna, Nancy. «Ne volete un po'?»

I suoi occhi ci scrutavano speranzosi e parlai prima che Jace potesse rifiutare. «Certo, grazie mille.»

Lei si illuminò e ci disse di accomodarci sul divano in soggiorno. Lei sparì in un piccolo corridoio andando in cucina e noi ci sedemmo sul divano. C'era un grazioso camino nella stanza e sopra ad esso anche delle cornici.

«Ehi, guarda.» Diedi una gomitata a Jace. «Ha dei figli.»

Lui guardò le foto. C'era una ragazza e un ragazzo con delle toghe che erano al fianco della donna, tutti sorridevano verso l'obiettivo.

«Non c'è il marito.» Mormorò sottovoce.

«Forse si sono separati.» Dissi piano.

«O è morto.»

«Jace!» Sibilai rimproverandolo.

Lui incrociò le braccia e iniziò ad agitare la gamba mentre si guardava attorno. «A quanto pare sono nato dalla sorella sbagliata.»

Aprii bocca per riprenderlo ancora il suo pessimismo ma Nancy tornò subito con un vassoio pieno. Lo appoggiò sul tavolino, c'erano tre tazze fumanti di tè e un piatto colmo di biscotti. Si sedette sul secondo divano di fronte a noi e guardò Jace con un timido sorriso.

«Immagino avrai delle domande...» Iniziò lei.

Vidi Jace stringere la presa sulla tazza e si schiarì la gola. «Solo...perchè avete litigato? Tu e mia madre.»

Le sopracciglia della donna si sollevarono lentamente mentre espirava a fondo. «Oh, be', a dire il vero non lo so nemmeno io.» Sforzò un sorriso. «Io e Janice siamo sempre stati un po' come cane e gatto, sapete. Litigavamo spesso da giovani, anche per sciocchezze. Lei, come dire...era vista un po' come la pecora nera della famiglia e non sopportava come i nostri genitori elogiassero sempre me. Ammetto che a volte lo facevo apposta ma andando avanti era lei che voleva trovare sempre un motivo per litigare. Sembrava sentirsi meglio nel sentirsi esclusa, come se provasse un punto della sua tesi.»

La ascoltai in silenzio e anche Jace.

«A ventisei anni mi capitò un'importante offerta di lavoro e anche se significava allontanarmi dalla mia famiglia io ero pronta a farlo.» Abbassò lo sguardo sulla tazza e scosse la testa. «Janice non fu felice della mia decisione. Disse che ero egoista, che non pensavo ai nostri genitori...era gelosa del fatto che stessi per andarmene e lei sarebbe rimasta lì, perchè non si era creata nulla. Pian piano i rapporti si sono raffreddati e non ci siamo più cercate. Forse ho sbagliato però, non so, alla fine lei non voleva avere a che fare con me.»

Jace non disse nulla. Io abbozzai un piccolo sorriso quando Nancy mi guardò.

«Come sta adesso?» Domandò con voce curiosa.

«Non lo so. Probabilmente si sta facendo di coca con qualche spacciatore incontrato per caso.»

Sgranai gli occhi alla schiettezza di Jace. Nancy era chiaramente senza parole, sembrava essere anche sbiancata.

«Cosa...come--»

«Jace ha avuto un'infanzia piuttosto travagliata.» Intervenni e lanciai uno sguardo al ragazzo al mio fianco che non avevo idea di cosa stesse pensando.

«Oh, mi-mi dispiace.» Nancy appoggiò la tazza sul tavolino e incrociò le mani sulle gambe.

Tentò un contatto visivo con Jace ma lui continuava a fissare in basso, senza guardare nessuno.

«Um, abbiamo visto che hai dei figli.» Decisi di cambiare argomento.

Lei guardò le foto sul camino e sorrise. «Si, due. George e Layla. Sono gemelli. Sono all'ultimo anno di college. E tu, Jace? Hai fratelli o sorelle?»

Passarono pochi secondi di silenzio nei quali pensai che non avrebbe risposto poi, però, rispose piano. «Una sorella, Jasmine.»

Jasmine sembrò dare una spinta a Jace per parlare e aprirsi un po'. Io restai in silenzio, mi limitai a bere il tè e ascoltai due persone che avrebbero potuto conoscersi da tutta la vita, condividere i propri ricordi per la prima volta in quel momento. Restammo lì un po', finimmo anche i biscotti e Jace era riuscito a sciogliersi un po'. Lei gli aveva detto che le sarebbe piaciuto incontrare anche Jasmine e di far conoscere loro i suoi figli appena possibile.

