Capitolo 13

«Come diavolo hai fatto a trovarmi?» Sibilai.

Incrociai le braccia e lo guardai male, in attesa di una sua risposta. Indossava una felpa e il cappuccio gli copriva i capelli e gli oscurava il volto ma non potei non notare alcuni lividi in faccia, aveva anche un taglio sotto l'occhio.

Anche lui mi scrutò ma facendo scivolare gli occhi in basso. Poi sollevò un angolo della bocca, guardandomi malizioso.

«Non credevo fossi tipo da ciliegie e fiocchettini.»

Dannazione. Rientrai in fretta in stanza per nascondermi dietro alla porta.

«Rispondi.» Scattai a bassa voce.

«Esci e te lo dirò.»

Lo fulminai con lo sguardo e chiusi la porta. Lo insultai sottovoce mentre aprivo l'armadio di Winter per rubarle una felpa. Lei continuava a dormire profondamente. Beata lei.

Mi infilai le scarpe, recuperai la chiave della stanza ed uscii. La felpa che le avevo rubato era lunga e larga e copriva quello che doveva coprire. Tuttavia, i suoi occhi si fermarono ancora sulle mie gambe nude e io cercai di riportare l'attenzione su di me.

«Rispondi o ti faccio cacciare.» Lo avvisai.

«Tu sei un'intrusa tanto quanto me, Principessa.»

Strinsi le labbra e poi guardai a destra e a sinistra lungo il corridoio. Non c'era nessuno ma se fosse passato qualche sorvegliante sarebbe stato un grave problema per entrambi. Gli lanciai un'occhiata severa prima di incamminarmi verso le docce. Era difficile che a quest'ora ci fosse qualcuno che volesse lavarsi.

Lo feci entrare e poi chiusi la porta. Accesi la luce e lui sembrò dare un'occhiata all'ambiente. Le docce erano tutte a destra mentre a sinistra c'era una lunga panca e degli appendiabiti sul muro, mentre sulla parete alle sue spalle c'erano dei lavandini con sopra un lungo e rettangolare specchio.

Mi appoggiai contro la porta e incrociai nuovamente le braccia. Lui se ne stava in piedi a mezzo metro da me. Le mani nelle tasche e l'espressione indifferente.

«Attendo una spiegazione.»

«Già, anche io.» Strinse lo sguardo. «Credevo fossi a Boston.»

«Domani tornerò a Boston.» Dissi accigliata da quel commento. «Ora, puoi dirmi come diavolo mi hai trovato?»

«Chen è bravo con i computer.»

«E quindi?»

«È entrato nel profilo accademico della tua amica e ha visto dove alloggiava.»

La mia mascella cadde. Stava scherzando? Probabilmente no e questo perché per Seth le cose più assurde, e illegali, erano anche le più normali.

Evitai di scavare oltre questa faccenda perché era inutile. Ormai era qui. Tornai a scrutare il suo volto. I ricci sbucavano dal cappuccio della felpa. I lividi erano visibili, oltre al taglio sotto l'occhio ne aveva uno anche sul labbro.

«Non avrei mai pensato di vederti lì.» Disse rauco.

«Potrei dire la stessa cosa di te, Bulldog.» Replicai amara.

Seth inspirò a fondo con guardandomi con una singolare luce nello sguardo.

«È davvero necessario?» Chiesi.

«Sono soldi facili.» Alzò le spalle. «E poi, l'ho sempre fatto.»

«Sempre?»

«Mamma e papà non mi davano la paghetta, Blake. Da dove vengo io è così che vai avanti.»

Non era comunque una motivazione valida. C'erano tanti altri modi per portare a casa dei soldi. Però, potevo ora capire perché fosse così bravo. A scuola era nella squadra di lotta e fuori scuola lo praticava realmente.

Quando si passò una mano tra i capelli, facendo scivolare indietro il cappuccio, notai che anche le nocche erano rovinate. Qualcosa nel mio petto si strinse e mi spinse ad avvicinarmi. Sospirai e avanzai, sfiorando lo zigomo destro con le mie dita. Lui sembrò irrigidirsi al mio tocco ma non mi allontanò e non stacco nemmeno gli occhi da me.

