Capitolo 16

Non stavamo tornando al campus.

Seth aveva detto un'altra via all'autista e io non ero riuscita nemmeno a ribattere perché non ne avevo il coraggio. Inoltre, la parte meno sana di me voleva scoprire dove volesse portarmi.

Per tutto il tragitto avevo tenuto lo sguardo basso, sulle mani sul grembo. Pizzicavo le dita tra loro per rilassare i nervi ma era inutile. Sentivo che lui era arrabbiato e questo non poteva rilassarmi. Avevo lanciato poche volte lo sguardo alle sue mani appoggiate sulle gambe. Mi si era stretto lo stomaco alle nocche spaccate e livide e mi chiesi se almeno avesse curato quei tagli sul corpo. Quando provai a rubargli uno sguardo lui lo captò immediatamente e mi lanciò un'occhiata sbieca dall'alto che mi fece arrossire e guardare altrove, colta sul fatto.

«Siamo arrivati.» Annunciò l'autista, spezzando il fitto silenzio.

Guardai rapidamente fuori dal finestrino a destra ma era troppo buio per capirci qualcosa.

«Tenga il resto.» Disse Seth monocorde.

Mi voltai nuovamente vedendo l'uomo con le dita sollevate e una bancone tra esse. Seth aveva già aperto la portiera e sembrava impaziente di richiuderla. Mi affrettai a raggiungerlo, ringraziando l'autista, e sussultai quando sbattè con forza la portiera.

«Dove siamo?» Chiesi.

Sembrava più un'area industriale. Gli edifici incutevano un po' di timore a causa dei pochi lampioni presenti.

«Vieni.» Fu tutto ciò che disse.

Lo seguii in silenzio. Arrivammo davanti ad una porta in ottone arrugginita. Seth infilò una chiave nella serratura e l'aprì. Entrò prima lui e tenne la porta aperta per me. Quando si richiuse, sbattè tremante con un tonfo. C'erano solo delle scale che salivano sui vari pianerottoli. Seth iniziò a salire e io lo seguii. Faceva freddo dentro qui e mi strinsi nella giacca.

Arrivammo all'ultimo piano e c'era solo una porta. Seth infilò anche in quella serratura una chiave e poi l'aprì. Questa volta rimase fuori e si voltò verso di me.

«Aspettami dentro.»

Guardai l'interno. Era un piccolo loft. Lui si diresse verso le scale.

«Tu dove vai?» Chiesi, rimanendo sull'uscio.

Mi guardò rapidamente oltre la spalla. «Entra. Torno subito.»

Aprii la bocca per ribattere ma lui si era già voltato e aveva iniziato a riscendere le scale. Sospirando, entrai e mi chiusi la porta alle spalle.

Di chi era questo appartamento?

Non era grandissimo e molto semplice. Il soffitto era fatto da assi di legno e la parete in mattone era ripresa in più punti. Aveva un cucinotto ad angolo destra dell'ingresso con un tavolino. C'era al centro un divano a tre posti e contro alla parete di destra un tavolino con un televisore. Sulla lunga e spoglia parete di sinistra c'era una porta che supposi fosse il bagno. Non c'era segno che fosse vissuto. Nessun oggetto personale. Sembrava solo un punto comodo. Faceva anche freddo, infatti, rabbrividii sotto tutti quei vestiti. Ciò che però attirava sicuramente l'attenzione era il letto che stava in fondo su un'area sollevata che si raggiungeva con dei gradini. Dietro al letto si apriva questa grandissima vetrata a quadri sullo skyline notturno di San Francisco, con tanto di ponte.

Era meraviglioso.

Mi sarebbe piaciuto avvicinarsi ma quando pensai di avanzare verso quell'area la porta si aprì e mi voltai di scatto. Seth stava entrando e mi chiesi dove fosse andato. C'era qualcuno che conosceva in questo palazzo?

Chiuse la porta a chiave. Si tolse la giacca che buttò sul tavolo, rimanendo con la stessa felpa dell'incontro. C'erano ancora gli squarci sul tessuto. E andò al frigorifero. Io rimasi immobile a fissarlo mentre tirava fuori una lattina di birra e l'aprì. Se la scolò tutta d'un fiato. Il pomo d'Adamo risaliva ad ogni sorso rapido. Poi restò con le guance gonfie mentre la schiacciava nel palmo e, mentre ingoiava il liquido, buttò la lattina vuota nel lavandino. Inspirò a fondo e si appoggiò al lavello, facendo cadere la testa indietro e chiudendo gli occhi. Sentivo il mio cuore battere regolare ma forte.

«Be', organizzi appuntamenti insoliti.» Dissi con una irriverenza che non mi apparteneva.

