XXXVIII. Amor caecus

Nei giorni successivi alla morte di Apollonio non si parlò d'altro che del suo feroce assassinio per conto di un ladro infame. Il lanista della Ludus Magnus era stato uccido ed era ovvio che quella notizia era sulla bocca di tutti. 

Quintilia non uscì quasi mai di casa, recitando alla perfezione il ruolo di moglie devastata dal lutto ed iniziò subito a preparare i funerali. Anche solo vedere il cadavere di suo marito, in bella mostra a casa sua, le faceva venire un conato di vomito ma doveva salvare le apparenze, per evitare che qualcuno iniziasse a parlare male. 

A visitare la domus ci andarono molte persone, altri lanisti, ma anche persone di un certo calibro come senatori e patrizi. Tutti pronti a fingere di omaggiare un uomo che in realtà disprezzavano. 

Anche Falco restò in disparte, per non destare troppo l'attenzione su di lui, anche se la gente avevano iniziato a parlare anche della sua clamorosa liberazione. Qualcuno ammetteva che se lo era aspettato, qualcuno invece di mostrò veramente sorpreso. Mai quanto il diretto interessato che continuava a rivedere nella sua mente la scena in cui Rubilio gli donava il finto testamento. 

Quella notte, dopo aver risistemato la stanza per farla sembrava opera di un semplice ladro, era andato a letto con l'unico desiderio di uscire da quella casa e raggiungere la sua Castria. Moriva dalla voglia di prenderla fra le sue braccia, stringerla forte a sé, baciarla fino allo sfinimento e poi raccontarle tutto. 

Gli sarebbe piaciuto gioire della sua libertà con l'unica persona che contava veramente. Ed era anche pronto a farlo, ma poi si rese conto che non poteva andare in giro nel cuore della notte, entrare in casa sua come se nulla fosse e sconvolgere la vita della sua famiglia. 

Inoltre non poteva attirare troppo l'attenzione su di sé, già sapeva che la gente avrebbe parlato della liberazione del campione della scuola. Avrebbero fatto domande, troppe domande e in quel momento non voleva associare il nome di Castria a quello di uno schiavo appena liberato dopo la morte del padrone. 

Anche Rubilio lo prese da parte, quella mattina dopo l'assassinio, mentre la villa si riempiva di ospiti, per assicurarsi che non facesse qualche stupidaggine. "Aspetta qualche giorno, prima di andare da lei. Attendi che le acque si calmino", gli aveva consigliato come un buon padre ed era quello che aveva fatto. 

Nel frattempo aveva messo tutte le sue cose all'interno di una sacca, sentendosi alquanto a disagio per il solo fatto che la sua vita entrata tutto là dentro. Era praticamente pronto a lasciare l'accademia, anche se Quintilia lo avrebbe fatto rimanere fino a quando ne aveva bisogno. Il suo secondo desiderio era quello di andarsene, il più velocemente possibile, e crearsi una nuova vita con Castria. 

Il dono della libertà gli stava dando l'illusione di poter immaginare come sarebbe stato bello dimostrare il suo amore in pubblico, senza paura di essere giudicato e passare dei guai. Ma prima doveva affrontare la famiglia di Castria e farlo non era semplice per lui. 

"Alla fine ce l'hai fatta, hai ottenuto la tua desiderata libertà", una voce profonda, quasi sputata con veleno, lo costrinse a voltarsi per puntare i suoi occhi su Ferus, appoggiato allo stipite della porta che lo fissava con quel suo solito sorriso da sbruffone. 

L'ultima cosa che voleva era iniziare una rissa, proprio quando ormai era ad un passo dalla sua felicità e non gli importava più di niente. Aveva chiuso completamente con il mondo dei giochi gladiatori, con la scuola e con la competizione. Era finalmente libero di sentirsi anche superiore a tutto. Per questo lo ignorò, infilando all'interno della borsa gli ultimi scritti che gli erano stati regalati da Adriano. 