«Li hai disinfettati?» Chiesi, puntando ora sulle sue labbra piene. Il suo labbro inferiore era, purtroppo, rovinato da quel taglio un po' profondo.

«Sto bene.»

Quindi no.

Mi voltai. Contro la parete c'era appesa una valigetta del primo soccorso. Mi avvicinai e l'aprii, tirando fuori l'occorrente.

«Siediti.» Dissi senza guardarlo mentre appoggiavo le cose sulla panca.

Stranamente non si fece pregare e gli lanciai una rapida occhiata mentre si sedeva e spalancava le gambe.

«Giochiamo al paziente e alla dottoressa, Peach?» Mormorò.

Lo fulminai con lo sguardo e poi mi alzai col batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante. Mi prese alla sprovvista quando mi afferrò il polso e mi tirò a sé, costringendomi a posizionarmi in mezzo alle sue gambe. Le mie ginocchia si scontrarono al bordo della panca. Inclinò la testa indietro per permettermi di lavorare ma quella vicinanza mi destabilizzava. Deglutii e affondai le unghie nel palmo libero mentre con la mano destra tamponavo le ferite. Prima mi occupai di quella sotto l'occhio. Lavorai con delicatezza ma anche questo feci una leggera pressione sul taglio, lui non si lamentò. Non chiuse nemmeno gli occhi. Lasciò quei buchi neri fissi su di me mentre io cercavo proprio di evitarli.

«Chi erano quegli uomini?» Domandai, occupandomi con cura di quel taglio.

Il cotone si era sporcato di sangue e lo voltai, utilizzando la parte ancora pulita.

«Persone che si occupano di questi incontri.»

«Ti hanno pagato.»

«Ho vinto.» Replicò con ovvietà.

Sospirai e presi un nuovo batuffolo di cotone per ripulire la ferita sul labbro. Utilizzai più delicatezza in quella parte. Le schiuse e il mio cuore mancò un battito. Sembravano così morbide. Così saporite. Non sapevo cosa mi fosse preso ma sfiorai il suo labbro inferiore col pollice e sentii uno sfarfallio focoso nel mio stomaco.

Erano cosi rosse. Così piene.

Risucchiai un sospiro e strinsi con forza il pezzo di cotone quando le sue mani si posarono sul retro delle mie cosce, iniziando a strofinare il pollice sulla mia pelle nuda.
D'istinto, mi aggrappai con la mano libera sulla sua spalla mentre notavo che delle gocce di disinfettante caddero dal cotone stritolato tra le mie dita. Finirono direttamente sulla sua ferita aperta e sussultai io per lui.

«Scusa.» Soffiai.

Lui non sembrò far caso al dolore. Sentivo i suoi occhi bruciarmi il volto. E sentivo le sue dita bruciare i lembi di pelle che stava toccando. Sentivo gli anelli freddi premere nella mia carne.

Il mio cervello mi fece lo scherzo di farmi ricordare tutte le volte che lo avevo beccato insieme a qualche ragazza, e mi fece il brutto scherzo di far immaginare me come una di loro.

Chissà com'era essere modellata da quelle mani.

«Seth...»

«Continuo a pensare a quelle graziose ciliegie, Peach.»

Deglutii e soffiai un ansimo quando le sue mani risalirono su per le cosce e sollevarono la felpa. Le mie gambe tremarono e si coprirono di brividi.

Incrociai i suoi occhi. «E-eri tu all'Angels?»

Strinse le mie cosce e mi invitò a scendere e a sedermi sulle sue gambe. Sistemai le mie piegate ai lati delle sue e lasciai cadere il batuffolo di cotone per stringere tra le dita la sua felpa.

«Eri tu all'Angels?» Chiese mentre afferrava i lembi della mia felpa.

Lasciai che me la sfilasse e la buttasse a terra. La mia pelle si increspò per il freddo che c'era in quel bagno ma anche per il suo tocco sulle mie braccia. Sotto a quella canotta di seta non portavo nulla e sentivo le punte dei miei seni indurirsi e premere contro il tessuto.

«Come hai fatto ad entrare lì?» Domandò.

Sbattei le palpebre rapidamente quando tornò ad accarezzarmi le cosce.

«Winter conosceva qualcuno.» Soffiai. «Quindi, non eri tu?»