Sbuffò col naso con fare sarcastico.

«Fai anche la spiritosa.»

Il tono grave mi fece deglutire. Lentamente si voltò e incrociò le braccia. Non mi guardava in faccia. I suoi occhi puntavano verso quella vetrata, oltre la stanza. La luce era quella notturna, biancastra e fredda, che entrava da quella ampia finestra.

Il suo volto in quel gioco d'ombre sembrava ancora più livido, i tagli sul volto sembravano ancora più profondi. Quelle labbra, quelle nuvole dal sapore frizzante, erano ancora spaccate.

«Però immagino cosa avresti fatto al post rissa.» Schioccai e mi portai una mano al petto, fintamente dispiaciuta. «Chiedo perciò perdono di aver rovinato l'occasione.»

Saettò gli occhi su di me, seccati e piuttosto ostili. «È mia cugina.»

Mi bloccai. Improvvisamente desiderai avere una pala per scavarmi una profonda buca e nascondermi dai suoi occhi.

Mi grattai la testa e mi schiarii la voce. «Io--»

«Tu, niente.» Mi bloccò. Il fatto che non stesse urlando rese tutto più intenso e mi fece sentire davvero piccola e idiota. I suoi occhi lampeggiarono di rabbia. «Tu non dovevi essere lì. Sei stata una stupida irresponsabile che ha rischiato grosso venendo lì. Che cazzo ti è saltato in mente?»

«Si ma...non è successo niente.»

Lui strinse gli occhi e agitò una mano incazzato. «Non hai idea di che razza di persone siano quelle, Blake. Se non ti è successo niente è perché sei stata fortunata, non perché siano brave persone.»

La durezza di quelle parole mi fece sentire davvero in colpa delle mie azioni. E anche molto stupida.

«Stavo per andarmene.» Sputai in difesa. «Chen mi ha vista e mi ha fatta restare lì.»

«Non dare la colpa a lui.»

«Non sto dando la colpa lui.» Respirai nervosamente. «Dico solo che ho capito che non era un luogo adatto a me e volevo andarmene. Chen mi ha bloccata dal farlo.»

«Chen ha evitato che qualcuno ti seguisse.» Chiarì seccato. «Perchè è cosi che la maggior parte di loro fa.»

Rabbrividii a quel pensiero e lui sembrò notarlo dal mio volto cosa stavo pensando. Poi scosse la testa e si passò una mano sul volto, stropicciandosi gli occhi e infilando infine le lunghe dita nei ricci disordinati.

«Si può sapere che cazzo ci facevi li?»

Mi morsi il labbro e mi guardai le mani fredde fuori dalle tasche. «Um, io...ho sentito dei ragazzi parlare di questo incontro. Per questo ti chiesto cosa avresti fatto questa sera...volevo vedere cosa mi avresti detto. Ammetto che per un momento ho pensato fossi serio ma volevo avere una conferma. E mi hai mentito. Perché mi hai mentito?»

I suoi occhi freddi non mutarono. «Ancora non hai risposto alla domanda.»

«Nemmeno tu alla mia.»

Serrò i denti. «Perchè non dovrebbe essere di tuo interesse. Non ti piace la violenza, no? Perché dovrei dirti quando spacco la faccia a qualcuno per soldi e per divertimento.» Rimarcò l'ultima parola con una sorta di acidità ironica.

«Volevo...avere la conferma che mi avessi mentito.»

«Perchè?» Insistette.

Il mio respiro si fece pesante e persi la calma. «Perchè hai mentito! Perché mi hai guardato negli occhi e mi hai mentito e a questo punto non so quante altre volte l'hai fatto.»

«Quindi, è ancora di questo che parliamo.»

«Non lo so. Ne parliamo ancora?»

«Se uno ti mente allora è per forza un aggressore o assassino?»

«No.» Cercai di ricompormi ma era difficile. «Ma a quanto pare tu non hai problemi a mentire in faccia alle persone. E io non credo alle coincidenze.»

«Cristo.» Scosse la testa, con un sorriso amaro. «Non sono stato io, Blake. Come devo dirtelo?»

Come doveva dirmelo?

«Ascoltatami bene: non sono stato io.» Scandì. «Perchè se lo fossi stato, lui sarebbe morto.»

Un brivido attraversò la mia pelle. «Ora mi sento decisamente meglio.»

Accennò un sorriso privo di divertimento e scosse la testa.

«Perchè ne sei ossessionata?»

«Non sono ossessionata.»

«Si, lo sei.» Scattò. «Talmente tanto che ti sei spinta in zone dove non avresti dovuto metterci piede.»

«Non ero l'unica ragazza.» Commentai sprezzante. «Penso tu l'abbia notato, no?»