Quando lasciammo la casa mi sembrò di percepire Jace meno teso e infatti propose di andare al Golden Gate Bridge. Non fu facile raggiungerlo senza macchina ma con i vari mezzi riuscimmo nell'impresa in meno di un'ora. Decidemmo di andare in un punto turistico, Marshall's Beach, da cui si poteva vedere il mare e anche il ponte. Era una lunga scogliera frastagliata e attraversammo un sentiero che fece imprecare Jace parecchie volte e infine ci sistemammo su una delle rocce meno fastidiose. Mi strinsi nella giacca e lasciai che i pochi raggi del sole di quella giornata grigiastra mi accarezzassero le guance.

«Come ti è sembrata?» Dissi, distogliendo lo sguardo dal ponte alla mia destra per guardare lui seduto di fianco a me.

Si strinse nelle spalle. «Non è come mia madre, quindi è normale.»

«A proposito, forse quell'uscita non è stata proprio delle migliori.»

Abbozzò un sorriso e mi guardò. «Ma era la verità.»

«Non la senti da molto, che ne sai? Magari si è ripulita.»

Storse il naso. «Si certo. E io sono brutto.»

Ruotai gli occhi e gli diedi una piccola gomitata. «Be', a me piace. Ed è stata gentile ad invitarvi qui per pasqua.»

«L'ha fatto solo per pietà.»

«Non è vero.» Dissi. «Non metterti da solo i bastoni fra le ruote. Hai trovato un altro membro della tua famiglia, non sprecare questa occasione.»

Non rispose ma potei giurare che stesse riflettendo alle mie parole.

«Devo farti una domanda, biondina.» Tornò a puntare le iridi smeraldine su di me. «E devi rispondere sinceramente.»

La serietà della sua voce e espressione mi fece capire che non sarebbe stata una domanda relativa all'incontro appena passato.

«Cosa?»

Una ciocca mi svolazzò davanti al volto e lui l'acciuffò, sistemandola dietro al mio orecchio.

«Non te l'ho mai detto...» Deglutì. «Una volta, per sbaglio, ho sentito una discussione tra te e tua madre.»

Il cuore iniziò a farsi più rapido e sentii un peso fermarsi sul mio petto.

Serrò i denti e distolse rapidamente lo sguardo. «Voi...parlavate di Ian. E' vivo?»

Fu come se qualcuno mi avesse stretto la gola con in una morsa. Sudai freddo e se non fosse stato per l'aria fredda mi sarei tolta la giacca per poter respirare. Questa non era di certo la domanda che mi sarei aspettata, di certo non in quel modo così diretto. Da quanto voleva chiederlo? Da quanto aveva questo sospetto? Perchè non me l'avevo chiesto prima? Perchè ora? Cosa dovevo rispondere? Dovevo arrabbiarmi?

«I-io...lui...»

«So che è vivo, Nyx.» Disse dopo, piano. «È in un qualche cen--»

Mi alzai di scatto col respiro affannato e lo vista appannata dalla pressione alta. Non era possibile. Cercai l'ossigeno ma non riuscivo a catturarlo. I polmoni mi bruciavano e tremavano ma non riuscivo a muovermi. Ogni mio muscolo era bloccato, freddo. Lo stomaco annodato da un laccio avvelenato.

Sentii due dita sfiorarmi il polso e poi due braccia mi fecero girare. Jace strinse il mio viso tra le sue mani e mi costrinse a guardarlo. Io ero in uno stato di panico. C'era lui davanti a me ma non lo stavo davvero guardando, la mia mente era bloccata a quello che aveva fatto. Lui lo sapeva. Se i miei genitori l'avessero scoperto--

«È tutto okay, Nyx.» Strofinò i pollici sulle mie guance.

Provai a deglutire. «L-lui non è...»

Stavo davvero per mentire ancora?

Jace socchiuse gli occhi. «Non farlo. So che è la verità.»

La vista mi si appannò e rapidamente sentii gocce calde scivolarmi agli angoli degli occhi. «Non-non so cosa dire.» Soffiai.