Non ero certa che fosse lui ma il mio corpo, l'istinto, me lo diceva.

Si tirò avanti, il mio petto sfregò contro la sua felpa, mentre lui avvicinava le labbra al mio orecchio sinistro. Il suo respiro caldo si scontrò sul mio collo. Le sue dita risalirono verso le mie anche. Risucchiai un respiro tremante e strinsi la presa della sua felpa.

«So che eri tu. Quando mi hai visto--l'ho sentito.» Deglutii.

Strofinò la punta del naso sotto l'orecchio e gonfiai il petto. La mia mente stava andando in corto circuito. Non capivo se fosse un modo per distrarmi da quell'argomento oppure volesse farlo seriamente.

«Eri indecente con quel vestito, Principessa.» Gracchiò roco. «Ma le cose che ho immaginato di farti con quello addosso...sono anche peggio.»

Improvvisamente non sentii più freddo. Quelle parole, i pensieri legati a quelle parole, mi surriscaldarono fino a farmi boccheggiare.

Si scostò lievemente e incrociai incredula il suo sguardo furbo.

«Cosa ci facevi lì?» Chiesi, provando a sfamare la mia curiosità per non pensare al fatto che le sue dita si stessero arricciando nell'elastico sottile delle mie mutandine.

«Controllavo.»

Il mio corpo rispose al suo tocco provocatorio e inarcai la mia schiena, spingendo il bacino contro di lui e appoggiando la fronte alla sua. Guardai tra i nostri corpi, il mio petto talmente era gonfio d'aria trattenuta che il seno quasi sgusciava fuori da quella canotta a V e le punte facevano male da quanto desiderassero attenzione. La sua attenzione.

«Toccami, Seth.» Supplicai senza voce.

Le sue dita strinsero i miei fianchi e inspirò a fondo. «No. Non posso.»

«Ti prego.» La mia mano scivolò e premette sul suo petto coperto dalla felpa. «Solo per oggi.»

Il suo respiro si fece più pesante e io approfittai del suo silenzio per scendere con la mano e afferrare la sua. Era rigido ma non oppose resistenza. La portai sul mio petto e inspirai a fondo sentendo le sue dita sfiorare la pelle sotto alla clavicola. Poi, la portai più giù, e fu lui ad anticipare il mio gesto chiudendo il palmo attorno al mio seno sinistro coperto in parte da quel leggero tessuto.

Ansimai piani sentendolo aderire alla perfezione al suo grande palmo e, quando stuzzicò la mia punta turgida, mi zittì un soffice gemito premendo con irruenza le labbra alle mie.

Cristo.

Mugugnai contro la sua bocca e infilai le dita tra i suoi capelli mentre schiudevo le labbra per permettergli l'accesso, per permettergli di farmi impazzire fino alla fine. Mi agitai su di lui, contro di lui, e le sue mani diventarono ferro bollente contro la mia pelle. Mi strinse le natiche con forza, imprendendo nella mia carne le sue dita, e ringhiò di gola nel bacio famelico.

Mi ero domandata più volte come fosse baciare Seth. Come sarebbe stato sentire le sue labbra unirsi alle proprie. Ma la risposta non era minimamente vicina alla realtà. L'impeto e il desiderio si mischiarono, si fusero, in un'unica soluzione allucinogena e distruttiva. Non sembravo nemmeno più io. Mai mi ero sentita così trasportata nelle azioni. Le labbra di Seth e il suo essere emanavano una sostanza tossica che annebbiava la mia mente e faceva comandare solo l'irrazionalità.

Affondai nella sua bocca e ignorai il sapore amarognolo, e non salutare, del disinfettante che era ancora sulle sue labbra e lasciai che unisse le nostre lingue. Mi sentii anche egoista a non preoccuparmi del suo taglio e realizzai di esserlo quando mi sembrò di percepire un sapore ferroso anche nella mia bocca. Lui proseguì nel baciarmi con foga e io non mi fermai.

Con un movimento svelto si voltò e mi fece stendere sulla panca. Le assi orizzontali erano scomode sotto la mia spina dorsale ma era l'ultimo dei miei problemi. Il pensiero principale era occupato da lui e dal fatto che fosse sopra di me, tra le mie gambe. Spinse il bacino contro il mio strappandomi un ansimo che si perse nella sua bocca.