"Strano non trovi? Apollonio non sembrava felice del tuo operato, qualche notte fà. Abbiamo visto tutti le guardie entrare nel tuo cubiculum e portare via tutto il tuo denaro. E adesso che è morto scopriamo che ti ha liberato? Comportamento davvero insolito", entrò perfino nella stanza, con l'unico intento di farlo innervosire. 

Stava insinuando che era stato lui a falsificare il testamento, e magari anche ad ucciderlo, ma un schiavo come Ferus non era in grado di capire la verità. Non aveva alcun tipo di prova, era solo la sua mente che vagava e faceva strani e complicati pensieri, perfino troppo complessi per uno come lui. 

Falco se ne convinse, prese un lungo respiro e continuò ad ignorarlo. Non perché non poteva tirargli un pugno su quel brutto muso che si ritrovava. Avrebbe potuto ed era quello che avrebbe fatto da gladiatore. Rispondere alle provocazione era un po' come esercitare il proprio potere e dire a tutti quanti che il più forte sei tu. 

Ma lui non era più un gladiatore e perciò doveva smettere di pensarla come se lo fosse. Dalla sera in cui Apollonio era morto era diventato un liberto e quindi la sua vita era cambiata, a cominciare dalle sue reazioni. Perché se Castria era riuscita a vedere l'uomo dietro alla bestia, si sarebbe impegnato per far sì che da quel momento in poi il suo lato più cruento non sarebbe mai più uscito a galla. 

"Il povero Apollonio è morto e l'unico a guadagnarci sei tu. Bel colpo, amico", concluse dandogli una pacca sulla spalla, insinuando che in qualche modo era riuscito ad ottenere tutto ciò che voleva. Eppure non sembrava per niente infelice, anzi, sorrideva come se avesse appena vinto un combattimento. Ed era ovvio per Falco capire il perché. 

Uscito di scena il campione, nessuno sarebbe stato d'intralcio tra Ferus e la gloria che tanto amava e per cui si era allenato a lungo e aveva sputato sangue e sudore. Il titolo sarebbe stato ben presto suo, per questo se ne compiaceva ed era pronto ad essere il primo a salutare il vecchio campione. 

Falco regalò un finto sorriso al nemico, per non dargli troppi sospetti sulla natura della sua liberazione ed era in procinto di lodarlo per il suo roseo futuro, quando qualcuno irruppe nella sua stanza affermando quasi con disperazione: "E' vero che sei libero?". 

Aimeric era davanti alla porta, affannato per aver corso fino a lì, ed aveva ignorato completamente il fatto che Falco non fosse da solo. In realtà non aveva neanche notato l'altro gladiatore che, intuendo l'intimità della futura conversazione, ridendo quasi fra sé si congedò con un'ennesima pacca sulla spalla a Falco e poche parole: "Vi lascio da soli ma mi raccomando, ci tengo davvero tanto a salutarti prima che te ne vai". 

Il modo in cui l'aveva detto lasciava proprio intendere il contrario e Falco provò immediatamente una sensazione di disgusto e una smorfia inorridita gli segnò il volto per qualche secondo. Lo vide andarsene e lasciarlo finalmente in pace ma non poté tirare un sospiro di sollievo. Si era appena liberato di una serpe, ma un'altra lo stava fissando in cerca di una risposta. 

La rabbia pian piano lo stava abbandonando, perché nulla di ciò che prima considerava importante ormai aveva più senso, neanche quello che Aimeric aveva fatto. Non che lo avesse perdonato, solo che non aveva più senso odiarlo per una questione che alla fine si era risolta, in un modo o in un altro. 

"Sì, è vero", gli annunciò, stringendo le braccia al petto e fissandolo con occhio truce. Voleva passare oltre certo, ma comunque non sarebbero mai diventati amici, non dopo il suo tradimento. Perciò farlo sentire a disagio era l'unica cosa che poteva fare per convincerlo ad andarsene. 

Ma Aimeric non si lasciava abbattere da un semplice sguardo e un atteggiamento ostile. Era nato ostinato e anche da schiavo quella sua piccola qualità non era cambiata per nulla. "Così ci lasci?", chiese risentito, come se la libertà di Falco fosse un affronto a lui e a tutti i suoi compagni gladiatori. 