Mi volevo nascondere. Lui, però, non mi guardava come mi guardavo io allo specchio. Non mi faceva sentire un mostro. Non mi faceva sentire in colpa. Asciugò le mie lacrime e si avvicinò ancora, io mi aggrappai alla sua giacca.

«So che i tuoi sono degli stronzi. So che non è colpa tua.»

Volevo dire qualcosa ma riuscii solo a singhiozzare. A Jace avevo detto quello che sapevano tutti, ma a lui avevo anche raccontato di come era solito comportarsi Ian, delle problematiche comportamentali che aveva. Lo avevo anche accennato a Seth.
Abbassai la testa e strinsi gli occhi, la gola mi pulsava. Nemmeno Winter sapeva la verità. Non avrei dovuto dirlo a nessuno, e non l'avevo fatto.

«Siamo d-dei mostri...» Piansi.

Lui mi abbracciò e io nascosi il volto nel suo petto. Non meritavo il suo conforto. Non dovevo essere confortata. Non avrei dovuto nemmeno piangere, era da vigliacchi. Egoisti. Bugiardi.

«Perchè-» Singhiozzai. «Perchè me lo stai dicendo adesso?»

«Non lo so.» Strofinò una mano sulla mia schiena. «Volevo che lo sapessi.»

Mi allontanai da lui e lo guardai sotto le ciglia bagnate, ancora tremante dei miei stessi singhiozzi.

«L'hai detto a qualcuno, Jace?» La mia voce si fece più allarmata, urgente.

Scosse la testa. «No. A nessuno.»

Annuii. «Okay.» Mi passai le mani sul volto e presi dei profondi respiri. «Non devi dirlo a nessuno. Non puoi.»

Lui strinse i denti e annuì. «Non lo farò.»

Mi abbracciai e indietreggiai da lui di poco, alla ricerca di ossigeno e lo respirai a pieni polmoni. Guardai il mare scuro davanti a noi.

«Perchè l'avete fatto?»

«I-io non ho fatto niente!» Ripresi silenziosamente a piangere. «È stata una loro decisione.»

«Ma perché?»

Tirai su col naso e mi morsi l'interno della guancia. «Te l'ho detto. Lui...non sta bene. Fa fatica a relazionarsi normalmente con gli altri.»

Era più un sociopatico.

«Ha rischiato di fare del male a molte persone.»

Mi forzai a guardarlo. «Lo so. Per questo ora è controllato...o almeno lo era.»

«Che significa lo era

Il nervosismo iniziò a insinuarsi in ogni anfratto del mio corpo.

«Penso sia scappato.»

E questo era sicuramente un enorme problema.

Non fu facile togliermi dalla testa quella conversazione. L'idea che Jace avesse sempre saputo la verità e rimasto in silenzio mi faceva venire parecchie domande, allo stesso tempo però, mi dicevo che l'avesse fatto per me, che probabilmente attendeva che gli dicessi io la verità e non l'avevo mai fatto, ma era rimasto comunque al mio fianco. Non mi aveva fatto sentire una terribile persona per quel fatto, che era orrendo. Non gli avevo detto molto, anzi, quasi nulla sul perché avessimo mentito, dovevo ancora elaborare il fatto che lui sapesse e che se i miei genitori lo avessero mai scoperto sarebbe stata la fine per me.

Jace aveva un volo da prendere in tarda serata ed eravamo tornati in hotel in tempo.

«Penso di ritornare.» Mi disse mentre eravamo in ascensore per tornare in reception, aveva recuperato il suo borsone.

«Davvero?»

«Jasmine vorrà conoscere Nancy prima di Pasqua e vuole anche rivederti.»

Sorrisi lievemente. «Certo. Quando vuoi.»

Quando lasciammo l'hotel fu istantaneo bloccarmi di botto.

Trovare Seth in strada contro la sua macchina che guardava proprio verso di noi, fu qualcosa che non mi sarei aspettata di vedere quel giorno.

«Che ci fai qui?» Parlai sospettosa, avanzando verso lui.

Indossava una giacca di jeans scuro sopra ad una felpa grigia, il cappuccio in testa -piccoli ricci sbucavano fuori- e la solita espressione di pietra che sembrava non essere cambiata dalla sera prima. Avvertii un bruciore all'altezza dello stomaco quando le sue iridi buie mi guardarono.

«Facevo un giro.»