Si staccò per farmi riprendere fiato ma non mi diede tregua. Si fiondò a divorarmi il collo e io mi abbandonai alla realtà. Chiusi gli occhi e lasciai me stessa in balia delle nostre azioni dettate tutta da una tangibile attrazione fisica e ormai non più negabile.

Quando scese verso il mio petto mi obbligai ad aprire gli occhi e ad abbassare lo sguardo. La sua chioma riccioluta era invitante per le mie dita e le districai nel mezzo. La sua bocca lasciò una scia umida di baci in mezzo ai miei seni e le spostò sul rigonfiamento destro, leccando la pelle esposta e succhiando avidamente.

Ormai il mio respiro era affannato e pregavo che nessuno entrasse nel cuore della notte in quelle dannate docce.

«Tu e le tue fottute ciliegie.» Gracchiò roco prima di spostare il tessuto che copriva il seno e chiudere le labbra attorno alla punta sensibile e dura.

Piagnucolai e inarcai la schiena, stringendo i suoi capelli e tirandoli ogni volta che lui succhiava con fare avido. Leccò e stuzzicò fino a farmi pensare che sarei venuta solo in quel modo. Ero consapevole che tra le mie cosce la situazione fosse disastrosa e quasi mi vergognavo di me. Non mi era mai successo. Ogni centimetro della mia pelle era sensibile. Bastava un suo tocco che si sarebbe informicolato di elettricità e brividi. Sentivo il crescente bisogno di portare la sua attenzione più in basso e delle timide suppliche sfuggirono dalla mia bocca sotto forma dal suo nome.

Sollevò la mia canottiera fino a scoprire l'addome e lo accarezzò con le nocche per poi liberare il mio seno e portare le labbra sopra all'ombelico. Lasciò diversi baci su quel territorio e io spalancai le gambe in anticipo. Sembrò sorridere contro la mia pelle e ne ebbi conferma quando sollevò lo sguardo su di me.

Quei buchi sembravano vorticare fino a farmi cadere in un incantesimo proibito. Mi guardò come se avesse voluto divorarmi ma allo stesso tempo consapevole che non avrebbe dovuto farlo. Mi sovrastò nuovamente e io non sapevo se guardare le sue labbra gonfie o i suoi occhi bui.

«Se dici che non puoi, ti prendo a pugni.» Annaspai in preda all'eccitazione.

Scorsi un ghigno prima che si nascondesse nell'incavo del mio collo a destra e mi baciasse vicino alla giugulare pulsante.

«Non posso farlo, Peach.»

Strinsi gli occhi per non piangere dalla frustrazione che stava gridando soprattutto in mezzo alle mie gambe.

«Perchè?»

«Perchè ne va della mia sanità mentale.»

«Sei già pazzo.» Dissi.

Scostò la testa per incrociare i miei occhi lucidi. «Sto cercando di non esserlo fino a questo punto.»

Non capii il senso di quelle parole. Semplicemente non capivo perché mi avesse baciata per poi fuggire così. Non era giusto.

«Ho i tuoi segni sulle mie tette.» Schioccai. «Hai già toccato abbastanza. Finisci il lavoro.»

Non credevo sarei mai potuta essere così autoritaria e nevrotica per un orgasmo che mi stava per essere negato.

Abbassò lo sguardo come per avere conferma delle mie parole. E avevo ragione. Tornò a guardarmi e inclinò la testa con un mezzo ghigno da schiaffi.

«E ti stanno bene.»

Avvampai e risucchiai un respiro nervoso. «Perché diavolo tu e Chen avete questo problema con me?»

Un cipiglio si formò sulla sua fronte e un'ombra scura calò sul suo volto.

«Ti ha toccato in questo modo

Sbattei le palpebre al suo cambio di tono. «N-no. Cioè, io ero un po' fuori e avrei voluto lo facesse per la situazione, ma si è tirato indietro dicendo che non poteva.»

Lui continuò a fissarmi ma non stava prestando attenzione a me, era più immerso nei suoi pensieri. Infatti, poco dopo si tirò su e io trattenni un lamento. Non poteva lasciarmi cosi. Si passò una mano tra i capelli con nervoso mentre io tiravo verso di me le mie gambe.