Seth si leccò le labbra e inspirò a fondo, guardando avanti. «Chi viene li, sa perfettamente cosa aspettarsi. Tu no.»

Serrai i denti, infastidita da quel trattamento da bambina e bambola di vetro. Come se non fossi in grado di difendermi.

Be', era proprio così ma non era questo il punto.

«Quindi, Blake.» Sospirò, inarcando un sopracciglio. «Mi vuoi dire perché preferisci accusare me anziché accettare il fatto che non sono stato io.»

Distolsi lo sguardo. «È complicato.»

«Tranquilla, ho un QI più alto rispetto alla media. Parla.»

Se non fossimo stati in questa situazione tra cani e gatti avrei anche riso a quella battuta ma non ne ebbi le forze. Avanzai stanca, ancora avvolta nella mia giacca pesante, e mi misi davanti a lui, appoggiandomi al tavolo. Non eravamo molto distanti e potevo sentire la furia che emanava il suo corpo. Feci fatica a guardarlo in faccia e per questo tenni lo sguardo in basso sulle mie mani. Sentii il peso sul petto farsi un po' più pesante.

«I Vendicatori...» Iniziai. «Saprai chi sono.»

Presi il suo silenzio come una conferma.

Deglutii e mi torturai le dita mentre le immagini del passato sfrecciarono in fretta nella mia mente.

«Quando è successo quel fatto, di mio padre e della dipendente, loro ancora non esistevano come sai. Ma...due anni dopo, poco dopo la loro seconda Notte del Giudizio.» Così i giornali e i media avevano soprannominato il 21 dicembre. «È arrivata una lettera a casa. Una busta con dentro un messaggio per la mia famiglia. Sarai il prossimo, diceva e l'avevano firmata con un simbolo che rappresenta le loro maschere.»

Mi fermai per prendere un respiro profondo e lo guardai sentendo gli occhi lucidi. Lui mi fissava attento ma senza far trasparire molte emozioni.

«I miei hanno contattato la polizia ma non potevano fare nulla, inoltre hanno detto poteva essere stato chiunque, che persone come loro non agivano così. In molti provavano disprezzo verso la nostra famiglia, mio padre soprattutto, perciò poteva essere stato uno scherzo. Ma...da quel giorno ho iniziato a sentirmi osservata.» Buttai fuori. «C'era qualcuno fuori casa. L'ho visto. Si nascondeva ma era sempre lì.»

«L'hai detto ai tuoi? O alla polizia?»

Scossi la testa. «I miei volevano ignorare la situazione, volevano fare di tutto pur di tornare alla normalità. Ormai erano passati due anni e si erano messi in testa che sì, era stato uno scherzo.»

«Magari è stato davvero così. Uno scherzo.» Proruppe Seth poco dopo, la voce roca.

Lo fissai e poi mi strinsi nelle spalle. «Forse. O forse erano davvero loro. In fondo, so che mio padre è la vittima perfetta per loro.»

Qualcosa attraversò i suoi occhi. «Ma hai detto che innocente, no?»

«Lo è.» Affermai e deglutii. «Anche se capisco sia difficile crederci.»

Annuì piano e si leccò le labbra. «Quindi tu sai...»

«Chi è stato?»

Non rispose. Non annuì. Ma sapevo fosse quella la domanda. Glielo leggevo negli occhi.

Lo guardai. «No, non lo so.»

Inspirò a fondo e si grattò la guancia. «Quindi, pensi che ti seguano, in un qualche modo? Ancora oggi?»

Ero certa potesse leggere il timore nel mio volto e sentirlo nella mia voce.

«So che è assurdo ma potrebbero no?» Chiesi.

«Be'.» Tossì. «È difficile da immaginare che ti controllino da così tanto tempo.»

«Pensi che sia solo una mia paranoia?»

«Secondo la tua teoria, erano lì quando sei stata molestata e poi hanno fatto quello che è successo.» Disse cauto. «Non ti sembra un po' troppo strano?»

Si. Lo era. Perché avrebbero dovuto prendere le mie difese in quel modo? Quando secondo loro ero figlia di un mostro?

«Hai mai più avuto la sensazione di essere spiata?»

Ci pensai a fondo. «Solo i primi mesi dopo quella lettera, ma poi...no, non ho più visto nessuno fuori casa. E anche in giro, ho smesso di guardarmi attorno. Ma a volte, non so, torna quella sensazione.»

«Forse il modo in cui è successo e alla persona a cui è successo, ti ha fatto collegare le cose per paura.» Continuò e parlò cauto, non c'era più la rabbia di prima. «E incolpare me è più facile da accettare piuttosto che fare i conti con cinque assassini che ti perseguitano.»

Aveva proprio centrato il punto.