Mi scrutò, il suo sguardo scese verso il mio collo esposto perché avevo la cerniera abbassata. Il mio cuore accelerò all'idea che stesse cercando dei segni del ragazzo alle mie spalle su di me. Per questo, scacciai quell'assurdo pensiero.

Jace sbuffò una mezza risata. «Proprio sotto il mio hotel?»

Seth saettò su di lui con fare irritato e poi si staccò dalla portiera. «Ti accompagno all'aeroporto.»

«Sta arrivando il taxi.» Disse Jace.

«Perchè lo vuoi accompagnare? Come sapevi che sarebbe partito? E come sapevi che alloggiava qui?» Chiesi.

«Quante domande, Blake.»

Il suo tono distaccato e il fatto che mi guardò quasi con forza mi strinse il petto. C'era qualcosa che non andava. E il problema ero io. Ma non capivo perché.

Proprio in quel momento una macchina rallentò e si accodò a quella di Seth vicino al marciapiede.

Seth aprì la portiera del passeggero anteriore. «Forza, sali.»

«Non è obbligato ad venire con te.»

Non mi fidavo di Seth e Jace nello stesso abitacolo così a lungo. E Seth al mio commentò strinse la mascella e mi fulminò con lo sguardo.

«Non voglio fargli niente.»

«Sicuro?» Ironizzò Jace. «Sai, non mi sembri tanto innocuo

No, Seth non era innocuo ma gli sguardi d'astio che si lanciarono mi fecero sospettare che ci fosse un significato più profondo e tornai alla sera prima.

Cosa si erano detti?

«Ehi! Qualcuno di voi si vuole dare una mossa? Ho altri clienti!» Il tassista aveva abbassato il finestrino e aveva sbraitato verso di noi.

«Arriva la ragazzina.» Schioccò Seth.

Lo fulminai con lo sguardo. «No. Vengo con voi.»

«Non puoi. Devo fare delle commissioni dopo.»

Incrociai le braccia, imbronciandomi. C'era qualcosa che non andava e ne ebbi la conferma quando senza ribattere più tanto Jace si avvicinò effettivamente alla portiera aperta.

«Vai, biondina.» Mi guardò con un mezzo sorriso. «Nel caso so difendermi, lo sai.»

Non riuscì a calmare i miei nervi. Seth ridacchiò freddamente e non mi scappò inosservato quel suo comportamento. Mi avvicinai di più a lui con sicurezza e inarcò un sopracciglio, guardandomi dall'alto. Nel giro di poche ore si era allontanato all'improvviso e il distacco glielo leggevo chiaramente in quello sguardo tagliente.

«Io vengo con voi.»

«Non puoi, biondina.»

«Mi puoi lasciare in aeroporto.» Scrollai le spalle.

Lui mi scrutò come se volesse dire molto altro ma in realtà quello che fece fu abbassarsi in un gesto repentino e prendermi da dietro le cosce per poi buttarmi sulla sua spalla come un sacco di patate.

Soffocai un grido e mi agitai. «Seth! Mettimi giù! Subito!»

Lui mi ignorò e lo sentii parlare al tassista. «Blocchi le portiere appena la carico in macchina.»

«I-io non posso--»

«Avrà una mancia extra.» Sbuffò spazientito Seth, aprendo la portiera posteriore.

Lo insultai mentre mi buttò dentro con zero delicatezza e non feci in tempo a tirarmi su che lui aveva già chiuso la portiera e l'autista l'aveva bloccata davvero.

«La sblocchi immediatamente.» Lo guardai malissimo nello specchietto retrovisore.

Tuttavia, Seth stava allungando diverse banconote verso di lui dal finestrino abbassato. L'uomo le prese e mi guardò con sguardo dispiaciuto.

«Scusa, ragazzina. Niente di personale.»

«Posso denunciarla, lo sa? Questo è sequestro di persona!»

Non ero sicura lo fosse ma sicuramente doveva essere illegale quello che aveva fatto.

Quando capii che non sarei uscita da lì, mi accasciai sul sedile e incrociai le braccia. In un borbottio nervoso diedi l'indirizzo all'autista dove dovesse andare. I miei occhi non si staccarono dalla macchina davanti a noi, Jace era già in auto ma Seth aveva aperto la sua portiera. Partimmo e li superammo piano. Girai la testa per seguire la sua figura dal vetro posteriore e incrociai i suoi occhi.