Ora percepii nuovamente il freddo di quel bagno.

«Non possiamo.» Ripetè monocorde.

Deglutii non sapendo cosa dire. Sentivo ancora le sue labbra bruciare sulla mia pelle. Decisamente una sensazione diversa da quella provata con Chen. Quello che era successo con Seth non l'avevo mai provato.

Ora mi sentii in imbarazzo. Rifiutata. Decisamente troppo esposta.

Lui con la coda dell'occhio notò il mio voler sprofondare e coprirmi e raccolse da terra la felpa che infilai in meno di un secondo.

Si alzò mentre io rimanevo seduta sulla panca. Mi mordicchiai il labbro mentre lo osservavo pizzicarsi il naso e serrare i denti, guardando ovunque tranne che me.

«Devo andare.»

Sembrava aver innalzato un muro sia in altezza che in profondità. Mi stava spingendo via dopo quello che c'era stato.

«Perchè io no?» Le parole mi scivolarono più veloce di quanto avessi voluto.

Lui mi guardò con espressione vuota e il corpo rigido.

«Perchè Katy si?» Mi alzai in piedi e incrociai le braccia. Probabilmente avrei fatto solamente una figura di merda che mi avrebbe fatto desiderare essere in una fossa. «Perchè quelle ragazze si?»

«Okay. Smettila.»

«No.» Sputai e avanzai fino far sfiorare i nostri petti. Lui strinse i denti e mi fissò dall'alto. «Perchè Penelope si? Perché loro sì e io no? Cosa c'è che non va in me?»

Potevo accettare il rifiuto da Chen. Entrambi non eravamo lucidi ed era stato gentile pensare a come avrei potuto reagire il giorno dopo se avessi fatto quello che al momento volevo fare. Ma aveva fatto comunque male, non perché mi interessasse, ma perché sembrava essere un rifiuto per me, perché fossi io. Io in quanto Nyxlie Blake. E ora lui stava facendo esattamente la stessa cosa. Soprattutto dopo come mi aveva baciata e toccata con quella fame che mi aveva fatta sentire voluta e poi si era spostato, lasciandomi vuota. Mi stava gettando anche lui in un angolo. Perchè? Il problema era io. Ma perché?

La velatura di indifferenza che gli copriva gli occhi mi infastidì.

«È semplice: non voglio.»

Socchiusi gli occhi. «Prima hai detto che non potevi. Stessa cosa ha detto Chen. Non vi fate problemi a fare quello che fate, insieme spesso, ma con me si.»

Quella maschera non cedette. Scosse la testa, graffiandomi con i suoi occhi taglienti e le parole gelide. «Perchè vuoi umiliarti così, Blake? Ho detto che non voglio. Recupera quel poco di dignità che ti è rimasta e torna a dormire, è meglio.»

Come poteva una persona cambiare umore, personalità, in modo così drastico e in così poco tempo?

«Vaffanculo.» Dissi di getto.

All'inizio mi sembrò non percepire il dolore di quelle parole. L'umiliazione appena ricevuta. Lo schiaffo verbale che mi aveva appena dato senza il minimo interesse.

Lui accennò un sorrisetto pungente a sfondo amaro. «Non sei speciale, Nyxlie. Sei esattamente come loro. Solo che non ti voglio.»

Non riuscii a pronunciare una parola in più. Il groppo pungente mi stava soffocando e la voglia di piangere mi stava facendo bruciare gli occhi in modo doloroso, ma non cedetti. Non davanti a lui.

Senza dire una parola di più, si infilò il cappuccio della felpa e si voltò. Osservai la sua figura raggiungere la porta, aprirla e sbatterla facendo quasi tremare anche gli atomi presenti nell'aria.

Una singola lacrima solcò la mia guancia mentre rimanevo in silenzio immobile, profondamente ferita, arrabbiata, in quel bagno freddo a pensare a perché diavolo avessi risposto a quel messaggio.