Deglutii e mi guardai le mani, con la gola bruciante. Lo sentii sospirare e si allontanò dal cucinotto.

Non sono stato io. Perchè se lo fossi stato, lui sarebbe morto.

Mi girai e lo trovai aprire un armadio vecchio in legno che si trovava contro la parete di sinistra.

«Sei d'accordo con quello che fanno.» Parlai.

Lui bloccò i movimenti per qualche secondo e poi si girò con una coperta in mano e andò verso il letto, salendo i gradini.

«Vendetta. Giustizia.» Disse. «Sono facce della stessa medaglia, no?»

Si. Una però era moralmente sbagliata.

Lasciò cadere quella pesante coperta di lana sul letto e poi si voltò. Si mise la mano in tasca e ne estrasse qualcosa. Quando notai il mio coltellino, mi spostai dalla cucina e mi feci avanti di qualche passo.

«Grazie.» Disse, allungandolo verso di me.

Lo afferrai. «Sei sorprendentemente bravo coi coltelli.»

Affilò un sorrisetto. «Grazie.»

Ovviamente non era un complimento. Era piuttosto insolito. Guardai gli strappi sulla felpa e il suo volto ferito.

«Le hai curate?»

«Non era la mia proprietà al momento.» Replicò roco.

Il mio petto si strinse. Reputava me una sua priorità? Osservandogli quei tagli, un flashback tornò alla mia mente, sembrò di sentire il suo respiro ancora su di me e probabilmente ci pensò anche lui.

«Penso tu possa sistemarle anche da solo, no?» Dissi con uno schiocco di lingua.

Sbuffò con fare divertito e poi annuì. «Certo.»

«Bene.» Lanciai un'occhiata al letto alle sue spalle. «Spera che non muoia di freddo, Nixon. In questo appartamento si congela...»

Detto quello, lo superai e mi sfilai la giacca che lasciai sul divano.

«Dormire insieme potrebbe evitarlo.»

Gli lanciai un'occhiata annoiata. «Piuttosto vado in ipotermia.»

«Abbiamo già dormito insieme.»

«Si, ma non mi avevi ancora insultata.» Schioccai.

Si infastidì alle mie parole. «Tu mi hai incolpato più volte di una storia ben più grave.»

«Non è la stessa cosa.»

«Ah no?» Beffeggiò.

«No.» Scattai anche se non ne ero più così convinta.

Gli diedi le spalle e non mi voltai più. Sentii una porta sbattere e mi voltai per assicurarmi fosse quella del bagno. Si vedeva la luce del bagno accesa. Sospirai e mi avvicinai a quella vetrata un po' sporca ma non mi soffermai su quelle macchie. I miei occhi erano ben più lontani. Non capivo perchè non avesse voluto tornare al campus. Non sapevo di chi fosse questo appartamento. Non capivo nemmeno perchè avesse voluto stare con me e non con i suoi amici.

Dio. Quella vista era davvero bella. Suggestionante. Quasi intima avendo questo letto qui. Mi ritrovai di nuovo a guardare oltre la spalla. Quei colpi che aveva ricevuto erano stati bruti e li aveva in zone difficili da curare da solo.

Non farlo, mi ammonì la vocina saggia nella mia testa.

Chiusi gli occhi e buttai fuori un profondo sospiro. Ero idiota, si.

Mi ritrovai a bussare quella porta.

«Cosa c'è?» Chiese dall'altra parte.

Mi morsi il labbro. «Posso entrare?»

Passò qualche secondo di silenzio poi udii un 'entra'.

Abbassai la maniglia e vidi il bagno. C'era un mobiletto con lavandino sulla sinistra e in fondo una vasca con una tenda di plastica tutta tirata su un lato, il water era prima della vasca. Una finestra sopra alla vasca era aperta. Lui se ne stava seduto sul gabinetto chiuso, senza maglietta, e stava fumando. Mi guardò mentre portava alle labbra la sigaretta e aspirò. Inarcò un sopracciglio come a chiedere cosa volessi.

«Dov'è la cassetta?» Mi staccai dallo stipite della porta.

Indicò con un cenno di mento il mobiletto sotto al lavandino. Sospirando piano, mi avvicinai e mi abbassai per aprire l'antina. Non c'era dentro nient'altro che quella scatola.

«Di chi è questo posto?» Chiesi mentre mi alzavo e appoggiai la scatola sul ripiano vicino al lavandino.

«Mio.»

Lo guardai dallo specchio che avevo davanti a me. «E a cosa ti serve se stai alla confraternita?»

Alzò le spalle e allungò il braccio verso la doccia per far cadere la cenere dentro. «È comoda per quando non ho voglia di tornare lì.»

«Capita spesso?»