Gli feci un medio con un'espressione cagnesca e lui imitò il gesto di afferrarlo come se fosse un bacio e si picchiettò la mano sul petto. Questo, mi fece infuriare maggiormente.

«Stronzo...»

«È il suo ragazzo?» La voce dell'uomo mi risvegliò.

Gli lanciai una rapida occhiata storta dallo specchietto e poi sospirai, incrociando le braccia.

«Non è nessuno.»

Δ

Non riuscivo a studiare. Era impossibile per me concentrarmi sulle parole di quel libro, stavo rileggendo la terza frase da cinque minuti. Ero in biblioteca da quasi un'ora e tutto quello che avevo fatto era constatare che la ragazza a fianco a me aveva un maglioncino davvero adorabile e che io lo avrei abbinato ad un altro paio di pantaloni. Il mio cervello non voleva collaborare, pensava a colui che non avrebbe dovuto nemmeno essere nei miei pensieri ma c'era.

Jace era tornato a Boston e non mi aveva detto cosa si fossero detti lui e Seth in macchina. Ci avevo provato ad estorcergli qualche informazione ma niente da fare, tutto quello che mi aveva detto era stato 'stai attenta con lui'. Cosa significava? Sapeva qualcosa che avrei dovuto sapere oppure era una frase tanto per dire? Perchè Seth si era offerto di accompagnarlo, doveva terminare la conversazione iniziata alla festa? Dio, odiavo non essere a conoscenza di quelle cose perchè ero certa che c'entrassi anche io, me lo sentivo.

Non avevo osato scrivere a Seth, tanto non mi avrebbe risposto. Mi stava ignorando. Quella mattina lo avevo visto mentre mi stavo incamminando verso l'edificio per la mia lezione e lui, dopo avermi guardata negli occhi, mi aveva dato le spalle e aveva proseguito a parlare con qualcuno che non conoscevo. Era frustrante. Non capivo cosa avessi fatto. Perchè si comportasse così, come se fossi un fantasma.

E come se avesse sentito i miei pensieri, quando alzai lo sguardo per guardarmi attorno, lo vidi passare davanti alle porte aperte della biblioteca e io ero abbastanza vicina ad essere per riconoscerlo. Non aveva guardato dentro ma aveva proseguito con passo sicuro. Pensai a dove stesse andando e poi ebbi un'illuminazione: il tetto. 

No. Non puoi seguirlo. 

Mi concentrai sul libro, mordicchiai il labbro fissando quelle parole al momento senza senso e inutili. Sarei sembrata disperata se l'avessi seguito. Eppure, volevo delle spiegazioni. Me le doveva, giusto? Si era comportato da stronzo di punto in bianco e non potevo continuare a rimuginare su questa situazione. 

Buttai tutto quello che avevo tirato fuori nella borsa e mi affrettai ad uscire. In corridoio non c'era più ma ero certa di dove fosse andato. Ricordavo la porta in cui eravamo entrati e speravo di non essere vista da nessuno dato che l'accesso era vietato a me. 

Raggiunsi la porta tenuta aperta da un mattone che avrebbe condotto il tetto. Avevo il battito accelerato e non per le scale che avevo appena fatto. Presi un profondo respiro e spinsi la porta di metallo, cigolò lievemente. Lo vidi vicino al parapetto, era di spalle e stava fumando. Il vento tirava verso destra e avrei visto i suoi capelli svolazzare come i miei se non avesse indossato il cappuccio di una felpa. 

Incrociai le braccia e osservai oltre a lui. Quel giorno il sole non era coperto da nessuna nuvola invernale e stava tramontando. Ignorai il brivido di freddo oltre il cappotto lungo e avanzai, schiacciando i ghiaia del tetto.

«Non dovresti essere qui.» Disse rauco.

Mi ero fermata dietro di lui ma potevo intravedere il profilo del suo volto contratto.

«Potrei dirti la stessa cosa.»

Aspirò un altro tiro di sigaretta e osservai le sue guance incavarsi. Espirò dal naso, fissando davanti a sè.

«Vai via, Blake.»

«Si può sapere cos'ho fatto?» Sbottai e mi parai di fronte a lui. «In palestra non sei stato cosi stronzo.»

Buttò la sigaretta a terra e la schiacciò con la punta delle scarpe per poi voltarsi. «Ora non voglio parlare con te.»

Lo seguii. «Perchè? Mi tratti come se ti avessi fatto il torto più grande del mondo!»