Δ

Se avessi sentito ancora una volta la parola Princeton e canoa avrei fatto una strage. Le mie orecchie avrebbero voluto staccarsi e buttarsi nel camino che avevo vicino. I muscoli della mia faccia stavano iniziando a chiedere pietà per quel sorriso di plastica che stavo mantenendo da ormai tutta la sera. Ero stanca. Volevo togliermi questo vestito comprato da mia madre che mi faceva sentire una bambolina di pezza, volevo slegarmi i capelli che ormai in quel chignon super tirato stavano gridando dal dolore, volevo lanciare via i tacchi, volevo dire a tutti quanti quanto non mi interessasse nulla di quello che stavano dicendo e andarmene semplicemente a letto.

«Nyxlie? Ci sei?»

Due dita schioccarono davanti al mio volto e tornai rapidamente sul volto di William. «Cosa?»

Un sorriso si formò sul suo volto. «Ti sei incantata. Ti sto annoiando?»

Si. «No, figurati. Scusa.»

William Fletcher era il tipico ragazzo modello che mia madre avrebbe voluto vedere al mio fianco. Quello che seguiva le regole, senza eccezioni. Eccellente in tutti i voti, dalle elementari fino ad adesso. Mai andato contro il volere dei suoi genitori. Con la testa sulle spalle e un obiettivo preciso da raggiungere. William era cresciuto con tutto. Il suo modo di parlare da altezzoso e gli abiti firmati ed eleganti erano caratteristiche che a persone comuni avrebbero fatto storcere il naso. Io non rientravo tra quelle comuni ma storcevo il naso anche io.

Non era un brutto ragazzo, affatto. Ovviamente ci teneva moltissimo all'estetica e alla salute fisica, anche in quello doveva essere perfetto. Infatti, non molti lo sapevano ma andava a farsi manicure e pedicure una volta al mese e seguiva una rigida dieta, ovviamente bilanciata col suo essere canoista. William assomigliava molto a suo padre, purtroppo. Aveva i capelli biondo scuro sempre cotonati e laccati in un ciuffo laterale, occhi chiari e un naso dritto e labbra sottili che aveva preso da sua madre.

All'apparenza si presentava davvero come un principe azzurro. Era il suo modo di relazionarsi con le persone che era fastidioso. Anche con me lo faceva spesso. Il dover essere superiore e mostrartelo in ogni contesto. Aveva quella brutta abitudine di fare mansplaining ogni volta che si parlava, di guardare dall'alto in basso abbiente come lui e soprattutto aveva una mentalità chiusa, e leggermente retrograda.

Ogni volta che dovevo avere una conversazione con lui mi limitavo a fare la bella statuina e a sorridere e annuire. Avevo imparato a farlo fin da subito, da quando eravamo bambini, e avrei continuato perchè era talmente ossessionato da sé stesso che non si poneva mai la domanda di star forse esagerando.

«Nyxlie. William.» Mia madre entrò nel nostro campo visivo.

Quella sera indossava un abito a tubino rosso scuro con un'eccentrica collana di perle, abbinata agli orecchini visibili grazie al raccolto che aveva fatto quella mattina dalla parrucchiera di fiducia. I bracciali che aveva al polso tintinnarono quando appoggiò la mano al braccio piegato di William che teneva in mano un calice di champagne. Quella sera faceva un piccolo sgarro, mi aveva detto mentre ne sorseggiava un po'.

«Tutto bene, caro? Questa serata è un po' movimentata e ancora non ci siamo salutati come si deve.» Disse mia madre con tono civettuolo.

Be', le avrei lasciato volentieri il mio posto.

William mi guardò brevemente. «Sto bene, grazie. Stavo giusto dicendo a Nyxlie che questo weekend avremo una gara proprio con la Berkeley.»

Ah si? Wow. Ero stata talmente presa a parlare mentalmente che non avevo sentito una singola parola di quel discorso.

Tuttavia, questa notizia aveva rallegrato più mia madre che la sottoscritta.

«Ma è grandioso.» Esclamò. «Nyxlie potrà venirti a vedere e magari potete anche uscire.»

«Mamma.» Sibilai. «Smettila.»

Lei mi ignorò e sorrise smagliante a William. «Buona fortuna per la gara, allora. Sono certa vincerete come sempre.»

«Grazie, Miranda.»

Lei rivolse ad entrambi un sorriso e se ne andò. Casa mia era piena di gente. Se per la maggior parte delle famiglie americane il Giorno del Ringraziamento era qualcosa da festeggiare con la propria famiglia, nel nostro caso era un po' diverso. C'era la mia famiglia e tutti i miei parenti e poi c'era quella del socio di mio padre, con i rispettivi parenti. E tutti avevano la puzza sotto al naso. Oltre che scheletri nell'armadio.