Mi lanciò un'occhiata sbieca. «A volte.»

Annuii distrattamente e guardai il contenuto di quella scatola. Non c'era molto. Solo del cotone e un kit da sutura.

«Non hai nemmeno un disinfettante dentro qui.» Dissi.

«Lo so.»

Lo guardai alzarsi e i miei occhi caddero sui suoi muscoli tonici e gonfi e sulle macchie d'inchiostro a decorargli la pelle. Purtroppo c'erano anche chiazze di lividi. Sul fianco c'era proprio il segno del tirapugni.

«Sai cucire, Principessa?» Chiese passando dietro di me.

«C-cosa? Cucire?» Sgranai gli occhi. «Sei impazzito?»

Lui uscì dal bagno e io lo seguii. Sulla scapola aveva un taglio veramente brutto e ne aveva un altro dietro al braccio sinistro.

«No.» Disse e aprì delle antine in cucina. «Non è complicato.»

«Non abbiamo nemmeno un disinfettante.» Gli ricordai.

Si abbassò e non capii con cosa stesse trafficando ma poi si sollevò e mi mostrò una bottiglia di vetro. «Ma abbiamo questa.»

«Vodka.»

«Vodka.» Ripetè. «Forza. Prendi il kit.»

Lo feci ancora incredula della sua idea. Lo raggiunsi al tavolo della cucina. Ora aveva acceso una luce che era proprio sopra al tavolo.

«Posso andare a vedere se c'è una farmacia e andare a recuperare qualcosa di meno doloroso e più pratico.» Proposi.

«Si, sicuramente ti lascio andare a fare un giro a quest'ora.» Mormorò sottovoce.

«Non ho bisogno del tuo permesso.»

Mi lanciò un'occhiataccia. «Non hai già fatto abbastanza cazzate per oggi?»

Serrai i denti e poi guardai le cose sul tavolo. «Io non so farlo.»

«Io si. Ti spiego come fare.»

Scossi la testa. «No, non posso. Ti farò male, Seth.»

Sorrise beffardo. «Non troppo se no mi eccito, Peach.»

Avvampai e sbattei le palpebre sconvolta. «Dio. Sei...sei assurdo.»

Scosse la testa, ghignando e si sedette sulla sedia. Abbassai lo sguardo sulla ferita sulla scapola. Rabbrividii a vedere quanto fosse profonda. Non avevo idea di come il sangue si fosse fermato ma per fortuna l'aveva fatto. Attorno al taglio la pelle era rossa e gonfia. Sollevai le dita e sfiorai appena sotto la ferita, sentii il suo corpo irrigidirsi e inspirò pesantemente. Ritrassi di scatto le dita quando tossì.

«Allora.» Aprì il kit. «Non è difficile. Infilai l'ago da una parte e poi dall'altra. L'importante restare quasi in superficie, non infilare l'ago troppo in basso. Quanto basta per poter richiudere la ferita.»

E quanto era quanto basta?

«No, Seth. Non riesco.»

«Si che riesci.»

«Potrei sbagliare--potrei farti davvero male e peggiorare la ferita.»

«Ho una soglia di dolore molto alta.»

«Hai almeno dei guanti?» Chiesi sull'orlo della disperazione.

«Guarda nella scatola.»

La tirai verso di me e tolsi il sacchetto di cotone. Per fortuna trovai un pacchetto sigillato di guanti in lattice.

«Prima che li apra, dimmi esattamente tutto quello che devo fare.»

Seth così mi disse passo per passo quello che avrei dovuto fare. Ovviamente gli avevo detto quanto fosse pazzo quando mi aveva detto che avrei dovuto versargli la vodka sulle ferite.

Presto arrivò il momento di mettermi all'opera e stavo tremando. Prima di mettermi i guanti versai l'alcool sulla ferita sulla scapola e asciugai le gocce con il cotone. Lui non disse nulla ma vidi i suoi muscoli scattare e la mano sul tavolo tendersi fino quasi a far scoppiare le vene. Per quanto quella vista mi fece scoppiare altro dentro di me capii che doveva avergli fatto male.

Infilai i guanti e recuperai l'occorrente, ago e filo di sutura, come e lo tenni come aveva detto lui. Avvicinai le mani alla pelle e sentii il mio stomaco stringersi in una morsa fredda.

«Non hai fretta, Peach.» Disse per tranquillizzarmi anche se non potevo stare qui le ore.

Presi dei profondi respiri. Lui si fidava di me nonostante non l'avessi mai fatto. Perché non potevo fidarmi anche io di me stessa?

«Okay.» Buttai fuori l'aria. «S-se ti faccio male--»

«Non preoccuparti.»

Cristo. Okay. Potevo farcela.