Dal suo tono di voce e dalla sua espressione si capiva che era serio, ci credeva davvero, anche se era stato lui il primo ad aver tradito la sua fiducia. Non riuscì perciò ad essere abbastanza obbiettivo mentre rispondeva: "Sono sicuro che tutti vivranno meglio senza di me in questa scuola, te compreso". 

Se era abbastanza intelligente, cosa che pensava, avrebbe capito all'istante che cosa voleva dire con le sue parole. Ed infatti Aimeric lo fissò solo per qualche altro secondo, prima di scuote la testa, voltarsi ed avvicinarsi alla porta. "Spero che tu possa essere felice con lei", furono le ultime parole che sentì pronunciare al suo ex allievo. 

Aveva chiesto di Parmenione e delle sue condizioni di salute precaria per almeno due giorni, sentendosi sempre dire che non era ancora fuori pericolo e che non si era risvegliato. Così le notti pregava gli Dei affinché potessero salvare la vita all'uomo che con tanto onore aveva contribuito a vendicare Crisante. E aveva pregato anche per Quintilia e Falco. 

La voce dell'omicidio di Apollonio era giunta anche a casa sua e i suoi genitori ne avevano parlato una mattina a colazione, stupiti ma anche incuriositi. Tutti avevano creduto alla storia del ladro ma in realtà Castria sapeva bene la verità. Non era certo una coincidenza che il lanista fosse morto proprio la notte in cui aveva scritto un biglietto alla moglie nella quale le comunicava che il mandante della morte di Crisante era lui. 

Non riusciva a provare pena per quell'uomo, non da quando aveva scoperto che cosa aveva fatto. Nella mente aveva sempre il ricordo della sua amica, che le era stata strappata via così velocemente e in modo atroce e non poteva permettersi di dispiacersi per quell'uomo. 

Più volte si era chiesta come avrebbe reagito, se fosse stati lei ad avere l'opportunità di un faccia a faccia con Apollonio. ma la realtà era che non poteva saperlo, come non poteva sapere che cosa si era veramente detti marito e moglie negli ultimi istanti di vita dell'uomo. Forse avrebbe preso la stessa decisione di Quintilia, o forse no. Una parte di lei era felice che non sarebbe mai venuta a conoscenza della reale decisione che avrebbe potuto prendere. 

E poi c'era Falco. Tra le mura di casa era giunta anche la voce della liberazione del campione della scuola, per via testamentaria, ed anche se non ne era certa, quando lo venne a sapere fu costretta a nascondere la gioia incontrollata che provò. Voleva avere qualche conferma, chiedere in giro, ma alla fine decise di rimanere chiusa in casa, per il bene di entrambi. 

Doveva aspettare e sperare che nei giorni seguenti il suo Falco bussasse alla porta di casa sua per chiedere la mano al padre. Perché era quello che avrebbe fatto, ne era sicura. Ma comprendeva anche perché non fosse ancora giunto a festeggiare con lei la libertà. Tra le strade c'era ancora chi si faceva delle domande e parlavano troppo, nonostante a nessuno interessasse molto della morte di un lanista. 

Eppure erano tutti interessati, forse proprio perché c'era di mezzo anche la liberazione di un gladiatore, cosa che non avveniva molto spesso. E l'ultima cosa che voleva Castria era alimentare ancora di più voci su Falco. Perciò aveva rispettato il fatto che non era andato immediatamente da lei, nonostante avessero a lungo sognato quel momento. 

Tutte le notti andava a dormire con la speranza che qualcuno, il suo Falco, la svegliasse nel cuore della notte per entrare di soppiatto nel suo cubiculum. Ma lui si era fatto attendere, forse anche troppo scrupoloso e l'ansia, più passavano i giorni e più aumentava. 

Passava le sue giornate andando avanti ed indietro per casa, passando sempre nell'atrium per poter vedere con gli occhi la porta ed accertarsi che non avessero visite. Non capiva il perché ma si aspettava di vedere Falco entrare da lì, come qualsiasi uomo, e parlare con suo padre, con coraggio e dedizione. 