Non replicò e questo mi fece infuriare. Gli afferrai il braccio appena rientrammo nel pianerottolo e la porta sbattè con un tonfo alle mie spalle. Si voltò appena con un cipiglio sulla fronte.

«Dovresti ascoltare il tuo amico, Blake.»

«Sicuro? Perché non dice belle cose.»

Si voltò completamente e io tenni il mento alzato, di sfida.

«E tu ci credi?»

«Non so. Prima dovrei sapere perché ti stai comportando cosi e cos'hai detto a Jace.»

Al sentire il suo nome i suoi occhi si incupirono e serrò i denti. Poco dopo, scosse la testa e si pizzicò il naso, indietreggiando.

«Ti risparmio la perdita di tempo.» Sorrise amaramente. «Stai lontana da me.»

Un qualcosa mi stritolò lo stomaco e il cuore. Mi sentii privata di qualcosa che mi fece mancare il respiro. Mi innervosii e gli afferrai ancora il polso per costringerlo a non andarsene.

«Cristo, puoi smetterla di fare così!» Sbottai. «Sei un cazzo di bipolare!»

«Perchè non puoi accettare la cosa?» Alzò la voce anche lui.

«Perchè tu non mi dai spiegazioni!»

«Non te le devo.» Sputò velenoso con occhi furiosi. «Perchè dovrei? Perché ti ho fatto venire un paio di volte pensi che ti debba delle spiegazioni per ogni cosa che faccio?»

Mi morsi l'interno della guancia trattenendo il bruciore di quelle parole che mi aveva colpito come uno schiaffo. Sbattei gli occhi e sperai non vedesse quanto stessi trattenendo le lacrime.

Sapevo che Seth fosse stronzo. Uno con la s maiuscola ma sapevo anche ci fosse un motivo dietro le parole e le azioni di qualcuno. In questo caso cercava di allontanarmi, ferirmi e costringermi ad odiarlo.

«Ti senti meglio ora?» Ironizzai freddamente, nascondendo il dolore.

Lui avanzò e io indietreggiai. Quando colpii con la schiena il muro lasciai cadere la borsa a terra e rimasi a fissare lui che respirava a fondo con le mani piantate sul muro a lato della mia testa.

«Perchè sei cosi fottutamente testarda?» Mormorò sull'orlo di sbottare ancora. Incatenò i suoi occhi nei miei e le mie ginocchia tremarono. «Perchè non fai quello che devi fare?»

«Decido io cosa fare.» Deglutii. «Dimmi perché mi stai allontanando. Dimmi perché sei cambiato in mezza giornata.»

Strinse leggermente gli occhi, pensava ad altro. «Non posso.»

Quindi c'era qualcosa. Avevo ragione.

«Cosa vi siete detti tu e Jace?»

Un muscolo guizzò sulla sua mascella ma restò in silenzio. Poi si drizzò, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi ma non accennò a spostarsi. Se ne stava lì, a pochi centimetri da me, a rubare il mio ossigeno.

«Avete scopato?»

Quella domanda mi prese alla sprovvista e avvampai e boccheggiai.

«C-cosa?»

Agguantò il mio volto tra le sue mani, spingendosi contro di me e facendo cadere lo sguardo sulle mie labbra. Iniziai a respirare a fatica mentre la sua presa si fece salda e la mia pelle bruciò. Lo fissai consapevole che non avevo più potere sul mio corpo.

«Hai sentito bene.» 

«Perchè vuoi saperlo?»

«Dimmelo.»

«Si.» Soffiai. «Dopo la festa.»

E pensavo a te.

Un velo gelido cadde sul suo volto. Il pollice destro strofinò sulla mia pelle, giunse alle labbra e lo osservò mentre ne tracciava il contorno. Il mio cuore stava per esplodere. Avevo caldo. Il pollice premette sul labbro inferiore e mi forzò a schiudere la bocca.

«Ti farò male, Principessa.» Mormorò. «E credimi se ti dico che questa è la prima volta che non vorrei farlo.»

Non farlo.

Il modo in cui guardava le mie labbra andò a colpire una parte del mio cervello che non potevo controllare con lui. Schiusi ancora di più la bocca e sfiorai il suo polpastrello con la lingua. Anche se era quasi impossibile distinguerla, captai la sua pupilla dilatarsi e inspirò dal naso, schiacciandomi contro al muro. Sbattei le ciglia e lui fece scivolare l'altra mano attorno alla mia gola e strofinò il pollice contro l'angolo della mia mascella. 