Afferrai quelle specie di forbicine che tenevano l'ago e lo infilai nella pelle poi passai all'altro lembo. Sudavo freddo. I miei occhi erano fissi su quello che stavo facendo e le mie mani tremavano ma ogni volta che facevo passare l'ago in quell'ovale creato col filo per chiuderlo mi sentivo un po' meglio perché stavo per arrivare alla fine. Seth non disse niente per tutto il tempo. Resto immobile. Sentivo il suo respiro un po' pesante ma non si lamentò nemmeno un secondo. Quasi mi chiesi se sentisse davvero dolore. Ebbi conferma quando tirai un po' troppo forte nella chiusura di un nodino e lui si irrigidì sotto il mio tocco. Mormorai uno 'scusa' rapido ma lui mi disse che non era niente e che stavo andando benissimo. Dubitavo di quel benissimo ma continuai. Terminai dopo quelle che mi sembravano ore. Fissai la mia cucitura e non sembrava così brutta. Seth mi disse di tamponare la ferita con un po' di alcool per togliere l'eventuale sangue uscito e lo feci.

«Okay.» Dissi, tenendo in mano gli utensili. «Ora il braccio, no?»

Seth se lo guardò e poi fece una piccola smorfia. Non disse nulla ma si alzò dalla sedia. Era stato fortunato che non gli aveva rovinato i tatuaggi.

«Che fai?»

«Se resto seduto fai fatica.» Disse e forse aveva ragione. «Siediti sul tavolo.»

Ormai avevo smesso di contrastare le sue richieste. Mi sedetti sul tavolo e lui spostò la sedia per poi girarsi e mettersi in modo tale che il retro del braccio sinistro fosse davanti a me. La mia gamba destra sfiorava il retro delle sue.

«Perchè non ti sei portato un'arma se sapevi che l'altro ce l'aveva?» Domandai mentre cambiavo l'ago e il filo.

«Perchè vinco anche senza.»

«Oggi sembravi in difficoltà.» Ammisi, tamponando il cotone imbevuto di vodka sulla ferita orizzontale sul braccio.

Mi lanciò un'occhiata da sopra la spalla. «Oggi avevo spettatori indesiderati.»

Deglutii, arrossendo e abbassai lo sguardo sulla ferita. Fare lo stesso lavoro qui mi sembrò meno complicato ma forse perché avevo scaricato tutta la tensione col primo taglio. Ci impiegai anche di meno rispetto all'altro.

Stava per andarsene ma lo afferrai per il polso e lo feci girare. Mi guardò all'inizio confuso ma probabilmente capì cosa volessi fare quando mi vide maneggiare un nuovo batuffolo e la vodka.

Rispetto alla prima volta che gli avevo curato le ferite non eravamo nella stessa posizione e lui mise le mani dietro alla schiena mentre io iniziavo a tamponargli la ferita sulla tempia.

«Dovresti mettere anche del ghiaccio su questi lividi.» Dissi.

Quel bastardo col tirapugni aveva fatto un gran bel lavoro sulla sua faccia, costato e sui suoi fianchi. Lo odiavo.

«Guariranno anche così.»

Sospirai affranta da quella risposta e gli ripulii anche la ferita sul labbro. Come la prima volta, sentii i suoi occhi su di me ma io non ricambiai lo sguardo.

«Grazie.» Disse quando terminai.

Sbuffai in una breve risata mentre scendevo dal tavolo. «Ringraziami domani nel caso. Ancora non so se quello che ho fatto sia giusto.»

«È giusto.» Disse divertito.

Seth mi disse di lasciare le cose sul tavolo e di andare a letto che fosse tardi. Lui si sarebbe fatto una doccia.

Così, ci ritrovammo di nuovo separati: lui in bagno e io a letto. Questa volta sotto quel misero lenzuolo e quella coperta di lana buttata sopra. Ero vestita, a parte per giubbotto, scarpe e cappello ovviamente, ma non avevo intenzione di togliermi uno strato di più.

Avevo chiuso gli occhi ma in realtà attendevo il ritorno di Seth. Sinceramente speravo venisse qui a dormire perché un corpo in più non avrebbe fatto congelare il mio.

Ero in una sorta di dormiveglia quando sentii la porta del bagno aprirsi. Lo spiai leggermente. Indossava solo dei boxer e rabbrividii per lui. Lo vidi tirare fuori un'altra coperta da quell'armadio usurato e dirigersi verso il divano. Sentii un bruciore nel petto che quasi mi bloccò, ma riuscii a pronunciare in un soffio flebile quelle parole.

«Vieni qui?»

Seth si bloccò e girò la testa verso di me.

«Preferisci me all'ipotermia, sicura?»