Ed invece rimase delusa quando vide entrare in casa il senatore, l'uomo che meno di tutti si aspettava di vedere dentro le sue mura ma in fondo un po' doveva aspettarselo. Quell'uomo si era adoperato tanto per trovare l'uomo che aveva ucciso Crisante, era andato al suo funerale nonostante potesse essere considerato sconveniente per il suo rango, e le aveva fatto capire che sarebbe stato sempre a disposizione per ogni tipo di aiuto. 

Anche suo padre rimase sorpreso quando uno schiavo lo mandò a chiamare avvisandolo che un senatore era entrato in casa sua. Non riceveva visite del genere, mai, e per questo si fece avanti baldanzoso, superando la figlia che era rimasta ferma davanti all'atrium ad osservare l'ospite. Non era suo compito dare il benvenuto al senatore, per questo lasciò che il padre facesse gli onori di casa. Non lo aveva mai visto così felice, anche se ignorava la natura di quella visita. 

"Senatore, che piacere averti qui, nella mia umile casa. A cosa devo la visita?", era già pronto a fargli visitare tutta la domus, fiero di quello che aveva costruito con il tempo e con il sudore della sua fronte. Ma l'uomo lo deluse, lanciando un'occhiata alla ragazza alle sue spalle e affermando: "Veramente sono qui per parlare con tua figlia, se non ti dispiace. Ho avuto modo di conoscerla qualche tempo fa e avrei piacere di scambiare qualche parola con lei". 

In circostanza diverse Longino non avrebbe mai lasciato la figlia da sola con un sconosciuto, premuroso come era, ma non poteva certo negare un tale favore ad un senatore. Si voltò perciò in direzione di Castria, lanciandole un'occhiata eloquente che dimostrava quanto fosse interessato a capire perché mai un uomo di un calibro del genere volesse parlare con lei. 

Sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto dare a suo padre delle spiegazioni e che non sarebbe stata facile ma in quel momento approfittò della vicinanza dell'ospite per eludere il suo sguardo insistente. Si fece avanti con la testa bassa e fingendosi anche lei sorpresa della richiesta. 

"Vi lascio da soli, allora", si capiva che questa cosa non gli andava proprio, nonostante aveva parlato con un sorriso in volto. Ma era tutta scena, sia Castria che il senatore lo sapevano. Eppure si allontanò, lasciando i due ancora vicino alla porta d'entrata, con la consapevolezza che probabilmente Longino sarebbe rimasto nei paraggi. 

"Possiamo andare nel peristilium, se vuoi", lo invitò Castria, sentendosi un po' a disagio per tutta la situazione. Non conosceva quell'uomo, avevano scambiato poche parole al funerale, e non aveva neanche idea del perché fosse lì. Poteva volerle chiedere qualsiasi cosa e le metteva ansia anche soltanto fissandola intensamente. 

Solo quando le sorrise, con dolcezza, si tranquillizzò un po', prima di affermare: "Non ce n'è bisogno, sono solo passato per un saluto e per comunicarti una notizia. Ho molti impegni questa mattina e purtroppo non posso restare a lungo", si scusò quasi per non aver tempo da dedicare a lei e le sembrò davvero sincero. 

Ma Castria si soffermò molto di più su alcune sue particolari parole che ebbero l'effetto di mandarla quasi in paranoia. Era ovvio che aveva attraversato tutta la città per far visita ad una famiglia di mercanti solo per parlare della morte di Apollonio. Era un uomo intelligente e doveva essere arrivato ad una conclusione ovvia. 

Si avvicinò alla ragazza, prendendo le sue mani e sussurrandole a bassa voce per non farsi sentire da orecchie indiscrete: "Farò in modo che nessuno faccia troppe domande", furono le ultime parole che le disse, facendole intuire che stava parlando dell'assassinio di Apollonio e che quindi non aveva creduto per niente alla voce che girava. 

I suoi uomini erano sicuramente andati a riferirgli della rissa dove Parmenione aveva rischiato la vita e perciò era venuto a sapere anche lui chi era il mandante. Ma quello che proprio Castria non aveva capito era perché lo aveva fatto, perché si era impegnato tanto per fare giustizia ad una lupa. 