«Sai, spero davvero tu venga alla gara.» Disse. «E magari potremmo davvero uscire.»

Mi accarezzai le braccia e sospirai. «Sono un po' sotto stress con gli esami. Ti faccio sapere, però.»

«Sei brava, Nyxlie.» Replicò. «Inoltre, la Berkeley non è di certo la Columbia. Sarà un gioco da ragazzi passare quegli esami.»

Tesi un finto sorriso. «È un'università valida tanto quanto la Columbia.»

«Se lo fosse sarebbe nell'Ivy, no?» Sbuffò quasi ovvio. «Ho cercato degli ottimi ristoranti a San Francisco. Potremmo andare in uno di quelli.»

«Ti faccio sapere.»

Annuì. «Certo.»

La nostra conversazione venne finalmente interrotta da suo cugino che lo portò via. Buttai fuori un sospiro mentre ruotavo sui tacchi e puntavo lo sguardo sul fuoco scoppiettante nel camino.

La mia testa era stata per tutto il giorno altrove ed era frustrante. Non doveva ricevere nemmeno una briciola della mia attenzione. Non se lo meritava. E non ne valeva la pena.

Purtroppo il mio cuore non andava a pari passo con la mia mente.

Le fiamme creavano disegni astratti e scintille scoppiettavano sul legno. Senza rendermene conto mi sfiorai il collo. Sentivo ancora le sue labbra. Erano morbide come burro ma feroci e sicure. Il mio stomaco ribollì quando ricordai dove erano state. Il modo in cui la mia schiena si era inarcata contro le sue labbra mentre mi faceva impazzire in quelle aree segrete.

Mai mi ero sentita così trasportata da un semplice bacio, ma con lui era come se non aspettassi altro. Desideravo tutto quello. Volevo sentire le sue mani su di me. Premere nella mia pelle. Volevo la sua attenzione in ogni mio centimetro di pelle. Faceva male quanto avrei voluto sentirlo.

È semplice: non voglio.

Perchè vuoi umiliarti così, Blake? Ho detto che non voglio. Recupera quel poco di dignità che ti è rimasta e torna a dormire, è meglio.

Non sei speciale, Nyxlie. Sei esattamente come loro. Solo che non ti voglio.

Strinsi i denti e sbattei le palpebre. Incolpai il fissare per troppo tempo il calore e il fuoco per il bruciore agli occhi. Lo incolpai ma era difficile mentire a me stessa.

Odiavo Seth per quelle parole.

Lo odiavo per avermi fatto sentire cosi piccola e insignificante.

Lo odiavo perché non avrei dovuto essere dipendente dalle persone. Nessuno avrebbe dovuto avere quel tipo di potere su di me.

Ma lui lo aveva. E a me non piaceva.

Lo odiavo perché mentiva. Non erano vere quelle parole. Non potevano essere vere dopo quello che mi aveva detto poco prima, il modo con cui le sue mani mi stringeva diceva tutt'altro; le sue labbra dicevano altro.

Quindi, perché? Perché ferirmi di proposito?

Quando l'interminabile cena terminò, ero sfinita. Ovviamente non avevo potuto dileguarmi in camera prima finchè tutti gli ospiti non fossero andati via.

Appena mi chiusi la porta della mia stanza alle spalle, buttai fuori un profondo sospiro. Mi tolsi i tacchi e, sfilandomi il lungo vestito aderente, andai verso il bagno che avevo in camera. Mi tolsi l'elastico e sentii un po' di sollievo nel liberare i capelli da quella morsa laccata e tirata fino a strapparli per renderli perfetti.

Mi infilai sotto la doccia e mi rilassai sotto l'acqua calda. Non vedevo l'ora di tornare al campus. Stare qui mi toglieva le energie.

Terminata la doccia, che fu breve perché volevo davvero dormire, mi asciugai i capelli tirandoli con una spazzola e poi pensai al corpo. Restai nuda di fronte allo specchio in bagno pronta a mettermi della crema corpo, e rimasi a fissare quei segni che avevo dovuto coprire con parecchi strati di fondotinta. Avevo il ricordo delle sue labbra, dei suoi morsi, sul mio seno e se ci passavo sopra il dito sembrava di poter sentire ancora quella sensazione.