«Stai zitto. Non farmi pentire della scelta.»

Lo sentii ridacchiare e ruotai gli occhi.

Quando entrò nella mia visuale cercai di non osservare il suo corpo seminudo ma persi clamorosamente. Salii i gradini e mise anche la seconda coperta sul letto, sopra alla prima, questa era un po' più piccola e di pile. Poi, entrò sotto alle coperte.

«Non hai freddo?» Chiesi.

«No.» Mi lanciò un'occhiata. «Mi piace il freddo.»

Si ma così era troppo.

Si dovette mettere sul fianco destro per evitare di schiacciare le ferite sul braccio e sulla scapola sinistra. E così eravamo faccia a faccia. La mia guancia era premuta sopra alla mano e al cuscino. Mi morsi il labbro mentre scrutavo il suo volto. Sembrava più rilassato rispetto a prima.

«Non sarei dovuta venire.» Buttai fuori.

Lui restò a fissarmi senza dire nulla. Quei buchi neri risucchiavano anche la mia forza vitale.

Il mio cuore accelerò. «E non avrei dovuto pensare ancora male di te.»

Un muscolo guizzò vicino ai suoi occhi. «Non mi interessa quello che pensi di me, Blake. Mi interessa che non tu gironzoli in questi posti solo per avere delle conferme.»

«Si ma non è successo niente.» Soffiai.

«Non deve succedere per forza qualcosa per riconoscere quando un posto è una merda.» Ribattè stizzito. «Mettiamola così, Peach. Se riguarda me, al novanta per cento i posti sono da evitare, okay? Non seguirmi più.»

Annuii piano.

Espirò a fondo e poi spinse una mano verso il mio volto. Afferrò una ciocca e se la rigirò tra le dita prima di sistemarla dietro l'orecchio.

«Ma sono felice che tu abbia portato quel coltellino per difenderti.» Mormorò e aggrottò la fronte. «Lo sai usare?»

L'abilità di comunicare era stata tolta appena aveva mosso quel braccio. Mi ritrovai a scuotere la testa sperando che non sentisse il battito del mio cuore in quel silenzio.

«Ti insegno io.»

Accennai un timido sorriso che ricambiò con uno più sciolto e furbo.

«Hai freddo?» Chiese poco dopo.

«Un po'.»

I miei piedi li sentivo ghiacciati nonostante le calze.

«Posso avvicinarmi?» Chiese roco.

Sbattei le palpebre con un nodo allo stomaco. Dovevo ancora essere arrabbiata con lui? Forse in caso di ipotermia era meglio evitare l'orgoglio.

Annuii.

Lui scivolò verso di me. Incastrai le gambe tra le sue e lui strofinò la sua grande mano lungo il mio braccio per scaldarmi. Mi ritrovai a nascondere il volto contro il suo collo e rannicchiare le braccia contro sul suo petto caldo. Dio, era davvero caldo. Un brivido mi percorse il corpo e mi avvicinai più a lui anche se non era più possibile. Seth sistemò le coperte sopra di me, creando una specie di fagotto dietro di me e poi mi avvolse la vita con il braccio, spingendomi più contro di lui. Sentivo il battito del mio cuore accelerato forte e chiaro e cercai di rallentarlo chiudendo gli occhi e pensando ad altro.

«Nyxlie?»

Spalancai gli occhi e sfiorai con le ciglia il suo collo nel farlo.

«Si?» Mormorai, schiacciata a lui.

Era così strano sentirlo pronunciare il mio nome. Scivolava così bene dalle sue labbra.

«Non avrei dovuto dirti quelle cose, quel giorno.» Disse. «Solo che con te...è tutto un po' più complicato.»

Continuavano a dirlo e non capivo.

Presi a muovere le mie dita sul suo petto e sbattei le palpebre. «Perchè?»

Quando pensai che non avrebbe risposto a quella domanda, lo fece. A bassa voce.

«Perchè ti ferirò.» Lo sentì deglutire. «E non lo meriti.»

Una morsa stritolò il mio petto a quelle parole. Aprii la mano sul suo petto nudo, sentendo il battito regolare contro il palmo.

«Sai qual è il vero problema, Seth?»

«No.»

«Che nonostante tu continui a dire che mi farai del male...» Deglutii e sussurrai così piano che pensai non lo avrebbe udito. «Io non riesco ad ignorarti.»

«Mi dispiace.» Mormorò poco dopo alcuni secondi di silenzio.

«Per cosa?»

«Per essere un bastardo egoista e non riuscire a fare lo stesso.»