E proprio mentre il senatore la stava lasciando andare, allontanandosi al punto di essere più vicino alla porta che a lei, con uno slancio di coraggio e di curiosità, gli chiese: "Perché lo hai fatto?", non serviva neanche specificare a cosa si stava riferendo perché era ben chiaro. 

Aveva sempre visto i patrizi come uomini di grande potere, ben lontani dagli affari di coloro che invece il sangue nobile non lo avevano. Apparivano come uomini pronti anche a condividere il loro denaro, ma solo per apparenza e per fari ben volere dai più poveri. Nessuno aveva mai agito di nascosto, senza ricevere niente in cambio, solo perché credeva in una giusta causa. 

Perciò voleva capire un po' di più l'uomo che era diventato un vero mistero e che forse con la sua testimonianza avrebbe potuto darle una visione diversa del mondo in cui viveva. L'uomo le regalò un altro sorriso, questa volta quasi di compassione e rispose alla sua domanda con un altra domanda: "Sei mai stata innamorata? Innamorata davvero?". 

Il suo primo pensiero andò a Falco, l'unico uomo che aveva fatto battere il suo cuore all'impazzata. Che la faceva ancora sentire una bambina infantile e che le dava sempre speranza, ogni giorno che passava. L'unico con il quale aveva senso parlare di futuro e con cui immaginava di poter essere felice veramente. L'uomo in grado di farla sentire come sull'Olimpo, colui che poteva rasserenare una giornata di pioggia. 

E non ci fu bisogno neanche di aprire bocca, quello che pensava e provava era possibile leggerglielo negli occhi. O almeno è quello che riuscì a percepire il senatore, che aggiunse quasi complice: "Allora sai di cosa sto parlando", iniziò sempre con il sorriso per poi tornare serio e anche triste prima di continuare: "Non ho la presunzione di affermare che il mio amore fosse ricambiato, so perfettamente a chi apparteneva il cuore di Crisante. Ma questo non cambia che lei mi rende felice, libero e giovane. L'ho amata e l'amerò per sempre, ma non è per questo che l'ho fatto. Crisante era una gemma preziosa, una donna che è stata tradita dalla vita stessa e che meritava molto di più". 

E con quelle poche e semplici parole non aveva bisogno di aggiungere altro, si voltò e se ne andò, sancendo la fine della loro conversazione. Castria ebbe la sensazione che non lo avrebbe mai rivisto in una situazione così privata, così silenziosamente lo salutò. 

Quando tornò all'interno della domus, come si era aspettata, suo padre l'accolse quasi aggredendola: "Che cosa voleva da te il senatore?", non era accusatorio ma molto incuriosito e anche un po' spaventato dalla sua possibile risposta. 

Non aveva avuto del tempo per pensare ad una semplice bugia perciò dovette improvvisare, sfoggiando il suo sorriso migliore per nascondere l'ansia: "Niente di cui devi preoccuparti, padre, ha saputo che Crisante è morta e che eravamo molte amiche perciò è venuto a porgermi il suo dispiacere per la mia perdita", in fondo non era neanche una bugia, solo una piccola omissione di particolari. 

Vide il viso di suo padre rilassarsi un po' e poté anche lei tirare un sospiro di sollievo, ma non cantò vittoria tanto a lungo, perché Longino tornò all'attacco con un'altra domanda: "E come vi conoscete, tu e il senatore?", era stranamente curioso ma non per il motivo che pensava sua figlia. 

Castria ci rifletté solo qualche istante, fingendo di non ricordare bene quando in realtà stava cercando una scusa plausibile da usare, e ancora una volta la sua amica Crisante le andò in aiuto con una piccola omissione: "Credo ad una festa, non ricordo bene, una festa con Crisante". E a quel punto di voltò e corse letteralmente lontano dal padre per evitare un altro interrogatorio. 

Con un peso in meno sul petto, poiché era sicura che il senatore avrebbe messo a tacere qualsiasi diceria, poteva finalmente concentrarsi solo ed unicamente sul destino di Falco. E continuare a pregare. 

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