«Potrei dimenticarmene, se mi fai anche del bene.» Soffiai mielosa.

Gli baciai dolcemente il polpastrello. Lui chiuse gli occhi e chinò la testa, appoggiando la fronte alla mia. Respirai a fatica con la bocca schiusa e il corpo che fremeva una sua azione. Lui confondeva i miei pensieri. Mandava in tilt il mio sistema e attivava quei pulsanti che sarebbero dovuti rimanere spenti in situazioni come questa.

«Un paio di orgasmi non sono del bene.» Gracchiò, strofinando il naso contro il mio. «Ma sono un figlio di puttana e farò finta che lo siano.»

«Si, lo sei.»

«Non devi dirglielo.»

«A chi?»

«A Jace.»

«Perchè?»

«Tu non dirglielo.»

«Okay.»

«Soffrirai.»

Lo so.

«Almeno dammi un buon motivo per farlo.» Replicai amara.

Lui imprecò sottovoce e poi mi baciò. Affondò con irruenza la lingua tra le mie labbra e si prese ciò che non sarebbe dovuto essere suo, ma lo era. Mi aggrappai a lui, al suo collo, e lottai con la sua lingua mentre le sue mani sfiorarono il nylon delle calze che indossavo sotto la minigonna di jeans.

Il calore delle sue dita trapassò il tessuto leggero e lasciò marchi sulla mia pelle. Presto capii che non avrebbero fatto una bella fine. Il sul corpo schiacciò il mio facendomi sentire l'effetto delle nostre labbra unite in un gioco di morsi e di rincorse.

Squittii quando mi strizzò le rudemente natiche da sotto la gonna, sollevandola fino al bacino, e poi con un gesto secco ruppe le calze scoprendole e infilandoci le mani per massaggiarle a palmo aperto e spingendomi contro il suo bacino.

Riusciva sempre a portarmi sul lastrico nella mia mente. Ero un burattino nelle sue mani e non avevo nessun controllo di me. Sapeva cosa toccare per farmi accendere come un fiammifero. E ora bruciavo completamente.

Mi morse il labbro inferiore e poi lo leccò, infilò nuovamente la lingua facendosi strada come se fosse esperto della mia bocca. Il bacio era fin troppo bagnato, sporco. E mi piaceva. Mi faceva impazzire. Sentivo l'area in mezzo alle cosce reclamare la sua attenzione. C'era, era lì, ma non l'aggirava, come lupo che curava la sua preda.

Con le nocche mi sfiorò l'interno coscia mentre l'altra mano iniziò a risalire piano fino ad intrufolarsi sotto al maglioncino e a trovare l'obiettivo senza altre barriere. Mi tenni a lui con tutte le forze perché sentivo le ginocchia iniziare a tremare e ancora non aveva fatto niente.

«Le brave ragazze non dovrebbero essere al primo piano a studiare?» Gracchiò staccandosi e strofinando il naso contro la mia guancia.

Inclinai la testa indietro contro al muro e chiusi gli occhi mentre scendeva più in basso col volto, raggiungendo l'incavo del collo. Le sue mani mi stavano torturando. Quella tra le cosce tirò l'elastico delle mutandine e mi trattenni dal pregarlo.

«Forse non rientro tra quelle.» Ansimai.

Lo sentii sorridere contro il mio collo e mi pizzicò la punta del seno facendomi piagnucolare. Cristo.

«Rientri decisamente tra quelle, Principessa.» Mormorò e mi baciò la giugulare pulsante. «Ed è quello che mi fa eccitare. Sei pura.»

Una fitta al petto quasi non mi strappò un battito. «Non lo sono.»

Due dita spostarono il tessuto bagnato e mi toccarono dolcemente. Gemetti piano.

«Per me lo sei.» Continuò, le labbra contro la mia mascella. «E io non merito le cose pure.»

Ma non lo ero, quindi andava bene cosi.

Mosse circolarmente le dita su di me, tastando la morbidezza e l'umidità della mia femminilità. Tornò a farsi vedere da me e soffocai un ansimo mentre lui mi guardava in quel modo che mi faceva sentire come se non avesse visto altre come me. Si fece strada in me con le due dita e rubò un mio gemito con le sue labbra.