Δ

Mi svegliai per colpa dei fasci di luce che filtravano prepotenti in quella stanza da quella vetrata. Strizzai gli occhi e mi mossi piano. Il mio cervello si azionò e sentii anche un basso bisbiglio. Mi sgranchii le gambe e poi le braccia. Muovendomi nel letto, sotto le coperte divenute calde nella notte, capii di essere sola. Aprii così gli occhi e incontrai le assi di legno del soffitto, poi sbattendole, puntai basso. Chen e Seth erano in cucina. Chen appoggiato al tavolo che mi dava le spalle e Seth contro il ripiano della cucinotto. I nostri occhi si incrociarono e sul suo volto si aprì un sorrisetto giocoso. Anche Chen si girò.

«Hai il sonno pesante, Principessa.» Disse Seth.

Sbadigliai coprendomi la bocca con la mano e mi sollevai, puntando i gomiti nel materasso. Non osavo immaginare che aspetto avessi al momento. Di fronte a due come loro era decisamente imbarazzante.

«In questi giorni sto dormendo poco.» Dissi, la voce era ancora impastata. «Dovevi svegliarmi.»

«Ci ho provato.» Ribattè con fare divertito. «Ma hai continuato a russare.»

«Io non russo!»

«Russi.» Confermò Chen.

Schiusi la bocca, offesa e imbarazzata.

«Tranquilla.» Schioccò Seth. «Rimani comunque una principessa mentre lo fai.»

Se solo avessi avuto la forza gli avrei lanciato un cuscino. Lo insultai sottovoce e poi mi costrinsi ad uscire da quel tepore. Rabbrividii e mi tirai le maniche della felpa per nascondere le mani.

«Non ho niente per fare colazione. Se vuoi ci fermiamo in un bar.» Disse Seth.

«Non preoccuparti.» Agitai una mano. «Torniamo al campus.»

Volevo farmi una doccia bollente e mi sarei preparata qualcosa a casa.

Ingoiai due mentine che Chen mi offrì mentre uscivamo da quell'appartamento. L'Audi di Seth era parcheggiata proprio qui fuori. Prima che Chen potesse aprire la portiera posteriore mi fiondai io. Non volevo stare davanti con Seth. Quest'ultima mi lanciò un'occhiata contrariata per la mia scelta ma non commentò.

In macchina non prestai molta attenzione a quello che dicevano loro -che comunque non era niente di importante- dato che ero impegnata a rispondere ai messaggi di gruppo con Phoebe e Zara che mi avevano chiesto dove avessi passato la notte.

In una decina di minuti arrivammo sotto al mio palazzo. Seth scese con me. Intuendo che volesse parlare mi fermai contro la portineria e lo guardai. Il gonfiore dei lividi non sembrava essere sceso di molto ma almeno i tagli non erano più rossi e gonfi come ieri.

«Questa sera facciamo una festa.» Disse. «Sai, per la fine degli esami e del semestre.»

«Manca ancora una settimana alla fine del semestre.»

«L'ultimo giorno cade con--»

«La Notte del Giudizio.» Dissi, appena me ne ricordai.

Giusto. Non ci avevo pensato. E allo scoccare della mezzanotte loro avrebbero preso il controllo di tutto.

«Molti seguiranno la diretta.» Disse leggermente accigliato. «Tanto vale festeggiare prima.»

Annuii piano poi strinsi gli occhi. «Mi stai invitando, Nixon?»

Lui ruotò i suoi. «Non ti serve un invito, Blake. Se vuoi, vieni.»

«Mh.» Arricciai il naso. «Ci penso.»

Molto probabilmente ci sarei andata. Le ragazze mi avrebbero trascinata all'ultima festa della confraternita.

Poi, Seth fece un passo e io mi ritrovai col respiro mozzato e i miei occhi incollati su di lui, da sotto le ciglia. Alternò lo sguardo intenso prima a destra e poi a sinistra.

«Riguardo a quello che mi hai raccontato ieri.» Iniziò e si leccò le labbra. «Per quanto valga la mia idea e parola, non devi preoccuparti di...loro, dei Vendicatori. Non ti faranno niente.»

«Nessuno può saperlo.» Ammisi amaramente.

«Non sei tu che vogliono, no?»

Sospirai a fondo. «No. Però, in fondo dovrei smetterla di pensarci. Potrebbe anche essere stato uno scherzo...»

«Certo.» Tossì. «Non dovresti continuare angosciarti con questa storia. Non sei in pericolo.»

Abbozzai un sorriso poco convinto e annuii.

«Ci vediamo questa sera, Principessa.» Disse, indietreggiando.

«Non ho detto che ci sarò.»

«Se lo dici tu.»

Ruotai gli occhi. «Addio, Nixon.»





S/A.

Ehi🍑🍑🖤

Questo capitolo è soft ma con dettagli non tanto irrilevanti...

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A presto, Xx

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