No. Dovevo smetterla di pensarci.

Indossai il pigiama solo dopo aver lasciato assorbire la crema ed ero sul punto di andare a letto quanto la porta della mia stanza si spalancò. Stavo tenendo in mano un angolo del piumino, e girai la testa verso sinistra per trovare mia madre, ancora vestita da serata ma con i capelli sciolti, che mi guardava sprezzante.

«Ha chiamato l'istituto.»

Feci finta di nulla e tirai dietro le coperte.

«Si può sapere perché diavolo lo hai contattato? Lui non deve avere a che fare con noi. Lo vuoi capire, o no?»

La guardai. «È il Giorno del Ringraziamento e siamo la sua famiglia--»

«No.» Sollevò un dito in aria e i suoi occhi chiari come i miei lampeggiarono di furia. «Lui non è mai stato parte di noi. Non so nemmeno come abbia fatto a uscire in quel modo. Devi smetterla di chiamarlo o sarà un problema.»

Sospirai. «Come vuoi.»

Ovviamente non era convinta e l'occhiata severa continuava a persistere. «E andrai a quella gara.»

«Cosa? No!»

«Smettila di fare la bambina.» Sbuffò. «William è perfetto. Lo sai quanto tuo padre ci tiene a questa relazione.»

«Non c'è nessuna relazione.»

«Perchè fai la difficile.» Replicò seccata. «Ancora non capisco. Alla Princeton fanno a gara per lui e tu sei qui a lamentarti.»

Mi massaggiai la testa. «Sono stanca. Domani parto presto.»

«Contatterò William e gli dirò che ci sarai.» Disse. «Sicuramente prenoterà una cena. Comportarti bene.»

Non ebbi nemmeno il tempo di ribattere che sbattè la porta e io mi lasciai cadere sul letto. Mi sbattei in faccia un cuscino e buttai fuori un urlo liberatorio.

Dovevo solo laurearmi. Solo altri due anni.

Mi infilai sotto le coperte e presi il telefono. Quella breve vacanza era stata estenuante. Sapevo che sarebbe stata pesante solo per il fatto che avrei rivisto i miei genitori, ma non credevo fino a questo punto. Tutto quello che era successo con Seth era stato emotivamente distruttivo. Forse era stata colpa mia. Sapevo come faceva con le ragazze. Sapevo come si divertisse. Ma c'era qualcosa nel modo in cui si comportava con me che mi aveva fatto credere che io fossi...diversa.

Non sei speciale, Nyxlie. Sei esattamente come loro.

Che razza di idiota che ero stata.

Idiota e ingenua.

Mi girai su un fianco e inviai un messaggio a Winter che mi chiedeva come fosse andata la serata. Poi, vagai sui vari social e app.

Stavo per spegnere tutto e provare a dormire per dimenticare quelle due giornate quando notai una notizia che catturò la mia attenzione.

Il titolo parlava di quell'uomo ferito gravemente intorno a Berkeley. Ogni volta che leggevo di quel fatto sentivo una potente morsa alla bocca dello stomaco. Avevo un brutto presentimento e quando cliccai per aprire il link, il brurto presentimento sembrò confermarsi. Per questo sentii il mio volto sbiancare, ogni goccia del mio sangue si asciugò e mi misi a sedere di scatto sentendo un brivido gelido percorrermi la schiena.

Fissai un particolare che negli articoli giornalistici passati non c'era: l'immagine dell'uomo.

Deglutii a secco col respiro che si faceva più pesante.

Quell'uomo era lo stesso che aveva aggredito me.







S/A.

Ehi🍑🍑

Se speravate in qualcosa di 😏🌶... be' mi dispiace, vi faccio sudare ancora un po'. Ma non molto, forse👀

Insulti per Seth lasciateli pure qui🙄➡️

E che ne pensate di William? Vi piace? Soprattutto, la prossima volta sarà nelle zone di Seth...si incontreranno? A lui piacerà William? Ma più di tutte, chi ha aggredito quell'uomo?

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A presto, Xx🍒🖤

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