Come ci ero finita così? Sarei dovuta venire qui solo parlargli. E invece non stavamo parlando e io non avevo avuto nemmeno una risposta a tutte le mie domande. Però avevo avuto la conferma che di fronte a lui perdevo tipo di freno.

Ruotò anche il pollice sulla concentrazione dei nervi più sensibili e gli abbassai con uno scatto bisognoso il cappuccio per tirare i suoi capelli. Si staccò ancora dalle mie labbra e rimase a pochi centimetri di distanza da me.

«Voglio sentirti gridare, Peach.» Mormorò di gola. «Puoi farlo per me?»

Annuii senza fiato e il mio stomaco si ribaltò quando si inginocchiò a me. Afferrò delicatamente una mia gamba con la mano libera e se la mise sopra alla spalla. Iniziò a baciare la mia coscia mentre con le dita non la smetteva di muoversi lentamente in me.

La sua bocca arrivò presto vicino al suo obiettivo e mi rubò davvero un gemito quando mi baciò, divorando la mia essenza. Lo guardavo col respiro affannato e le guance rosse. Lui guardava me, con quegli occhi diabolici mentre arricciava le dita più velocemente e gustava con la lingua il frutto proibito. Gli tirai i capelli per sentirlo più vicino e gemetti quando succhiò avidamente il centro pulsante e gonfio.

«Ah--Seth...».

Non contento di come mi stava sporcando anche l'anima, la mano libera accarezzò a fondo la mia coscia fino a raggiungere le mie natiche esposte e ne schiaffeggiò una facendomi infuocare lo stomaco.

Avevo spento tutto e lasciavo che fossero le reazioni irrazionali comandate dal puro piacere a prendere il sopravvento. Affondai i denti nel labbro mentre agitavo il bacino contro di lui, seguendo i movimenti delle sue dita e cercando ancora di più la sua lingua esperta. Non riuscivo ad essere mai sazia con lui. Non riuscivo a dare un nome a quello che mi faceva.

Dopo momento che mi sembrarono interminabili, in cui sembrò farmi notare quanto mi conoscesse bene solo dopo poche volte che finivamo in queste situazioni, sentii la bolla di piacere espandersi e i miei gemiti si fecero più forte, assecondando le sue dita che si muovevano rapide in me.

La bolla scoppiò e io tremai e un'onda di calore mi travolse facendomi chiudere gli occhi e stringere le sue ciocche. Seth restò inginocchiato a raccogliere ogni goccia del mio miele e a stimolare ancora quell'area già fin troppo sensibile.

Quando ritornò in piedi, mi abbassai la gonna mentre lui fiondava sulla mia bocca. Mischiò ancora le nostre saliva e mi fece sentire il mio sapore. Gemetti nel bacio e lo tirai dalla giacca, sentendo ancora la sua eccitazione premere contro il mio addome. Si staccò per lasciarmi prendere respiro e incrociai i suoi occhi accesi.

«Dimmi che quel coglione non è bravo neanche la metà di me.» Disse a bassa voce.

Mi leccai le labbra lentamente. «Preferisco lasciarti col dubbio.»

«Stronza.»

Sorrisi.

Qualcuno tossì e Seth aggrottò la fronte girandosi di scatto. Si mise di fronte a me per coprirmi ma io chiusi i lembi del cappotto e mi sporsi oltre la sua schiena.

Penelope era sul pianerottolo più in basso, appoggiata al muro e Chen era al suo fianco. Quest'ultimo stava guardando in basso, lei guardava Seth come se avesse voluto ucciderlo.

Il silenzio avvolse noi quattro finché non lo ruppe proprio lei.

«Chen mi aveva convinta.» Iniziò con un sorrisetto cinico. «Ti stavamo cercando proprio per dirti che avevo cambiato idea.»

I suoi occhi glaciali saettarono su di me, ammutolita e imbarazzata, e poi tornò su Seth che si era irrigidito e stava cercando di controllare il respiro.

«A quanto pare continui a fare come vuoi. E allora anche io faccio come voglio.» La sua voce si fece più tagliente e si staccò dal muro, pronta a scendere le scale.

«Tic toc, Seth. Il tempo scorre.»













S/A.

Ehilà 🍑🖤

Sono riuscita ad aggiornare🫶

➡️ Jace e Seth chissà cosa si sono detti, ancora....

➡️ Tic toc ⏳️🫣

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A presto, Xx

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